venerdì 30 giugno 2006

Crumanoid (CLDH: chi è chi - parto II)


Quando l’astronave dei suoi genitori sbandò e finì per impattare contro la superficie del pianeta Terra, Cruman era stato appena restituito e aveva soltanto 99 anni. Malgrado il suo fisico fosse ancora molto debilitato, la sua mente era lucida e comprese perfettamente come l’incidente fosse avvenuto a causa errore del navigatore planetario: l’infido strumento, con voce femminile e il solito accento del pianeta Fleed, aveva segnalato un’orbita rotonda dove invece c’era un regolatore vettoriale semaforico, e questo aveva fatto terminare l’astronave dentro un fosso gravitazionale.
In quella che a causa d’una serie di guasti cui le tecnologie locali non potevano porre rimedio sarebbe diventata la sua nuova casa, Cruman si trovò decentemente, anche perché nulla ricordava delle quattro lune del suo pianeta Cru, dei cerchi sui campi di grano, del cielo solcato dagli anelli d’asteroidi, delle notti che duravano una vita di farfalla, del lago radioattivo dove suo padre lo portò a pescare già pochissimi giorni dopo ch’era stato restituito. Non ricordava nulla perché poi erano subito partiti.
Dopo qualche stagione trascorsa sulla terra seduto sotto un portico a guardare i carri che passavano, Cruman sentì che il suo organismo stava raccogliendo un’energia sconosciuta: ormai aveva quasi 74 anni (ben portati), riusciva a fare lunghe camminate, addirittura ad andare a cavallo, e così iniziava a godersi davvero quello scorcio conclusivo del secolo diciannovesimo, nonostante qualche guerra e qualche razzia, che comunque non lo tangevano più di tanto perché allora i terrestri proteggevano gli esemplari anziani. Non si stupiva mai di nulla perché in fondo lui era nato imparato: per esempio aveva già nozione delle pesche-noci, ed era certo che prima o poi anche qualcun altro le avrebbe selezionate.
A un certo momento come niente fosse venne il Novecento, che lui andava già per i 60. Sentiva il fisico sempre più vigoroso, la mente lucidata a nuovo. Nei giorni di scirocco gli veniva di guardare le femmine terrestri come se c’entrasse qualcosa con loro. Per darsi un tono imparò a giocare alla pallacorda.
Davanti al portico passavano già da un po’ i cavalli a vapore e poi, più tardi, le carrozze infernali del signor Otto, però Cruman preferiva spostarsi col suo velocipede, oppure coi treni quando c’era della distanza da coprire. Gli piaceva molto viaggiare e appena poté acquistò una bussola. Aveva anche sentito che Oltremare un gruppo di persone aveva fondato la National Geographic Society, con lo scopo di diffondere la cultura del viaggiare, e questo gli parve molto strano, su un pianeta dove un mucchio di gente riesce a vivere bene sotto un portico. Lui però non si ricordava più d’aver visto la terra dall’alto, prima dell’incidente, e sapeva che se pure se ne fosse ricordato, sarebbero state immagini confuse perché all’epoca i suoi occhi erano ancora appannati.
Quando successe quel casino del ’15 non era ancora messo proprio bene, e quella fu una vera fortuna che gli consentì d’arrivare sulla cinquantina col sedere intatto: fu più o meno allora che cominciò a sentirsi al centro del mondo. Tuttavia quel centro doveva spostarlo di continuo perché intorno prima o poi se ne accorgevano: una volta, per esempio, successe che si fermò a vivere in un posto per un periodo di quattro raccolti e fu un tempo sufficiente perché i suoi capelli bianchi sparissero del tutto, e allora come al solito andò via. Ormai s’era abituato a non avere le fidanzate ma a incrociarle per un po’, e poi a inventarsi qualcosa. Viaggiando è facile inventarsi cose nuove, e nei periodi che non poteva viaggiare, Cruman la scampava leggendo i libri, che erano vite altrui, certe inventate, certe meno. Tutte buone scuse, comunque.
Quando successe quell’altro bordello nel ’41 la fortuna fece sì che non si trovasse a Occidente, ma in India, dove aveva sentito di un santone che possedeva la conoscenza per riparare l’astronave. Il problema furono i pezzi di ricambio: il santone disse che c’era da aspettare almeno centocinquant’anni, e poi andare in un posto che si sarebbe chiamato Taiwan. Cruman rispose che non sapeva se ce l’avrebbe fatta, per allora. Il santone disse che non si sa mai, che anche dove ora sorgeva la sua capanna una volta era tutta palude (e ci potevi costruire solo palafitte).
Forte dell’insegnamento, Cruman se ne andò negli Stati Uniti a godersi i suoi vent’anni, e fu lì che acquisì consapevolezza dell’esistenza delle cheerleaders, ma presto diventò troppo giovane anche per quelle e prima che andasse a finire male dovette darsi fretta per tornare nella Bassa, inverni nella nebbia ed estati polverose sotto le ruote della bicicletta nera.
Gli anni ruggenti del boom economico se li beccò da ragazzino, la rivoluzione sessuale che gli avrebbe fatto buon giuoco qualche decennio prima lo sorprese pressoché poppante, e nonostante la tenera età capì che al mondo non c’è giustizia e sperò che un Dio non esistesse (non per il suo bene, per il Suo).
Quando nel 1971 finalmente fu neonato, dentro di sé percepì imminente il punto dell’inversione e per colmo di sventura ebbe coscienza di possedere ancora/già un Q.I. pari a quello di un adulto che guida col retronebbia acceso in una limpida notte di luglio. Su quel pensiero si trovò nella posizione di non comprendere se fosse tanto o fosse poco e gli girarono i coglioncini, poi vide tutta quella luce e scoppiò a piangere.

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giovedì 29 giugno 2006

Umiliati e offesi

Gianluca Pessotto, ex calciatore della juventus e della nazionale, ora dirigente, ha tentato il suicidio gettandosi dal tetto della sede della società torinese. Non si conoscono i motivi del gesto. E’ grave ma se la caverà. Punto (lo scrivo anche che è più chiaro). E’ così difficile? La regola delle 5W. Come altro si deve dare una notizia? Che bisogno c’è di inventarsi malattie, traumi, depressioni senza sapere un accidenti di niente? Vogliamo eliminare questo maledetto condizionale che imperversa in tutti i giornali? Se una cosa la sai la dici, se non la sai, taci.
E poi qualcuno mi deve spiegare questi articoli che santificano lo sfortunato di turno. Io se fossi un calciatore mi sentirei umiliato e offeso. Pessotto è stato descritto come un calciatore diverso dagli altri (avrebbero voluto dire migliore ma non lo trovavano politically correct), perché legge Dostoevskij, perchè scrive delle poesie, è una persona corretta e va a passeggio in centro con la bella moglie (lui è intelligente colto e speciale, la moglie è “bella”) e i figli. E quindi? Non capisco proprio che cosa vogliano dire: leggetevi questo pezzo apparso su repubblica (http://www.repubblica.it/2006/06/sezioni/sport/calcio/crosetti-pessotto/crosetti-pessotto/crosetti-pessotto.html). Non vi viene da pensare che stia dicendo “tutti i calciatori sono cani ignoranti che pensano solo a mangiare e a coprire femmine, ma lui è diverso. E’ questo che si voleva sottolineare? Se è così perchè non dirlo invece di evidenziare esageratamente queste carratteristiche. Dicendo che “la cosa più bella” è successa quando ha ammesso che un fallo laterale era contro e non a favore anche se la partita era importante, si sta dicendo che la regola nel calcio è l’opportunismo e la disonestà? Io spero che questo giornalista conosca poco Pessotto, perchè se davvero quella è la cosa più bella che lo riguardi, la situazione è proprio triste. Che cosa c’è che merita tanto stupore nel leggere un libro scrivere delle poesie e passeggiare con moglie e figli? Questi fatti meritano considerazione perchè è un calciatore? Se è così mi dovete spiegare anche perchè. Mi dovete spiegare la considerazione standard che avete di questi sportivi che vi ha portato a osannare cose che, per la maggiorparte delle persone normali, sono ordinaria amministrazione. Se questo pensiero sottotraccia esiste davvero, viene da pensare che non lo si dichiari per non trovarsi scoperti se un giorno a lottare tra la vita e la morte fosse un giocatore poco corretto o che non azzecca un congiuntivo. Quanti di voi hanno letto dei libri tra un impegno di lavoro e l’altro, quanti hanno buttato giù delle righe e quanti hanno fede in qualche dio e girano tranquilli con moglie e figli? Nessuno ha mai sottolineato queste cose della vostra vita, nemmeno quando, ahimè, è finita o ha rischiato di finire. Quindi queste caratteristiche sono importanti, proprio perchè è un calciatore. No, non può essere, non ci credo. Troppo offensivo, troppo ingenuo. Allora forse c’è di peggio. Forse queste lodi al campione in difficoltà nascondono la voglia morbosa di entrare fino ai più intimi reconditi dell’uomo pubblico. Di sventrarli e di bearsi un po’ di poterlo fare. E ancora viene da chiedersi: se avesse tentato il suicidio un calciatore che viveva tra discoteche e gnocche imbarazzanti, che cosa avrebbero detto? Seguendo questa logica dovevamo aspettarci qualcosa del tipo “del resto, sempre stordito di divertimenti e patonza, non è che poteva pretendere di rimanere sano”.
Il dramma dell’uomo è intoccabile. Nessuno, lo conosce abbastanza da poterne parlare, considerato che nemmeno la moglie si aspettava una cosa del genere. Allora, visto che non potete parlarne, fate la cosa più ovvia che deriva da questo assunto: non parlatene. Esprimete dolore, se ne avete, dispiacere, tristezza, ma lasciate perdere le analisi intimiste perchè finite solo per pestare cacche colossali. Giornalisti che sbandierano il fatto che il povero calciatore andava in chiesa e stava con la famiglia invece di infilare mani nelle mutande di cubiste del billionaire. Peccato che fino a ieri avete parlato solo ed esclusivamente di cosa hanno trovato i vari calciatori nelle suddette mutande. La “normalità” di Pessotto non ha mai fatto notizia, ora che è volata da un tetto è di colpo divenuta eccezionalità. Tutto questo non serve al mondo del calcio, umiliato dall’immagine che di rimbalzo, è stata creata (non tanto perchè non sia anche in parte vera, ma perchè non dichiarata e solo subdolamente suggerita) e non serve a Pessotto, ferito nel fisico e spogliato senza motivo della sua intimità. Perchè le persone che lo conoscono, sanno già per cosa ammirarlo o non ammirarlo, chi non lo conosce non ha bisogno (se non per morbosa curiosità) dei tratti personali e della conseguente analisi psicologica del giornalista commosso di riferimento che cerca di arrivare dove nemmeno amici, parenti e moglie (e probabilmente nemmeno il calciatore stesso) sono riusciti ad arrivare.
Dimostrazione ne è che gli amici di Pessotto, intervistati, hanno tutti solo espresso grande dolore e non sono riusciti a dire altro, ad arrivare più in là. Anche se incalzati da microfoni curiosi.
Mi viene in mente una inaspettata uscita geniale di Bush (padre del famoso presidente) “è incredibile il numero di persone che mi batte a golf da quando non sono più presidente”. Come cambia l’atteggiamento delle persone intorno a te in dipendenza di ciò che ti succede.

