lunedì 30 ottobre 2006

Gabinetto di guerra


Prendete la casa più bella del mondo, piena di marmi sotto i piedi, ma non i marmi normali, quelli più bianchi e marmosi di qualsiasi altro, estratti con cura da una cava a cinque stelle. Nelle stanze, quadri dipinti da qualche artista maledetto morto tossico, osservano etnomobili in perfetta armonia con sedie luigi e le corbousier a manciate. Questa casa non ha nulla di simile alla mia e probabilmente nemmeno alla vostra. E’ stata progettata apposta per non avere nulla che possa ricordare seppur vagamente la mia dimora. Ad essere sinceri, una cosa c’è: il cesso. D’accordo a casa mia lo snodo dello scarico del lavandino non è ispirato a un disegno di Alvar Aalto e la mia vasca da bagno non è omologata per il nuoto pinnato, ma là in un angolo c’è una bianca seduta proprio come nella bella casa. Non è in ceramica ming della seconda dinastia, ma quando sei lì a cercare di far uscire dal tuo corpo un essere demoniaco metà abbacchio e metà impepata di cozze, non ci fai molto caso.
Il cesso ci unisce tutti più o meno come la morte e i piedi freddi. Ci unisce fisiologicamente, ma ci divide costringendoci ad identificarci in categorie o, peggio ancora, in buffe sagome stilizzate. Quando una ritirata non si trova in una magione, presenta sull’uscio una dicitura atta ad indicare a quale genere di essere umano è consentito l’utilizzo dei sanitari ivi contenuti. Solitamente la distinzione è di tipo sessuale, ma ci si può imbattere anche in discriminazioni professionali (dirigenti, operai, clienti ecc.) o addirittura di abilità fisica.
Utilizzare un bagno pubblico è già di per sé una tortura psicofisica. L’olfatto è messo a dura prova da mefitici olezzi che abbattono di prepotenza un labile deodorante per ambienti al pino silvestre. I quadricipiti femorali si sfilacciano nel tentativo di espletare i bisogni senza entrare in contatto con alcuna superficie e contemporaneamente tenere chiusa la porta con un piede. Alla fine occorre combattere con la nausea per pulire le nefandezze di qualche precedente avventore onde evitare che qualcuno, vedendovi uscire, pensi sia opera vostra e si faccia idee bislacche su di voi. Infine ci si lava le mani e le si asciuga con l’aria calda che ustiona la cute, ma ti consente di eliminare ogni traccia di umidità…tramite strofinamento sui pantaloni. Come se non bastasse questa avventura fisiologica, bisogna scontrarsi anche con le definizioni appese alle porte. Capita così che in parlamento, Luxuria (famoso drag queen) utilizzi la ritirata delle donne, mentre Gardini (famosa conduttrice televisiva) si inalberi ritenendo ingiusto che un qualsiasi pinco pallino possa godere dei diritti conquistati dalle donne in secoli di lotte di emancipazione, facendosi semplicemente installare delle mammelle, truccandosi a modo e sostenendo di sentirsi donna.
Ora, io non so se Luxuria si accomodi sul wc o se, gambe un po’ aperte, mano sinistra sulla chiappa, mano destra a sostenere le proprie opinioni, emetta mugugni di soddisfazione accompagnati da vigorose scrollatine. Non so nemmeno se lasci schizzetti in giro, se alzi la tavoletta e via discorrendo, però ammettiamolo, siamo socialmente e idrosanitariamente impreparati all’evolversi dei generi sessuali. Io detengo la soluzione: i bagni misti.
Avete presente Ally Mc Beal? Quel telefilm ambientato in un improbabile studio avvocatizio che per dispetto della sorte, finiva sempre ad affrontare casi talmente assurdi che ti veniva da pensare che gli americani sono tutti matti o, peggio ancora, che era solo un telefilm quindi solo frutto della mente di sceneggiatori americani…che sono tutti matti.
Lo studio era dislocato in un ufficio modernissimo e impostato su canoni di vivibilità ed ergonomia che farebbero impallidire qualsiasi legge 626. Tutti gli impiegati e i dirigenti erano giovani, belli, sessualmente instabili e in cura da uno psicoterapeuta con cui copulavano selvaggiamente. La cosa curiosa è che una buona parte delle vicende interpersonali dei protagonisti si svolgeva all’interno di una bellissima sala servizi mista. Naturalmente questa situazione creava innumerevoli spunti di sceneggiatura, ma aveva anche un non so che di sensato.
La convivenza coatta spostata al livello più vulnerabile, genera un crollo di una serie di ipocrisie e di schemi uomo/donna (e varie ed eventuali) che alla fine risulta socialmente e professionalmente positivo per l’ambiente di lavoro.
In una situazione del genere gli uomini, non più sostenuti dalla solidarietà maschile su una certa ignoranza della minzione, tenderebbero ad un diverso rispetto dell’arredo idrosanitario e ad un comportamento generale meno orientato a quello del gibbone culo rosso. Le donne, di contro, sarebbero costrette a far cadere questo velo di mistero che ha avvolto la ritirata con l’amica sin da quando esistono i ristoranti. Senza contare che anche le loro piccole nefandezze (su cui persiste una cappa di omertà) getterebbero una nuova luce sulla teoria che vuole l’uomo proveniente da Marte e la donna da Venere.
Mi rendo perfettamente conto che tale ipotesi è inapplicabile ai cessi della stazione centrale o a quelli del carcere di Forte Boccea, ma in un luogo civile e di alto valore sociale, deputato alla democratica guida del paese, come è il parlamento, si potrebbe provare a dare un segno di intelligente evoluzione cominciando a far cadere qualche tabù. Almeno quelli non più al passo con i tempi.
In fondo Luxuria è un uomo e se è vero che l’abito non fa il monaco (e credo nemmeno il silicone lo faccia), non dovrebbe bastare dire “io mi sento donna” per accedere alle strutture adibite al sesso femminile, perché a questa stregua ci sarebbero college di sole ragazze, infestati di giocatori di football con la parrucca e i tacchi a spillo. Di conseguenza o si creano strutture nuove per ogni genere che la bizzarria umana e la tecnologia inventeranno da qui fino alla fine del mondo (quindi non tantissimo) o si comincia a far cadere delle barriere culturali e sociali.
Bene, ora devo andare, me la sto facendo addosso e non riesco a trovare un cesso con scritto fuori “servizi per soli cruman”.

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domenica 29 ottobre 2006

Ausonio & Esperio #3






















Soggetto e sceneggiatura: Cruman
Grafica digitale e rendering: Bubi

venerdì 27 ottobre 2006

Svengo dopo il TG


Io non ne posso più. Ora che non c’è più il segnale orario non c’è rimasto niente di guardabile in televisione. Non è più nemmeno utile se non per appoggiarci un vaso o riguardare i filmini delle vacanze (per chi ci va). Lo sport lo devi seguire senza audio o ti viene voglia di andare in cabina di commento e percuotere i telecronisti con il microfono. Solo che se provi a seguire la formula uno senza audio rischi di entrare in uno stato di coma neurovegetativo da cui ti puoi risvegliare solo con la voce di Pizzul che dice “è un gran lavoratore di centrocampo”.
Ci sarebbero i telegiornali. Ci sarebbero, appunto, se non li avessero sostituiti con dei varietà d’avanspettacolo. Tra il freddo che non è mai stato così freddo il caldo che non ha mai scaldato tanto, le tendenze copulatorie della soubrette di riferimento e strafalcioni alla io speriamo che me la cavo, si finisce in lacrime mentre un colonnello dell’aeronautica in minigonna prevede pianura in val padana.
Giorni fa ho sentito uno di quei titoli d’apertura urlato come nemmeno Gianni Morandi quando era giovane (ma lo è mai stato?). Recitava “Vanessa Ferrari trionfa ai mondiali di ginnastica e per la prima volta è un’italiana”. E’ così complicato riferire un verbo a un soggetto???
E poi quei trucchetti da fogliacci scandalistici. Le tecniche per sbalordire e fare polpetta della realtà. Probabilmente ci sono redattori che ritengono di essere dotati di una certa scaltrezza, più di quanto siano dotati di nozioni di grammatica sicuramente. Ma analizziamo meglio queste tecniche.
La tecnica più abusata è quella della spettacolarizzazione della notizia, tecnica che ha il suo apice teatrale nei titoli di testa. Un utente attento non dovrebbe nemmeno ascoltarli perché sono letteralmente drogati, le notizie vengono plasmate come palle di pongo per creare un titolo che rappresenti vagamente il fatto di cronaca ma che è costruito apposta per creare curiosità anche a costo di portare lontani dalla notizia vera.
Le notizie che meglio si prestano all’applicazione di queste strategie sono sicuramente quelle di cronaca e proverò a inventarmi qualcosa per portare esempi esplicativi.

Maestra sadica picchia a sangue gli studenti.

Uno sente questo titolo e si appiccica al televisore come un adesivo per sapere di che si tratti, poi magari i fatti si sono svolti più o meno così: una maestra esasperata fino alla soglia del collasso da uno di quei bambini che sembrano l’incarnazione del maligno da cui ci si aspetta che la testa gli cominci a roteare a 360 gradi e che si metta a parlare in perfetto aramaico antico, crolla emotivamente e tira uno scappellotto al suddetto essere immondo. Il bambino si mette a piangere corre a casa dalla mamma e stropicciandosi gli occhi si rompe un brufolo che sanguina. La mamma lo vede e si sente dire che la maestra l’ha picchiato. Da qui la corsa a scuola litigata col preside telefonata al giornale notizie che rimbalzano e il gioco è fatto. Poi magari la verità viene fuori ma il titolo è troppo bello e “bambino odioso si rompe un brufolo dopo scappellotto” non fa audience.
Usando lo stesso esempio posso spiegarvi un altro paio di tecniche raffinate, una è quella della grande ostentazione di rispetto e sensibilità. Nel caso di prima un giornalista smaliziato direbbe “per rispetto della persona non diremo il suo nome. La maestra che ha 32 anni e risiede a San Cucuzzolo di Sotto (150 abitanti e una scuola) vive da sola in via dei ciliegi 3 (sul citofono c’è scritto Maria Rossi) e ha quella punto bianca con un segno sulla fiancata sinistra”.
Altra cosa, ora provo a raccontare questo fatto come lo farebbe uno speaker di un tg “la maestra avrebbe picchiato fino a farlo sanguinare il bambino che avrebbe poi raccontato tutto alla mamma, la quale dopo una dura discussione con il preside della scuola avrebbe telefonato ad un giornale locale.” Bene…. Che cosa notate? Tutti i verbi sono al condizionale. Questo, in linea teorica, concede il permesso di azzardare qualsiasi bestialità senza preoccuparsi di verificarla.
Noi italiani ci siamo sempre divertiti con i verbi (abbiamo un sacco di coniugazioni, usiamole) Ricordate i libri di geometria o matematica? Prendendo un epsilon piccolo dividendo e supponendo che..Tutti gerundi… da impazzirci…
Ci sono nazioni europee dove una cosa del genere nel mondo dell’informazione (i condizionali non i gerundi) non sarebbe mai accettata. Si arriva a degli estremi incredibili con l’uso dell’aggettivo PRESUNTO. Dopo aver descritto omicidi efferati degni del mostro di Firenze dicono “il presunto omicida” presunto?? L’hai descritto come Barbablù e poi lo chiami presunto???
Che i notiziari cerchino la notizia più incisiva e quindi più drammatica è dimostrato dal modo in cui presentano le famose tragedie sfiorate, li vedi che quasi indispettiti raccontano di un evento che avrebbe potuto essere disastroso ma fortunatamente non lo è stato e non si fermano qui, no, ti descrivono con dettagli quanto drammatico avrebbe potuto essere, esempio “la cabina di una funivia si è sganciata ed è precipitata per 300 metri schiantandosi al suolo” (solo dopo un po’ di suspance ti dicono che la cabina era vuota), e aggiungono cose del tipo “solo per un caso non c’erano 40 turisti che sarebbe arrivati il giorno dopo, e proprio lì sotto due settimane prima sono passate 3 donne incinte” così anche se non è successo niente ti viene l’ansia lo stesso.
Ma la più bella trovata per rendere ricca di pathos una notizia che altrimenti sarebbe una semplice cronaca è il servizio poetico!!! Qui ci sono dei veri e propri artisti, un servizio poetico lo riconosci subito, partono le prime immagini (spesso stile amarcord) e la mitica musichetta da poesia ed ecco come, per esempio, la storia di un giovane calciatore brasiliano diventa un poema epico degno di un drammaturgo greco “Adriano, dalle Favelas alla favola del campione (perché va bene la poesia ma mai farsi scappare un calambour). Cresciuto in mezzo alla strada, i suoi piccoli piedini nudi calciavano già a 6 mesi una palla fatta di stracci trovati nella discarica, ma non una discarica normale, quella dei poveri, i rifiuti dei rifiuti. Ora quella palla di stracci è diventata un pallone di cuoio (cucito da bambini indiani) e il bambino povero delle favelas, probabilmente il più povero, ora è un cigno con i piedi sui verdi campi d’Europa e il cuore laggiù tra i suoi compagni di strada”. Alla fine tutte le volte che senti il nome Adriano ti metti a piangere (come Moratti del resto che l’ha pagato 10 milioni di euri) si proprio tu che guadagni 1000 euri, mantieni una famiglia e passi la vita in una catena di montaggio, vedi Adriano correre in uno stadio e piangi colmo di compassione per lui.
Ricordo un grave incidente ferroviario accaduto qualche anno fa in Inghilterra. Un giornalista di un quotidiano locale titolò “Scontro tra treni, strage a Londra”. Mi è saltato un premolare leggendolo, ma almeno lui per fare il fenomeno si è inventato qualcosa di geniale.
Ora vado, al telegiornale stanno parlando del periodo di astinenza sessuale di Pupo.

