
Eutanasia. Lo so, ieri ho parlato di Prodi, l’altroieri di treni, oggi parlo di morte, di questo passo finirò a raccontare cose mostruose, tipo le condizioni psichiche degli autori di Buona Domenica, ma portate pazienza. L’etimologia della parola ci arriva dritta dritta dalla saggezza greca: eu è un prefisso che indica qualcosa di buono, di bene. Thanatos, come sappiamo tutti noi che abbiamo fatto l’ITIS, significa morte. Che cosa avrà di buono la morte, ve lo saprò dire. Letteralmente quindi buona morte. Un augurio insomma, tipo buon natale. Qui c’è subito un equivoco sintattico. Quando si qualifica una morte (che brutta morte per esempio), in realtà si descrive solo la parte viva del trapasso, cioè gli istanti che lo precedono e le condizioni che lo causano. Per esempio una buona fine la immaginiamo, rapida, indolore e possibilmente una volta stufi di donne, alcol e macchine potenti. Una spiacevole fine potrebbe invece arrivare tra atroci sofferenze, tipo 2 anni di stitichezza o sei mesi con Mazzocchi. Dal momento in cui si smette di avere funzioni vitali, invece, la morte è, in teoria, uguale per tutti. 'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella. Quindi la buona morte è in realtà un buon avvicinamento alla morte.
Che cosa distingue l’eutanasia dal suicidio (dal greco me so’ stufato)? Tenete a mente questa domanda che rispondo dopo….un po’ di suspance ci vuole.
Inutile nascondere che la più forte resistenza all’eutanasia, sia di tipo religioso. In quest’ottica, il motto in difesa della vita a tutti i costi è “la vita è un dono di Dio e solo Dio può decidere come e quando togliercela”. D’accordo. Però sarebbe meglio limitarsi alla seconda parte, cioè che Dio può decidere quando è ora. Perché questa storia del dono crea confusione. Primo perché qualcuno potrebbe obiettare di non aver potuto scegliere se venire al mondo o meno e quindi più che un dono, trattasi di azione deliberata. Secondo perché il fatto che si sia di fronte a un dono, non ha come diretta conseguenza che il donante possa decidere se e quando riappropriarsi del regalo. Se è così ditemelo perché quel maglioncino che ho regalato a mio cognato mi starebbe proprio bene.
Io accetto pacificamente queste posizioni. Mi risulta più difficile accettare che siano le uniche. Non trovo corretto che a una persona non credente venga imposto di prendere decisioni assolutamente personali come se fosse un credente. Allora dovremmo costringerlo anche a confessarsi, cresimarsi, ungersi estremamente eccetera, impedendogli una vita dignitosa di scelte e responsabilità. Continuando sulla falsariga religiosa, si presenta la spinosa questione delle macchine che tengono in vita. Su questo abbiamo ovviamente solo il parere degli uomini. La chiesa accetta che un uomo, naturalmente condannato a terminare la sua esistenza, allontani artificialmente la morte. Dio ci ha lasciati liberi di agire, sbagliare e dire farloccate (io ne sono prova ontologica): come possiamo essere sicuri che l’esercizio di combattere il naturale corso degli eventi, sia cosa buona e giusta? Mi si potrebbe obiettare che la costruzione di codeste macchine fa necessariamente parte, come tutto, del grande progetto divino. Ma a questo punto se tutto è progettato, è inutile che stiamo a discutere e fare referendum, tanto è già scritto anche se l’eutanasia sarà prevista o meno dalla legge degli uomini.