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mercoledì 28 giugno 2006

Tana libera tutti


Io sono un cittadino normale purtroppo. Nessuna attività di rilevanza mediatica, nessuna velina tra le lenzuola e soprattutto non ho ammazzato nessuno. Fedina penale tristemente candida (anche se, grazie a questo blogo, ancora per poco), il che mi preclude varie carriere accattivanti, come il docente universitario, lo scrittore, il politico.
Sì perché bisogna guardare avanti. Considerare gli incredibili risvolti nascosti tra le pieghe del tuo fascicolo in questura. Voglio dire, magari tu con la tua fedina penale ci puoi fare un poncho, ma invece di essere triste dovresti pensare in grande. Sì è vero, ti fai qualche anno di galera, durante i quali farai cose molto più interessanti di quelle che facevi fuori. Insegni in università, ti fai intervistare, fai il giornalista…. una pacchia. Poi arriva il governo giusto, una bella grazia o una riduzione di pena e ti ritrovi in parlamento, più ricco e potente di prima. E in tutto questo puoi anche fare la voce grossa, l’indignato, la vittima (tanto la vittima vera magari è due metri sotto terra e da lì non risulta semplicissimo esprimere disappunto).
Ora però non montatevi la testa. Questo discorso non vale per tutti. Tu sfigato in attesa di giudizio, magari (davvero) innocente, ti fai tutto il tuo calvario buonino buonino, in silenzio e senza nemmeno agitarti troppo. No, no, per andare in televisione a fare gli scocciati dovete già appartenere a una elitaria casta a cui non avrete mai accesso. Oppure dovete essere uno di quelli che ammazza a sangue freddo un uomo innocente e indifeso, in nome di un’ideologia, cosa che pare tramutarti di colpo da “bestia feroce senza dignità” a rivoluzionario, estremista, compagno che sbaglia (a sinistra), o persecutore di alti e puri ideali (a destra) o comunque uno che ha combattuto contro lo stato, come se fosse una sorta di eroe catturato dal nemico, per quanto possa essere eroe uno che spara alle spalle contro un uomo indifeso.
Ora anche Proietti vede la sua libertà. La sua pena per l’omicidio D’Antona passa da tutta la vita a 20 anni (D’Elia con 22 anni ne ha scontati 12….facendo due conti… tra un paio di legislature…). Sarebbe bello poter dire a D’Antona “ehi Massimo, hanno ridotto la pena, sarai morto solo una decina d’anni poi puoi tornare”. Solo che se tornando dovesse ritrovarsi con i suoi carnefici in parlamento, magari deciderà di restare dov’era, fosse anche una cava di scorpioni incazzati.
Che poi uno potrebbe anche interpretare male e pensare “hai visto questi, ammazza qua, gambizza là, alla fine ce l’hanno fatta”. Messaggio non esattamente educativo.
Non c’è niente da fare, la sensibilità verso la sofferenza dei carnefici ormai rende molto di più di quella verso le vittime. E si dà spazio a moggi in lacrime, a ex terroristi offesi, mentre delle persone che hanno calpestato non si sa nulla, ormai è un gioco trito. Molto più d’effetto capire l’irrequietezza viscerale o l’ideologia filosofica del carnefice di turno.
In cina quando un amministratore o un dirigente fallisce gli appendono un cartello in fronte con scritto "non sono stato una personcina a modo, percuotetemi con dei fichi molli" e lo costringono a ricominciare da zero. In italia gli offriamo programmi in prima serata, contratti editoriali lauree e cattedre universitarie. Così tra politici, giornalisti e personaggi vari siamo pieni di vecchi "se succede questo me ne vado", tutti figli dell'adagio solo i fessi non cambiano mai idea.
A proposito di Moggi (padre del famoso procuratore) mi è capitato, ieri, di sbattere contro una toccante intervista, durante la quale la tigre Floris (abile conducente di ballarò), si è trasformata in agnellino, facendosi dare lezioni di rispetto (e a volte persino di italiano) dall’indignato ex dirigente che inveiva contro la cattiveria dei suoi persecutori e ha esatto (potenza del participio passato) rispetto per sé, la sua famiglia, la sua società. Nemmeno una parola sulle società, procuratori, giocatori, arbitri nani e ballerine di cui lui decideva la carriera o la fine, con ferocia, insultando, minacciando (parole prese dalle intercettazioni). Floris non ha posto questo stridore di rispetti al provato pluriscudettato. Per un attimo ho rivisto il saddam sotto processo: anche lui interdetto, sbigottito sinceramente dal fatto di dover essere giudicato. Anche lui convinto che niente potrebbe essere meglio senza di lui. E anche lui dava lezioni di giustizia e correttezza. Come Castro che puntava il dito verso i potenti europei in nome dei diritti civili. Così Floris ha ascoltato silente, il buon luciano affermare che il calcio andava bene grazie a lui, che combatteva contro i veri cattivi (da lui definiti diavoli) e che dopo di lui altri costituiranno altre lobby di potere (quel “altre” un po’ maldestro), cosa che è assolutamente condivisibile. Ora io non voglio paragonare Moggi a Saddam o a Castro (anche perché secondo me Castro un po’ si insolentisce), ma questa è una sincera, tipica, reazione di chi il potere lo ha avuto, amministrato e usato e poi si ritrova senza (non è il caso di Castro ovviamente, che è ancora con). Io posso anche capirla dal punto di vista psicologico e nessuno va giudicato sommariamente, ma come ho già detto, si dovrebbe partire dalla comprensione delle vittime, dal rispetto per loro. Diamo spazio a chi ha subito non a chi ha spadroneggiato per anni in barba a qualsiasi rispetto. Questa struttura civile è (purtroppo) basata sulla distinzione tra bene e male, ora stiamo confondendo le cose, rendendole fumose, ingannevoli, minando la base stessa del convivere sociale.
Prima sosteniamo chi ha subito, chi sta male, poi mi raccontate tutte le ragioni di chi ha ammazzato, di chi ha agito fregandosene della sofferenza degli altri, ed ora vuole ascolto per la propria. Responsabilità e dignità, sono parole astratte (come ha saggiamente detto Moggi apostrofando Floris sul concetto di potere) che non suggeriscono più niente a nessuno.

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lunedì 26 giugno 2006

La democrazia incompleta


Io ho referendato. Scheda punti elettorale alla mano e espressione da diritto e dovere alla faccia, sono entrato nella classe di scuola elementare adibita a tabernacolo della democrazia e tra pupazzetti, disegni infantili (difficilmente distinguibili da forme d’arte post odierne esposte in vari musei alla moda) e grosse lettere che si vantano di principiare parole, ho dichiarato che era mia intenzione referendare. Dopo qualche momento di basitudine l’addetta alla democrazia ha afferrato il mio raccoglipunti ed ha rifiutato bonariamente il mio documento di identità. Pare che grazie ad una fitta rete di persone che si preoccupano delle intime faccende altrui, la signora potesse ostentare la capacità di confermare la mia identità. Il fatto che io non l’avessi mai vista prima è risultato irrilevante ai fini dell’atto democratico di voto.
Infilatomi in una cabina e svolto il cartoccetto elettorale, mi sono accorto con rammarico dell’incompletezza del quesito. Anzi della risposta. Sì o No è decisamente un spettro limitato di possibilità. E non voglio dire che avrei voluto trovare dei “direi di no” o “in buona parte sì” di fuzzyana logica. Mancavano proprio altre due opzioni (almeno).
Ci sono persone che non hanno modo di limitarsi ad una yesno question. Per esempio qualche tempo fa mi trovavo a degustare il mio panino prosciuttomozzarellasalsagamberi che in tutti i bar prende il nome del bar stesso. Vicino a me un gruppetto di giovani abitifirmati appartenente ad un’alta casta di colletti bianchi pieni di attestati di scuole molto superiori e mire dirigenziali, sfogliava il giornale locale sbirciando foto e soffermandosi su incidenti stradali e necrologi, finchè un titolo (evidentemente azzeccato) attirò a tal punto la loro attenzione che furono costretti a leggere anche la parte scritta in piccolo (ovviamente ad alta voce). Parlava di una donna sposata del luogo che, insieme al suo amante clandestino dell’est, devastò una camera d’albergo con giochi erotici del settimo grado della scala selen. I componenti del gruppetto si lasciarono andare ad osservazioni politiche sulla faccenda. La cosa che sembrava insolentirli maggiormente era il fatto che l’articolo non citasse (per stupidi motivi di rispetto) il nome della loro concittadina eroto-acrobatica. Finite le digressioni a sfondo sessuale i giovani rampanti trovarono anche noiosi dettagli tipo l’espulsione dal paese dell’amante tellurico in osservanza alla legge bossi-fini. Nel silenzio del locale una signorina cercò lumi “che è questa bossi-PINI?” (all’epoca questo fantomatico fini era solo vicepresidente del consiglio). Un suo solerte collega fu prodigo di informazioni “è la legge sugli atti osceni in luogo pubblico.”….”Ah giusto”. Del resto si è parlato poco di questa legge.
Io ho riflettuto sulle necessarie aberrazioni che un bene come la democrazia porta con sé. Ognuno di noi ama e rispetta l’equità di diritti, ma dentro di sè pensa che quel troglodita del vicino di casa non dovrebbe avere il potere nemmeno di votare per chi deve uscire dalla casa del grande fratello. Pensiero democraticamente ricambiato dal vicino.
Poi ci sono tutti quei poveracci che, attraverso mezzi limitati (giornali e tv) hanno cercato di informarsi su ‘sto benedetto quesito. Ma alla fine hanno potuto solo capire che se vince il sì c’aveva ragione il berlusca e se vince il no prodi ha proprio vinto. Come chiosa hanno anche percepito che cosa farà tizio se vince il si e che cosa farà caio se tizio farà davvero ciò che ha dichiarato (cosa peraltro altamente improbabile).
Ecco, per tutte queste persone ci voleva la casella “MAH!”.
Poi ci sono quelli che hanno avuto modo di reperire tutte le informazioni necessarie. Di studiarsele e compararle con la storia politica e amministrativa del nostro paese. Quelli che hanno considerato tutti i punti di vista e sanno perfettamente quale strada prendere.
Queste persone sanno bene la valenza sociale delle consultazioni popolari. Sanno come le classi politiche recepiranno il volere della gente. Come lavoreranno per rispondere a ciò che la maggioranza del paese domanda. Sanno che non perderanno tempo a trovare nuovi accordi, nuovi equilibri per salvaguardare le poltrone. Sanno che, sì o no che sia, questo paese divorato dalla propria macchina organizzativa, avrà una consapevolezza diversa.
Sanno che se dovesse scoppiare una guerra mondiale combattuta tra i dipendenti statali di tutte le nazioni, potremmo attaccare la siberia con 800 portaborse e tirare i dadi con tranquillità. E sanno che queste situazioni verranno comunque risolte, perché sopra a tutto, sopra agli interessi politici, le riforme, i voti, le concertazioni, le vittorie, le sconfitte, c’è un dignitoso stato di benessere dei cittadini da perseguire.
Ecco per tutti questi mancava sulla scheda l’opzione “ma piantala!”.