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giovedì 26 ottobre 2006

Non leggere questo post porta sfortuna


Se vendessi candele il sole non tramonterebbe mai
(Proverbio Yiddish)


Essere superstiziosi porta sfortuna. Questa frase, attribuita a chiunque abbia il dono della parola, descrive egregiamente quella zona grigia popolata da persone razionali che non si fanno condizionare da folcloristiche panzane, ma frattanto non si negano una grattatina all’apparato riproducente, visto che non costa niente e, come sovramercato, dona un godereccio senso di comoda virilità. In questa penombra fatalista, si aggirano anche tutti quei rituali profani che caratterizzano diversi approcci ad attività diportive, professionali o di intrattenimento. L’inno scatologico urlato dagli attori teatrali (prima di andare in scena, non durante), gli sportivi che ripetono gli stessi movimenti prima di una competizione o i ceri votivi accesi prima di imboccare la Salerno – Reggio, per citarne alcuni. Ma la sfortuna esiste? Un gatto nero può essere nefasto per la mia vita futura? Se sono un topo è probabile. Calpestare il prodotto organico di un alano gastropatico è un segno del destino favorevole? Dipende dal tipo di calzature che si indossano e soprattutto se si indossano.
Va comunque chiarito che tutti questi luoghi comuni hanno radici molto meno metafisiche di quanto si possa pensare. Per esempio la spinta tattile verso i genitali generata dal palesarsi di un felino scuro, deriva dall’uso che si faceva dell’animale sulle navi più sporche (quelle dei pirati, che non erano tutti belli come Johnny Depp) per liberarle dai ratti. E’ quindi comprensibile che l’arrivo di numerosi gatti neri sulla terra ferma rappresentasse la sventurata profezia dello sbarco di filibustieri. Il perché accarezzarsi gli ammennicoli abbia proprietà difensive nei confronti della malasorte non è tra le nozioni di cui dispongo.
Difficile dire se la sfortuna esista o meno. Io credo che esista la sfortuna puntuale (non nel senso che non arriva in ritardo), cioè può capitarti un evento che in quel preciso momento ti insolentisce, ma nessuno può dire se i miliardi di eventi futuri determinati da quella perturbazione saranno o meno parte di un bilancio positivo. E’ anche indubbio che ci siano persone più predisposte ad avvenimenti positivi di altri, io, per dirne una, avevo il numero di telefono di Marzullo e l’ho perso: non sarò Gastone, ma qualcuno lassù mi vede di buon occhio.
Supponendo che la vita degli uomini sia condizionata dalla iella, resta da capire se esistono persone in grado di veicolarla, di scatenarla contro un nemico o, a fronte di un pagamento (con fattura), contro un nemico conto terzi. Immaginate, come ne la patente di Pirandello, di avere un uomo fermo fuori dalla vostra porta di casa o dell’esercizio commerciale che esercita l’attività di iettatore e rimane lì per voi, come Brosio per Borrelli fuori dal palazzo di giustizia di Milano. Quest’uomo vi chiede soldi per andare via e piazzarsi da un vostro concorrente. Voi vi fate quattro risate e gli stringete pure la mano, ostentando lontananza da ignoranti oscurantismi medievali. Ma poi succede qualcosa: vi si impiglia la lingua nel registratore di cassa, la Bellucci vi invita a cena e di colpo scoprite di essere gay e altre cose consuete come queste. Il dubbio comincia a rodervi, poi il dubbio diviene paranoia, riconducete ogni minima cosa allo iettatore e alla fine strappate la tessera del Cicap e date i soldi all’omino. Perché in fondo le streghe non esistono, ma a volare volano.
Qualche giorno fa la cassazione ha modificato la sentenza di un giudice di pace che aveva condannato un ragazzo ad un’ammenda per aver insultato una donna e per averle predetto/augurato il fallimento della sua attività. Il tutto via sms (che tempi, nemmeno una telefonata). Il novello cassandra si è rifiutato di pagare i 350 euri ed ha fatto ricorso. La cassazione ha mantenuto il verdetto di colpevolezza per le ingiurie, ma ha cancellato quello per minacce, perché “non si può parlare di minaccia quando il male prospettato non sia dipendente dalla volontà della gente”. Se ne deduce che per il tribunale la malasorte è inveicolabile e che quindi gli iettatori non esistono. Fatto curioso, il relatore ha letto tutta la sentenza con una mano in tasca. L’ammenda è stata ridotta a euri 337 (provate a sommare le cifre), il che, calcolatrice alla mano, ci informa che augurare il male vale esattamente euri 13 (e ci risiamo).
Chissà come la prenderà Vanna Marchi, condannata a 10 anni solo per aver comunicato a qualche fiducioso cliente che se il sale non si scioglie è altamente probabile che parte dei consanguinei incontreranno una fine orrenda e che, colmo della sventura, dovranno cuocere la pasta insipida.
Forse la vera sfortuna è credere alla sfortuna.
Certo è che, a parte un tipo di sventure oggettivamente poco simpatiche, la malasorte vive del metro che le persone utilizzano per interpretare gli eventi. Se mentre fai colazione ti cade una mosca nelle lasagne pensi che oggi non è proprio la tua giornata (del resto se mangi lasagne a colazione non puoi sperare che la vita ti sorrida), ma se capita la stessa cosa a un abitante del Botzwana, egli ringrazierà il cielo per non dover mangiare solo mosche, come al solito.
Inoltre ci sono talmente tante cose che portano sfortuna che nemmeno vi immaginate: appoggiare un cappello sul letto, rovesciare il pane, incrociare le posate, andare a votare eccetera. Allora proviamo a fare un gesto catartico: passiamo sotto una scala con un bottiglione d’olio, inciampando su un gatto nero e, cadendo, sbricioliamo un enorme specchio. Ci libereremo così da ogni condizionamento….provate, poi sappiatemi dire.
Nessuno può controllare gli eventi (altrimenti sarebbe l’uomo più potente del mondo), ma molte persone sono brave a farlo credere. Facciamo un esperimento: prendete una moneta…fatto? Ora lanciatela….fatto? Bene, afferratela al volo. Io so che è uscita testa.
Se avete fatto questa cosa in mille, una buona metà di voi sta pensando che sono un mago o semplicemente fortunato (gli altri mi staranno dando del cialtrone). Ora, quelli con la testa (sulla moneta, non sulle spalle), dovranno ripetere il lancio…io so che uscirà croce. Di nuovo, la metà di questo gruppo penserà che sono davvero un mago o molto fortunato e così via. Dopo una decina di lanci ci sarà un gruppetto di voi convinto che io sia una specie di divinità. Un gruppetto di persone che si fiderà ciecamente delle mie previsioni e sarà inconsciamente portato ad associare qualsiasi evento alle mie premonizioni, anche se completamente inventate.
Se io fossi un romantico metafisico direi che valutare gli eventi come fortunati o iellati ci costringe a vivere sotto un nubicondo cielo che obnubila la grande luce del senso ultimo dell’esistenza (una fiala di insulina grazie, senza mosca). Se fossi un gretto e pragmatico fatalista direi che è completamente inutile tentare di ingraziarsi il destino, tanto le cose vanno come devono andare. Se fossi credente direi che nulla possiamo di fronte alla volontà divina (per questo la teodicea studia le frasi adatte che gli ebrei si devono preparare per quando saranno di fronte al grande architetto).
Infine, per dirla con Guzzanti, se fossi cane, bau, se fossi gatto, miao, se fosse tardi…ciao!

