mercoledì 27 dicembre 2006

E se i Re Magi avessero usato Pacco Celere 1


L’attività lavorativa in Italia è scandita dalla dislocazione, nel calendario di fabbrica, dei cosiddetti “ponti”. I ponti sono quegli acrobatici affastellamenti di ferie residue, ore di recupero straordinari, riduzione orario, festività di cui si ignorano le origini e permessi per decessi di parenti lapponi, atti a far tramutare un semplice week end in una mesata di esodi meritevoli di un’altra bibbia in cui essere raccontati. A inizio anno, consultando il calendarietto omaggio da 0,1 euri della banca che vi estorce denaro per poter utilizzare il vostro denaro, si valuta se gli incastri dei giorni segnati in rosso consentiranno l’architettare dei suddetti ponti. Altrimenti l’anno viene considerato nefasto.
Il calendarietto è necessario perché alcuni giorni cari al Signore hanno la caratteristica di mutare la loro collocazione all’interno del giro di sole. La Pasqua, nella fattispecie, cade nella domenica successiva al primo plenilunio seguente l’equinozio di primavera. Lo so che lo sapevate tutti, ma non ve lo ricordavate. Tutti tranne un paio, fermi sostenitori della teoria che sia il Papa a stabilire la festività. Io lo sapevo e me lo ricordavo, però sono andato a leggerlo.
Altre date sono rassicuranti. Il 25 Dicembre è Natale, non ci sono santi (quelli sono il primo Novembre). Certo, è fastidioso che capiti sempre in un periodo in cui i negozi sono affollati, ma così è. Eppure qualcuno si lascia sorprendere lo stesso. Qualcuno che non consulta nemmeno il calendarietto della banca. Il qualcuno di cui vorrei parlare è le Poste Italiane.
Ecco, la solita facile ironia sulle poste, direte voi. Come sparare sulla croce rossa. Ma io non voglio sparare sulla croce rossa, voglio sparare sulle poste. Ammetto che non nutro un grande amore per questa struttura. Un po’ perché mi arrivano lettere spedite quando il francobollo costava 10 lire e mi fanno pagare la differenza. Un po’ perché farsi spedire una cosa dalla periferia costa più che farsela spedire da Londra. Un po’ perché mi arrivano bollette in ritardo e devo fare la fila allo sportello per pagare una mora a un impiegato che mi guarda come se gli stessi dando fastidio, mentre dovrebbe chiedermi scusa. Ma la cosa che più mi disassa il sistema nervoso è questa storia del Natale. Come si fa ad essere colti di sorpresa dal Natale? Le pubblicità dei panettoni cominciano a Ottobre!
Io mi ero mosso anche a compassione. Pensavo che, con l’avvento della posta elettronica, degli sms e del reciproco starsi sulle palle, i dipendenti delle poste fossero tutti sull’orlo della cassa integrazione causa mancanza lavoro. Poi però il traffico di pacchi e pacchettini scatenato da ebay e la testarda ostinazione ad esistere di babbo natale, hanno risollevato le sorti dell’azienda. Ma evidentemente nel managment sono tutti dei senza Dio, visto che ignorano la Sua data di nascita.
Sotto Natale ho spedito quattro pacchi, pagando una maggiorazione per potermi aggiudicare un servizio celere garantito in tottore. Tutti e quattro i plichi sono giunti nel doppio del tempo garantito (anzi, tre sono giunti, per il quarto il tracciamento recita una strana dicitura che ricorda molto la supercazzola di amici miei). Chiamando l’assistenza clienti mi sento rispondere che è Natale. Ah ah! Allora lo sapete che è Natale.
Provando ad uscire un attimo dall’italica mentalità del “si sa, le cose vanno così” ho riflettuto su questa vicenda. Ormai il Natale arriva con una certa regolarità da circa due millenni e sin dai tempi di Gaspare Zuzzurro e Baldassarre si recapitano doni. In pratica in quel periodo l’azienda poste ha un picco di lavoro. Uno potrebbe pensare che l’azienda, sapendolo per tempo, si organizzi per poter far fronte a questa situazione e non semplicemente istruendo operatori di call center a dire “è Natale”. Sarebbe come andare a Rimini d’estate e sentirsi dire dal bagnino “mi spiace non ho nessuno che vi porti l’ombrellone, sa, è estate”.
E’ anche possibile che la struttura non sia in grado di gestire una tale mole di spedizioni. Va bene, ci credo. Allora, visto che sapete che è Natale e che non avete le risorse per garantire le consegne dichiarate, non mi fate pagare gli extra per i recapiti veloci. Mi dite “guardi, è Natale e siamo tutti più buoni, non mi dia soldi in più per un servizio che so che non posso offrirle”.
Devo ammettere però, che la gentile operatrice del call center, non mi ha solo reso partecipe del gaudio della Natività. Mi ha anche reso consapevole del fatto che esistono dei simpatici moduli di reclamo (addirittura precompilati, e poi parlano di inefficienza) a cui non devo assolutamente scordare di allegare la ricevuta della raccomandata e perdendo qualche mattinata a farmi trattare come un disturbatore da uno dietro a uno sportello, potrò vedermi rimborsare un supplemento che mi verrà recapitato… a Natale.
Io fossi il re delle poste farei una bella iniziativa natalizia votata all’onestà intellettuale. Una promozione del tipo “Quest’anno ci siamo informati per tempo quindi dal 15 dicembre fino al 31 tutte le spedizioni costeranno il prezzo base e quando arriva arriva!!!”. Simpatica, generosa, democratica. Successo assicurato.
Comunque per non saper né leggere né scrivere, dovesse esserci un dirigente delle poste in ascolto mi permetto di fare un avviso preventivo: la Chiesa, tanto bistrattata, ma che fornisce un apprezzatissimo numero di festività, ha deciso, dimostrando scarsa fantasia, che anche nel 2007 il Bambinello vedrà (e porterà) la luce il 25 Dicembre. Segnatevelo.