Un ultimo spunto da teologo di ringhiera. L’essere umano ha la simpatica tendenza a convincersi di essere sempre nel giusto (vi garantisco che è così), però qui qualcuno si sbaglia per forza e nessuno ne tiene conto. Nel mondo si professano centinaia di religioni: dalla congrega di nonna felice alle grandi fedi. Ma facciamo finta che esistano solo le religioni abramitiche. Qualcuno di questi tre si sta sbagliando e non ci piove. Forse tutti (se vogliamo buttare nel calderone anche gli atei), ma certamente molti, considerato che ognuna delle relative leggi divine esclude l’esistenza di altre realtà ultraterrene. Ne possiamo matematicamente dedurre, che esiste una consistente probabilità che mi venga impedito di fare scelte personali, in nome di leggi teologiche completamente sbagliate. Detto questo, chiudo la parentesi metafisica (che di questi tempi ha spesso ripercussioni fisiche) e mi apro verso il sociale. Se una comunità, decide in libera democrazia, che l’eutanasia è una pratica deleteria per il mantenimento e l’evoluzione della comunità stessa, allora mi adeguo, al limite non capisco, ma mi adeguo (o cambio comunità). Ma imporre una visione deistica della vita, sulle scelte assolutamente personali (qui non si parla di embrioni, aborto o cose che coinvolgono altre vite), a persone che di religioso hanno solo il tifo per la squadra di calcio, mi sembra non sbagliato in sé, ma lesivo dello sviluppo della consapevolezza personale e della libertà sociale.
Faccio umilmente notare, che non sto prendendo posizione sull’eutanasia, ma sui metodi e sui parametri che vengono usati per valutarne l’impatto umano.
Che domanda vi avevo chiesto di tenere in mente? E va be’ ma se non tenete nemmeno la pipì. Era la differenza tra eutanasia e suicidio. A livello pratico, questa differenza sta semplicemente nel fatto che il suicida ha la capacità motoria (ed emotiva) per togliersi la vita. L’eutanasia coinvolge chi non ha queste risorse. L’uomo tenuto in vita da una macchina, che può solo pensare e muovere gli occhi, se avesse per 30 secondi l’uso di uno solo braccio, si strapperebbe tubi e tubicini e la farebbe finita, divenendo suicida. Quindi tutta questa discussione sull’eutanasia e la sua non applicazione, si basa su due limiti: l’impossibilità dell’aspirante morituro di porre fine con le proprie forze alla sua vita e sulla paura di chi lo aiuterebbe volentieri, di finire in carcere. Per questo si vedono molti processi per eutanasia (omicidio) e pochissimi per suicidio.
C’è una sensazione di forte fastidio, nel vedere giochi socio-politici su una cosa così personale ed è difficile per tutti sentirsi dire “la tua vita non ti appartiene”. Allora dialoghiamo pure, ma manteniamo un minimo di serietà e rispetto anche delle persone, non solo delle religioni…almeno la stessa serietà che hanno i morti, come direbbe il fantasma del netturbino di Totò: “nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"
Che cosa distingue l’eutanasia dal suicidio (dal greco me so’ stufato)? Tenete a mente questa domanda che rispondo dopo….un po’ di suspance ci vuole.
Inutile nascondere che la più forte resistenza all’eutanasia, sia di tipo religioso. In quest’ottica, il motto in difesa della vita a tutti i costi è “la vita è un dono di Dio e solo Dio può decidere come e quando togliercela”. D’accordo. Però sarebbe meglio limitarsi alla seconda parte, cioè che Dio può decidere quando è ora. Perché questa storia del dono crea confusione. Primo perché qualcuno potrebbe obiettare di non aver potuto scegliere se venire al mondo o meno e quindi più che un dono, trattasi di azione deliberata. Secondo perché il fatto che si sia di fronte a un dono, non ha come diretta conseguenza che il donante possa decidere se e quando riappropriarsi del regalo. Se è così ditemelo perché quel maglioncino che ho regalato a mio cognato mi starebbe proprio bene.