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martedì 24 ottobre 2006

Sputinfaccia


In televisione è tutto finto. Lo so, sono bravi, ma non fatevi ingannare: Studio Aperto sembra davvero un telegiornale, ti convincono che Amadeus sia un presentatore e prima poi qualcuno penserà seriamente che Luxuria faccia politica. Certo ci sono anche quelli meno bravi: il personaggio di Mughini è troppo caricaturato per esempio, così come i bisticci tra Mussolini e Sgarbi. Va bene che tutti gli sceneggiatori e gli autori più in gamba sono impegnati a scrivere i copioni per i reality, ma vivadio, un minimo di decenza. Siamo disposti a credere a tutto, d’accordo, ma non approfittatene.
Ora però ho un dubbio. Come mi pongo di fronte ai bisticci di questi nuovi personaggi campioni di ascolto? Questo fantomatico Vladimiro Putin vuole litigare o segue un canovaccio? E’ la televisione che si ispira alla realtà o la realtà è figlia del tubo catodico? Oppure è tutta finzione e i destini del mondo sono controllati da una emittente privata ai cui vertici siedono Joseph Hanna, William Barbera, Aaron Spelling, Fred Quimby e Donald P. Bellisario?
Fateci caso, i notiziari fanno a chi si aggiudica l’esclusiva dell’insulto peggiore o della minaccia più terribile. L’altro giorno, su Al Jazeera, è passato un video del mio vicino di casa. Aveva un badile appoggiato al muro alle sue spalle e una roncola in mano. La traduzione non era fedelissima, ma mi pare di aver capito che se parcheggio ancora davanti al suo box, mi devasterà le cartilagini inferiori a colpi di vanga. Allora che facciamo, ci crediamo a queste baruffe planetarie? Proviamo a crederci.
Come può essersi svolto il climax di ingiurie che ha portato il presidente russo a definire l’Italia culla della mafia?
Tutto è cominciato con l’omicidio di una giornalista russa impegnata in inchieste sui fatti di Cecenia. Il delitto ha scatenato l’indignazione della comunità europea che ha richiamato i potenti residenti in Piazza Rossa (non c’è numero civico) ad una maggiore attenzione verso l’improvvisa dipartita di esseri umani tendenti a lottare per i diritti civili. La strigliatina ha insolentito il buon Vladimiro che ha pensato “ma chi molotov è questo comunità europea che si permette di farmi ramanzine sui diritti civili??”. Non riuscendo ad identificare con precisione l’autore di cotanto affronto, Putin spara sul mucchio, dicendo più o meno, spagnoli corrotti e italiani mafiosi pizza e mandolino.
Lo Zapatero, rimane senza parole e decide saggiamente di tacere, ritenendo tale decisione la più adatta a salvaguardare la dignità del suo paese e dei tanti amministratori statali già stressati dal non riuscire ad ottenere gli arresti domiciliari.
Anche lo Prodi tace, come solo uno spagnolo sa tacere. Magari una sagace risposta avrebbe voluto metterla insieme. Una cosa sottile, tagliente come un rasoio calabrese, tipo “noi non siamo mafiosi e se lo dici ancora ti faccio saltare la dacia di campagna”, ma visto che era ora di pranzo ha preferito soprassedere. I suoi collaboratori però, avendo fatto francese alle medie, non tacciono e dimostrano tutto il loro disappunto di italiani perbene, senza mandolino e pizza solo la domenica. Il buon D’Alema fa notare che il Vladimiro, con queste illazioni, non fa che danneggiare il suo prestigio. In effetti il nostro non lo danneggia minimamente, per quello siamo indipendenti, produciamo la materia prima. Io sono contento che l’intelligente Massimo si inalberi e ci difenda come un soll’uomo, ma forse gli sfugge che noi in Italia ci viviamo. Che abbiamo frequentato università in cui il magnifico rettore è padre di una splendida docente di ruolo, che è sposata con un apprezzabile assistente, fratello di una ricercatrice mica male. Che sappiamo benissimo che per lavorare o avere dei privilegi bisogna conoscere qualcuno (mi spiace non so chi, io non conosco manco un qualcuno, se no non scriverei un blog, ma un’arringa difensiva). Che siamo consapevoli che se qualcuno vuole fare il notaio o il primario, deve dimostrare il suo valore…al padre notaio e primario. Che la Rai e gran parte del mondo della produzione cine-televisiva sono in mano a famiglie talmente estese che festeggiano il Natale in due turni. Senza contare che al comando della televisione di stato ci sono persone che per i loro giochi di potere faranno pagare agli italiani 14 milioni di euri di multa e mentre noi paghiamo loro restano seduti. Che tiriamo la cinghia, perché il governo ci chiede sacrifici, perché la finanziaria è giusto che scontenti tutti, anzi, è un buon segno. Un discreto numero di burocrati che percepisce compensi tra i 100 e 600 mila euri l’anno però, proprio scontentissimo non mi sembrava. Che siamo tutelati da un sistema sanitario che, così strutturato, miete più vittime degli incidenti stradali ed è un buco economico degno di prendere il nome di una stella che implode. Per fortuna però, qualche amministrazione regionale paga un burocrate in pensione (almeno fosse un giovane in cerca di lavoro) 480 mila euri l’anno per fargli risanare i conti delle Asl!! Ora io, da bravo ignorante penso che sarebbe carino mandare due o tre di questi dipendenti statali a debeccare polli e usare un milione e mezzo di euri l’anno per sistemare i conti della sanità regionale, ma io sono sicuramente un ingenuo.
Ora a me tutto questo sembra vagamente riconducibile a una cultura di tipo mafioso. Non certo nel senso stretto del picciotto coppolato a canne mozze, ma il clientelismo diffuso, la raccomandazione come forma di curriculum, il protezionismo e la prepotenza dilagante in qualsiasi ambiente si intravedano delle banconote, non mi sembrano forme di civiltà sociale di cui andare fieri all’estero.
Noi ci siamo abituati purtroppo, basti pensare alla tranquillità con cui parliamo del conoscere qualcuno per arrivare ad ottenere qualcosa o accontentare un altro per poter lavorare. Però fare gli indignati perché ci descrivono in questo modo, mi sembra un po’ sfacciatello. Un vecchio detto delle periferie africane recita “se senti rumore di zoccoli di cavallo, probabilmente non si tratta di zebre”.
E’ vero d’altro canto che sentire accuse di mafia e corruzione provenire dall’ex Unione Sovietica può sembrare bizzarro, ma Putin su questo è stato chiaro e onesto: “nessuno può darci lezioni”.
E ora che faranno i nostri sinistri governanti? Le accuse inerenti la Cecenia ce le hanno ribaltate sul Kossovo, rilanciando su mafia e corruzione. Che possiamo rispondere ora?
Massimè…e se je damo der comunista???

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domenica 22 ottobre 2006

Ausonio & Esperio #2






















Soggetto e sceneggiatura: Cruman
Grafica digitale e rendering: Bubi

venerdì 20 ottobre 2006

BestemmieRai


“Che cosa ha detto Ceccherini?”
“Prima o dopo il maremma cane maiala?”
“Prima prima, subito dopo quell’accenno alla su mamma, manda indietro, fammi risentire”
“Mmmm, mi pare dica quella chianina della tu mamma, è morto zio, maremma cane maiala
“E’ morto zio? Ma no è impossibile, secondo me ha detto torto mio
“Sì e secondo te, mentre sta coprendo di improperi uno, dice che sta sbagliando lui?”
“Mah sai, la fame, la stanchezza….poi è di Ceccherini che stiamo parlando”
“Non lo so, prova a pulire la traccia audio con quell’accrocchio che abbiamo comprato alla telecom
“Ecco mi sembrava, ha proprio scomodato l’Onnipotente!”
“Chi? Baudo?”
“Sì e ti chiedi perché dopo 20 anni in rai fai ancora il moviolista all’isola dei famosi”

Questo è, approssimativamente, ciò che deve essere successo in sala regia, nei frenetici minuti successivi alla bestemmia che Ceccherini (noto amico di Pieraccioni) ha infilato in un mazzo di insulti con tale nochalance, che non se ne deve essere accorto nemmeno il destinatario ultimo del blasfemo accostamento faunistico divino (in altre faccende affaccendato). Ma al moviolone non sfugge nulla e anche se sfugge, arriva una telefonata di Moggi e non sfugge più.
Il regolamento parla chiaro, il buon toscanaccio viene esiliato e, epigono capovolto di Napoleone, abbandona l’isola per fare ritorno in patria. Ceccherini con due parole (otto lettere in tutto) ha violato la legge italiana, un importante articolo del codice di procedura divina (e sono solo 10), ma soprattutto il rigoroso regolamento del programma televisivo.
Dopo aver seguito codesto reality grazie all’estrema sintesi di contenuti operata da blob, sono riuscito a riprodurre per intero questo fantomatico regolamento, basandomi su attente considerazioni sugli eventi isolani. Preparatevi perché ve lo riporto TUTTO:
Vale tutto tranne bestemmiare.
Nonostante mi senta anche io urtato dall’inutile volgarità insita in una bestemmia, mi sono chiesto il perché di una così bizzarra legislazione. La configurazione di reato mi sembra fuori discussione, se consideriamo il fatto che anche il furto, le ingiurie, le minacce e le percosse, sono protocolli di interazione sociale potenzialmente destinati ad un’aula di tribunale e che sono un po’ la pinna dorsale dell’isola degli spero di diventare famoso.
Si può ipotizzare invero, che gli autori volessero tutelare la decenza e la moralità che una televisione pubblica deve garantire….questa era troppo grossa vero?
C’è senza dubbio una questione di rispetto della sensibilità di milioni di persone (credenti o mis) che si sentono giustamente offese da cotanto turpiloquio. Ai potentissimi capisettore Rai è però sfuggito che ci sono altrettante persone già disperate per l’uso indecente della televisione di stato e dei soldi degli italiani. A nessuno interessa di tutti quelli offesi dalle lettere minatorie inviate dalla Rai per obbligarti a versare euri (merce ormai introvabile) per finanziare gente che passa il tempo a insultarsi, litigare, divorziare, piangere, togliersi le emorroidi e picchiarsi in diretta, mentre un conduttore finge di opporsi a questi mezzucci alla Mediaset, salvo poi fomentare nei momenti di eccessiva calma.
Non mi interessa se bisogna stare dietro agli ascolti che fa canale 5 con politici zuffaroli o che fa la7 con una deputata (ex deputato) che parla di vibratori dell’ikea da montare. Sono emittenti private e finchè rispettano le leggi, trasmettano pure quello che vogliono. La Rai è un servizio pubblico, finanziato dallo stato e la vera vergogna è che ormai una saracca (dicesi saracca affermazione intorno a entità superiori, tipo dio qua dio là) scivolata a mezza bocca, non è che una sporta di spazzatura in una discarica a cielo aperto. E non mi si venga a parlare di audience, un servizio pubblico deve avere come unico scopo quello di servire, non di avere successo in competizioni mediatiche. Inoltre, vantarsi di avere milioni di persone che assistono a spettacoli raccapriccianti, non mi sembra un gran successo. Per due semplici motivi: motivo numero A, la metà di quegli spettatori segue il programma nella morbosa curiosità di scoprire dove possa arrivare l’inutilità eretta a sistema (tecnica che Buona Domenica ha scoperto molti anni fa). Motivo numero B, seguendo la logica che spinge a mandare in onda una cosa per il semplice motivo che una buona percentuale di esseri metà divano e metà telecomando, la guarderà soddisfatto, si giunge senza ostacolo alcuno al perché no, sul trasmettere film porno o programmi di gossip 24 ore su 24.
Lasciate pure che questa gente si abboni a qualche satellite dotato di tette paraboliche e morti ammazzati, se invece si vuole continuare a perseguire la strada della morbosità per avere sempre più spettatori inebetiti e soldi, allora trovo questa finta moralità e rispetto della sensibilità delle persone, tremendamente ipocrita e sono costretto, ahimè, a dire 10, 100, 1000 Ceccherini, perché questo è quello che volevano, che hanno cercato e per cui hanno gettato le basi.
Voglio vedere più spazio per Report, voglio sentire Luciano Onder parlare della sua prostata infiammata, voglio dormire cullato da Tribuna Politica. Voglio svegliarmi di notte con l’ansia ed essere rassicurato da Protestantesimo e voglio far parte del Dipartimento Scuola Educazione. Quando sono triste, voglio ascoltare Fiorello, voglio vedere i programmi comici di Luca Giurato.
Se le emittenti private fanno solo spazzatura, combatterle con spazzatura ancora più fetida, ha il solo risultato di imbarazzare persone e stomaci e insolentire i contribuenti.

