mercoledì 23 aprile 2008

Ippocrate e la mano santa


Ambientazione: il diversamente igienico talamo di un pigro Grande Fratello.
Personaggi principali: un ometto che stereotipizza il suo essere milanese con una cadenza a biscione e una aspirante alla professione medica che stereotipizza la sua napolità con so pazza 'e gelosia.
A margine: un Ordine dei Medici impettito, Ippocrate e una pugnetta.
I fatti: la dottoressa al Grande Fratello, segue il suo copione trash anni '70 prescrivendo e somministrando una terapia attuabile grazie alla cosiddetta “sega da chirurgo”. Il signor Ordine dei Medici si insolentisce, pretende da Mediaset la videocassetta dell'accaduto, prende un rotolo di scottex, si siede sul divano, la osserva e decide di aprire un fascicolo o fasciare un testicolo, non è ben chiaro. A questo punto il signor Ordine scomoda Ippocrate che stava strigliando il cavallo e gli fa giurare che la dottoressa non è degna di chiamarsi tale.
Critica: lungi da me l'idea di difendere un partecipante del Grande Fratello, devo però fare due sincere considerazioni. Considerazione sincera numero A: l'universo maschile riconosce all'unanimità per alzata di mano (perlopiù sinistra), i benefici psicofisici dell'onanismo sia esso passivo che attivo a patto di non eccedere nelle dosi pena il transgenderismo per consunzione. Riconosce anche come pure leggende, la condanna all'ipovedenza (detta anche maledizione di Moshe Dayan) e la cacciata dal paradiso per dispersione di semenze. Visto e considerato che nessuno è in grado di arrestare una polluzione notturna, bisognerebbe meglio concentrarsi sulla dispersione di scemenze.
Considerazione sincera numero B: provo una certa invidia (questo sì, peccato romano) se penso che la mia dottoressa, bene che mi vada, mi prescrive due supposte e non si infila certo nel mio letto per praticare l'operazione.
Per questi due fattori ho deciso di stilare un bugiardino per la gentile dottoressa (quella con una certa manualità, non la mia) in modo da avere buoni argomenti da opporre ai suoi detrattori. Per fare ciò utilizzerò proprio il giuramento di Ippocrate che le è stato così spocchiosamente sbattuto sul muso, riferendomi ad alcuni precetti sia dell'antico giuramento che del nuovo.
Nell'antico si legge “non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale”. Sebbene sia di uso corrente la locuzione “ammazzarsi di seghe”, non risulta ancora nell'antologia clinica, un caso di morte riconducibile al diletto narcisistico. Che nulla ha a che vedere con la rigidità da rigor mortis.
“Non opererò coloro che soffrono del male della pietra”. Con tale nome venivano identificati i calcoli vescicali (spesso confusi con la prostata) rimossi da ex norcini, infilando due dita nell'ano del paziente e praticando manovre che mi disturbano la seduta solo a pensarle. Ora non sappiamo se la dottoressa abbia applicato queste tecniche contestualmente alla somministrazione della terapia, ma dalla scioltezza di movimenti dimostrata dal baldo milanese la mattina seguente, è presumibile che si sia astenuta dal farlo.
“In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati”. La casa c'era, il malato anche (sfido chiunque a dire che fosse sano) e il sollievo senza alcun dubbio.
Dal nuovo giuramento: “curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità condizione sociale e ideologia politica”. Anche questo precetto è stato rispettato in pieno visto che ella, napoletana, si è presa cura del polentone, probabilmente leghista, senza frapporre questioni di etnia.
“Astenermi dall'"accanimento" diagnostico e terapeutico”. La dottoressa si è limitata ad una somministrazione ben sapendo che la terapia può dare assuefazione e persistenza di espressione ebete.
Le si contesterà invero una sorta di violazione dell'integrità morale della categoria medica. E qui chiamo a raccolta voi pazienti (e) lettrici che avete conosciuto l'imbarazzante mondo di freddi strumenti e mani ispezionanti. A quante di voi è successo di dover subire indagini eccessivamente accurate? Quante sono state fatte spogliare nude per un mal di testa? Quante, vinte dalla paura del male, sono finite in mani morbose? E quante si sono tenute il dubbio e la vergogna?
Alcuni esempi. Visita medico sportiva, entra una avvenente donzella che viene fatta spogliare nuda (per chi non fosse sportivo, non è affatto necessario), immediatamente dopo entra esemplare di amica non baciata da veneree doti:


“Cosa mi devo togliere?”
“Niente”
“Ma nemmeno la sciarpa e il cappotto?”
“No no, si infili in tasca questi elettrodi”


La ragazza estiticamente biasimabile esce e viene a sapere dall'avvenente amica di come è andata la sua visita e rientra dal medico:


“Adesso lei fa tirare fuori le tette anche a me o la denuncio”


Oppure. Mammografia, giovane donna procace e preoccupata entra non facendo caso a vaghi cenni che le sfrecciano intorno. Casualmente, durante l'esame, un numero impressionante di uomini entra nella stanza simulando indifferenza con le scuse più diverse:


Altro medico con mani insanguinate “avete visto un'arteria femorale”
Infermiere “è passato di qui uno sfigmomanometro?”
Patologo “ho lasciato qui un cadavere per caso?”
Inserviente “scusate devo vuotare i cestini”


A riprova di questo potrei portare le ricerche fatte su google. Vi stupirebbe il numero impressionante di frasi di questo genere “mi hanno fatto spogliare nuda alla visita”. Questo ovviamente non significa che tutti i medici siano maiali che approfittano della condizione di grande vulnerabilità che ha un malato, ma sicuramente significa che non è sufficiente essere un medico per certificarsi come persona seria e rispettosa. Dimostra che leggere frasi scritte da un tizio 2400 anni fa, non sancisce in alcun modo la propria rettitudine morale. Così come compilare un modulo sugli aerei per gli USA in cui si dichiara di non essere un terrorista stupratore ha una valenza più folcloristica che etica.

Queste cose accadono ovunque, ogni giorno e non vedo alzate di scudi da nessuna parte. Nemmeno dal signor Ordine che, tra le altre cose, conosce e accetta un sistema di baronato che è una piaga sociale non indifferente.
La Dottoressa Lina Carcuro probabilmente non diventerà un nuovo Barnard e nemmeno Madre Teresa di Calcutta, ma le si dovrà pur rendere atto che quello che ha fatto lo ha consapevolmente fatto di fronte a tutti e non di nascosto, protetta da muri, sistemi e sovrastrutture psicologiche.
Si potrebbe anche aprire, invece di un fascicolo, una disquisizione filosofica sul perché fare una cosa che fanno tutti è normale, ma se si sa che la fai è immorale.
Dottore' non mi sento mica tanto bene.