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venerdì 23 giugno 2006

Chi sono i CLDH? (1 di 3)


Dopo aver imbrattato il web per mesi ed aver riscontrato con stupore un diffuso interesse per gli autori di codesto blogo, ho deciso che è sopraggiunto il momento di raccontare la vera storia che si cela dietro le faccette che potete rimirare qui in parte.
Svelerò alcuni retroscena sconvolgenti, sapendo di rischiare la mia incolumità e soprattutto di perdere degli amici. In questo post parlerò di il spaggio, il meno produttivo dei tre e tra non molto capirete perché.
Il spaggio nasce brutto. Ma brutto in misura non qualificabile: usciva di prepotenza dalla scala di valutazione bindi. Era talmente inguardabile che la questura, unico caso al mondo, gli concesse di possedere tutti i documenti di identità privi di foto, creando presto un alone di mistero attorno a lui, alimentato anche dall’ovvia emarginazione in cui il suo aspetto fisico lo relegò.
Queste caratteristiche attirarono l’attenzione di un’agenzia governativa segreta di una potenza straniera che organizzò un luciferino piano per disintegrare il già labile equilibrio del giovanotto ed usarne i cocci per i propri scopi segretamente illeciti. Misero insieme una serie di prove farlocche per screditarlo in tutti gli ambienti sociali che frequentava. Furono pubblicate sul giornale locale foto de il spaggio in atteggiamenti disdicevoli: mentre bacia un’anguilla, mentre si da piacere guardando protestantesimo o nell’atto di votare per luxuria. La fame di scandali che è propria della gente annoiata, impedì ai più di notare impercettibili errori di elaborazione che testimoniavano l’origine artefatta delle fotografie. Per esempio alcune erano in bianco e nero mentre il spaggio appariva a colori, altre avevano in basso a destra il logo di photoshop, altre ancora erano dei dagherrotipi.
A seguito dell'inevitabile ostracismo dalla società civile e l’abbandono totale da parte dei suoi affetti più cari (compreso il suo cane caccola, sconcertato dalle indiscrezioni su una presunta love story del suo padrone con una gatta persiana che sbatteva quando c’era vento), il spaggio fu subdolamente avvicinato da agenti della potenza straniera che ebbero gioco facile nel convincerlo a sposare la loro causa ed immolarsi per essa, abbindolandolo con promesse di un aldilà popolato da birre medie con le tette e proiezioni ininterrotte di the fast and the furious.
La prima missione del il spaggio agente segreto, fu un po’ una prova del fuoco. Doveva imbottirsi di esplosivo e farsi esplodere davanti a un ristorante cinese chiuso, ma i suoi capi gli assicurarono che le successive missioni sarebbero state più semplici.
Il nostro eroe obbedì senza battere ciglio (anche perché se avesse battuto ciglio sarebbe saltato in aria prima del previsto). Giunto sul luogo stabilito, pensò a tutte lo cose che lo avevano reso felice e in tutto quel secondo e mezzo ebbe quasi voglia di rinunciare, ma i successivi 48 minuti passati a ricordare le cose tristi lo convinsero e, chiudendo gli occhi, corse a stracciapolmoni verso il ristorante. Fu forse un passo falso freudiano o il fato vigliacco, ma il spaggio dimenticò di attivare l’esplosivo e l’unico risultato del suo atto supremo fu quello di dare una spettacolare facciata contro la parete esterna del locale, che fece tremare tutto l’isolato.
Dopo 21 giorni di coma profondo il spaggio si riebbe. Per qualche miracoloso intervento divino, il nostro, subì delle mutazioni alla struttura maxillofacciale (dio, erano anni che cercavo un contesto per usare questa parola), dovute alla strabiliante facciata, che lo resero bello come un adone bello. Il nuovo spaggio guardò, ricolmo di novella vita, i medici che l’avevano salvato e disse loro con un refolo di voce “certo che è un mese che sono qui, potevate anche togliermelo l’esplosivo di dosso”.
Il spaggio tornò alla sua nuova vita da vincitore e dovette assumere un gorilla per tener lontana un’orda inferocita di esemplari femmina di ogni tipo che si laceravano le vesti per poterlo concupire. Ora è un importante consulente per una società che costruisce pareti per ristoranti cinesi e spezza cuori come fossero ostie a bordo di spider e moto potenti.
Ma la natura commerciante non dà niente per niente e il baldo si ritrova oggi con alcuni effetti collaterali. Per esempio gli capita di addormentarsi di soprassalto ovunque si trovi, il che è un problema perché solitamente dorme nudo. Ha spesso incubi in cui vede un mostro mitologico con il corpo di drago e la testa di drago (di un altro drago). Ma la cosa più importante è che nelle notti di involtino primavera va in trance e comincia un frenetico lavoro di scrittura mediatica sotto la dettatura di uno spirito guida. Il frutto di questo fenomeno paranormale lo potete ammirare in questo blogo. Come saprete sicuramente, le notti di involtino primavera sono piuttosto rare ed è per questo che il spaggio è così poco produttivo.
Degno di commozione il commento ai fatti di postatore sano: “se proprio dovevi farti guidare la mano da uno spirito guida non potevi trovarne uno che scrivesse meglio?”

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giovedì 22 giugno 2006

C'era una volta un principe....


Ricordo distintamente l’ultima volta che un senso profondo di preoccupazione e timore, pervase le mie budella fino a contorcerle. Ero uno di quei cosi fastidiosi coi calzoncini: un bambino gracile con la testa grossa, atta probabilmente ad alimentare la speranza nei miei genitori che un giorno quello spazio sovrabbondante, avrebbe ospitato connessioni sinaptiche almeno superiori a quelle di un primate. Grazie ai condizionamenti sociali e al substrato culturale in cui mi trovavo a mollo, ma più probabilmente grazie alla vasta vacuità insita nella mia scatola cranica, in quegli anni pensavo che, destino di ogni essere umano, fosse crescere, convolare a giuste nozze e procreare altri cosi fastidiosi con la testa grossa che, acquisendo consapevolezza nel loro destino, avrebbero alimentato questa macchina ciclica e incomprensibile. Ovviamente, ignorando completamente i tecnicismi fisici alla base dell’atto generativo (non che ora li padroneggi con maestria), ero convinto che i figli fossero dono dell’amore che porta al matrimonio e che giungessero in quantità e tempi che non ci era dato di conoscere o controllare. Questa cosa mi levava il sonno, tanto che un giorno presi il coraggio a una mano (con l’altra dovevo sorreggermi la testa) e dissi di fronte alla mia famiglia “io non mi sposerò mai perché ho paura che mi vengono troppi figli” (già allora masticavo congiuntivi e consecutio come niente). Fortuna volle che la mia saggia sorella maggiore trovò le parole adatte alla delicatezza e al bisogno di comprensione di un bimbo: “e tu fanne pochi, fesso!”. Tranquilli, ho superato completamente quel trauma, se si eccettua il fatto che quando vedo una cicogna non posso contrastare l’istinto di abbatterla con una doppietta.
Oggi come allora il panico mi sta rodendo da dentro (come un fiore). E’ evidente, ci stanno nascondendo qualcosa di grave. Non voglio creare allarmismi ma non ci sono alternative possibili.
Ci stanno distraendo con scherzoni divertenti e notizie ipnotizzanti….è ovvio che c’è qualcosa di grosso da cui vogliono distogliere la nostra attenzione. I giornali non parlano che del principe (quello che somiglia a ciccio di nonna papera per capirci) e le sue porno telefonate. Dai, ditelo che è uno scherzo, è stato bello, ma ora basta. Ci avete riflettuto bene? Dunque si stanno mobilitando procure e forze dell’ordine per un tizio che, grazie alla sua posizione sociale, invece di andare a peripatetiche in tangenziale, chiama i suoi amici e se ne fa procurare di quelle di lusso. Ma non è questo il punto. Analizziamo meglio la cosa: questo tale dai pruriti principeschi, ha sempre vissuto sull’isola di cavallo e il suo avvocato si chiama isolabella. Coinvolto in questa indagine c’è il portavoce di fini e come si chiama il portavoce di fini? Sottile! Ma non è finita. Il pm che ha scatenato il putiferio con queste intercettazioni di telefonate a sfondo sessuale si chiama woodcock, traducibile in “pene di legno”. Per non parlare poi di altri nomi finiti nel registro degli indagati tipo bonazza e cicciolini. E poi un principe che cade da un letto…a castello…. Siamo onesti, come si fa a non aspettarsi di vedere uscire il cast di scherzi a parte?
E poi altre notizie farlocche a cui si da un risalto fuori luogo. Una sentenza che consente agli italiani di insultare berlusconi ma non viceversa. Il garante che reputa incompleti gli spot referendari, mentre pare vadano bene quelle pubblicità che ti fanno dire, dalla 90 cm di coscia di turno, che se entri in un negozio di telefonia ti regalano immediatamente dodici cellulari di ultima generazione con cui puoi parlare, videoparlare, citofonare e centrifugare completamente gratis ovunque, con chiunque e per tutta la vita. E nel caso lasciassi anzitempo il regno dei meno, i tuoi eredi naturali verranno nominati azionisti di riferimento.
Credete ancora che non ci sia qualcosa di grosso che non ci vogliono far sapere?
Io di sfuggita, tra miss in bikini e ossa fratturate di motociclisti, ho visto apparire notizie che sono sparite appena in tempo per non farmi ribaltare sulla mia sedia ikea abilmente assemblata. Pare, per esempio, che un allegro asteroide stia per fare un’asola alla terra. Pare anche che un pincopalla qualsiasi abbia acquistato su internet per 40 sterline i segmenti di dna che, con un po’ di colla vinilica e le istruzioni date da giovanni mucciaccia durante l’ultima puntata di art attak, risultano molto comodi per creare in laboratorio (o nel sottoscala) un agente patogeno del vaiolo.
Insomma io se continuo a sentir parlare del principe del foro finirò di nuovo con le mie crisi di panico infantili. Bloch ha detto che un ottimista è un pessimista male informato, ma preferisco ricordare il grido di battaglia di daria:
daria perché vedi sempre tutto sotto una luce così negativa?”
“luce? Non vedo nessuna luce!”
Sono molto in ansia, credo ne parlerò con mia sorella.