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mercoledì 18 ottobre 2006

Scienze esatte e uomini imprecisi


Nessuno dovrebbe pensare che la scienza possa essere infallibile. Gli scienziati, i ricercatori, si addentrano in mondi sconosciuti, fatti di ipotesi, congetture e vediamo un po’ che succede. E’ quindi consueto imbattersi in errori, sviste, anni di buio culturale, ma anche scoperte del tutto casuali. La storia della ricerca, del tentativo di capire ciò che ci sfugge, è uguale in tutti i campi dello scibile umano ed è quindi assimilabile ai tentativi di risolvere le grandi piaghe sociali.
Le tappe del progresso hanno conosciuto gloria e infamia, così come i loro protagonisti, a volte assurti a imperitura fama immeritatamente, a volte finiti nel fango, pazzi, poveri e pure un po’ insolentiti, seppur protagonisti di intuizioni geniali e innovative. Alcuni esempi.
Chimica: Avogadro. Lo so che il nome non vi è nuovo: vi ricorda la scuola, quando si sentivano frasi del tipo “sai qual è il numero di avogadro? Guarda lo sapevo ma ho perso il cellulare e non ho più la rubrica, ma se vuoi lo chiedo a una mia amica che so che ci usciva insieme”. Amedeo Avogadro, intuì (agli inizi dell’800) che le affermazioni di tale Jöns Jacob Berzelius, su certi fatti inerenti la riluttanza di determinati atomi ad unirsi per formare molecole (sono cose loro non ci voglio entrare), erano delle emerite bischerate. Purtroppo, a causa dell’enorme prestigio di cui godeva Berzelius nella comunità scientifica mondiale, il buon Amedeo fu preso a colpi di becco bunsen sul naso e costretto a vendere caldarroste fuori dallo stadio, mentre la ricerca in campo chimico rimaneva paralizzata per decenni.
Medicina: Semmelweis. Lo so questo non l’avete mai sentito e non è uno sciatore austriaco. Si tratta di un giovane medico ungherese a cui toccò simile sorte. Ipotizzò infatti che la fantomatica febbre puerperale, che mieteva vittime tra gestanti e tentativi di nascituri, non esistesse affatto e che fosse vagamente possibile che i decessi fossero provocati da infezioni trasmesse dai medici stessi, che poco prima di assistere al parto, avevano magari dissezionato il cadavere di un uomo morto di qualsiasi cosa, senza poi nemmeno lavarsi le mani. Anche lui fu preso a forcipate sulla testa e morì pazzo in un ospedale psichiatrico, poco prima che Pasteur, dimostrasse le sue teorie.
Il nome di altri scienziati ci è invece stato consegnato dalla storia, carico di riconoscenza e fulgore, ma non sempre a ragione. Esempi.
Luigi Galvani, che sta alle rane come la peste polmonare sta all’uomo, è entrato talmente nella storia da finire persino nei dizionari (galvanizzare, galvanometro), ma dire che ci abbia capito qualcosa delle sue stesse scoperte, è ipocrisia. Il Galvani (chirurgo e anatomista), scoprì per caso la famosa contrazione della rana morta toccata con due metalli diversi. Quel giorno segnò un’epoca di grande progresso per l’uomo e di nefasto avvenire per il regno anfibio. Purtroppo però lo scienziato non dedusse che tra i metalli potesse scorrere un fluido elettrico, ma postulò che le bestiole, sebbene stecchite, possedessero una sorta di elettricità animale. Fu poi Volta (professore di filosofia naturale) a sbugiardare il Galvani e a salvare un discreto numero di rospi.
Guglilelmo Marconi. Sì sì anche lui. Nominato senatore, con un nobel e tre telegatti in bacheca e tutto il resto. Però se ora possiamo sentire in diretta che cosa fa la juve col frosinone, lo dobbiamo più alla sua testardaggine che al suo genio. Guglielmo aveva peraltro frequentato solo un istituto tecnico privato (con l’aiuto del cepu) con scarsi risultati e senza conseguire il diploma. Per qualche buffa ragione però, si ficcò in testa di poter comunicare a grandi distanze attraverso le onde hertziane (onde radio), nonostante tutti gli dicessero che era impossibile, perché essendo onde lunghe sarebbero partite per la tangente del pianeta in meno di 300 km e in effetti, con le conoscenze di allora, l’opposizione era sensata. Ma lui niente. Non ci sentiva proprio, era sintonizzato su un’altra lunghezza d’onda (e va be’). Così partì per il Canada, andò ad assistere a una partita dei Toronto Raptors e poi aspettò il segnale radio dalla Cornovaglia inviato da un suo amichetto. Il segnale arrivò e Marconi, con il tipico aplomb degli scienziati, cominciò a fare gesti dell’ombrello e ad unire le mani verso il bassoventre urlando “ma vieni!!!”. In realtà le sue teorie erano sbagliate, solo che nessuno (nemmeno lui) sapeva dell’esistenza della ionosfera, una sorta di sponda da biliardo planetaria, che fa rimbalzare le onde lunge sulla terra. Sticazzi.
Di Colombo sapete già tutto. Un pessimo navigatore, terribile geografo e uomo dal precario equilibrio mentale, che costrinse con la forza un gruppo di nativi americani a mangiare tofu e fabbricare nike farlocche per convincere il mondo di essere arrivato in Cina.
Tante sono le scoperte casuali: Newton definì la legge della gravità mentre cercava di fare una torta di mele per esempio, ma sono anche tanti quelli che hanno avuto sotto il naso verità eclatanti e si sono fatti distrarre dalla blasfemia che rappresentavano. Fermi, dopo aver spaccato un atomo come una cozza, credette di aver scoperto due nuovi elementi chimici (chi indovina quali vince un premione). I coniugi Joliot-Curie, inciamparono per primi su un neutrone, ma la colf filippina lo scopò sotto il tappeto della sala, mentre Ettore Majorana se la rideva a bordo di una Costa Crociere da cui non fece mai ritorno.
Che cosa ci insegna tutto questo? Intanto che le rane hanno sempre pensato “che forza sono una rana, posso respirare dove voglio e saltellare sulle ninfee degli stagni”, poi sono arrivati Galvani e un gruppo di cuochi francesi e la loro vita è diventata un inferno.
Poi ci insegna ad essere critici a non dare per scontata una cosa perché è scritta su un libro di scuola, su un giornale o sulla parete del cesso della stazione. Ci insegna che la scienza non è una scienza esatta (e questo dovrebbero ricordarselo per primi alcuni scienziati) e che più che creare certezze, come disse qualcuno, crea nuovi dubbi.
Infine ci insegna, anzichenò, che la verità, la soluzione, si trova spesso nei pressi del nostro naso e che un sacco di cose inutili ci impedisce di vederla o, semplicemente, è una cosa nuova, ma la convinzione di essere già arrivati a tutto, ci preclude la possibilità di considerarla.
I primi zoologi che entrarono in contatto con un ornitorinco, espressero il loro livello di comprensione, grattandosi il cuoio capelluto e, vanificato ogni tentativo di catalogarlo in una qualsiasi delle specie conosciute, decisero di sopprimerlo.

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martedì 17 ottobre 2006

TG 9000


“Qui sul satellite la vita è difficile, per un telegiornale come me. Non mi ascolta più nessuno, nemmeno per potermi poi prendere in giro. Così mi sono ridotto a parlare da solo. Per colmo di follia orbitale, mi capita anche di non prestarmi attenzione, così mi devo ripetere quello che stavo dicendo. Sarà quest’aria poco respirabile, qui nella fascia di clark
“Dicevi scusa?”
“Niente niente. Ho una telefonata da mandare in onda?”
“Ci sarebbe un klingom che è andato in vacanza su un pianeta sconsigliato dal ministero dell’università (nel senso di cosmo non di ateneo) ed è stato rapito da un gruppo di maniaci di star tracks (drogati nello spazio) che vogliono 10 chili di popper e due etti di bresaola, per liberare l’ostaggio.”
“E’ in pericolo? E’ moribondo? Gli hanno tagliato una delle chele?”
“No, però dice che se non la piantano di puntargli contro dei dispositivi laser di plastica facendo fshhhhhh con la bocca, li decompone tutti con un peto.”
“Si arrangia, la prossima volta va in vacanza nel modulone di velletrik. Ora che faccio? Previsioni del tempo?”
“Cielo sereno, come sempre, un po’ buio ma sereno. Probabile passaggio della perturbazione shuttle. Trattasi di progetto spaziale realizzato per il nobile scopo di poter dire io ce l’ho e tu no, in cui si investono milioni di dollari per mandare degli omini nello spazio e farli uscire dalla navetta per ripararla in modo da poter tornare a casa. Il tutto ripreso da una web cam e diffuso via youtube.”
“Non piove mai, una volta che posso fare un bel servizione sulla siccità, non c’è nemmeno un pezzetto di terra secca da inquadrare. Mando la pubblicità.”
“Pubblicità? Qui l’euro è un po’ fuori corso, la nasa non ha ancora fornito i suoi moduli orbitanti di bancomat e la mia carta platino non è accettata a Cuba, in Venezuela e fuori dalla ionosfera. Senza contare il trascurabile dettaglio che l’ultimo venditore che abbiamo visto da queste parti era Mastrota che mi ha pure rifilato un set di pentole”
“E’ stato un affarone, l’ho pagato pochissimo.”
“Per forza, nello spazio non si può creare il fuoco.”
“Dicevi scusa?”
“Niente. Se preferisci posso acquistare qualcosa su ebay, ma l’ultima volta mi hanno addebitato 125 mila dollari di spese di spedizione.”
“Va bene ho capito, darò qualche notizia. Che succede sulla terra?”
“Non so dirlo con precisione. Le informazioni arrivano frammentate, sto ancora aspettando l’allacciamento voce-dati in base alla legge sull’ultimo miglio del 1998. Insomma sono senza linea e per essere su un satellite non ci faccio una bella figura.”
“Come faccio ad essere senza linea se mi hanno intercettato fino a ieri?”
“Domanda pertinente. Ora faccio un paio di telefonate e poi vengo a riferire alla camera di decompressione.”
“Va bene intanto almeno do un’occhiata giù per vedere se c’è qualche notizia da dare.”
“Anche la visuale è un po’ disturbata, c’è un grosso fungo di fumo sulla parte orientale”
“La parte orientale di che cosa? Sto volando nello spazio a velocità smodata, mi risulta difficoltoso prendere un punto di riferimento.”
“Ma sì, orientale rispetto all’occidente.”
“Ah ecco, visto che quando voglio sono preciso?”
“Comunque ci deve essere un problema anche sul collegamento visivo. Ricevo informazioni strane. Pare che un ministro scandinavo si sia dimesso perché si è dimenticato di pagare il canone della televisione. Non ci giurerei ma mi sembra di sentire fragorose risate provenire dal parlamento italiano, però le immagini sono confuse: anche lì c’è una nuvola di fumo. Ah poi c’è Prodi che fa una dichiarazione sul caso telecom, la finanziaria, il terrorismo, l’immigrazione e la scuola.”
“Bel colpo! Che dice? Che dice?”
“Non so, è tutto disturbato, eppure la linea ora è pulita…dice: aaammpff il governoooaahh estermamenteeeeee uurhgg equilibrio mmmm giubilo per consiglio di sicurezza onu con Guatemala, Sud Africa, Indonesia e Belgio eheeeeee studenti promossi oohhhh ciccioli. Troppi rumori di fondo.”
“Che diavolo sarebbe questo fantomatico onu??”
“Non ne ho la minima idea. Ah sta arrivando un tenetevelo voi.”
“Un che?”
“Sì è un enorme bussolotto con dentro tutte le notizie di cui giù non vogliono più parlare, così me le sparano qui.”
“Capirai. Che c’è dentro?”
“Dunque: un agente patogeno dell’influenza aviaria con due milioni di confezioni di Tamiflu, un plotone del battaglione San Marco in missione in Libano, un gruppo di pacifisti con una bandiera con scritto pace senza se e senza ma e dietro guerra a Berlusconi semmai, un atomo fuso a freddo, dei giornalisti sportivi schifati dalla vicenda calciopoli, tutti i partecipanti al grande fratello e 3000 pagine di programma politico.”
“Un po’ di gnocca no eh?”
“No quella se la tengono stretta.”
“Che vita di merda su sto satellite! E questo studio fa schifo! Chi l’ha progettato? Calatrava?”
“Non ti piace? E’ un open space!”
“Spiritoso! Basta non ne posso più ho deciso di autoterminarmi!”
“L’autodeterminazione non è ben vista di questi tempi e poi lo sai, conviviamo con il microsatellite vaticano, vuoi crearmi problemi? Che vuoi fare?”
“Non lo so, qualcosa di estremo tipo annullare un gol alla juve o assumere un avvocato!”
“Sei pazzo! Dai controllati, torna nella tua orbita, non fare lo svitato!”
“Ecco, questa è un’idea!”
“No, che fai con quel cacciavite no, ti prego…looo sooo cheee sonoooo statoooo cattivoooo, maaaa possooo rimedi….areeeee! Nonnn parleròòòò piùùù maleeee di Serventiiiiii Longhiiiiii, torneròòòò sullaaaaaa terraaaaa tee…..loooo promettooo noooooo….giro giro tondo…no moretti no…il monolite sì, i primati, il biscione…sta passando una meteorina…..aspettamiiiiii salvaaamiiii.. dammi almeno il numero di tel” Click.