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martedì 15 aprile 2008

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E facemmo delle lugubri urne, governo. Certe notti, coi bar che son chiusi, sono poetico come un'alba su Bagnoli. Ha vinto quello lì, non l'altro ed ora ucciderà una capra o qualsiasi altra cosa faccia per celebrare il successo. Che poi è uguale, almeno a me sembra uguale, dico a quell'altro non alla capra. Che ha vinto quello, per ora, lo ha detto uno che va fuori dai seggi a chiedere di dire quello che la gente ha espresso nascondendosi in una cabina non più telefonica, però tutti gli credono, sebbene abbia l'affidabilità di un oroscopo coi dadi. Non tanto perché non si impegni o non sia bravo, anzi è capacino. Non è colpa sua se per quarant'anni alla domanda “ha votato DC?” ha visto gli elettori rotolare per le scale reggendosi la panza, per poi ritrovarsi con lo scudo crociato in vetta alle classifiche dei partiti più fighi. La democrazia (quella vera, non quella cristiana), tra le tante controindicazioni annovera il privilegio di non perdere mai. Anche quell'altro, quello condannato dalle percentuali (non dai tribunali), non dice di aver perso, dice che è il primo partito in Italia con a capo uno che si chiama Walter. Ma non è di elezioni che voglio parlare in questo giorno in cui si deve parlare di elezioni. Voglio parlare della legge fondamentale della democrazia: tutti siamo uguali. Fra noi, non a una cosa in particolare. Questo dovrebbe rendere meno amaro il pensiero che Rita Borsellino, al senato, ha trovato chiuso, mentre Cuffaro è entrato offrendo paste e mani all'interno. Tanto siamo tutti uguali no? Sia chiaro, essere la sorella di un uomo eccezionale non fa di nessuno una persona eccezionale, guardate Caino e Abele. Però purtroppo essere Cuffaro ha sicuramente i suoi genotipi a corredo.
L'uomo vive in maniera contrastata l'uguaglianza che la democrazia gli impone. A me persino la vaga somiglianza fa venire le bolle, ma questa è un'altra storia che merita di non essere raccontata. Ognuno di noi ha nella propria struttura mentale, nella funzione stessa dei propri sensi, un sistema di valutazione che rende ogni cosa diversa dall'altra. È abbastanza semplice rendersene conto ascoltando un virtuosismo di Tartini e immediatamente dopo la Iervolino che canta Napule mille colori. Ma non sempre è così facile capire perché una cosa, un essere vivente, sia, percettivamente (non esiste questo avverbio, ma è uguale... a quelli che esistono) diverso da un altro.
Se c'è un delfino in difficoltà si mobilita mezzo mondo, se un toporagno è sull'orlo del suicidio a causa delle continue crisi di identità, bene che gli vada qualcuno lo schiaccia nella sua toporagnatela. Nessuno lo dice, ma tutti sono convinti che un delfino meriti più attenzione di un toporagno. Ne cala che un musetto simpatico e qualche comparsata hollywoodiana delimitino il confine tra la vita e la morte. D'accordo, il delfino è più intelligente, più evoluto, almeno secondo noi. Perché magari il toporagno possiede la telepatia, la transustanziazione, il teletrasporto e conosce personalmente il sindaco di Vetralla. Ma se muore un delfino, raccapriccio, se muore un toporagno, la prossima volta cerchi di avere una connotazione più chiara. Essere meno intelligente, meno evoluto non dovrebbe essere un buon motivo per non meritare attenzione. E il fatto che Bush guidi il paese più potente del mondo, dimostra questa mia tesi.
Tornando alla razza umana si trovano altre misteriose disequazioni. A parte qualche raro (e spesso ingiustificato) caso di complesso di inferiorità, le persone si pongono generalmente nel confronto con il prossimo, basandosi sul presupposto del “sei un idiota” e non provate a negarlo: pensate ai precedenti partner del vostro consorte o alla gente in macchina la domenica. Inoltre il sistema democratico consente la libera competizione, vale a dire la ufficializzazione della diversità qualitativa (basata su valori imposti) tra le persone. Il desiderio di primeggiare in questa tenzone qualitativa che solitamente dà accesso a privilegi, macchine veloci e donne di malaffare, scatena comportamenti spesso antidemocratici. Questo non succede, per esempio, nell'ambito dell'intelligenza: tutti sono convinti di averne abbastanza.
Eppure la cultura sociale spinge da un lato sì, a darsi un tono, ma dall'altro a darsi un toner, per fotocopiarsi. Non a caso è la cultura che ha portato alla clonazione. Tutti desiderano essere come qualcun altro, di avere i suoi privilegi e questo non è un dettaglio irrilevante perché significa che solo loro vogliono essere così, perché se lo fossero tutti, quelli che prima erano privilegi diventerebbero normalità, quindi indesiderabile. Kierkegaard chiamava questa “la malattia mortale”, sebbene Barnard insistesse nell'affermare che la miocardiopatia dilatativa era “la malattia mortale”.
Guardiamo quello che facciamo con i nostri figli... vabbe' i vostri io non mi riproduco per decenza.
Siamo contenti quando i nostri bambini sembrano già grandi a un'età in cui sarebbe acconcio essere piccoli. Che ometto, che signorina...che palle. I bambini si vestono, si atteggiano, si muovono come degli adulti. Come degli adulti deficienti però. I maschietti sembrano delle rockstar nane, giocano a calcio e scimmiottando i comportamenti dei grandi, simulando falli, chiudendo piccoli arbitri negli sgabuzzini ed entrando in campo con i capelli unti. Le bambine sembrano delle veline riassunte, hanno le zinne accennate ma fanno le dive (cit). Vengono educati alla modellizzazione per poi ritrovarsi a cercare la propria personalità nel cesso di qualche discoteca, aspettando un genitore rassegnato che li venga a prendere.