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mercoledì 20 dicembre 2006

Sono l'uomo dell'anno


Il Time è un settimanale conosciuto in tutto il mondo. Io non conosco nessuno che ne abbia letto una sola pagina, ma per qualche motivo al di fuori delle mie corde è sufficiente arrotolarselo nella cavità ascellare per diventare fico di soprassalto. Non sto qui a dirvi gli sbalorditivi effetti sul vostro fascino nel caso in cui dovessero sorprendervi a leggerlo. Io ho fatto di più, sono finito in copertina, come uomo dell’anno. Di questo anno. E se nei prossimi 11 giorni non salta fuori qualcuno più uomo dell’anno di me, il titolo me lo porto a casa e me lo tengo. Altro che pallone d’oro.
Non vi ho detto che il Time è americano. Lo si può dedurre dal nome. Si chiama Time, mica panorama o espresso, che significa “tempo”, ma anche “volta” il che dà un senso di eternità, ma insieme ti suggerisce come sfogliarlo.
Sarò sincero: non sono solo io l’uomo dell’anno. Secondo il Time l’uomo dell’anno è un sacco di gente. “Tutte le persone che hanno partecipato all’esplosione della democrazia digitale” per la precisione. Essendo io uno dei 100 milioni di blogger che infestano (nel senso che ne fanno una festa) internet, mi ritengo un centomilionesimo di uomo dell’anno. Una sua cellula diciamo. Posso affermare che sto studiando da uomo dell’anno. Tra un paio di lustri potrei essere il suo scafoide.
Che una testata giornalistica, invece di premiare Zidane, abbia riconosciuto un merito a una comunità che ha messo alle strette il mondo dell’informazione come mai prima, è fatto degno di gridolini di piacere. Meno piacevole è stato scoprire con chi, io e i 99milioni e rotti, abbiamo dovuto misurarci prima di vincere la copertina più famosa del mondo dopo quella di Playboy.
Uno dei contendenti era Hu Jintao che non è l’ala destra del Perugia, ma il presidente della Cina, paese dove gli utilizzatori di internet sono considerati untori del male, il concetto di lavoro è fermo alla costruzione delle piramidi (ovviamente copiate da quelle egizie) e la pena di morte è una forma di indirizzamento educativo, una sorta di metodo Montessori del Chatai.
Altro temibile aspirante al titolo era Kim Jong-Il a capo di una nazione – la Corea del Nord – afflitta da una grave crisi di vocazione dei barbieri. Questo spettinato personaggio ha preso a cuore l’esplosiva situazione degli equilibri geopolitici e ha costruito delle enormi fionde con cui lanciare testate nucleari verso l’occidente (che nel suo caso diventa più comodo a oriente). L’idolatrato capo di stato, ha pensato bene di eseguire esperimenti atomici che devasteranno il territorio coreano per millenni per il nobile intento di proteggere il suo paese. Da chi? Da altre nazioni che fanno altri esperimenti. La guerra fredda ha questa comoda caratteristica: le bombe non hai bisogno di tirarle al nemico, ognuno si fa esplodere le proprie in casa e poi gonfia il petto come un tacchino imbizzarrito.
La lista dei candidati comprendeva anche il buon Mahmoud Ahmadinejad, capo di stato iraniano. Questo era davvero un osso duro in quanto a notorietà. Lo dimostra il fatto che tutti abbiano imparato a pronunciare il suo nome senza sputare un premolare. Per certi versi è assimilabile al precedente personaggio (ricorderete il loro famoso carteggio), ma da lui si distingue per la fattura dell’acconciatura e per le iniziative culturali davvero degne di nota. Non ultima, l’organizzazione di una conferenza internazionale volta a dimostrare che le 6 milioni di vittime della shoa godono, in realtà, di ottima salute e vivono in una località segreta protetti da un organizzazione gestita da Elvis Presley. Degna di plauso anche l’iniziativa di costruire centrali nucleari per alimentare le macchine che estraggono il petrolio.
A questo punto ho smesso di consultare l’elenco dei candidati e ho capito perché ho vinto io che sono solo un misero misantropo. Ho capito anche che l’uomo dell’anno non è un titolo di merito, ma una sorta di “chi ha fatto più caciara”. Altrimenti sarebbe come veder consegnare a Callisto Tanzi il premio di imprenditore dell’anno.
A questo punto ammetto di sentirmi meno fico per essere finito su un centomilionesimo di copertina del Time e a deprimermi ulteriormente ci pensa la motivazione che correda la nomination: “se voi scegliete un individuo dovete giustificare come questa persona ha influenzato milioni di altre persone. Ma scegliendo milioni di persone, come è accaduto quest’anno, non ci obbliga ad alcuna giustificazione”. Insomma non solo vince chi fa più cagnara, ma quest’anno non c’avevano nemmeno tanta voglia di star lì a ragionarci troppo. Forse erano in ritardo coi regali di Natale. Bella soddisfazione.
Faccio una proposta. Perché non premiare il basso profilo dell’anno. La persona che meno ha influenzato i propri simili, di cui non si avverte nemmeno l’esistenza. Che non è mai finito su un giornale o ospite a qualche quarto d’ora di celebrità. Io potrei candidarmi ancora: l’altro giorno ho incontrato il tizio che vive di fianco a me da 8 anni e parlando di varie inutilità mi ha chiesto “ma lei dove abita?”.
Non per insistere nel percorrere la strada del nichilismo, ma l’assenza non ha mai fatto danno (quindi non è l’uomo del danno) e di questi tempi è una qualità mica da ridere. Il prossimo anno voglio sulla copertina del Time la faccia di uno che generi un sincrono coro unanime di “e questo chi cazzo è?”.