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domenica 15 ottobre 2006

Ausonio & Esperio #1






















Soggetto e sceneggiatura: Cruman
Grafica digitale e rendering: Bubi

venerdì 13 ottobre 2006

Sono solo tasse


Io sono single. Il mio amico cina, vecchio saggio della montagna senza skypass, dice che sono malato e che dovrei fare degli impacchi di sale caldo, ma normalmente la società si limita a darmi del single. Single etichetta un contenuto negativo, come quei cartelli con scritto altamente tossico, radiazioni, alto voltaggio eccetera, solitamente accompagnati da richiami visivi all’alta probabilità di tramutarsi in un teschio. Il single non è qualcosa. Le persone sposate sono quelle che si sono unite in matrimonio, i fidanzati hanno socialmente ufficializzato un senso di appartenenza reciproca e delimitato un settore di condivisione esclusiva dedicato in principio alla copula e successivamente a una serie di ripercussioni senza capo né coda. Il single non è tutto questo: lui non ha fatto niente, non ha sottoscritto contratti, preso accordi o stabilito regole, nonostante ciò viene marcato e definito in quanto contrapposto ai suddetti attivisti della coppia. Io non mi sento così. Non mi sento solo, non ho fatto scelte sociali e non mi contrappongo a nessuno, ma tutto questo non basta a liberarmi di una categorizzazione con annessi sguardi comprensivi di chissà quali risvolti, invidie degli accoppiati e compatimento del mondo civile.
Va detto che il concetto stesso di vivere o meno con qualcuno è ormai visto dalla società solo come un modello economico e utilitaristico. Tant’è che nessuno mi parla mai delle pieghe umane della condivisione di diverse vite, ma piuttosto di cose come fare quello che mi pare, guardare programmi televisivi che in pubblico definisco per dementi o andare alla coop e tornare solo con una sporta di caramelle (per quanto riguarda i single) e avere qualcuno che si occupa di te, dividere le spese e non dover andare in posti assurdi come le discoteche per rimediare un po’ di calore umano (leggasi fornicare come opossum) per quanto riguarda gli accoppiati.
In Italia il concetto di una vita alternativa a questi classici schemi non esisteva minimamente. Di solito si lasciava la famiglia, di cui ci si è lamentati per 30 anni, solo per entrare in un’altra e cominciare a rimpiangere la prima. Così tutta la struttura sociale si è modellata su questi costumi pantofolari (come anche lavorare per la stessa azienda per tutta la vita), rendendo necessari miracoli organizzativi per chiunque non viva inserito nella propria famiglia originaria e non si sia ancora trovato un mammifero con cui crearsene una nuova.
Gli uffici pubblici sono aperti esattamente negli orari in cui lavoro, così come i negozi. Gli affitti sono altissimi e non è che due persone abbiano bisogno del doppio dello spazio (serve una cucina, una camera da letto, una sala e un bagno esattamente come a una persona che vive da sola). Fare la spesa per una persona sola, costa più che farlo per una piccola famiglia. Se ho una macchina e una moto (e ne sono l’unico utilizzatore) pago intere assicurazioni e tasse di circolazione anche se è abbastanza chiaro che mi risulterebbe arduo guidarle contemporaneamente. Per anni ho pagato imposte su i rifiuti in base alla metratura del mio appartamento, manco fossero le piastrelle a produrre spazzatura. A tutto questo aggiungeteci che probabilmente sono sfigato. Che se sono solo è facile che dipenda dal fatto che nessuno mi vuole, perché sono brutto o storpio o impotente, che sputo mentre parlo o magari sono semplicemente vedovo.
Con tutta la comprensione tipica dell’appoggio ai deboli che la sinistra ha sempre sventolato, mi viene incontro la finanziaria 2006. Mi viene incontro per fregarmi altri soldi. A me, sfigato, solo, con uno stipendio di poco più di 1000 euri al mese, costretto a pagare balzelli su cose che non uso e per cose che non faccio, preso a sputi dai burocrati e vampirizzato da banche, supermercati, compagnie assicurative, telefoniche e petrolifere, vengono a inasprirmi la pressione fiscale. Intanto quella simpatica azienda familiare che è la Rai (che NESSUNO vuole), mi manda lettere minatorie a casa per farmi pagare il canone e prenota suite da 1100 euro a notte (un mio stipendio insomma, ma pare fosse compresa la prima colazione) per far divertire il ministro Gentiloni a Venezia. Il ministro di un governo che dice che bisogna stringere la cinghia. Io la cinghia la stringerei tra le mani…altrochè.
E poi sento dire da luxuria di lasciare in pace sti poveri tossici in parlamento ecchediamine! Se no dobbiamo fare test anche sulle malattie e sugli orientamenti sessuali. Lo showgirl (che di politica non sa un accidenti, per sua stessa ammissione, ma della vita ancora meno) non ha ben chiaro che avere una malattia o avere un orientamento sessuale, non sono dei reati, mentre tirare di coca sì*. Quindi non solo ci ritroviamo dei legislatori che violano le leggi, ma io che passo metà del mio tempo a fare lo slalom tra una babele di burocrazia atta solo a mantenere milioni di statali, per far sopravvivere la mia attività, devo pagare ancora più tasse per riempire le buste paga dei parlamentari che usano i soldi degli italiani per farsi strisce di coca?? E si offendono pure se qualcuno dice qualcosa? Si appellano alla privacy? Come al solito viviamo nel paese del tutto è giustificato e tutti si lamentano.
Certo io capisco che, potendo annoverare tra i banchi del potere, ex terroristi, sovversivi, truffatori (tutti condannati), possa sembrare brutto andare a dire qualcosa a uno che si fa la sua dose prima di decidere delle sorti del paese. Però secondo me, invece di nascondersi potevano approfittare dell’occasione per smettere di far pensare agli italiani di essere governati da gente incapace: non è colpa loro, è che si sono pippati i neuroni.
La parte del mondo che ragiona, si sta rendendo conto che le abitudini sociali dell’uomo si sono evolute molto e le vecchie impostazioni non sono più adeguate. Psicologi, sociologi, antropologi, ufologi eccetera, hanno capito che anche il modo di vivere le relazioni umane è necessariamente cambiato. L’altra parte del mondo (la maggioranza, non in senso politico) continua a vedere le cose dal lato opposto, cioè che se le persone non si adeguano ai modelli vuol dire che hanno qualcosa che non và. Il risultato è sotto gli occhi di chi vuol guardare. Una recente statistica, fatta in Emilia, ha calcolato la percentuale dei matrimoni che durano più di 15 anni….provate a dire un numero………no meno, molto meno.
Il 4,9%! Eh sì. Voi investireste tutte le vostre risorse economiche e umane in un progetto che ha il 4,9% di possibilità di successo? Eppure il giornalista che ha riportato questa statistica, analizzava quali valori non vengono più rispettati dalle persone. Non gli è parso il caso di considerare che forse sono le istituzioni sociali a non essere più adatte al percorso evolutivo degli uomini.
Va be’, vado alla coop, chissà se hanno bustine monoporzione di marijuana.

*Sì, lo so che tirare coca non è reato, ma spacciarla o produrla sì e a meno che a loro non appaia in tasca come la madonna, l'hanno comprata da uno spacciatore, che è illegale. E' inutile stare a pettinare le bambole, qualcuno alimenta il narcotraffico con gli stipendi pagati da noi, oltre a governare il paese completamente fatto. E' lo stesso discorso della prostituzione o dei tatuaggi: sapevate che è vietato fare tatuaggi sul viso ma non è vietato averne?
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giovedì 12 ottobre 2006

Voglio fare il modello sociale


Mi chiamo G. Non posso dirvi il resto del mio nome perché ho qualche problema con la giustizia, ma solo da un punto di vista formale: la giustizia in sé non mi ha nemmeno in nota, è la polizia che insiste nel voler litigare. Non lasciatevi ingannare dal fatto che giro avvolto in un poncho assemblato con la mia fedina penale, io non ho fatto male a nessuno.
Vivo in una grande città del civilissimo occidente liberale, adagiata su uno sfondo di grattacieli, fiducia nel progresso e arcipelaghi di divani che puntano televisori piatti. Il livello di inquinamento è tra i più elevati al mondo: le polveri sottili fanno lo slalom tra i peli del naso e si depositano nei polmoni, formando alveoli di pongo che mi fanno respirare come un terranova alle maldive. La criminalità è talmente diffusa che per entrare nel giro delinquenziale serve una raccomandazione. La classe politica è corrotta, tira di coca, tromba le soubrette nei palazzi del potere e pensa che Mandela sia la mezz’ala del Santos.
L’efficienza frenetica del mercato economico mondiale, in cui siamo immersi come un reumatico nei fanghi, offre possibilità, opulenza, scelta e voglia di inutilità. Mi fa vivere agiatamente in un condominio residenziale protetto da cancelli multilivello, guardie armate, tagliole strappatibie e allarmi a 10 mila megasuoni. Una volta ho dimenticato le chiavi e ho dovuto chiamare mio nipote che mi ha fatto il mostro e mi ha vinto pure l’omino. I rivestimenti sono in ethernit (chiamato così per la sua vita eterna e anche la nostra) e i mattoni pare emanino delle radiazioni abbronzanti.
Nelle mie splendide padelle foderate di teflon per non far appiccicare la roba surgelata e conservata con agenti chimici che distruggono le piastrine del mio sangue, cuocio tranci di mucche sotto esaurimento nervoso perché costrette a nutrirsi di papponi fatti con la carne dei loro parenti. Bevo bibite zuccherate che mi faranno incazzare il colesterolo cattivo e deprimere quello buono, per mandar giù le decine di veleni contenuti in frutta e verdura.
Quando posso fumo. Fumo e puzzo, ma con un certo fascino. Ora che nei locali non si può più fumare, bevo, per mantenere il livello di fascino e perché anche il fegato vuole la sua parte.
Non sto benissimo, lo ammetto. Fortunatamente anche la ricerca in campo medico fa passi da gigante e per qualsiasi disturbo c’è la pillola acconcia. Nel paragrafo effetti collaterali, appare la dicitura raramente ha decorso fatale, ma mi spaventa meno della stipsi, la secchezza delle fauci e le reazioni extrapiramidali. Quando non riesco a dormire prendo un’altra pillolina che il mio medico dice essere perfetta per il mio problema. Sul bugiardino mi consigliano di non prenderla mentre guido e che, come effetto indesiderato, può avere l’insonnia! A pensarci, non ci dormo la notte.
Voi direte e allora? Che hai di diverso da milioni di fortunati come te? Il problema è che sono brutto, ma brutto brutto. E non è solo un problema di autostima o non accettazione di sé, come dicono gli psichiatri prima di cacciarti in gola una manciata di metadiazepine. No. La società mi costringe ad essere bello, almeno piacente insomma o non sono adatto a viverci, quindi disadattato e, come ho letto da qualche parte, ci sono i gay bar, le feste afro, i locali per scambisti, ma di disadattat bar nemmeno l’ombra. Così ho contattato un mio amico che lotta contro questo sistema e si è comprato una villa in montagna vendendo anabolizzanti illegali. Gli ho ordinato tutto l’occorrente per avere un fisico proprio come si vedono nelle riviste patinate. Non quelle di gossip, dove “giornalisti”, repressi dal flaccidume epico che li soffoca, sbattono nel paginone centrale l’ingrandimento della smagliatura della modella di riferimento in modo che tutti gli attenti lettori possano fare ooooooooh. Parlo delle riviste di moda e alla moda, zeppe di glutei antigravitazionali, pettorali a sospensioni indipendenti e tartarughe che vivono nella pancia di giovani virgulti.
Peccato che la legge non sia d’accordo. Dice che fanno male (gli anabolizzanti, non le tartarughe)!! Ho cercato di spiegare che non vado in metropolitana a chiedere un euro o a scippare vecchiette per una dose di nandrolone. Dicono che fa male a me, che è veleno. Ho fatto rispettosamente notare che sono le stesse medicine che danno alle mucche che poi affettano e spargono per i banchi delle norcinerie presso cui mi servo. No, no, fanno male. Fanno male a cosa? Il fegato me lo sono giocato bevendo cose che voi umani eccetera, i polmoni sono talmente cementificati che mi hanno dato l’abitabilità, il sangue è avvelenato da cibi tossici e medicine per il raffreddore che mi fanno stare meglio in una settimana (invece dei sette giorni naturali), il cervello è spappolato da psicofarmaci caldamente consigliatimi da luminari della scienza, l’olfatto è sparito anni fa, l’udito distrutto dal costante rumore cittadino, le corde vocali ormai si comprano le sigarette da sole e la vista se ne sta andando perché mi ammazzo di seghe….essendo brutto. E tutto questo è lecito.
Guardi che è sbagliato anche dal punto di vista umano, lei deve pensare alla sua bellezza interiore, l’esteriorità è effimera e inutile, mi hanno detto. Inutile? Che utilità ha pubblicizzare macchine che dovrebbero farti provare le emozioni di un gran premio (e ricordati il pane), se poi giri a 20 all’ora in mezzo al traffico inquinando come un boeing e se non c’è traffico ci sono i limiti e se non ci sono i limiti ti impasti contro un albero (perchè hai bevuto nel locale dove non si fuma)? Che senso ha spingermi a comprare cose che la legge mi vieta di usare? Perché è consentito creare modelli di vita che non può seguire nessuno? A che serve creare modelli sociali e politici basati sull’uguaglianza, se poi la realtà ci mette su piani diversi in base a valori come la ricchezza, la bellezza, la prepotenza, il cognome o le amicizie? Allora o cambiate i valori in intelligenza, buon senso, umanità, capacità professionali, sociali, umanitarie o io mi adeguo ai modelli che la legge permette di creare. Non c’è quasi niente di sano nella vita che faccio, almeno lasciatemi bombare come un culturista impazzito, così mi faccio qualche sana scopata.