Papà - “Perché hai le pupille così dilatate?”
Figlia - “Ehmm perché nel locale è buio... e tu?”
Papà - “Mi sono fatto una canna mentre aspettavo”

Non c'è uguaglianza nella vita e nemmeno nella morte, non me ne vogliano Totò e la sua livella. Se vieni stuprata e uccisa nella periferia di qualche città periferica, è normale... è uguale. Se muori in un incidente nel Ciad, si mobilita il ministero, i telegiornali (in ordine inverso) e un popolo di telespettatori commossi. Noi abbiamo sempre avuto questa fissazione per le cose straniere, anche per la morte straniera. Qualche privilegiato nella morte ce l'abbiamo anche qui, devo ammetterlo, ma ci vuole una villetta, i RIS di Parma, l'avvocato Taormina e il plastico di una uguale morbosità.
Insomma siamo uguali, non vorremmo esserlo ma lo pretendiamo. Sembra un discorso di Veltroni. L'uomo, la democrazia, la politica. Probabilmente sono cose nate da tre fonti diverse. Che ora, se esistono, ridono dentro un bar.
Siamo all'alba di una nuova legislatura. Non credo che il buon giorno si veda dal mattino, altrimenti la mia vita sessuale sarebbe molto più soddisfacente. Ma tanto... è uguale.

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martedì 8 aprile 2008

(Mi) Candido ovvero l'ottimismo


Il giornalista di riferimento del quotidianoimpegnato sale le scale con la consueta espressione di chi sopporta il peso di sapere ciò che la gente ignora e non poterlo dire. Dietro quello sguardo infingardo si cela il sollievo di non poterlo fare, perché non saprebbe come mettere insieme il tutto o semplicemente non ne avrebbe il coraggio. Quello che è certo è che non sa che cosa significhi infingardo sebbene l'abbia usato sgarbatamente nei suoi occhielli d'assalto.
Vorrebbe che quelle scale non finissero mai. La voglia di giungere a destinazione per intervistare la blogstar lanciata in politica, non gli è mai nemmeno passata vicino. Ma è il suo sporco lavoro ed è meglio che lo faccia lui, visti i benefit e l'assicurazione che copre le spese odontoiatriche. Come d'incanto smette di sperare nell'infinitezza scaligera. La sua carriera ha visto qualche anno di grandi aspirazioni e decenni per realizzarle nel tabacco. Quindi non ha il fiato per salire più di quanto facciano i suoi trigliceridi da scrivania. “Internet non dovrebbe arrivare così in alto – pensa – almeno non senza ascensore”. Grazie al cielo tutto ha una fine o un fine, dipende dal genere.