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martedì 19 dicembre 2006

Un segno sulla macchina


“Buongiorno, dovrei assicurare il mio autoveicolo”
“Di che segno è?”
“L’autoveicolo?”
“Lei lei!”
“Leone, ma perché?”
“Ascendente?”
“Chi? Il leone? C’è anche un leone discendente?”
“Non faccia lo spiritoso o la metto bilancia che è la classe peggiore”
Pensavate fosse finita vero? Le compagnie assicuratrici valutano il vostro rischio ambientale in base ai parametri più morbosi. La professione, l’età, il sesso, il luogo di residenza, il tempo dedicato alle attività speleologiche nasali e via discorrendo. Manca solo un test di intelligenza, che forse sarebbe l’unico utile. L’ultima trovata è il piano astrale. Secondo una ricerca curata da Insurance Hotline e riportata da Virtualblog, è possibile stilare una classifica di pericolosità stradale in base al segno zodiacale che condizionerebbe il modo in cui ci si rapporta con la fauna automobilistica e con l’arredo urbano. Il tutto supportato da anni di statistiche che fanno della bilancia il più debosciato dei segni (come pilota si intende).
Lo studio non si è fermato ai meri numeri, ma ha anche delineato le caratteristiche dei 12 profili astrologico-stradali. Io me li sono letti e ho provato ad immaginare un breve tratto di autostrada in cui, per il destino baro, si venissero a trovare contemporaneamente 12 veicoli condotti da tutti i rappresentati dello spettro zodiacale.
La titubante bilancia, non prende mai una decisione chiara e ponderando con calma sul da farsi, traccheggia tra una corsia e l’altra occhieggiando con le frecce manco fosse natale (lo fosse). Nel mentre, sopraggiunge un acquario a 220 col gomito fuori, tronfio come un ippocampo e impulsivo come una murena. Sfanala come un marconista sulla sua torre, ma i lampeggi sono indistinguibili perché la sua auto tunizzata è una palla di luce tra neon colorati e scritte powerd by. Frattanto un ariete camionista esce in sorpasso nonostante l’acquario palla di luce, anzi, siccome l’acquario palla di luce. L’ariete si muove con autorità, protetto dalla legge, quella dell’impenetrabilità dei corpi. A poca distanza da questa pirotecnica orgia di luci, suoni, velocità e forza bruta, rotola un pesci sognante che trae motivo di romantica distrazione perfino dalla cementosa noia del new jersey, rischiando di finire contro la seconda casa (cantoniera). Sbadatamente sorpassa uno scorpione momentaneamente rallentato dal cambio cd. Accortosi dello smacco, al velenoso aracnide va il sangue ai fendinebbia e, premuto il tasto della velocità smodata, si lancia all’inseguimento attivando i rostri laterali squarcia lamiera.
Un cartello luminoso di segnalazione indica un pericolo sulla carreggiata, lampeggiando di rosso. Pessima scelta, per il toro al volante. Nessun problema invece per il sagittario, che guida col piglio del collaudatore. Parla al telefono con due persone agli auricolari e una al vivavoce, mentre regola la stazione radio, programma il palmare e aggiusta la traiettoria di curva con un colpo di alluce. Appena in tempo per evitare un capricorno che ha visto il cartello della sua uscita e da quel momento null’altro più esiste nel suo campo visivo e se proprio esiste, si sente in diritto di prendersela a male. Fortuna che la vergine, seduta a 4 millimetri dal volante, guida in preda a un costante nervosismo da attenzione. E’ capace di sbattere le palpebre due volte sole in un viaggio di seicento chilometri (ai caselli) e di inchiodare per evitare una famiglia di stercorari in gita.
Un povero cancro (che già non ha un nome proprio allegro) viene lampeggiato, sverniciato, suonato e infangato da un branco di pirati, ma lui sorride e prosegue la sua strada in una calma tibetana. Probabilmente sa qualcosa che noi non sappiamo. Altrettanto spensierato, il gemelli alla guida mangia, beve, legge, si fa la barba e si trucca (??) il tutto senza la minima traccia di cattiveria o senso di colpa. Per fortuna il generoso leone, condivide la sede stradale e rispetta ogni altra creatura del regno bitumato. Sarebbe perfetto, se non fosse costretto a viaggiare con un carrello tenda per trasportare il suo ego.

Strada facendo mi sono chiesto: visto che ci vogliamo affidare all’astrologia, perché non facciamo direttamente l’oroscopo? A questo punto la divinazione è la soluzione migliore:
“A che ora è nato lei?”
“Non so il primo orologio me l’hanno regalato alla comunione”
“Guardi non la possiamo assicurare, secondo il mago Zufus lei difficilmente uscirà indenne dal prossimo viaggio.”

A volte penso che dovrebbero inventare un’assicurazione che copra i danni causati dalle compagnie assicuratrici. Comunque, se volete far risparmiare i vostri figli in progetto, concepiteli in Novembre.