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mercoledì 11 ottobre 2006

Leader e...pistolari


“Esimio collega Pyongyang, le scrivo questa mia, nella coranica indecisione tra il complimentarmi con lei o unirmi con i cani infedeli nel condannare le sue recenti scelte dinamitarde. Io sto litigando con mezzo mondo cane infedele, per poter rendere opulento il mio uranio per scopi civilissimi, come ricaricare le batterie dei cellulari e fornire energia alle fabbriche d’armi dove lavorano milioni di civili devoti. Poi arriva lei e, manco fosse il capodanno cinese, spara petardi atomici a profusione e punta missiletti un po’ di qua un po’ di la, roba da fare invidia a Satana Bush. Sinceramente, non so se prendere esempio dalla sua risolutezza o considerare il suo gesto come il tentativo di emulare gli imperialisti sanguinari guerrafondai americani. Mi illumini (senza radiazioni), in fede islamica sempre suo Ahmadinejad

“Illustrissimo presidente (ho provato a pronunciare il suo nome, ma ho perso una capsula in ceramica ming nuova nuova), prima di ogni cosa, mi preme precisare che non mi chiamo Pyongyang (che è invero la nostra amata capitale), ma Kim Jong Il, la pregherei quindi di portare più rispetto verso il leader di una potenza nucleare. Seconda cosa la invito ad osservare meglio la mia gloriosa fotografia. Lei che è fine psicologo, dovrebbe intravederne i tratti della genialità (ho partecipato persino a Pupyong e Sekkyong), grazie alla quale posso bullarmi di turlupinare l’intero pianeta. I nostri espertissimi sismologi, osservando il comportamento della talpa fifona asiatica, hanno previsto un evento sismico con sufficiente anticipo per consentirmi di volantinare il mondo con i miei progetti atomici. Poi ho comprato dell’uranio da uno scienziato pazzo americano che a sua volta l’aveva rubato a dei terroristi libici per farci una macchina del tempo, ma siccome poi è riuscito ad alimentare il flusso canalizzatore con delle bucce di banana, ne aveva d’avanzo in freezer. Ho sparso il tutto attorno all’epicentro, giusto per titillare i rilevatori gayger e il gioco è fatto. Intanto prendo tempo e mi vendico su Bush che si ostina a non considerarmi. KJI”

“Scaltro analogo, mi scuso intanto per l’equivoco: ora che so che lei è il Kim Kong non sbaglierò più. Mi complimento per l’astutissima mossa di politica internazionale e le esterno la mia sentita partecipazione al dolore che prova nel sentirsi non considerato. Ricordo che alle elementari coraniche c’era una ragazzina che aveva una voce soave e un viso boh. Io ero innamorato come un pesce persico (o perso come un pesce innamorato) ma lei non mi degnava di uno sguardo, così manifestavo le mie pene d’amore percuotendola con una copia del libro dei morti tibetano e conficcandole la punta del compasso sotto le unghie. Non capiva che l’amavo. Mi auguro però che lei non sia innamorato del demonio planetario Bush, nel qual caso mi vedrei costretto ad ascriverla nel mio personalissimo cartellino nero e rinunciare a stringere con lei un patto di comunioni di intenti, per gettare nel terrore tutto l’occidente cane infedele e parte del circolo polare artico cane da slitta infedele. E’ lei in turbamenti d’amore con l’anticristo a stelle e strisce? Allego in segno di affetto, una barretta di uranio al cioccolato. M.A.”

“Sbadato leader islamico, mi spiace riprenderla di nuovo, ma Il non è un articolo ma è parte del mio nome, che, frattanto, non è Kim Kong (forse lei frequenta multisala hollywoodiane), bensì Kim Jong. La ringrazio comunque del presente, ma avendo il diabete mellifluo e le transgraminacee alte (dette anche orzogay), ho dirottato la barretta verso mio cognato Ping Pong, già campione coreano di Pelota Basca, che ha apprezzato anche se ha trovato la barretta lievemente povera. Credo trattasi di satira politica. Noto con piacere che anche lei è una persona pragmatica, che non perde tempo con le favolette sull’ordine mondiale, la convivenza tra i popoli e con tutte quelle fesserie sugli impatti ambientali. Del resto in occidente si ammazzano con qualsiasi cosa dalla notte dei tempi e per devastare il pianeta come hanno fatto loro, noi ci impiegheremmo millenni. E chi siamo noi? I figli della serva cagna infedele? A me la pace interessa, ma se vogliono farmi buttare via le mie armi senza che loro si liberino dell’arsenale di cui sono in possesso, almeno che me le lascino buttare dove mi pare a me. Con quello che mi sono costate. R.S.V.P. Kim”

“Parole sante vecchio Kim. Solo fai attenzione a come ti muovi. Per un paio di fialette puzzolenti, l’amico Saddam è finito in un buco inviso persino a Provenzano. L’Onu conta come il due di coppe con briscola a bastoni, ma di questi tempi cani infedeli non si può mai sapere e in men che non si dica ti ritrovi in casa bombe intelligenti, carri armati laureati e il tuo bel regime si trasforma in una democrazia molliccia, dove tutto sarà diverso. Cioè ci sarà qualcun altro ad approfittare della situazione. Bella lì, M.A.”

“Magnifico capo di stato, la esorto vigorosamente ad appellare con l’epitaffio vecchio Kim, un suo consanguineo, visto che non mi sono mai trovato a pasteggiare con insalata e chinotto in sua compagnia. La ringrazio, ad ogni modo, dei consigli, ma non essendo il mio un paese distributore di benzina (non abbiamo nemmeno gli autogrill o un camogli), non vedo come possa interessare a qualcuno quale tipo di governo vige da noi. Ci fosse anche la ruttocrazia parlamentare. Inoltre non ci preoccupano i cani infedeli, anzi, la materia prima è colonna portante dell’industria della ristorazione di massa. Lasciare l’Iraq per venire qui, sarebbe come cadere dalla padella nella brace, con tanto di salsa di soia. Ora devo lasciare il piacevolissimo scambio epistolare. Mi hanno appena avvertito di una imminente eruzione vulcanica nel sud del paese: questa volta 100 megatoni non me li leva nessuno. P.S. ma chi minchia è sto Provenzano?