“Così lei ha deciso di candidarsi alle prossime politiche. Che cosa le fa pensare di meritare un posto in parlamento?”
“Sono un blogger molto conosciuto, ho meno di 45 anni, mi intendo di nuove tecnologie e sono avvezzo al confronto e al problem solving”
“Un blogger eh?”
“Certo, sa che cos'è?”
“Sì, almeno credo. Un'attività collaterale, tipo organizzare combattimenti di cani o ingerire ovuli e passare la frontiera. Giusto?”
“Il suo sarcasmo è fuori luogo. So che scriverà male di me. Voi ci temete”
“Per quanto riguarda il programma?”
Firefox naturalmente.”
“No intendo la piattaforma programmatica.”
“Ah, Wordpress.”
“Ok non importa, è comunque meglio di quella degli altri candidati. Quindi è importante che al governo ci siano persone giovani?”
“Sì esatto, sotto i 45 anni”
“Lei quanti anni ha?”
“43”
“Quindi tra due anni se ne andrebbe?”
“Non sono così ingenuo da cadere nelle sue trappole da bracconiere”
“Non era una trappola, era solo algebra”
“Lei non ci metterà in mezzo. Ormai siete solo degli imbrattacarte di regime, repressi nei vostri ideali, costretti a fare brandelli delle cose più vere: la passione, la forza... la verità”
“Molto poetico”
“Si nasconda pure nel cinismo, ma non potete più nemmeno sfangarla con la qualità. Siete piatti, banali e ridondanti. Per voi la politica è Carla Bruni, lo sport è il girovita di Ronaldo, la cronaca è sangue e morbosità. Sparate titoli alla nitroglicerina e poi scrivete pezzi alla camomilla. Tutto per i soldi, per il potere.”
“Il suo ultimo post si intitola Ieri l'ho preso dietro e sono ancora arrossato quindi oggi lo prendo davanti
“Era un saggio sui danni dell'esposizione ai raggi solari”
“Un casuale inciampo linguistico quindi? E io che pensavo fosse per attirare cliccatori onanistici”
“Noi non abbiamo editori alle spalle, dobbiamo pur promuoverci.”
“Torniamo alla questione candidatura. Perché il fatto di essere un blogger dovrebbe costituire un fattore di merito?”
“Internet è il futuro. Chi governerà deve conoscere come funziona il più grande sistema di aggregazione delle nuove generazioni. Deve considerarlo. E chi meglio di uno dei blogger più seguiti della rete.”
“Certo. Però ho qualche dubbio. Se togliamo chi naviga in cerca di stimoli per disperdere il seme, chi lo fa per esprimere, rubando, il proprio dissenso verso le case discografiche ladre e chi chatta (schifo di parola per descrivere da dove dgt?, meladai?), non credo che questa comunità di blogger possa dirsi una moltitudine e, di conseguenza, non vedo perché dovrebbe avere più credito, chessò, dell'associazione italiana cuochi e sommelier. A casa mia poi l'adsl non arriva nemmeno se le mando una bomboniera. Le bollette, quelle invece arrivano a frotte.”
“Questa è la tipica mentalità italiana. Arriviamo sempre dopo, affrontiamo i problemi quando ormai i tuoi sono scappati.”
“I miei?”
“Sì i tuoi buoi. Presto internet sarà il mezzo assoluto e noi sapremo solo giocarci, se alle persone come me non verrà dato lo spazio che meritano.”
“Ancora non ho capito che garanzie dia questo fatto di essere blogger. Chi mi dice che lei non sia come gli altri, che non faccia cose classiche da politico come abbandonare gli amici in difficoltà e poi fregiarsi del loro ricordo una volta che saranno troppo morti per giudicarvi?”
“Ora sta esagerando. Il suo è un canto del nigno. Siete vecchi. Niente è così vecchio come il giornale di oggi. Noi diamo un senso ai fatti, voi non fate che metterli in fila. La gente preferisce leggere noi perché non riesce più a leggere un giornale con incredulità. Noi siamo vivi, presenti e originali.”
“Cigno”
“Prego?”
“Canto del cigno non nigno.”
“Ho sbagliato a digitare.”
“E comunque, originali voi? Partite con due cose sincere e poi passate il tempo a copiare nell'ansia di essere dimenticati dai contatori di accessi.”
“Noi copiamo? Ma che faccia tosta. I giornali sono i bordelli del pensiero.”
“Questa è di Balzac.”
“Fate gli allarmisti. È l'unico modo che avete per rendervi interessanti.”
“Questo l'ha detto Schopenhauer.”
“Mmmm... Siete sfamati dagli oziosi, gli ignoranti, invidi e tristi?”
Alfieri.”
“Lei è in gamba lo sa?”
“Grazie”
“Scriverebbe un pezzo per il mio blog?”
“Piuttosto mi chiudo una mano in un tostapane”
“Ha già in mente per chi votare?”
“Certo, ho una famiglia da mantenere io”
“Nel senso che crede in chi voterà o chi voterà crede in lei?”
“Senta, io non ce l'ho con lei. Apprezzo quasi l'1% di voi blogger e apprezzo quasi l'1% di noi giornalisti (e tra questi io non ci sono). Riconosco anche, ad alcuni ottimi analisti e intrattenitori virtuali, il merito di aver ridimensionato la nostra professione, troppo occupata a scriversi addosso, a disprezzare chi non legge ciò che scriviamo e compatire chi lo fa, per non compatire il nostro lavoro. Ma tra voi e noi c'è una sola, determinante differenza. E non c'entra l'avere o meno un editore burattinaio, l'essere moderni, liberi o aperti al confronto.”
“E cosa allora?”
“Il blogger è fondamentalmente un pigro. È internet che vi da dei vantaggi, non siete voi ad averne in quanto blogger e la sua campagna elettorale lo dimostra. Avete più margine di manovra degli altri, non perché siete più liberi, ma perché in Italia la rete è vista come un'enorme Playstation. Noi mettiamo le mani nella merda, voi vi limitate a dire che puzza.”
“E voi perché non lo dite?”
“Perché a forza di starci dentro non la senti più. E perché la stampa libera può essere buona o cattiva, ma senza libertà può essere solo cattiva”
“Questa è di Camus
“Touchè”
“No no è Camus sono sicuro. E comunque non sono un pigro”
“Me lo dimostri”
“Non mi va... Magari ci faccio un post”

Il giornalista impegnato ripercorre le scale. Scendendo si percepisce meglio la gravità delle cose. Si rende conto che, per l'ennesima volta, ha voluto dimostrare invece che capire e questo, per un giornalista, significa essere alle prime armi o averlo fatto per troppo tempo. Sa che nel suo giudizio, che era bello e pronto già prima di arrivare, c'è un po' di invidia, ma anche questo fa parte delle tante cose che fortunatamente non può dire.

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