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mercoledì 21 giugno 2006

Incentivi alla rottamazione dei rapporti sociali


Ci sono alcuni passaggi che, nella società contemporanea, è quasi impossibile evitare: le vaccinazioni, la scuola dell’obbligo, le sigarette a 16 anni (e per qualcuno anche tutti quelli successivi), il calcio, i calci e una serie di stereotipati eventi di interrelazione umana, tipo limonare o fare un colloquio di lavoro. Ognuna di queste situazioni, coinvolgenti umani che si trovano a ricoprire ruoli contrapposti, ha una serie di regole non scritte, gesti codificati, segnali indicatori, che tutti i personaggi in gioco conosce benissimo e, solitamente, disprezza, ma è impossibile e comunque considerato blasfemo, non divenirne artefice. Tra i più rappresentativi riti di sopravvivenza sociale c’è l’acquisto dell’automezzo privato per deambulare più comodamente. Questo evento, nel suo reiterarsi, genera una diramazione di sé altrettanto articolata, chiamata, nello slang metropolitano, “dare dentro”: cioè cedere allo smerciatore di automezzi, come contropartita, il proprio vecchio veicolo e una quantità di soldi pari al valore del veicolo nuovo meno quello del vecchio, oppure il valore di quello nuovo meno lo sconto senza mettere in mezzo ferraglia (quindi il vostro usato non vale un fuffolo).
Pur nella consapevolezza che con il vostro usato il rivenditore ci fa del brodo di pollo, il processo di valutazione del suddetto, è una pantomima degna del teatro giapponese no. Solitamente la speranza di non essere trattati come dei poveri mentecatti è alimentata dal fatto che la vostra vecchia auto, al momento dell’acquisto, è stata spacciata boriosamente come “un assegno circolare”. Terminologia da vecchio lupo di mare del mercato, per indicare che, in qualsiasi momento, la potrete rivendere quasi al prezzo del nuovo perché è ricercatissima (probabilmente meno ricercata del tizio che ve lo ha detto). La speranza, sebbene ultima, muore anch’essa.
A “Io avrei da dar dentro la mia macchina è una….”
V “ah guardi quella è invendibile!”
A “veramente non le ho ancora detto che macchina è”
V “ah no? Mi scusi, mi era sembrato, comunque non c’è mercato per l’usato”
A “mah, veramente mi avevano detto che era un assegno circolare”
V “ma lei crede ancora a queste fesserie da venditore di serie b?”
A “l’ho comprata da lei”
V “ehmmm comunque ora c’è crisi… euro4 …incentivi rottami ….ho moglie e figli… come fosse antani…”
A “ok comunque è un 2002 diesel 3 porte..”
V “3 porteeeeeeeeeee?????? Ma è matto, non si vende in nessun modo, fosse stata 5 sarebbe stato tutto un altro discorso”
A “ho detto 3? Volevo dire 5”
V “è uguale”
A “insomma quanto me la valuta?”
A quel punto il venditore estrae da un cofanetto inciso a mano da un alchimista del ‘600 il famigerato libretto blu dove sono indicate le quotazioni di tutte le auto esistenti sul pianeta. Le quotazioni sul libercolo vengono fatte così: si prende quattroruote, si vede la valutazione dell’auto usata, si divide per 2 il valore e lo si incide nelle pagine insanguinate.
Poi vengono tutte le casistiche codificate alla perfezione:
Hai installato mille optional? “può anche smontarli e portarseli via per me è uguale”
Non ne hai nessuno? “avesse almeno l’aria condizionata”
Paghi a rate? “almeno lasciasse qui il contante”
Paghi in contanti? “a me non fa nessuna differenza, che me li dia lei subito o la finanziaria, io li prendo comunque”.
Mi fa lo sconto? “no guardi già mi dissanguo a prendere dentro quel catorcio” (che venderà a prezzo maggiorato in albania).
Allora niente usato che sconto mi fa? “pari al valore dell’usato”
Ovviamente tutti questi lati negativi del mercato dell’usato li dovete ribaltare nel caso in cui sia lui a vendervi un’auto di seconda mano.
Tutta questa sceneggiatura bislacca è un vero e proprio rito: non ha alcuna utilità, sanno tutti come funziona e come va a finire e ti fa perdere un sacco di tempo. Un po’ come il matrimonio.
Io avviso tutti i commercianti di auto che leggeranno questo post: io a INV di invendibile sono già in macchina a cercare un altro concessionario. Poi regolatevi voi.

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martedì 20 giugno 2006

Il sacrificio di Dirk Hamer e la Nuova Medicina


Vorrei non sentire il bisogno di scrivere questo post. Sapete come è difficile spiegare cose che sono diventate parte di te, per bisogno, per sofferenza, gioia e a volte ferocia. E’ una sensazione fastidiosa come uno starnuto che non ne vuole sapere di starnutirsi. Ogni parola ti sembra insufficiente a descrivere e sovrabbondante in misura adatta a far equivocare. E alla fine non sarai contento di quello che hai fatto, sentirai che, piuttosto, era meglio quando attorno a te, tutti ne facevano bellamente senza e tu fingevi medesima mancanza.
Che poi la scusa di parlare d’altro ce l’avevo, quando quel commentatore dei mondiali di calcio ha detto “non è rigore, la mano era attaccata al braccio”, ho afferrato il portatile con la veemenza che la sua portatilità mi ha permesso di ostentare e ho cominciato a sferruzzare ironia come una nonnina da competizione. Mi sono sentito in colpa come quando lasciavo solo un sottile strato di nutella appena sufficiente a coprire il fondo del barattolo per non essere autore dell’esaurimento dell’ambrosia de noartri. Sono 70 post che aspetto l’occasione ed ora non posso far finta di nulla. Ci voleva il principe del foro (non in senso avvocatizio) arrestato di nuovo per assenza totale di proprietà raziocinanti. Il caso Savoia ha rilanciato tra le rotative il nome di Dirk Hamer, dando occasione di ricordare, di sponda, la morte assurda di questo ragazzo tedesco trovatosi a passare per caso nelle vicinanze di ricchi e bizzosi giocherelloni. Pochi sanno però che quella fine insensata di una vita umana ha segnato l’inizio di una storia destinata, prima o poi, a sconvolgere l’intero sistema sociale come ora lo concepiamo. Il padre di Dirk è il dott. Ryke Geer Hamer, una mente che è pura espressione della genialità umana: medico, teologo, inventore, ha depositato importantissimi brevetti per la medicina moderna, che gli consentono di vivere di rendita, senza pretendere nulla dalle persone che si rivolgevano a lui (prima di essere imbavagliato). Poco dopo la morte del figlio (nel ’78) Hamer si ritrovò con un tumore ai testicoli e da quel momento cominciò lo studio di quella che oggi è chiamata nuova medicina attraverso la definizione delle 5 leggi biologiche e del rapporto ferreo tra psiche, cervello e organi con particolare riferimento alle malattie oncoequivalenti. Rapporto che nella nuova medicina si esprime con conflitto biologico, focolaio di Hamer e tumore. La vita del dott.Hamer da allora è una vera e propria odissea, un costante altalenarsi di successi e di strenue difese da chi lo vuole in silenzio. Le sue leggi scientifiche, sono state dimostrate empiricamente in 35.000 casi su….35.000. La nuova medicina sovverte alle fondamenta la medicina classica, dal rapporto medico-paziente, alle concezione stessa di malattia e cura ai sistemi di intervento. Tanto che rettori di cliniche universitarie, scienziati, medici, sono costretti a voltargli le spalle, ammettendo la paura che un terremoto simile incute loro. Senza contare lo sbigottimento nel divenire consapevoli di aver sbagliato tutto per decenni.
Questa è stata la condanna del dott.Hamer. Non ha semplicemente “trovato un metodo alternativo”, ha dimostrato l’assoluta inefficienza e, peggio, la consapevole nocività delle cosiddette cure convenzionali. Hamer è appena uscito da un carcere francese dopo decine di tentativi di diffamazioni costruite ad arte, internamenti e due attentati. Ha scontato più di 2 anni di prigione per aver regalato una stecca da frattura a un ragazzino, dopo essere stato radiato dall’albo dei praticanti. Come in prigione è un ricercatore americano che ha dimostrato che le statistiche dei presunti successi dei metodi di cura convenzionali (chemioterapia, radioterapia, morfina) sono costruite in modo tendenzioso, nascondendo il fatto che in realtà progressi non ce ne sono stati. I fatti eclatanti sono davvero centinaia e tutti documentati, compresi incredibili episodi politici che hanno coinvolto esponenti della ricerca scientifica, governi e persino amnesty international.
Non sarei in grado (in generale, ma soprattutto in un post) di spiegare ciò che è racchiuso in un testo scientifico di 1500 pagine, ma posso dire come la medicina classica inganni se stessa.
Come potete verificare chiedendo a qualsiasi medico, la medicina classica è basata su poche migliaia di teorie che vengono prese come assunti e da cui derivano diagnosi, cure, medicine e interventi. Il concetto di diagnosi è molto spesso assimilabile a una scommessa alle corse dei cavalli, non esiste una medicina che provochi lo stesso effetto in chiunque la assuma e molte medicine non intervengono sulle cause di un ipotetico male, ma solo sui sintomi che produce. Venendo al discorso cancro, la medicina classica, per quanto vi dicano, non ha alcuna vera spiegazione per la nascita di un tumore e alcune delle teorie che sono state sviluppate sono in contraddizione con quelle che le hanno generate. Quello che finora ci è dato di sapere è che un organo sviluppa un tumore perché alcune cellule “impazziscono” (senza sapere perché) e che le metastasi si formano perché a un certo punto (sempre senza ben sapere perché) queste cellule si diffondono nel corpo. Purtroppo le uniche spiegazioni che sono state abbozzate (tipo che se ne vanno in giro per il sangue) contraddicono le basi stesse della medicina (considerato anche la mutazione della struttura di queste ipotetiche cellule viaggianti) e comunque nessuno ha mai verificato questo processo e nessuno è mai riuscito a riprodurre un carcinoma in un organo scollegato dal cervello anche bombardandolo con le cosiddette sostanze cancerogene. Peccato che i metodi di cura convenzionali per un tumore (per esempio della mammella) non tengano minimamente in considerazione il cervello.
Ma come ho detto non voglio entrare nello scientifico. Potrei citare centinaia di documenti di verifica e attestazione, ma mi piace ricordare lo studio dell’istituto superiore di tecnica, economia e cultura di Lipsia, che ha affrontato da un punto di vista popperiano la scientificità delle leggi biologiche della nuova medicina, giungendo alla conclusione che la medicina classica (nei confronti delle malattie oncoequivalenti) non può essere considerata scienza, mentre le leggi di Hamer rispondono ai criteri di scientificità esattamente come la matematica. Leggere i testi medici di Hamer non è facile e non solo per motivi tecnici. Hamer presenta uno scenario inquietante, che mi limiterò a riportare perché è talmente duro da digerire che la mente si rifiuta di operare una scelta razionale di posizione. Hamer sostiene che da più di venti anni la nuova medicina è conosciuta ed utilizzata, ma non in maniera ufficiale e che potenti forze politiche mantengono consapevolmente questa differenza tra la vita (la nuova medicina) e la morte (Hamer spiega come l’uso della morfina lasci cadere il malato nello stato vagotonico che è proprio quello in cui l’organismo cede solitamente tramite infarto cardiaco o emorragia cerebrale) che ha significato negli ultimi 20 anni 2 miliardi di morti! E’ veramente difficile continuare a leggere le sue parole, vedere i documenti che accusano, tra gli altri, anche la loggia ebraica B’nai B’rith e non pensare a qualcosa che non va, a una segreta manovra antisemita. I numeri sono pazzeschi, ho volutamente evitato di parlare delle migliaia di casi eclatanti di diagnosi e cura (impossibili per la medicina classica) per non far apparire questa cosa come l’ultima trovata del guaritore di turno. Alcune storie di medici e malati che hanno orbitato attorno alle vicende del dott.Hamer sarebbero da bollare come bufale se non fossero abbondantemente certificate da analisi, testimonianze e documenti ufficiali. E al di là di tutto colpisce una recente indagine semi ufficiale che ha visto 74 oncologi su 89 rispondere NO alla domanda “lei si curerebbe un tumore con la chemioterapia?”. Come non stupisce pensare che il volume di denaro mosso dal mercato della farmacologia è secondo solo a quello delle armi (il che incornicia un nitido quadretto dell’evoluzione umana).
Ora non voglio più parlare di ricerche, politica, manovre e numeri. Voglio parlare di quello che so, di quello che ho provato sulla mia pelle e su quella di persone a me vicine. La nuova medicina esiste e viene utilizzata da pochi coraggiosi (perché è in pericolo solo la loro carriera) con risultati sorprendenti e per ora non voglio credere che venga usata o non usata in modo mirato da poteri occulti. So che soltanto i nuovi concetti di salute, medico, cura sono una rivoluzione assoluta, so che ho visto persone, condannate a morte prima dai medici che dalle malattie, rinascere veramente e ho visto persone morire, nel modo previsto con una macabra precisione dalle leggi di Hamer, abbandonate alla morfina. Ci tengo a precisare: questa è una storia di sofferenza, queste parole vengono dal dolore perché la rabbia sarebbe troppo forte da sopportare ed evito di considerarla plausibile. Questo post sta diventando troppo lungo….non credete a me, a Hamer, non è necessario, ma fate qualcosa per voi, per i vostri cari, non credete a chi vi condanna a morte, non diventate pedine impaurite in attesa della grazia o della condanna del dio in terra di turno. Voi potete fare per voi molto più di quello che possono fare loro. Lo so che non è facile, lo so che la paura è troppo grande, ma non vi arrendete, se potete.
Purtroppo la mia competenza medica è quella di uno scarso autodidatta, ma se qualcuno non ha ancora cancellato questo blog dal bookmark e desidera sapere dove trovare qualche informazione meglio articolata, può tranquillamente chiedermelo, sarò felice di rispondere anche solo per un contraddittorio.

