Come si chiama il fiume di Bottego? Provate a porre questo quesito ad un italiano medio, di media cultura e con tutta probabilità vi sentireste ribattere: “ma dove si trova Bottego?” nel tentativo di assimilare qualche utile indizio; ebbene a questa domanda sareste costretti a rispondere “sotto terra!”. Già, perché Bottego non è una località o una regione, ma un ardito esploratore parmense (o parmigiano o parmenide) vissuto alla fine del secolo scorso (anzi di quello prima), le cui avventure sono degne di un libro di Salgari o di un film di Cameron. Ma sto divagando e non ho ancora dato la risposta al quesito. Anche se molti di voi la conoscono benissimo, e non mi riferisco a quanti, esperti di storia o fenomeni della geografia, potevano contare su di una cultura specifica, ma a chi, come me, è un semplice appassionato di parole crociate! Senza dubbio alcuno, posso infatti affermare che chiunque abbia perso il sonno e l’appetito litigando con gli schemi di Bartezzaghi senior (pace all’anima sua, ma con tutte le maledizioni che avrà preso, una salute ferrea proprio non poteva averla) e colleghi, che riempiono i periodici di enigmistica, avrebbe risposto senza indugio “Omo!” (finalmente). Omo è proprio il nome del famigerato fiume scoperto da Bottego in terra d’Africa. Una delle definizioni ricorrenti negli schemi di parole crociate. Del resto questo monosillabo si può “definire” così o con “prefisso per uguale” (ma è troppo semplice) o, al limite, con un acronimo, ma gli acronimi di tre lettere non sono di qualità (ma qui si sconfina nella filosofia della parola crociata). E così, dai e dai, ti entra in testa, come ti entra in testa che Aci fu ucciso da Polifemo, che Leandro amò Ero, ma anche che Antananarivo è la capitale del Madagascar o che i baffi del gatto si chiamano vibrisse e i denti delle forchette rebbi (o viceversa?). E che emozione scoprire che queste informazioni fuori dal gioco sono cultura; “decontestualizzata” è vero, nozionismo sterile forse – perché ammetto di non sapere che avrà mai fato il povero Aci per far arrabbiare tanto il ciclope monocolo, che per lungo tempo ho pensato (in gran segreto) a Leandro ed Ero come ad una coppia omosessuale e Antananarivo mi sembrava tanto una bibita esotica – ma, accidenti, io Omo lo sapevo ed ero l’unico nel mio condominio!
Non voglio certo esaltare questa sorta di pseudocultura (anche se metà delle cose che so, cioè quattro, le ho imparate dalla settimana enigmistica), ritengo solo interessante porre l’accento sull’incisività e l’importanza di queste fonti “alternative” del sapere, che trovano radici prolifiche in tanti altri insospettabili angoli della nostra era. Chi non ha letto almeno un Topolino, con tutti i suoi misteri e le contraddizioni zoologiche, è comunque un vero e proprio crogiolo dello scibile umano: i racconti ambientati splendidamente in vari periodi storici, le invenzioni di Archimede Pitagorico (una sorta di Verne a fumetti) con eta beta e le sue mutande magazzino, le lezioni pratiche delle Giovani Marmotte (anche se io il fuoco con il legnetti non sono mai riuscito a farlo e avevo il sospetto che il gran Mogol suggerisse le parole delle canzoni durante le gite) e infine quanti come me hanno appreso da Paperone tutto il possibile sull’oro e le monete? E che dire delle strisce di Penauts? I fumetti di Charlie Brown sono il miglior sunto del pensiero filosofico occidentale che io abbia mai letto.