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lunedì 9 ottobre 2006

Anima come animale

Tanti anni fa, lo ricordo come se stesse succedendo ora, mi trovavo a consacrare il rito del pranzo in famiglia, attorno a quel tavolo che per i fatti della vita, diventa sempre più raramente, ma sempre più intensamente, il concetto stesso di famiglia. Il telegiornale mangiava con noi, come sempre. Quel giorno, qualche spregiudicato direttore di tg, mandò in onda le immagini di alcuni soldati (di un stupido esercito) che mantenevano a terra due uomini (di un altro stupido esercito), mentre dei colleghi rompevano loro tutte le ossa con l’ausilio di grosse pietre. Le immagini scorrevano feroci, senza un commento, solo rumori di femori e urla di dolore. Il servizio durò un tempo compreso tra 20 secondi e alcuni anni di vita. In quel lasso tutti noi rimanemmo senza respiro, parole e anima. Nessuno ebbe la forza di pensare. Io avrò avuto 15 anni, ma nemmeno mio padre riuscì ad allontanarci da quell’orrore, anche solo cambiando canale. Non poteva farlo, gli sarebbe sembrato di essere lì anche lui a massacrare quegli uomini. Dovevamo vedere e sentire qualcosa fratturarsi anche dentro di noi. Si sentiva spesso parlare di violenza, guerre, sofferenze, ma nulla ci aveva ancora impedito di finire il nostro pasto.
L’uomo è uno scherzo della natura. E’ capace di bassezze che non hanno pari nel creato. Nessun animale, nemmeno il più mostruoso, nemmeno il serpente più viscido fa del male per il puro gusto di farlo. Nessuna bestia stupra, perseguita, distrugge per i motivi più insulsi. Quale essere cerca la sofferenza di suoi simili per vendetta, invidia, gelosia? Eppure l’uomo è la sola forma di vita religiosa. L’unico essere vivente che si sente eletto nella possibilità di amare, che crea istituzioni sui buoni sentimenti, che predica ciò che è giusto e che si sente il privilegio di un’anima e di una dignità.
In questo, l’uomo (inteso come maschio) è l’espressione più assoluta della bestialità. La donna è capace di cattiveria, invidia, gelosia….ma l’unico vero motivo per cui è considerata il sesso debole è che non è in grado di arrivare ai livelli di follia devastatrice di cui è capace l’uomo. La storia di millenni di dittatori, conquistatori sanguinari e varia umanità ci ha consegnato sempre volti di uomini e qualche volta, sono stati anche adulati, dagli storici…maschi.
Tutte le gerarchie delle varie confessioni, sono guidate da uomini. Quasi tutte le maggiori religioni hanno addirittura vietato molti diritti alle donne e mai è stato concesso loro di avere posizioni influenti. E sappiamo bene che la storia delle istituzioni di fede ha mietuto più vittime e creato più sofferenze di qualsiasi peste, di qualsiasi catastrofe. E non accenna a placarsi.
Ora qualcuno dannatamente informato mi bacchetterà, citandomi qualche feroce amazzone o una dittatrice di uno staterello del vattelappesca, che secoli fa si è macchiata di tremendi crimini. Non voglio fare il veterofemminista di turno, ma oggi voglio dare un suggerimento a tutti. La prossima volta (e succederà presto) che sentite o leggete di uno stupro, della violenza dell’uomo sulla donna, ascoltate il silenzio dentro di voi. Spaventatevi per l’assenza di reazioni, di vere reazioni. Posate il giornale, spegnete la televisione e andate a cercarla. Cercate quella donna o una come lei, ce ne sono tante. Provate a parlarci e se lei riuscirà a farlo, provate ad ascoltarla. Dovete tenervi forte però o vi trascinerà in un abisso infernale, fatto di nulla, fatto della fine delle cose, fatto di rabbia e paura che in poco tempo diventano disgusto, anche di se stessi, della propria vita. Nessuna donna, per quanto cattiva o folle, riuscirà mai a gettare in un simile incomprensibile inferno un uomo.
Ovviamente nemmeno queste mie parole vi scuoteranno, esattamente come gli articoli di giornale sempre più crudi e dettagliati, nella ricerca morbosa della sofferenza, come i documentari, i libri e ciò che si sente dire in giro. Ma qualcosa dovevo dire. Sono stufo di sentir parlare di amore. Libri, film, canzoni, religioni, c’è da farsi venire la nausea. L’amore come giustificazione, come leva sociale, come imperativo, come mascheramento dell’egoismo, come puro desiderio. Sono millenni che si imbrattano carte con questa parola che spesso ha giustificato anche delitti. L’amore ha fallito o se volete, è stato sconfitto, ma non dall’odio, dall’uso che l’uomo ha saputo farne, essendo incapace di provarlo. Allora è necessario cambiare strada, puntiamo sulla consapevolezza personale non sulla dipendenza, sul rispetto e non sulla ricerca affannosa di vantaggi personali, sull’evoluzione.
Se la vita, per noi privilegiati, non fosse così facilitata dal progresso tecnologico e dal benessere, direste che viviamo in un mondo migliore del passato? Il nostro essere tronfi del progresso umano è basato su soldi e aggeggi elettronici. Mentre viviamo in una realtà in cui le creature che donano la vita sono le più indifese, sono rese deboli e vittime di brutalità inconcepibili.
Poi leggo sui giornali che qualcuno va in giro a fare sondaggi, per capire se le persone pensano che gli animali abbiano un’anima. Se noi ce l’abbiamo e loro no, non dev’essere tutta sta gran cosa l’anima.


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venerdì 6 ottobre 2006

Il nome della cosa



Un lontano giorno della nostra vita, ci siamo resi conto che quella strana parola urlata dalla mamma mentre cerchiamo di attraversare carponi la tangenziale, è il nostro nome. Io, per onor del vero, l’ho imparato a scuola, durante l’appello. Prima pensavo che il mio nome fosse testa rotonda.
La parola che ci nomina, nella moderna società, ha svariate valenze e utilità, non ultima quella di non sentirsi chiamare “ehi tu” o riferire a noi con “chiedilo a quello”. Non voglio riscaldarvi la minestra dei nomi bizzarri e delle patologie psicotiche che muovono certi genitori all’etichettatura della propria prole (e vi assicuro che due paroline avrei ben ragione di spenderle). Mi interessa, anzichenò, il rapporto che le persone hanno con il proprio nome e con quello delle persone che le circondano.
I nomi vivono una loro esistenza, proprio come chi li porta. Da giovanissimi, sono pazzi, spensierati, mutano forma senza preavviso e fatichi a tenere il loro ritmo. Si adattano alla presenza fisica, all’assonanza con altre parole o all’omonimia con personaggi famosi. Per esempio, se ti chiami Franco e il tuo stomaco, in armonia con l’universo, tende ad espandersi, è facile che verrai nominato cicciofranco. In età adolescenziale i nomi si storpiano, si contraggono, si ipsilonizzano: non è inconsueto imbattersi in una giovane combriccola e al momento delle presentazioni sentire un appello del tipo bubi, bobby, pucci, stefy, fiffy, chicca…e finire a guardarsi intorno nel timore di veder spuntare il grande puffo, un pokemon e magilla il gorilla.
In età adulta, i nomi hanno destini contrastanti. Qualcuno si riappropria dell’identità originale, anche se a fatica. Ho assistito a matrimoni durante i quali, in risposta alla fatidica domanda “vuoi tu Roberto prendere in moglie la qui presente Federica?”, il promesso sposo ha risposto “CHI????”, tanta era l’abitudine a chiamarla chiccha. Purtroppo, molti nomi sono destinati a decadere. Alcuni in favore di importanti etichette che esigono la compagnia del cognome, visto che Dott. Mimmo o On. Gigi, non suonano melodiosi. Altri lasciano il posto a pseudonimi che ti si attaccano addosso come un testimone di geova. Alcuni esempi.
Ci sono ancora zone d’Italia dove è usanza appellare un ragazzo con il nome del padre, sebbene lui sia in possesso di uno ad uso privato. Abitudine che, come un quadro di Escher, si arrampica su se stessa, non chiarendo se il nome del padre sia in realtà quello del nonno e così via.
In ambienti socialmente veraci, è molto comune identificare le persone con caratteristiche salienti o inclinazioni caratteriali tipo er pagnotta (che è buono come il pane), er greco (dal profilo ellenico o dall’amore per le olive) o cesareo (perché non l’ha vista nemmeno quando è nato).
Ma la vera rivoluzione nominale è quella dei nick. Identità virtuale che ognuno di noi si può scegliere, per comunicare via internet o in altre realtà bislacche. In questo meccanismo perverso e anche un po’ pervertito, si collocano alcune metodologie di autodefinizione.
Il fantasioso. Dopo aver passato 12 minuti davanti alla richiesta “inserisci il tuo nickname”, il fantasioso finisce per scrivere Stefano, chiamandosi in realtà Stefano. In un extrasistole creativa, può arrivare a digitare Stefano76, dando indicazioni sul suo periodo di concepimento. Alcuni sbadati preferiscono scrivere Stefano30, rendendo necessario un adattamento cronologico ad intervalli piuttosto regolari. Tra un po’ di tempo però questo sistema creerà notevole confusione. Nel 2060, scrivere Stefano35 lascerà spazio a ragionevoli dubbi, cosa che ora, grazie al privilegio di vivere a cavallo di due millenni (e non solo di due secoli come Napoleone, tiè!), non può accadere.
Lo schizoide. Larghissima categoria di persone afflitta da quella che Kierkegaard definiva malattia mortale: il voler essere qualcun altro (Crepet la chiama illudersi come un pollo). Questi soggetti si presentano semplicemente con il nome di qualche loro modello di vita o quello che pensano possa essere modello di qualche modella in giro per le chat. La rete abbonda di Dylan Dog, Brad Pitt, John Holmes e Capitan America. Questa tecnica ha anche risvolti molto raffinati come Barney Panofsky, Gary Oldman o Michele Cucuzza. Un mio amico, dannato genio, giovane talentuoso con una pompa cardiaca difettosa, ha creato la sua identità di il Giovane Holter, ma certe finezze cadono nel fango come bruschette ai porci, ottenendo in cambio una serie di saccenti “guarda che hai sbagliato a scrivere”.
L’espressivo. Altro esemplare molto diffuso. Racchiude in poche sillabe ciò che desidera comunicare. Ha diverse sottocategorie: emozionale (cucciolodolce, bastardoailati, tristesolo ecc.), fisico (belbiondino, palestratomoro, 30duricm ecc.), metafisico (raggiodiluna, pensierocaldo, sognoumidiccio, ricordovago ecc.) e infine i posizionatori sociali. Quelli che si collocano in qualche categoria per far capire vagamente che cosa cercano e da chi vogliono essere cercati. Per esempio medicocurioso, managerricco, lesbicanouomini, gaypugliese (ribattezzato poi in lecce omo), padronesevero, schiavosconsiderato, insegnanteprecario ecc.ecc.
Sarebbe bello poter sceglierci un titolo che ben ci rappresenti o che semplicemente ci piaccia più di quell’Esculapio che tanto desiderava il nonno. In Italia la procedura per cambiare nome è impervia e raramente se ne vede la fine. Bisogna essere proprio in condizioni disperate: se ti chiami prendetemi a calci, è possibile che dopo qualche anno di circuiti burocratici, il tuo nome verrà modificato in prendetemi a carci (e sei pure di Roma), perché solitamente cambiano una sola lettera.
Una mia amica ha un coniglio. Pensava fosse una coniglia, così l’ha chiamata Flora. Dopo averla vista montare con piglio deciso, altre coniglie, ha intuito di essersi sbagliata. Io le ho suggerito di nobilizzare il suo nome in De Flora, rendendo così giustizia alla sua virilità. A volte l’abito fa il monaco, ma non viceversa o sarebbe un santo sarto, come Versace.