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lunedì 19 giugno 2006

Wonder Elettra contro le Super Divise


Poi dice che non copiamo sempre dagli americani. Volete sapere dove la Dott.sa Elettra Deiana, poltronata nelle file di rifondazione comunista, ha preso lo spunto per la sua proposta di legge in tema di identificazione degli appartenenti alle forze dell’ordine? Dall’ultimo numero del fumetto americano di successo Civil War. Non è il classico fumetto che ci immaginiamo noi figli di topolino e psicorepressi identificati con charlie brown, niente a che vedere. Non puoi seguire le vicende in riquadri di numero costante che si susseguono da sinistra a destra e, a seguire, dall’altro verso il basso. Sono veri e propri albi di spettacolari tavole multicromatiche, mescolate tra loro in una confusione artistica, ma pur sempre confusa. E se girando pagina c’è un’esplosione ti sembra quasi di venire scaraventato a terra quanto l’effetto visivo è coinvolgente, altro che ZOT e KAPOW con batman con la panzetta.
Le storie poi coinvolgono tutti i supereroi americani, da wonder woman (che sarebbe la donna che si pone domande), a superman, dai fantastici 4 a l’uomo ragno che si intrecciano, si alleano, litigano e qualche volta si sputano pure, ma sempre con lealtà coraggio e svolazzando per l’aire.
Nell’ultimo numero appunto, c’è stata una svolta epocale: il consiglio americano approva una legge che costringe tutti i supereroi a registrare la propria identità e mostrarsi senza maschera al pubblico ludibrio…oooooooooooohhh!
Le reazioni dei superdotati (di poteri) sono le più diverse: qualcuno per protesta si da alla macchia divenendo fuorilegge, altri accettano di buon grado e fanno outing o comingout come preferite (per esempio superman inforca gli occhiali e confessa a un pubblilco sbigottito di essere clark kent). Altri ancora rispondono all’obbligo di appalesarsi con argomentazioni indiscutibili: per esempio la cosa replica “ma che state a dì?”. La donna invisibile si è tolta la maschera ma pare che nessuno se ne sia accorto, anche nella foto per lo schedario non è venuta proprio benissimo. Per l’uomo camaleonte è stato un po’ un problema perché l’unico modo di vedere il suo vero aspetto sarebbe quello di appoggiarlo su un altro uomo camaleonte, ma pare ci sia solo lui in giro.
Posso considerare l’ipotesi che siano quelli della marvel ad aver copiato l’idea alla Deiana di mitologico nome. Comunque è sicuramente un caso per la siae.
Mentre per l’epopea dei fumetti questa svolta ha del sensazionale, le motivazioni che spingono qualcuno a voler marcare le forze dell’ordine per renderli rintracciabili mi sfuggono del tutto. Ora, senza tirare in ballo il fatto che io sia stato carabiniere (tipico esempio di preterizione), non mi viene in mente nessun caso in cui, in eventi particolari che hanno visto coinvolti poliziotti o carabinieri, non si sia riusciti a risalire all’identità dei suddetti. Indipendentemente da come poi siano finite le cose, ma qui si sta parlando solo di riconoscimento. Addirittura dopo i servizi negli stadi i vari comandi visionano tutte le immagini dei circuiti chiusi e se per caso rilevano un atteggiamento troppo aggressivo nei confronti di un branco di trogloditi ubriachi, vanno a pescare il militare in questione che rischia di essere mandato a gaeta senza telo mare. Forse la comunista rifondata giudica le forze dell’ordine criminali e pensa che questo stratagemma serva da deterrente contro azioni malandrine da parte degli uomini in divisa. Se è così io voglio anche tutti i tifosi allo stadio marchiati a fuoco e quelli in libertà vigilata con un tatuaggio in fronte. Non per cattiveria, ma credo che se dicessi a un pluriomicida “per cortesia porteresti questa targhetta sulla giacca di armani?” è probabile che ti risponderebbe facendoti ingerire la piastrina in questione.
La cosa che mi preoccupa però è un’altra. Si sa che i malviventi in genere se la prendono un po’ a male quando vengono arrestati e spesso sono un tantino vendicativi. In italia siamo famosi per la sicurezza delle banche dati. Voglio dire se fai una telefonata o se rilasci tuoi dati personali puoi stare tranquillo che nesuno se ne approprierà indebitamente. Insomma puoi dormire sereno, come un bambino a casa di micheal jackson. La somma di questi due fattori (anche se i fattori si moltiplicano, per fortuna dell’agricoltura, mentre a sommarsi dovrebbero essere gli addendi, la prossima volta starò più addendo) la lascio fare a voi perché devo finire di leggere il fumetto, anche se ora che so che wonder woman altri non è che wonder woman senza una coroncina e un vestito da drag queen, tutta la magia si è persa.

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venerdì 16 giugno 2006

Fenomenologia della protesta sociale


Premessa: il titolo è smaccatamente pomposo, ne ignoro il significato, ma mi fa sentire così dannatamente intellettuale!
Ieri sera mi sono recato in compagnia de il spaggio, ad assistere alla notte delle chitarre, all’interno di una festa birraiola ambientata in un grande parco, anche se il mio medico mi ha detto di non esagerare con i bagordi, cioè di essere parco di divertimenti. L’ambiente non è un dettaglio irrilevante per me, perché la mia sopravvivenza biologica necessita costantemente di un raggio di circa 5 metri non ammorbato da altre unità carbonio. Quindi mi sono precluse realtà sociali quali stadi, discoteche, cinema, aerei, uffici postali o la salerno reggio calabria. Grazie al cielo non avverto la mancanza di alcuno di questi luoghi.
Devo confessare che la musica mi piace molto, ma in particolare rimango letteralmente ipnotizzato dai musicisti. E’ l’unica categoria di persone che invidio visceralmente e il fatto di avere le doti artistiche di un licaone delle praterie deve in qualche modo rappresentare la mia nemesi per qualche crimine contro l’umanità che devo aver commesso in una vita passata (nel senso di passata a commettere crimini).
Sul palco c’erano alcuni dei migliori chitarristi in circolazione, ma quando è apparso Riky Portera il mio sguardo si è fatto vacuo e una bavetta salivosa ha cominciato a colarmi dalla bocca semiaperta. In realtà non si può dire che sia arrivato Portera con la chitarra, è come se fosse arrivata una chitarra che ha estratto Portera da una custodia e quando ha finito di riempire l’aria di acrobazie auditive, lo ha riposto sfilandoselo dalla tracolla. Dannato Genio.
Intorno a noi molti giovani rissosi. Mi è stato poi spiegato che in realtà stavano pogando (ne so quanto prima). Erano quel tipo di giovani ribelli, non saprei bene spiegare a che cosa si ribellino, ma quando li vedi pensi subito “questi non ci stanno, si ribellano”. Lo capisci perché dei bravi barbieri hanno acconciato sulle loro teste treccine fittissime o creste colorate, hanno martoriato le loro carni con oggetti metallici e i loro pollici si oppongono sempre su qualche bottiglia o su sigarette più o meno manufatte. Che poi magari c’è uno tutto pettinato, vestito come piace a mia mamma che è il più ribelle di tutti, ma non lo capirai mai. Quei giovani hanno un esoscheletro di ribellione, li guardi e la loro stessa postura ti urla “io sono contro!”. Anche se sanno bene che, molti di loro, un triste giorno dovranno scegliere tra un posto in banca e fare il ribelle di mezza età.
E ora? Non provate anche voi un po’ di compassione per tutti gli storici paladini della protesta sociale? Ora come faranno a imporre prepotentemente la loro diversità dal sistema? Ora nel sistema ci sono loro. In parlamento siedono dirigenti di centri sociali, sindacalisti da battaglia, no global, ex (speriamo) terroristi, sobillatori di folle (si va be’ c’è anche prodi, ma non è che si può avere tutto dalla vita). Voi direte, bene quindi ora non protesteranno più, saranno contenti. No, qui smarrisce l'equilibrio l'equino ragliante, non funziona così, questa è la vera sconfitta, perché sapete bene che la vera essenza dell’atto di ribellione sociale è l’espressione stessa della rivoluzione, è l’atto di sovvertire il sistema, non il sistema sovvertito (che non porterà ad altro che ad un sistema parallelo). Sapete bene che il ribelle ha la sua identità nell’azione ribellosa (?), non nel vivere in un sistema disegnato sui suoi desideri. E questo l’aveva capito Calvino prima di me, Canetti prima di Calvino e probabilmente qualcuno prima di lui, non è che posso sapere che cosa ha detto chiunque.
La mia mente fertile (cioè piena di concime) ha cominciato a fantasticare su ipotetici nuovi mezzi di protesta. I centri sociali esigeranno dai comuni di poter pagare un affitto e di avere regolari contratti di utenze di luce e gas, i black block andranno in giro per le strade ad aggiustare cassonetti della spazzatura e a ridipingere le pareti dei palazzi, i no global apriranno centri commerciali, la triade sindacale organizzerà selvagge ore di straordinario non pagato a singhiozzo e le frange terroristiche faranno agguati ad esponenti politici in cui tutti si abbracciano e ricordano i vecchi tempi.
Vita difficile insomma. Non potranno più nemmeno godersi la propria totale consacrazione nell’atto di resa rappresentato dall’arresto. Perché ora si arriverà all’impunità. Come giustamente ha chiesto il manifesto, stupito della carcerazione di giovani partecipanti alla violenta manifestazione in buenos aires a milano. Solo perché in quell’occasione alcune auto “presero” fuoco e in questo caso mai il termine autocombustione fu più azzeccato.
Insomma io non so come andranno le cose e non so se stiamo costruendo un’italia migliore (anche se secondo me dovrebbe giocare inzaghi), so per certo che abbiamo trovato l’unico vero sistema per abbattere i contestatori….mescolarli al sistema.
Mi viene in mente una frase di una vecchissima pubblicità “Don’t forget to visit your parents before too late, because they are the real rebels”.