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mercoledì 13 dicembre 2006

Pubblico in privato


Che uno dice “perché non scrivi un libro?”, poi tu lo scrivi e un altro dice “perché hai scritto un libro?”. Perché me l’ha suggerito quello di prima, forse.
Uno pensa di scrivere un libro per soldi, per affermazione personale (se non sa giocare a calcio) o perché, meno frequentemente, ha qualcosa da dire, che nessuno ha mai detto o che qualcuno ha già detto ma disponendo le parole in un’altra sequenza o usando una moltitudine di sinonimi. Allora cominci a scrivere. Gesto aperto, perché, per i più, non precede una fine. Quanti inizi di libri vivono in apnea nei cassetti di inizi di scrittori? Quanti incipit depressi non incipitano nulla?
Ma poniamo di essere riusciti a finire il libro che ci frulla in testa da una vita. L’abbiamo finito, ormai lo odiamo, ma l’abbiamo finito. Adesso lo vogliamo proporre a questo ordine satanico che risponde al nome di editori. I grandi editori, scordiamoceli proprio, a meno che non abbiamo commesso qualche reato, ma uno grave, non pensate di cavarvela con l’abigeato o la malversazione oscena in luogo pubblico. No, ormai ci vuole almeno un genocidio o il furto dei ciccioli dal piatto del primo ministro. Oppure dobbiamo essere conosciuti da moltissima gente. A volte basta essere conosciuto da uno solo, però questo tizio deve avere una casa editrice.
Se non possiamo esibire tali credenziali, saremo costretti a dirottare le nostre mire verso più modeste realtà. Le quali sono spesso disposte ad ospitarci, se proprio non scriviamo come un troglodita privo del pollice opponibile per reggere la penna, ma che, in quanto modeste, facilmente ci chiederanno un sostegno economico per la produzione del tomino e ci garantiranno guadagni appena sufficienti per una quattro stagioni. Da portar via. Ma noi in questo libro ci crediamo, così accendiamo un mutuo e un cero alla Madonna e procediamo all’operazione editoriale.
A questo punto entra in scena un’altra casta sociale per molti versi assimilabile ai cugini di secondo grado di satana: i distributori. Costoro, oltre ad accaparrarsi una discreta fetta del prezzo di copertina, esercitano un potere assoluto, quasi superiore a quello di un edicolante, sulla vita e sulla morte delle opere letterarie. Nemica giurata di codesta setta è la confraternita dei librai. I librai, come i pasticceri con la millefoglie, finiscono in breve tempo con l’odiare i libri. In Italia uno smerciatore al dettaglio può essere travolto da più di 150 nuovi titoli al giorno e spesso preferirebbe dar loro fuoco piuttosto che trovare un posto per esporle.
E finalmente arriviamo all’ultimo personaggio di questa pantomima socio-economica: il cliente finale. Il lettore. Ora dirò una cosa che avrete sentito spesso, ma che a differenza di tutte le cose che si sentono dire spesso, è vera. In Italia scrivono tutti, ma non legge nessuno. Non solo, tra i peggiori lettori possiamo sicuramente considerare gli scrittori stessi. La maggior parte dei frequentatori di librerie, peraltro, è guidata dalla televisione che, nessuno lo sa, è munita di un controtelecomando con cui manovra gli spettatori. Una volta si diceva che la televisione era la morte dei libri, ma se ora non ci fosse lei a consigliare qualche lettura si potrebbe chiudere