Io accetto pacificamente queste posizioni. Mi risulta più difficile accettare che siano le uniche. Non trovo corretto che a una persona non credente venga imposto di prendere decisioni assolutamente personali come se fosse un credente. Allora dovremmo costringerlo anche a confessarsi, cresimarsi, ungersi estremamente eccetera, impedendogli una vita dignitosa di scelte e responsabilità. Continuando sulla falsariga religiosa, si presenta la spinosa questione delle macchine che tengono in vita. Su questo abbiamo ovviamente solo il parere degli uomini. La chiesa accetta che un uomo, naturalmente condannato a terminare la sua esistenza, allontani artificialmente la morte. Dio ci ha lasciati liberi di agire, sbagliare e dire farloccate (io ne sono prova ontologica): come possiamo essere sicuri che l’esercizio di combattere il naturale corso degli eventi, sia cosa buona e giusta? Mi si potrebbe obiettare che la costruzione di codeste macchine fa necessariamente parte, come tutto, del grande progetto divino. Ma a questo punto se tutto è progettato, è inutile che stiamo a discutere e fare referendum, tanto è già scritto anche se l’eutanasia sarà prevista o meno dalla legge degli uomini.
Un ultimo spunto da teologo di ringhiera. L’essere umano ha la simpatica tendenza a convincersi di essere sempre nel giusto (vi garantisco che è così), però qui qualcuno si sbaglia per forza e nessuno ne tiene conto. Nel mondo si professano centinaia di religioni: dalla congrega di nonna felice alle grandi fedi. Ma facciamo finta che esistano solo le religioni abramitiche. Qualcuno di questi tre si sta sbagliando e non ci piove. Forse tutti (se vogliamo buttare nel calderone anche gli atei), ma certamente molti, considerato che ognuna delle relative leggi divine esclude l’esistenza di altre realtà ultraterrene. Ne possiamo matematicamente dedurre, che esiste una consistente probabilità che mi venga impedito di fare scelte personali, in nome di leggi teologiche completamente sbagliate. Detto questo, chiudo la parentesi metafisica (che di questi tempi ha spesso ripercussioni fisiche) e mi apro verso il sociale. Se una comunità, decide in libera democrazia, che l’eutanasia è una pratica deleteria per il mantenimento e l’evoluzione della comunità stessa, allora mi adeguo, al limite non capisco, ma mi adeguo (o cambio comunità). Ma imporre una visione deistica della vita, sulle scelte assolutamente personali (qui non si parla di embrioni, aborto o cose che coinvolgono altre vite), a persone che di religioso hanno solo il tifo per la squadra di calcio, mi sembra non sbagliato in sé, ma lesivo dello sviluppo della consapevolezza personale e della libertà sociale.
Faccio umilmente notare, che non sto prendendo posizione sull’eutanasia, ma sui metodi e sui parametri che vengono usati per valutarne l’impatto umano.
Che domanda vi avevo chiesto di tenere in mente? E va be’ ma se non tenete nemmeno la pipì. Era la differenza tra eutanasia e suicidio. A livello pratico, questa differenza sta semplicemente nel fatto che il suicida ha la capacità motoria (ed emotiva) per togliersi la vita. L’eutanasia coinvolge chi non ha queste risorse. L’uomo tenuto in vita da una macchina, che può solo pensare e muovere gli occhi, se avesse per 30 secondi l’uso di uno solo braccio, si strapperebbe tubi e tubicini e la farebbe finita, divenendo suicida. Quindi tutta questa discussione sull’eutanasia e la sua non applicazione, si basa su due limiti: l’impossibilità dell’aspirante morituro di porre fine con le proprie forze alla sua vita e sulla paura di chi lo aiuterebbe volentieri, di finire in carcere. Per questo si vedono molti processi per eutanasia (omicidio) e pochissimi per suicidio.
C’è una sensazione di forte fastidio, nel vedere giochi socio-politici su una cosa così personale ed è difficile per tutti sentirsi dire “la tua vita non ti appartiene”. Allora dialoghiamo pure, ma manteniamo un minimo di serietà e rispetto anche delle persone, non solo delle religioni…almeno la stessa serietà che hanno i morti, come direbbe il fantasma del netturbino di Totò: “nuje simmo serie...appartenimmo à morte!"
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