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giovedì 15 giugno 2006

Triste per mancanza di calcio


Con quello comunemente noto come lo sport nazionale, ho un rapporto invidiabile. A pallone ho giocato un sacco di volte, tipo dieci o venti, forse, da bambino specialmente, finanche da adolescente. Poi, per avventura, ho escogitato strumenti d’affermazione sociale alternativi e ho smesso.
Nello svolgersi della mia romanzesca esistenza ho assistito anche a numerose partite d’un certo rilievo, fra le quali me ne sono rimaste impresse ben quattro: una bizzarra tenzone Roma-Liverpool del 1984, quando per poco non s’intese male un mio amico romanista (ovviamente non nel senso di “studioso dell’antica civiltà romana”); l’incontro “San Giovanni Rotondo contro un’altra squadra” (così disse, al microfono, il commentatore) in un campeggio di Vieste nel 1985, che finì in tafferuglio; ospite con secondi fini a casa di amiche, una partita dell’Italia ai mondiali che doveva essere il ’90 o giù di lì, tediosa al punto che m’offrii di andare ad acquistare 4 birre a mie spese sebbene non ci avessi una lira in tasca, e giunto dal birraio trovai anche lì un tubo catodico pieno di ometti che correvano avanti e indietro e la cassiera sotto ipnosi, tanto che quasi quasi le volevo fregare le 4 birre, però non ce ne fu bisogno perché il birraio confusissimo mi disse “te le regalo perché assomigli a tacconi!” (un calciatore del momento, mi si disse poi) e io uscendo chiesi “e chi è ‘sto tacconi?” e poco manca che gli devo rendere le 4 birre così allungai il passo; e poi infine un’altra partita mondiale dell’Italia in tempi più recenti, di cui rimembro soltanto che era giugno-luglio, c’era caldo, si cenava colle finestre aperte “così si può fumare” e ‘sto televisore con gli ometti a correre avanti e indietro, e io c’ero finito in mezzo per le solite ragioni di fidanzate, tessuto sociale, mal controllata cortigianeria eccetera, e tutti gridavano aléalé e ogni poco qualcuno mi chiedeva “ma davvero non te ne frega niente?” (no, niente) e fra gli invitati c’era addirittura un cane grande grande, un terranova sdraiato fra il tavolo e il divano che emetteva peti sbalorditivi ma neanche il miasma poté distogliere dalla partita quel piccolo pubblico condannato all’anaerobiosi.
Queste le 4 partite che ricordo. Magari ne avrò vista anche qualcuna di più, ma non mi ha scalfito nemmeno mezzo neurone. Cosa posso farci? Il calcio mi procura un’uggia tale che, ogni volta che tento di concentrarmi su un incontro, rischio di essere fisicamente sopraffatto dalla mia sacca scrotale. Magari non è colpa mia, ma degli atleti che giuocano in modo stucchevole.
Eppure, nonostante tutto, sono talmente permeato di calcio che ci ho i calcoli, no, cioè, ne sono talmente permeato da poter ostentare opinionismo: posso dichiararmi ferito dal recente scandalo che ha interessato il calcio italico e la giuvèntus, posso descrivermi persuaso del fatto che a pallone si gioca in undici però ci sono anche alcuni in panchina, solitamente col culo storto. Mi compiaccio dell’esistenza dei fuorigioco, dei guardalinee, dei pali, delle reti, dei l’arbitri (lo so che si scrive dell’arbitri, stupido), mi crogiolo al pensiero che alcuni ex calciatori, da grandi, allenano le squadre. So anche chi mettere in campo al momento giusto, proprio come fanno i migliori mister (lo vedi? So pure “mister”!): per esempio il calciatore nella foto qui sopra mica l’ho scelto a caso, ma perché somiglia a un mio caro amico che ama il calcio per cui in questo periodo ci vediamo meno.
In questo periodo ci sono i mondiali di calcio in Germania. L’ho saputo l’altra sera. Come quantità questi mondiali sono ancora pochi, ma so che aumenteranno col passare dei giorni e mi auguro che l’effetto di trascinamento sulle masse divenga sempre più eccessivo, e con ciò cresca il numero dei seguaci disposti a starsene dentro casa o nei posti col maxischermo a guardare la partita e a soffrire e strillare a causa di eventi che non possono assolutamente controllare.
Costoro, esclusi dalla mia vita sociale (loro penseranno la stessa cosa di me, e il mio spirito se ne pasce), mi condanneranno alla soave emarginazione alla quale costantemente aspiro. In queste tiepide serate da asociale disadattato, andrò al cinema spettando in sale semivuote, uscirò con fidanzate e mogli di tifosi senza dovermi nascondere nei motel come al solito, andrò a fare le gare clandestine con la motocicletta avvampando l’asfalto disabitato, chiamerò l’ascensore per andare a fare un giro all’ottavo piano e lo troverò sempre libero. Hai presente quei sublimi B-movie col protagonista sopravvissuto a una catastrofe planetaria che torna nella sua città e la trova deserta, e alla fine però qualcuno incontra, e allora si sente come se stesse nascendo per la seconda volta e si fa strada in lui l’ipotesi che possa essere quella buona? Ecco, mi sentirò un po’ così.
È per questo complesso di motivi che sarò triste davanti ai caroselli delle auto di quando l’Italia vince, agli ossessi colle bandiere tricolori che viaggiano appesi con la natica fuori dal finestrino urlando aléalé, ai panzoni colla maglia azzurra comprata in autogrill che zompano festanti per le vie, alle femmine tifose che fanno come i tifosi maschi e anche questo dev’essere perché c’è stato il sessantotto.
Sarò triste in quanto consapevole del fatto che prima o poi la magia finirà e il mondo tornerà quello di prima, con meno calcio, quindi a rischio d’osteoporosi.

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mercoledì 14 giugno 2006

Feci dei pensieri


Mi trovavo colà, ove ogni uomo esprime concretamente ciò che le proprie viscere elaborano e così, assito nella quiete piastrellosa del mio bagno, leggevo pigro le etichette avvolte ai flaconi transitanti per il piano della lavatrice. Divenendo edotto della necessità di consultare un medico in caso di ingestione e compiacendomi del fatto che i tensioattivi non siano ionici, ho esperito la curiosa concomitanza tra il liberasi di un peso e, nel medesimo istante (altrimenti non sarebbe concomitante) il prepotente insinuarsi di un dilemma nella mia mente….. Perché una nota e rispettata casa, produttrice di prodotti per la cura del mio corpo urgente di cure, dovrebbe assemblare e propormi uno shampoo antiforfora e uno antiforfora e antiricomparsa? Sul momento, in quella poco dignitosa posizione, la questione mi è sembrata di non facile soluzione. Come si pone l’utente medio desideroso di tergere il proprio cuoio capelluto liberandolo dal fastidioso sebo solitamente attratto dagli indumenti scuri, di fronte a una scelta del genere? Che cosa potrebbe spingerlo ad afferrare il flacone semplicemente antiforfora, rassegnandosi però alla ricomparsa del fenomeno antisociale? Facendo rapidi calcoli si può intuire che nemmeno un costo inferiore giustificherebbe l’opzione senza antiricomparsa. Ho provato a considerare casi in cui potesse rendersi necessario eliminare la forfora per un breve periodo, ma nulla sembrava poter essere concreto e ragionevole a sufficienza.
Non so per quale ragione, ma questo spunto ruppe una diga che arginava pensieri inutili quanto impossibili da scacciare. Ho posato il bottiglione 30% di prodotto in più di dixan marsiglia & talco campione contro le macchie (e ci mancherebbe altro, che mi vendete un detersivo schiappa contro le macchie? Quello deve fare) e ho lasciato che le domande si susseguissero nella mia mente, senza intramezzarvi risposte.
Perché fanno giocare Buffon in pigiama? E’ per una scommessa?
Perché mi ostino a guardare voyager se tanto non svelano un mistero che è uno, nemmeno quello che sta dietro alla messa in onda di quel programma? E perché, qualsiasi sia l’argomento trattato, tirano fuori Rennes le Chateau?
E poi, Roberto Giacobbo, perché gli UFO li cerchi nel grano?
Ma chi accidenti è Paolo Del Debbio? Quale ordine massonico/satanico l’ha nominato opinionista? Mi piacerebbe sapere la sua opinione su quello che dice.
Se settimana è femminile e fine è femminile, perché dicono tutti il fine settimana?
Chi ha ucciso Laura Palmer?
Ho comprato un boomerang difettoso, volevo riportarlo al negozio ma non lo trovo più.
Perché dovrei rivolgermi a cani e gatti come fossero esseri umani? Io non mi rivolgo nemmeno agli esseri umani come se fossero esseri umani.
Ho pensato a uno scrittore siciliano che firma un bastoncino: Verga verga verga.
I rapitori fanno i sequestri di persona perché degli altri non si fidano?
Se sotto i sedili degli aerei mettessero dei paracadute invece che dei salvagente, non sarebbe più facile sopravvivere a un’avaria?
Che fine hanno fatto il virus dei polli e la mucca pazza? E Ligresti?
Perché, mio Dio, perché mi hai reso consapevole di non essere l’autore della resa in prosa di “Stette la spoglia immemore” con “Dove ho messo il mio reggiseno?”. Se proprio hai dovuto farla scrivere a qualcun altro, non potevi tenermela nascosta?
E sempre tu, mio Dio: io ti ringrazio di aver fatto nascere Carver, ma si avvertiva proprio la necessità di Mazzocchi?
Come possiamo convincere il mondo che il calcio italiano è pulito se Iaquinta gioca in nazionale?
Perché in Italia una donna alcolizzata, criminale, sfruttatrice della prostituzione, ma fertile, è considerata in grado di crescere dei figli, mentre una sterile anche se nobel per la pace, filantropa, integerrima, affettuosa, plurilaureata, deve passare 20 anni a cercare di dimostrare di esserne in grado per vedersi poi affidare un orfano quando ormai sta redigendo il testamento?
Perché ogni quindici giorni ci dicono che un oggetto o una sostanza che usiamo regolarmente da anni provoca il cancro e non ci dicono mai che cosa provocano le medicine che usiamo?
Ma Pavarotti, ha paura a cantare da solo?
Perché il Dott. Costa parla dei motociclisti (cioè miliardari che vivono facendo ciò che li diverte di più) come eroi da epopea omerica, mentre se vai tu, operaio dell’ansaldo, dal Dott. Costa con la radiografia dell’omero, se ti va bene ci fa un areoplanino?
Il fatto che chiunque prima o poi sgraffi la carrozzeria della macchina è la dimostrazione che abbiamo tutti una parte femminile?
Non per sminuire il lavoro di Kant, ma il culo della Hunzicker non basta come dimostrazione a posteriori dell’esistenza di Dio?
Ma soprattutto….
Qualcuno viene ad aiutarmi che mi si sono addormentate le gambe e non riesco ad alzarmi?