tutte le librerie e sfruttare gli spazi lasciati vuoti per aprire dei negozi di telefonini. Così in questi anni D.C: (dopo costanzo), Ferrara e Fazio sono i migliori sponsor che un autore possa avere. Perché la gente varca la soglia di queste botteghe scaffalate, già sentendosi un po’ migliore di quando era fuori e afferra il volume di riferimento (gesto catartico che monda la coscienza lordata da giorni e giorni di play station e OC), di cui hanno discettato intellettuali, nani e ballerine. Sborsa i soldi che si divideranno il distributore, l’editore e il libraio (l’autore di solito è a contratto) e il gioco è fatto. Leggerlo poi, rientra in un contesto autoreferenziale che meriterebbe una discussione a sé (argomento che ho già affrontato qui).
Ricapitolando… senza determinate entrature per le grandi case editrici siamo poco meno di una caccola. Tra le piccole, se siamo disposti a coprire i rischi economici, troveremo qualcuno disposto a pubblicarci anche se probabilmente ha letto solo la lettera di presentazione e l’indice. A questo punto la nostra opera è in mano alla setta dei distributori e se non finirà nelle librerie dell’area mineraria della Ruhr, dove il librario la tiene sotto al bancone per bilanciarlo, abbiamo qualche flebile speranza di vendere un migliaio di copie o, se va alla grande, cinque o sei mila. A meno di non divenire, per qualche imperscrutabile fenomeno sociale, una sorta di cult book, generando un alone di stupidità attorno a chi non ne possiede una copia.
Alla fine un solerte scribacchino pensa “mi faccio tutto da per me!”. Sfruttando questo pensiero, negli ultimi anni sono spuntate come funghi prataioli, specie nel sottobosco del web, società di service che stampano a bassi costi i nostri lavori e magari danno una mano a venderli. Certo non hanno l’esperienza e la cura di una casa editrice e di un distributore professionista, ma ci si sente meno in balia di fenomeni fuori controllo.
Ovviamente questo nuovo corso ha scatenato l’impeto produttivo delle masse grafomani. Risultato, il popolo dei non lettori, negli ultimi anni, è diventato non lettore di molti più libri di prima.
Io ci ho provato e alla fine ho deciso di fare tutto da solo. E siccome, come molti scrittori dilettanti, mi beerò dell’onanistica sensazione di stringere tra le mani il tomo frutto delle mie elucubrazioni, non dovrò preoccuparmi che la casa editrice vuole intitolarlo in maniera sexy (anche se non sa di che parla), che il distributore lavora per i suoi comodi e i librari fionderebbero il mio libro contro la vetrina. No. Ho fatto il libro come piace a me e se piace anche al mio vicino di casa, ne ho una copia anche per lui, anche se non ci parliamo dal 76. Devo ammettere che non l’ho proposto a molti editori. A uno solo, in effetti. Ma la centralinista è stata scortese e così con un gesto di specchiata maturità mi sono messo a piangere e ho deciso che mai più avrò a che fare con un editore.
Comunque le cose non sono facili nemmeno così, perchè anche facendo tutto da soli ci si scontra con quel drago sputafuoco del sistema normativo italiano, che considera l'iniziativa personale come un cancro da estirpare.
Ad ogni modo anche tutti voi non potete rimanere indifferenti alla mia opera letteraria, perché volenti o nolenti, ora siete non lettori anche di questa.