Scavando in quel limbo di informazioni precariamente connesse che è il mio bagaglio culturale, trovo altri esempi di “sapere involontario”: il gioco di società Trivial Pursuit, il mitico quiz televisivo Doppio Slalom (condotto da un Corrado Tedeschi praticamente in fasce). E quante volte ho provato la strana sensazione di riscontrare nella realtà nozioni apprese per gioco. Perché proprio qui è il punto focale: queste esperienze ludiche non hanno mai millantato doti educative o formative, volevano solo farci divertire. E’ la “fregatura” nascosta che scoraggia: provate a pensare alla Divina Commedia a fumetti o il catechismo “rappato”: non può essere la stessa cosa, l’approccio è diverso (del resto anche l’acqua fa schifo se ce la ordina il medico) ed il risultato conseguente non ha lo stesso impatto emotivo del rendersi conto, un giorno, di conoscere involontariamente una cosa. Il pensiero corre a quelle generazioni di adolescenti che non hanno potuto usufruire di questi aspetti così allegri della cultura e che probabilmente hanno vissuto il passaggio dal mondo giocoso (limitato ad attività creativo-fisiche) a quello scolastico (troppo impostato e repressivo) molto più traumaticamente di chi, oggi, arriva a scuola (fortunatamente un po’ più elastica) sapendo navigare in internet, sapendo come vivevano i dinosauri nel giurassico (il perché siano scomparsi, questo Spielberg non lo dice) o sapendo che niente può viaggiare alla velocità della luce (a parte superman naturalmente, o nembokid per chi ha qualche anno in più). Probabilmente i bambini “pre-televisivi”, traevano stralci di conoscenza dai racconti degli anziani (perlopiù storia, un po’ di geografia e molta fantasia), ma i tempi e la tecnologia stanno soffocando questa tradizione. Se questo sia un bene o no, lascio a voi stabilirlo. Certo è un po’ triste l’immagine del nonno che la sera a casa dice al nipotino – puoi lasciar perdere un attimo Dylan Dog che ti racconto di quando mi hanno deportato? -. Già, perché queste “lezioni” facevano bene ai bambini, ma almeno altrettanto facevano bene agli anziani. Purtroppo questo, un bambino non lo capisce e i cartoni animati annoiano meno e fanno bene alle case produttrici (comunque anche gli anziani hanno sempre meno voglia di stare a casa e sempre meno cose da raccontare). Chissà, forse un giorno i bambini spiegheranno al loro insegnante di come il loro eroe dei fumetti abbia sfruttato le teorie einsteniane per sbarazzarsi del terribile nemico che minacciava la terra. E’ ovvio che questo andrà a penalizzare altri aspetti della vita di un ragazzo, siano essi i rapporti con la famiglia o due sani calci al pallone (o a un amico) nel cortile, ma il progresso fa il suo corso e le sue vittime.
Vi lascio con un inquietante interrogativo: durante le spedizioni di Bottego persero la vita trentasei uomini (tra cui lui) e furono scoperti nuovi territori in terra africana. Avrei saputo tutte queste cose se lui non avesse dato alla sua ultima scoperta un nome di tre lettere che ben si adatta alla costruzione di schemi di parole crociate?
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11 commenti:
Ho la vaga impressione che la nostra generazione (quella cioè dei nati tra il 1965 e al 1975) sia una delle più fortunate. Non solo per la acquisizione di nozioni o informazioni. Ora mi sembra tutto molto veloce,immediato. Noi abbiamo potuto formarci con libri, dischi, un po' di tv e parecchi giochi "dal vivo". Ora è tutto o quasi internet,mp3,scooter,tv. E mi sa proprio che i bambini e i ragazzi di oggi si perdano qualcosa.
insomma... mi sento discriminata! io nata nel 1977 e cresciuta tra i racconti delle nonne e topolino..
anche io pensavo che bambini cresciuti a botte di playstation perdessero qualcosa... poi mi sono ritrovata due cuginetti di 12 e 8 anni che possono perdersi un pomeriggio a leggere un libro sugli antichi egizi (la più grande) o a farsi spiegare (il più piccolo) la vita dei pesci da un sub dilettante molto affascinato dalla loro curiosità (mio padre)... e allora mi dico che forse non tutto è perduto e che, i tempi cambiano, le riposte alla curiosità dei bambini cambiano, ma la curiosità resta la stessa!