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lunedì 12 giugno 2006

Calci e pugni


Se volete conoscere davvero Firenze e i suoi cittadini, lasciate perdere gallerie accademie duomi e vie dei calzaioli, sedetevi in mezzo ai suoi abitanti e gustatevi una partita del calcio storico fiorentino. L’ultimo match, disputatosi (anzi non disputatosi) in piazza Santa Croce domenica scorsa, si è tramutato in meno di cinque minuti in una scazzottata degna di “anche gli angeli mangiano fagioli”. In realtà, se non siete attenti conoscitori di questa attività diportiva, farete ben fatica a discernere lo svolgimento della partita da una rissa da androne di discoteca. Sebbene la presenza della palla possa essere una discriminante degna di considerazione.
Sono passati ormai 15 anni dal giorno in cui fui testimone per la prima volta di questo evento storico e sociale, pregno di significati, campanilismo, sangue e incisivi. Ricordo che, il giorno precedente, mi informai a modo sullo spettacolo che mi accingevo a contemplare. Dal punto di vista storico, l’evento è la rivisitazione della famosa partita giocata dai fiorentini, nel 1530 (durante un durissimo assedio) facendo i vaghi e fischiettando in segno di indifferenza e sfregio verso gli assedianti, seccati di non potersi anche loro svagare nemmeno con una partita di curling sull’Arno ghiacciato. Negli anni il calcio storico fiorentino divenne un appuntamento fisso e spesso fece da cornice ad eventi di rilevanza politica e sociale. Tanto che tra i suoi “calcianti” si annoverarono il figlio di Lorenzo il Magnifico (Piero II de Medici detto il malconcio), un principe, vari duca, granduca, duca conti, cav del lav gran lup mann e persino papi (non enrico).
Dal punto di vista tecnico la tenzone, a metà tra rugby, calcio e sumo, si svolge in un campo di sabbia, tra 27 energumeni per parte e un arbitro il cui obiettivo principe è rappresentato dal fare rientro nella di lui magione tramite trasporto autonomo a mezzo gambe (stile pomi di ottone e manici di scopa). La porta è una rete lunga tutta la larghezza del campo ma molto più bassa di una rete da calcio. Ci sono quattro portieri (datori indietro) e se segni ti aggiudichi una caccia, ma se sbagli o il tiro viene parato, la squadra avversa si aggiudica mezza caccia. Altri personaggi minori gravitano attorno all’evento, ma essenzialmente mirano tutti a mantenere integre il maggior numero possibile di ossa.
Il premio in palio è una vitella di pura razza chianina.
Con questo bagaglio di informazioni, mi recai egagro nella piazza brulicante di animosi fiorentini, aspettandomi un incontro maschio tra gentiluomini sportivi. Le mie aspettative furono presto messe a dura prova dal vociare incontrollato che serpeggiava tra quelli che “ne sanno”. L’antica usanza di selezionare i calcianti nei palazzi della toscana bene, pare fosse stata sostituita da tempo da un selvaggio reclutamento nelle carceri, nelle più malfamate scuole di boxe e (secondo i più informati) tra i banchi del parlamento. Il match è comunque molto avvincente e spettacolare. Non si può dire che ci sia una vera e propria azione da seguire: puoi occuparti delle traiettorie ardite del pallone, ma ti perderesti alcune finezze tattiche disseminate per la rena che non diresti mai possano venire messe in atto da uomini il cui aspetto avrebbe gettato nello sconforto persino il Lombroso. Per esempio, una squadra può decidere di arginare la predominanza tecnica di un temuto avversario tenendoci seduti sopra due giocatori dal peso totale pari a quello di uno scania a 6 assi.
In effetti senza competenze tecniche non è facile seguire l’andamento del gioco, ci vuole esperienza per capire se in un punto del campo si sta evolvendo una sottile tattica di gioco o se due ceffi stanno litigando a causa di epiteti in vernacolo sulle relative sorelle.
In questo contesto, vi parrà strano, ma il luogo più tranquillo di tutta la piazza sembra proprio il perimetro di gioco. Sulle tribune infatti, un’orda di casalinghe hooligan e pensionati warrior gettano ombrelli e insulti all’indirizzo di chiunque senza soluzioni di continuità. Ricordo vividamente una vecchina che inveiva contro un giocatore a terra su sabbia rossa da lui stesso emocromata, apostrofandolo con aggettivi inerenti la sua scarsa mascolinità e suggerendogli garbatamente di dedicarsi a cose più consone alla sua indole tipo la danza classica o l’uncinetto competitivo.
A Firenze ho visto opere d’arte meravigliose, ma a incidere più profondamente le mie sinapsi è stata proprio questa vecchina xena che, ne sono certo, avrebbe dato del filo da torcere, se solo l’avessero fatta scendere sulla rena.
Ora mi viene da fare un paragone con il calcio moderno. Alcuni dei calcianti fiorentini al termine del torneo fanno rientro nelle loro celle, dove qualche calciatore dovrebbe mettere per un po’ il naso. Nel calcio storico non si ha occasione di simulare, perché se qualcuno liscia un intervento torna indietro e ci riprova e nessuno cerca di discolparsi, anzi si vantano con gli amici di aver abbattuto qualcuno. Soprattutto non si perde tempo con insulti e sputi, a quelli ci pensano i tifosi in tribuna.
Un campione di calcio fiorentino può tornare a casa con una vacca chianina, un campione di calcio può andare al billionaire con una velina…..fate voi i debiti conti.

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sabato 10 giugno 2006

Silenzi o stampa


Ho trovato su un libro di fantascienza numerosi riferimenti al mio edicolante (participio presente del verbo “edicolare”, non so se mi spiego). Non a tutti gli edicolanti, solo a quello dietro casa mia. Se lo riconoscete nella descrizione significa che abitiamo vicini (io l’ho riconosciuto) oppure che la fantascienza è in grado di autoclonarsi.
Come premessa bisogna considerare che il mio edicolante è uno che paga la merce solo dopo averla venduta. Questo però è un fatto comune a molte attività commerciali postmoderne. Per esempio, in un libro di fantaeconomia, ho letto che in una repubblica sudamericana di cui non ricordo il nome i grandissimi supermercatissimi realizzano il loro utile non tanto grazie al ricarico sui prezzi delle merci, bensì mediante operazioni finanziarie giocate sulla differenza cronologica che intercorre fra l’incasso di liquidità e il pagamento dei fornitori (del tipo alcuni mesi). Questo geniale modo di operare permette di vendere a prezzi talmente scontatissimi da far passare per amici di Alì Babà tutti i dettaglianti che operano nella medesima area geografica. I quali alla fine chiudono bottega e in ogni bar ci sarà sempre un esperto di economia che dice “ben gli sta”, salvo poi scoprire – col tempo – che ci sono cartelli che non hanno a che vedere col divieto di sosta, e che il Paese Civile in cui vive è diventato un potentato delle banane fondato sul malinteso che generare ricchezza sia la stessa cosa che produrla. Questo diceva il libro di fantaeconomia.
Ma torniamo al mio edicolante, che è ancora più fortunato: se non vende la merce, la può restituire senza rimetterci nulla. Non deve avere un magazzino, non deve rischiare il deperimento della merce (cioè, i giornali deperiscono, ma in un senso diverso da quello in cui va a male, per dire, il prosciutto cotto). Se si trattasse di uova e latte, dovrebbe cercare di smerciare alla svelta eventuali avanzi, magari abbassando i prezzi o mettendosi d’accordo con qualche mariuolo che trasforma tutto in merendine per i bambini dell’asilo, ma certo non potrebbe sperare che qualcuno passi a ritirare le uova vecchie perché così va il mondo.
Invece dal mio edicolante va un omino col furgoncino, che ritira i giornali scaduti e fa pure tante scuse, ché la volta dopo magari glie ne porterà qualcuno di meno così non ci sarà da spaccarsi la schiena in due a tirar su ‘sti pacchi di carta. Questo diceva il libro di fantascienza.
Perciò, a grandi linee, il mio edicolante dovrebbe essere in pace col Mondo e con la Specie Umana, e invece così non è: egli ha un bel po’ di difetti comportamentali che si riflettono col suo modo di relazionarsi col cliente. Non solo con me, altrimenti potrei arguire di essergli antipatico e ricondurre i suoi bislacchi atteggiamenti alla sete di rivalsa nei miei confronti. Invece l’individuo fa così con tutti. Così come? Per esempio, entri nella sua edicola (è un’edicola di quelle dove si entra, cioè, non è che lui sta dentro e tu fuori, si sta tutti dentro, clienti ed edicolante) e dici “buongiorno”. Il buongiorno casca per terra, perché lui non risponde. Il mio barista, almeno, al posto del buongiorno spara un “diìcàa”, che possiamo interpretare come un embrione di “How can I help you, sir?”.
Invece questo qua neanche vomita il “diìcàa”. Guarda, silente, da un'altra parte. Io se fossi un edicolante starei sempre a leggere gratis qualsiasi cosa, finanche le riviste sozze, ma questo non è distratto perché legge. Guarda soltanto da un’altra parte. Gran cosa la fantascienza.
Malgrado ciò chiedi, per dire, se è uscito “Donne e Motori” di giugno e lui, alzando il mento per un nanosecondo, risponde “forsestallà”, quadrisillabo malamente articolato che vale per “Gentilmente, signore, ritengo di averlo esposto sullo scaffale alla sua sinistra in alto, ma dal mio punto d’osservazione mi è impossibile verificare l’asserto, dunque le chiedo di farlo lei in mia vece, in quanto, analizzando la sua posizione nello spazio, non riscontro difetti parallattici che le siano d’impedimento”. “Donne e Motori” è un mensile che si occupa di paranormale.
Al che, ti devi mettere a ravanare fra gli scaffali finché l’accattivante copertina di “Donne e Motori” compare dietro una catasta di buste-sorpresa ma, disdetta, trattasi del fascicolo di maggio e allora tu dici “è di maggio, ma ora è giugno, lo sai tu che è giugno o vegeti in una cronosfera svincolata dal nostro sistema solare?”. L’edicolante, a quel punto, è dispiaciuto perché gli è avanzato ‘sto giornale marcio che nessuno gli ha portato via, e allora non è che dice “Sorry”, no, egli ipotizza: “Se vede che ggiugno nun è uscito. È un mensile?”. E certo, se no ti pare che ti chiedo quello di giugno? E poi, secondo te sarà il fabbricante di “Donne e Motori” che non s’è accorto che era ora di far uscire la rivista, oppure sei tu che in mezzo a tutto questo casino non ti sei accorto che t’era sfuggito un giornale marcio e che ti mancava quello nuovo?
La domanda “è un mensile?”, d’altra parte, non è un diversivo tattico, bensì nasce da una sincera curiosità: il mio edicolante non sa assolutamente cosa vende. Tanto c’è scritto sopra. “Tanto ‘a ggente leggono er titolo, no?”, e ciò dovrebbe agevolare la scelta non assistita.
Un giorno che mi giravano un po’, gli ho fatto notare che in effetti lui ignora l’oggetto della sua professione. Ha risposto “capirai, ce staranno diecimila ggiornali…”. Mi sono limitato a ribattere che il ferramenta di fianco ci ha diecimila chiodini tutti diversi chiusi in tante scatoline, e sa distinguerli alla svelta, proprio come fa con i pennelli, le coppiglie, le chiavi da duplicare, le fascette stringitubo. Mica roba colorata come i giornali.
Orbene, per tutti questi motivi ritengo il mio edicolante un individuo baciato dalla fortuna, di quelli che appunto esistono solo nell’universo fantasy. Certe volte vorrei essere lui, anche se mi rendo conto che la mattina alle 5 è lì che tira su la saracinesca perché arrivano i quotidiani freschi, e questo è fantascientifico. Però, per il resto, non è che abbia troppi pensieri tipo quelli che sguazzano nella testa del mio pizzicagnolo, uno che per dire deve scegliere se vendere pepsi o cocacola (è una decisione più pregna di conseguenze di quanto un barbiere come me possa immaginare).
L’edicolante no, lui è al di sopra delle parti, vola alto come le Idee. È il vero Ente Supremo dell’informazione, il Massimo Sistema che può sancire la par condicio esponendo sullo stesso scaffale repubblica corsera avanti manifesto secoloditalia unità tempo donnamoderna maxim, oppure condannare una testata all’oblio senza colpo ferire. E il bello è che qualsiasi cosa faccia (od ometta) non la fa apposta, ma solo perché sostanzialmente per lui in nessun caso cambierebbe nulla: è questo il vero Potere Assoluto, il Permeante Inapplicato. Altro che logge massoniche, altro che reti televisive.