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lunedì 11 dicembre 2006

Leggeteci al cesso


Orfani del Maurizio Costanzo Show e dopo aver rifiutato i supplichevoli inviti di Fazio e Ferrara (che hanno dovuto ripiegare su personaggi minori tipo Celentano e Padoa Schioppa) eccoci a presentare nel luogo più congeniale, il primo prodotto editoriale di “Ce lo dice Hillman”. E’ l’informatica che lascia il posto alla stampa, il digitale che si rende tattile, il “c’è, ma non so dove sia” che diviene “passami quel libro”, il virtuale che diventa oggetto.
Dopo oltre 150 post io, Postatore Sano e Spaggio ci siamo guardati in faccia (ognuno nella propria) e abbiamo convenuto sui motivi che hanno portato alla nascita del libro tratto dal blog che miete successi sin dal 1876: “Post Scriptum”. Ecco riassunte le ragioni per cui farsi sfuggire il fenomeno editoriale del momento, sarebbe un’offesa alla memoria di Gutenberg:
  • Potrete leggerci al cesso.
  • Se avete il computer al cesso, potrete leggerci al mare.
  • Se vi collegate in UMTS dalla spiaggia, fatevi vedere da uno bravo.
  • Potrete leggerci mentre sarete nella sala d’attesa di quello bravo.
  • Il blog oggi c’è, domani chissà. Il libro è la memoria storica e non ha bisogno di antivirus.
  • In “Post Scriptum” troverete contenuti speciali inediti, come la vera storia dell’incontro dei tre autori.
  • Gira voce che sia ancora opinione comune che uno che legge libri sia più intelligente di uno che passa il tempo di fronte a uno schermo. Approfittatene!
  • Essere innovativi è un forma di affermazione sociale, come giocare a calcio o avere miliardi di debiti. Internet è piena di siti che parlano di libri; siate avanti: sfoggiate uno dei pochissimi libri che racconta un blog.
  • “Post Scriptum” è divertente, a volte fa pensare, altre volte fa arrabbiare. Proprio come un buon amico, ma il buon amico non puoi metterlo sotto la gamba del tavolo che balla.
  • Il libro è prodotto in modo indipendente. Al di fuori dal circuito delle case editrici e la cosa sta destando un interesse radical chic, verso le poche copie disponibili…

Come accaparrarselo:

Esiste una versione (tiratura limitata) la cui produzione è stata curata dagli stessi autori che si occuperanno anche di una piccola distribuzione presso librerie interessate o per contatto diretto

scrivete a cruman@gmail.com

Nel caso di impossibilità nostra o assenza di librerie fornite nelle vicinanze potete acquistare la versione stampata da “lulu.com” (famoso service di stampa e distribuzione on line) accedendo alla vetrina:

http://www.lulu.com/content/521481

dove potete anche scaricare la versione PDF

vi consigliamo comunque (soprattutto se siete interessati a più di una copia) di contattare prima noi per farvi suggerire il canale più adatto.