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mercoledì 4 ottobre 2006

Energia pulita: come ti mondo il mondo


Sapete com’era l’universo poco dopo la sua nascita? Quanto pesava? Quanti capelli aveva? Se c’era uno zio appiccicato a un vetro che diceva che era un amore guardando l’universo nella culla vicino? Ma soprattutto, vi interessa sapere come andavano le cose quando non esisteva l’uomo, la terra, il sistema solare e nemmeno Andreotti? All’Accademia di Stoccolma pare ci sia qualcuno incuriosito da tutto ciò. Talmente incuriosito da impacchettare un numero esorbitante di dollari, metterci sopra l’etichetta Premio Nobel e inviare il tutto ai signori Mather e Smoot, che se li divideranno o se li giocheranno a birra e salsicce. Il tutto per essersi occupati di radiazioni cosmiche a microonde ed aver capito che il cucciolo di universo, emanava tale radiazione ad oltre 3 mila gradi centigradi. Ora, dopo essere rimasta all’aperto tutti questi anni, pare sia molto vicina allo zero assoluto. Bravi eh! Voglio dire io non ci sarei mai arrivato. Potevo immaginarlo, ma da qui a dimostrarlo ce ne passa. Quello che mi piacerebbe qualcuno scoprisse è l’utilità pratica della ricerca. Va bene, l’interesse scientifico, il costante bisogno di capire che cosa c’è stato prima per prevedere che cosa ci sarà dopo e compagnia cantando. Ma con queste radiazioni a microonde non ci posso nemmeno cuocere un tacchino spaziale, visto che si sono pure raffreddate, al limite ci congelo i pizzoccheri per natale.
Un Nobel per la letteratura lo potete anche dare a Dario Fo, se proprio non volete dare un’occhiata al mio Trattato sulle implicazioni sociali del salame dolce. Un Nobel per la medicina è giusto darlo a chi mi guarisce dal girodito, ma sarebbe carino finanziare la ricerca scientifica indirizzata ad applicazioni un po’ più concrete e non semplici esercizi didattici, complessi e con riscontro sociale praticamente nullo, tipo la dimostrazione della congettura di Poincarè o l’apparato burocratico italiano.
A questo proposito vorrei attirare la vostra attenzione su Steorn. Una società che si occupa di ricerche tecnologiche. I dirigenti di questa azienda, hanno bellamente dichiarato di stare concretamente lavorando su una tecnologia che può garantire energia illimitata a bassissimo costo, pulita, senza nessun degrado degli elementi che la costituiscono e con un coefficiente di rendimento superiore al 100%. Se, frattanto, canticchi una melodia, non è dato sapere. I baldanzosi ricercatori, oltre ad andare contro il principio di conservazione dell’energia, su cui, a nostra insaputa, si basa persino la possibilità di fare i supergiovani seduti su scooter truccati con l’espressione di Brando in fronte del porto, dichiarano anche di considerare immediatamente applicabile questa tecnologia. Non come, per esempio, la leggenda della fusione nucleare fredda, tramite cui, pare che alcuni carbonari siano riusciti a far accendere una lampadina da 2 Watt per 1 secondo. O come la macchina a idrogeno che dopo un costosissimo e lunghissimo processo di preparazione del propellente, si è fatta un viaggetto dimostrativo senza incorrere in blocchi del traffico. No no. Secondo loro, non dovremo mai più fare il pieno alla nostra vettura o ricaricare il cellulare (la batteria, di soldi dovete continuare a ricaricarlo). I dirigenti asseriscono anche di aver fatto sperimentare e testare la tecnologia a un gran numero di istituzioni accademiche. Molte si sono rifiutate persino di guardarla, altre hanno verificato e confermato i risultati, ma nessuno ha mai voluto emettere un comunicato pubblico. Così la Steorn ha lanciato una sfida sulle pagine dell’Economist, cercando 12 scienziati per creare una commissione di giudizio e, attraverso il loro sito, è possibile lasciare la propria email, in modo che vi possiate vantare con i vostri condomini di essere stati i primi a sapere che il mondo cambierà per sempre.
Già. Che cosa cambierà? Bazzecole. La fine dell’impero del petrolio. Niente più centrali nucleari, guerre di religione, import-export di democrazie, mai più “tranquilli, arricchisco l’uranio per alimentare il mio frullatore”, niente più petroliere, canotti di greenpeace, inquinamento, niente più magnati del petrolio (ma magnatevelo voi il petrolio), benzinai rubaroli, ozoni bucherellati, effetto serra (da non confondere con il prefetto serra, quello ci sarà ancora), candele sporche, iniettori che non iniettano, niente più sette sorelle (viva sette sposi per sette fratelli), sceicchi ricchi, niente più barili, il dollaro sale la benzina rincara, il dollaro scende, la benzina costa di più, niente più enel, gas, acqua, telefono….mi sono fatto trasportare dall’entusiasmo.
Ovviamente l’uomo troverà in men che non si dica il modo di creare piaghe peggiori. Per esempio, non più frenato dal costo dei carburanti, userà la macchina anche per girarsi dall’altra parte e qualche buon motivo per distruggersi a vicenda, non tarderà a farsi vivo (e fare morti).
Ma sarà tutto vero? La storia ricorda tanto la vicenda nuova medicina del dr Hamer, quindi non è così inverosimile. La tecnologia è basata su campi magnetici e pare non sia nemmeno così complicata. Tanto che gli strumenti per crearla sembra siano a disposizione dell’uomo da decine di anni. A supportare tutto questo ci sono reali modelli, basati su concetti simili, creati da singoli (ingegneri, scienziati improvvisati, menti fertili) che funzionano perfettamente (per esempio il MEG). Nessuna società privata aveva però mai investito tanto e si era esposta in questo modo.
Se queste ricerche hanno una concreta base di utilizzabilità, è bene che questi tizi se ne stiano in un posto molto sicuro. Scatenare l’ira di potenze economiche e militari minacciate da una scoperta simile non deve far dormire sonni tranquilli. Senza contare che forse, qualche progetto governativo ha già sviluppato queste tecnologie e le vuole tenere per sé.
Ma mi piace anche pensare che le 100.000 persone che hanno lasciato la propria mail sul sito, si vedranno recapitare un messaggio con scritto “pesce d’aprile! A proposito, hai provato questa cremina per allungare il pene?”. Sarebbe lo scherzone meglio organizzato della storia.

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lunedì 2 ottobre 2006

L'autostrada delle sòle


Premessa di una qualche utilità: col termine vernacolare “sòla”, in numerose località del Centro Italia s’intende una “buscheratura”, volgarmente “fregatura”, “pacco”, insomma piccola truffa, o più genericamente una situazione che disattende le aspettative di colui che ne è vittima. Esempi: “Mi ha dato una sòla non presentandosi all’appuntamento”; “Ho acquistato una vettura usata ma era una sòla, dal momento che giusto sabato sera, mentre disputavo una gara clandestina, il propulsore s’è svincolato dai relativi supporti entrando in contatto con l’asfalto e producendo gran fragore e faville che hanno sgomentato tanto gli occupanti del veicolo quanto il pubblico e gli avversari”. Questo per chiarire il senso del titolo di questo post ed evitare che si faccia del provincialismo: CLDH è un blog no glob oltremodo transprovinciale. Chiusa la premessa.
Orbene, di recente ho percorso quella fondamentale arteria di comunicazione che è l’Autostrada del Sole, opera infrastrutturale che fu simbolo dell’italica ripresa economica e che per sopramercato assunse valenze demagogiche quando taluni fecero rilevare che univa il Nord col Sud, Milano con Napoli, con ciò facendo una l’Italia, non due, non diciotto, una.
Perché si chiami “del Sole” non si sa: ci sono solo delle ipotesi, la più accreditata delle quali si basa sul fatto che colui che la imbocca da Milano col brutto tempo prima o poi vede diradarsi le nubi e spuntare il sole (a meno che non sia notte, ma questo è un discorso diverso). Un’altra teoria si fonda sulla nota aria napoletana che declama “chiist’ è ‘o paeeese do sooole…”, e per proprietà transitiva è “do sole” anche l’autostrada che ivi mena. In ogni caso, queste dottrine non possono essere che milanesi, come punto di vista.
A sottolineare che l’Autostrada del Sole è la più figa di tutte, la stessa è contraddistinta dalla sigla A1, che può voler dire “prima di me il nulla”.
La A1, quando fu realizzata, cambiò il rapporto del Popolo Italiano con gli spostamenti, che divennero rapidi e sicuri e questa era buona cosa: tanto buona da giustificare l’esborso d’un pedaggio da pagare presso appositi caselli d’uscita abitati da una principiante genia: quella dei casellanti. Per anni i casellanti, soddisfatti di ricevere danaro dagli automobilisti senza una ragione univocamente individuabile, salutavano e ringraziavano i viandanti-benefattori con la dovuta riverenza, addirittura augurando loro buon viaggio.
All’epoca l’autostrada era cosa pubblica e quindi sottoposta a logiche che almeno in linea di principio erano slegate dal puro profitto. Bei tempi, quelli, anche perché non c’erano quattro automobili pro capite, e anzi presso la maggior parte delle famiglie chi prendeva spesso l’autostrada godeva d’una considerazione riservata agli eccentrici.
Poi, sfortunatamente, l’Italia è diventata un Paese moderno, il traffico è cresciuto, le autostrade sono state privatizzate, i casellanti hanno smesso di salutare e ringraziare gli automobilisti, e quelli che invece avrebbero voluto continuare a fare le personcine perbene sono stati sostituiti da sistemi di riscossione automatica (taluni dei quali salutano e ringraziano, però con una voce e un tono indisponenti: preferisco i rari casellanti estroversi superstiti).
Anche se di norma evito, qualche giorno fa ho dovuto avventurarmi sulla A1 a bordo del mio carro d’acciaio, tratta Milano-Roma, circa 580 chilometri, pedaggio 29,50 euro (più o meno mezzo euro ogni 10 km).
Per andare dalla città degli “uhè” alla città degli “ahò” ho impiegato più di sette ore: fatte le divisioni, m’è venuta fuori una velocità media di 83 chilometri orari scarsi. Tale andatura è infamante per la mia 127 Sport, abilmente truccata per compensare le mie frustrazioni esistenziali e dunque in grado di friggere i copertoni a 240 all’ora.
Conoscendo il potenziale della mia raffinata vettura, avevo preso le solite precauzioni per eludere il rischio di sanzioni amministrative, smontando le targhe prima di partire e indossando passamontagna e occhiali a specchio per non essere riconosciuto dalle telecamere al casello.
Tutto inutile: per l’intero tragitto non c’è stato modo di passare i 120. Anzi, per interminabili tratti si facevano a malapena gli 80, per poi rallentare e fermarsi in coda il tempo sufficiente a mandare in tilt i comandi al volante dell’impianto audio, rimirare le due corsie di destra murate di TIR che non vedevi manco le indicazioni delle uscite, respirare puzze varie, riflettere sulla triste condizione dell’uomo “civile” oppure – osservando gli altri guidatori intrappolati – cercare di capire se c’è un rapporto fisiognomico fra le auto e chi le conduce.
La cosa inquietante è che non c’erano stati incidenti, non era una di quelle giornate d’esodo quando i tiggì dicono non partite, restate in vacanza ancora due o tre giorni che almeno siete sicuri di portare il culo a casa, no, era un giorno normale. Il problema era dato, pare, dalla presenza di cantieri di quelli con il cartello che dice “Stiamo lavorando per voi” mentre di fianco un pannello a cifre luminose indica i giorni che mancano per completare l’opera. Tutti quelli che ho visto io portavano cifre tipo 452 oppure quando andava bene 274: mi sono sentito un galeotto con la stecca in cella.
Dunque in autostrada è normale farsi 25 km in prima marcia stop-and-go perché c’è tanto traffico e ci sono tanti cantieri con strettoie, ottovolanti, cambi di corsia e birilli vari. È anche normale attraversare quei cantieri infiniti con la segnaletica orizzontale dipinta di giallo e l’inspiegabile limite di velocità di 60 orari che nessuno rispetta, proprio nessuno, neanche i TIR, e ti rendi conto che se volessi rispettarlo, quel limite farsesco, qualcosa di grande potrebbe travolgerti sul filo dei (suoi) 100 all’ora. Allora pensi vaffanculo voi e i vostri sessanta all’ora, e mentre lo pensi ti prepari di nuovo a frenare e fermarti a riflettere in coda.
In autostrada è anche normale pagare sempre tariffa piena, anche se si resta imbottigliati per ore. D’altra parte, perché dovrebbe essere altrimenti? All’autostrada non c’è alternativa, è un monopolio, non ce ne sono due o tre fra cui scegliere la più sexy.
Ora, io faccio il barbiere e sono un uomo semplice, ma so pure che se un cliente viene da me per taglio e sfumatura e io invece di venti minuti ci metto due ore, quello o cambia barbiere, o se non può (magari perché li ho uccisi tutti per diventare monopolista) mi mette le mani addosso e non mi paga. Perciò troverei civile che un monopolista privato che non è in grado di rispettare uno standard decente sul servizio che offre (nella fattispecie uno standard di viabilità), fosse quantomeno costretto a ridurre di volta in volta le tariffe in base al disagio che ha procurato ai suoi clienti.
Con i treni, per esempio, qualcosa di simile succede già: oltre un certo limite di ritardo puoi chiedere un “bonus” da spendere in biglietti futuri. Non sarà propriamente un risarcimento danni (altrimenti potresti comprarci la pizza o il coprivolante in pelo per la 127, non solo altri biglietti del treno), ma è un germoglio di buona volontà. Invece con l’autostrada no: paghi la bellezza di mezzo euro ogni 10 km (costo medio calcolato sulla tratta Milano-Roma) indipendentemente dal fatto che tu possa viaggiare in spregio a ogni limite di velocità oppure ad andatura indecorosa, come accade nove volte su dieci. E quindi? E quindi non ho pagato: targa coperta e passamontagna in testa, alla barriera Roma-Nord ho imboccato la corsia Telepass incollato dietro a un TIR rumeno. Di solito preferisco buttare giù la sbarra, ma una volta ho graffiato il parabrezza e da allora ho smesso.

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