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venerdì 9 giugno 2006

Prodiani prodighi di prodigiosi approdi in Svezia


Se il nostro prode presidente del consiglio si facesse una vacanza in scandinavia resterebbe impressionato dal numero di scandinavi che vi abitano. E’ una cosa sorprendente, ce ne saranno a milioni, nemmeno a frosinone ci sono così tanti scandinavi. E questa sbalorditiva statistica fa sì che il sistema scandinavo lì funzioni davvero bene, proprio perché casualmente viene attuato in paesi ricolmi all’inverosimile di scandinavi. Questo elemento è comprensibilmente sfuggito alla sinistra che occhieggia al sistema politico nordeuropeo. Purtroppo non è l’unico.
Altre considerazioni, con tutta la buona volontà non si riesce a non farle. Esiste indiscutibilmente una differenza sociale grande più o meno come la nebulosa M20. A parte la popolazione (nel caso della Svezia, un sesto della nostra), in quei paesi c’è un livello di civiltà e coesione solidale che ci manda in bestia solo a pensarci. In Italia ci sputiamo in faccia tra comuni; in Lapponia non succede, anche perché se sputi si forma un cubetto di ghiaccio che ti cade sul piede fratturandoti un malleolo.
Quello che mi incuriosisce come un procione è l’aspetto economico. In Svezia e in Danimarca le aziende sono considerate un bene prezioso da difendere e tutelare. Le tassazioni superano raramente il 25% (mentre sono molto più alte quelle personali), gli imprenditori sono esortati ad assumere, ma possono licenziare per ragioni produttive, lo stato riqualifica e reinserisce i dipendenti tutelandoli con ammortizzatori sociali e la disoccupazione è ovunque sotto il 3%. La sinistra in Italia vede le aziende più come le miniere di Golconda. Se provi a creare una realtà produttiva da zero (io l’ho fatto), ti senti come l’oca Gertrude in Viaggio al centro della terra, sperduto, fuori posto, con poche speranze di salvarti e quasi nessuna di tornare sui tuoi passi. Dopo anni di sacrifici indicibili, però ti togli diverse soddisfazioni: un paio di esattori delle tasse ti piombano in casa inventandosi cose di cui nessuno ha mai sentito parlare e ti minacciano (letteralmente) di pesantissime ripercussioni, presenti a direttori di banca bilanci in positivo che grondano sangue per chiedere un supporto e li vedi divertirsi per la prima volta senza tirare su da un tavolo, assumi delle persone che fanno di tutto per fare i loro comodi affossandoti la produzione e se li richiami all’ordine ti ritrovi un sindacalista che vive a casa tua e un giudice che vive nella tua macchina…..insomma sono soddisfazioni.
Ho sentito giusto poco tempo fa qualche esponente del governone che “minacciava” di eliminare tutti i contratti di lavoro a tempo determinato. Mi sembra un’idea geniale. A parte che conosco della renne lapponi che si annoderebbero le corna dal ridere, ma la trovata di creare solo posti sicuri in un paese dove la fabbrica nera è a livelli incalcolabili e la professionalità a livelli inversamente incalcolabili, darà una spinta nuova alla nostra economia….all’indietro.
Con quale coraggio un’azienda assumerà una persona, sapendo che, dovesse dimostrarsi uno scansafatiche o inutile all’attività, dovrà tenersela a vita (o finchè non decida di andarsene) togliendo risorse per la crescita ed eventuali altre assunzioni? In quante aziende ho visto impiegati che passano il giorno a fare il sudoku perché le aziende non sanno come impiegarli e loro non hanno alcuna intenzione di fare la fatica di riqualificarsi. E come faranno a vivere tutte quelle ditte che hanno lavoro stagionale?
Va bene, anzi benissimo tutelare i lavoratori. C’è un po’ di confusione in merito, bisogna tutelare i lavoratori, non gli interessi privati delle persone (ognuno si curi i propri) perché se per proteggere tutti i capricci di tutti i dipendenti si fanno chiudere le aziende non ci saranno più né aziende né lavoratori. Quindi va bene ammortizzatori sociali, va bene piani di riqualificazione della forza lavoro, va bene elasticità, ma deve anche andare bene che l’azienda tuteli se stessa e i posti di lavoro che crea, esattamente come succede nei paesi scandinavi che tanto piacciono alla sinistra.
Fino a venti anni fa quando le vacche grasse ti pascolavano in giardino e se provavi a dargli dell’erbetta da mangiare ti snobbavano con aria di superiorità, andava bene tutto, c’erano margini talmente ampi che potevi permetterti imperizia, assenteismo e scarsa professionalità. Ora galleggiano tutti in un mare di pupù con appena il naso fuori e mentre c’è bisogno di un impegno diverso, di una consapevolezza del lavoro completamente nuova, la sinistra, invece di aprire lo scarico, aumenta il flusso di pupù.
Cerchiamo di essere ragionevoli: non è che basti copiare il sistema di un paese dove le cose vanno benino per riprendersi da una profonda crisi (anche sociale). Altrimenti potevamo copiare direttamente il modello monegasco. Pensate solo al tipo di rapporto che ha l’italiano con l’automobile (vedi post di ieri): in Danimarca il prezzo delle macchine è quasi il doppio del nostro mercato perché sono tassate di oltre il 100% (pensavate davvero che fossero tutti ciclisti per passione?). Io potrei anche adattarmi al freddo…. al salmone affumicato…. alla birra buona… a bionde di un metro e ottanta, ma lì d’inverno la notte dura tantissimo, chi ha il coraggio di dirlo a Marzullo… e ai suoi telespettatori…. io posso avvertirne uno, ma agli altri 5 chi glielo dice?

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giovedì 8 giugno 2006

Italian Driving School - Lesson 1


Distanza di sicurezza
La distanza dal veicolo che precede deve consentirvi di leggere il giornale appoggiato sulla cappelliera dell’altro veicolo. Dicesi distanza di sicurezza perché dovete essere sicuri che, in caso di frenata brusca, sulla cappelliera vi ci trovereste voi.
Dislocazione del veicolo nella carreggiata
Con particolare riferimento al punto precedente, è buona norma tenere almeno le due ruote di sinistra nella corsia opposta. Questo atteggiamento aggressivo, oltre a conferirvi un’aura di sintomatico machismo (anche se siete donne), getterà l’automobilista che precede in un meritato stato di angoscia, mentre quelli che provengono dalla direzione opposta verranno giustamente spinti a non considerare come casa loro tutta quella corsia immeritatamente acquisita con il semplice fatto di aver comprato una macchina. Corollario: non preoccupatevi se da questa posizione, l’eventuale sorpasso risulterà più lento e difficoltoso, sulla strada l’importante è imporre il proprio predominio e più persone farete gettare nei fossi adesi alla carreggiata, più sarete rispettati.
Uso degli indicatori di direzione
Trattasi di luci gialle intermittenti dislocate in giro per la macchina. L’azionamento di tali marchingegni (tramite leva posta alla sinistra del volante) richiede un impegno fisico e di concentrazione oltremodo fuori luogo. Onde evitare che questa operazione vi distragga da manovre più importanti, tipo accelerare per impedire l’inserimento in strada di qualcuno, si consiglia di non farne uso o farne uso esclusivamente in condizioni di assenza completa di traffico, al limite in parcheggio.
Utilizzo dell’autostrada
E’ severamente vietato, pena distruzione dell’abbonamento allo stadio, occupare le corsie di destra, specialmente se sono vuote. In questo caso non vi sono motivazioni tecniche, trattasi bensì di norma non scritta tramandata da generazioni di automobilisti. Alcune leggende raccontano di ardimentosi esploratori che, avventuratisi per le lande di tali corsie, non hanno più fatto ritorno e i loro beni immobili sono stati misteriosamente intestati a società prestanome dietro cui si celavano lobby di camionisti.
Lampeggianti e fendinebbia
Recenti studi hanno dimostrato che l’uso costante (e soprattutto inutile) di tali strumenti, provoca intensissimi orgasmi alle donne presenti in loco. L’andrologo Luca Zito De Penis membro dell’associazione medici repressi di Magonza, ha recentemente presentato una ricerca secondo la quale, lampeggiando furiosamente verso un automobilista in fase di sorpasso di un bilico di 16 metri, si ha un allungamento del pene di almeno 3 centimetri.
Curva a sinistra
Nell’intraprendere questa mitologica manovra non bisogna mai rimanere nella propria corsia. Si consiglia di prendere la curva a una velocità superiore a quella che siete in grado di sostenere rimanendo sulla destra della carreggiata, in questo modo, stringere la curva con la conseguente invasione coatta della corsia opposta, vi verrà automatico. Maggiore giovamento si trae in caso di curve cieche.
Svolta a destra o manovra dello schumacher ubriaco
Quando ci si appresta a una svolta a destra bisogna ridurre la velocità fino a sfidare le leggi della fisica del movimento, a questo punto si attiva (stavolta sì) l’indicatore di direzione destro e, dopo essersi accertati che qualcuno dietro stia accennando un sorpasso, ci si sposta repentinamente a sinistra in modo da poter entrare in curva come se affrontaste la piratella solo che a 9 km/h. Questa manovra (che peraltro smorzerà tristemente la freccia) disorienterà qualsivoglia utente della strada e dei marciapiedi, ma farà di colpo sembrare la vostra Punto GT powered by tizio, una monoposto da granpremio.
Segnali di stop
Non fatevi intimorire, i segnali di stop non sono altro che strisce bianche per terra (peraltro scivolose, quindi è sconsigliabile frenare). E’ buona norma giungere a uno stop con chiaro in testa l’obiettivo di non fermarsi. Questo vi frutterà seduta stante una sorta di precedenza coatta. In casi estremi (tipo passaggio di caterpillar) è comunque necessario fermarsi mantenendo almeno metà mezzo nell’incrocio. Corollario: anche ai semafori il fermarsi 5 metri più avanti del segnale di stop, vi farà accedere di diritto a una casta di automobilisti inarrivabile per i più.
Atteggiamenti sociali (uomo)
Seguendo queste regole, il torto non vi apparterrà mai. E’ quindi giustificata qualsiasi reazione scomposta (insulti, agitazioni scimmiesche, inseguimenti e sputi) nei confronti di qualsiasi tipo di lamentela da parte dei timidi e inadeguati utenti della strada. Se nel vostro veicolo è presente un mammifero femmina, queste reazioni vanno aumentate in maniera direttamente proporzionale all’avvenenza del mammifero e al vostro desiderio di coprirlo.
Atteggiamenti sociali (donna)
Mantenere costantemente un’espressione il più possibile ingrugnita. Il vostro sguardo deve sempre essere rivolto dritto davanti a voi o al limite nella borsetta o nello specchietto retrovisore (in caso di make up). Niente deve distrarvi, nemmeno un tamponamento a catena di 120 vetture (generato da voi). E’ consigliabile allenare questo stato di pseudoveglia guidando con un pedone sanguinante attaccato con le unghie al parabrezza.

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