Probabilmente hai ragione, i bambini di oggi si perdono qualcosa. Ma loro non lo sanno, loro non lo possono sapere. Mica c'erano loro, ai "nostri" tempi; mica li conoscono loro i "nostri giochi dal vivo". E quindi in verità non possono nemmeno perdere nulla, dal loro punto di vista. Non sanno, non conoscono, non ri-conoscono. Non possono nemmeno accorgersi di quanto tutto corra velocemente intorno a loro. Loro corrono semplicemente dietro a noi, generazione fortunata, che ci rendiamo conto di vivere velocemente ma altrettanto velocemente ci dimentichiamo di lasciare loro i nostri giochi dal vivo.
Un Due Tre STELLA :)
"Quant'è bella giovinezza
che si fugge tuttavia!
Chi vuol essere lieto, sia:
di doman non c'è certezza."
ORIZZONTALI:1: il magnifico fiorentino
;)
ho letto il post e ,forse perchè ho passato troppo tempo a fare parole crociate e a temere il bartezzaghi,ho pensato a quanto ero sola e a quanti pomeriggi d'estate ho passato così.comunque senza indulgere in autocommiserazione,ho notato che le stesse cose dette dai commentatori,si trovano negli scritti di orazio(non l'amico d clarabella)e di altri poeti latini.mi ha fatto riflettere che già all'epoca,considerassero la loro generazione come privilegiata e la successiva sfortunata e in preda a frenesia.non è che voglia sfoggiare una cultura classica che peraltro non ho(quello che so l'ho imparato sulle parole crociate),ma è sempre divertente sapere che l'uomo non cambia il suo atteggiamento nelle varie fasi della vita,cambiano solo le epoche,e questo,sotto un certo aspetto,può essere rassicurante.
ciao
il maginifico fiorentino...mmmm.... batistuta?
lost è interessante quello che dici grazie alla tua classica cultura enigmistica. si riallaccia al mio post sull'illuminismo cosmico: ogni generazione pensa di essere al culmine dell'evoluzione e qualsiasi cambiamento non può che essere negativo.
schiaffetti sestupli a tutti.
cruman
Omonosillabo?
(Ben tornato!)
(Grazie)
prego!
Non dire erano che stefano si gratta!! Il padre è morto ma il figlio (stefano appunto) continua il suo lavoro e fa anche di più. Ha pubblicato diversi libri sull'enigmistica (quello più famoso è accavallavacca, un palindromo creato da un anonimo) e tiene una rubrica su repubblica (lessico e nuvole). Purtroppo per quanto riguarda la qualità degli schemi di parole crociate, a mio modesto parere, non si avvicina nemmeno ai livelli del padre. Forse perchè ha sempre voluto fare un po' l'innovativo e a molti romantici come me non è piaciuto.
Forse se aggiungesse un jr o un s. al nome che compare sugli schemi, noi nostalgici ci sentiremmo più sereni! :)
cruman
Che io sappia, ADESSO i Bartezzaghi sono due, ma prima erano tre. Si, è vero, i cruciverba sono facilini, ma tutto il rimanente stefanopensiero è all'altezza del prof. Umberto (Eco). E, a prescindere dal fiume di Bottego, mostra una conoscenza della lingua italiana che ormai è rara anche in molti scrittori e giornalisti! Nina.
sì Nina, quello che fa i cruciverba è Alessandro Bartezzaghi che crea schemi e altro cose anche con pseudonimi. Non è questione di facili o difficili è proprio un concetto di "qualità" che nel padre era indubbiamente inarrivabile. Invece il lavoro di Stefano (quello che scrive libri e tiene rubriche su vari giornali) a volte lo trovo un po' troppo autoreferenziale e accademico. IMHO
cruman
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