Librerie in cui potrete trovarlo (l’elenco verrà aggiornato costantemente):

Libreria all’Arco Via Emilia S.Stefano 3/D Reggio Emilia
Libreria Farini Via Farini 1 Reggio Emilia
Libreria UVER Viale Simonazzi 27 Reggio Emilia
Edicola Musi Via Ruggeri 2 Guastalla (Reggio Emilia)
Edicola Tabaccheria Capuccini Via Palazzina Scandiano (RE)
Libreria Marco Polo Corso Garibaldi 14/A Scandiano (RE)
Forno Il Nuovo Crostino Via Nasciuti 16 Campagnola (RE)
Cantina Garibaldi Piazza Garibaldi 16 Cavriago (RE)
Service Computer Vicolo dei Mille 3 Novellara (RE)
Libreria Ancora Via Santa Croce 35 Trento
Libreria Goliardica Via Fabio Severo 147 Trieste
Libreria Cortina Corso Marconi 34/a Torino
Libri e Libri Via Italia 22 Monza (MI)
Amicolibro Via Italia 11 Brugherio (MI)
Pastificio Pirola & Manzoni Via Dante 14 Brugherio (MI)
Lineadiconfine libri e... Via Antonio Ceriani 20 Milano
Il libraccio Via Arconati 16 Milano
ITALIAN MUSIC STORE Via Italia 39 BIELLA (BI)
Libreria Robin Via dei Seminari 6 Biella (BI)
Libreria Eusi – Via Cantore 135/D – Genova
Libreria dei Contrari Via della Resistenza 839 Vignola (MO)
Abbigliamento Mouse Ville Via di Mezzo 82 Vignola (MO)
Abbigliamento Mouse Ville Via Marconi 21 San Felice sul Panaro (MO)
Mondo Infoshop Via Mascarella 24/b Bologna
Libreria Librincontro Viale Roma, 89 Cesenatico (FC)
Libreria Librincontro Via Dante, 19 Cattolica (FC)
Libreria Librincontro Viale G.Regnoli, 12 Forlì (FC)
Libreria Librincontro Viale Ravenna,3 Milano Marittima (RA)
Libreria Rinascita Via Gramsci 334 Sesto Fiorentino (FI)
Libreria Edison Piazza della Repubblica 27/R Firenze
Libreria C.L.U. Via Ponchielli 5 Ellara di Corciano (PG)
Mondadori Via Cortonese 131 Perugia
Grimana Libri Piazza Fortebraccio 1/C Perugia
Libreria Moderna Via Garibaldi 272 Rieti
Libreria Cesaretti Via Pie' di Marmo 27 Roma
Libreria Le Muse Piazza Istria 24 Roma
Libreria Caffè Bohemien Via degli Zingari 36 Roma
Libreria Porta Felice Piazza Palestrina 10 Veroli (FR)
Cartolibreria Righe&Quadretti Via Luigi Polacchi 48 Pescara
Libreria Ideal Book via Epomeo 108 Napoli
Libreria Guglielmi Via Giovanni Bovio 76 Andria (BA)
Libreria Modus Vivendi Via Quintino Sella 79 Palermo

Sì non sono moltissime, ma se fosse stato facile non sarebbe stato così interessante.
Per qualsiasi informazione, per librerie, pub, macellerie o calzolai, scrivete a cruman@gmail.com

Tutti i dettagli, la rassegna stampa e altro si possono trovare qui:

http://www.celodicehillman.it/ps/istruzioni.htm


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domenica 10 dicembre 2006

Ausonio & Esperio #8






















Soggetto e sceneggiatura: Cruman
Grafica digitale e rendering: Bubi

giovedì 7 dicembre 2006

La maledizione di Montezemolo


Montezemolo ancora tutto spettinato dalla strigliata presa da Berlusconi a Vicenza, ha attinto coraggio da tutti i suoi cognomi e ha lanciato un’accusa pesante a quella metà del paese un po’ fannullona, un po’ parassita. Prima di risalire sulla Fiat Sedici (chiamata così per semplificare al cliente medio il compito di venire a capo dell’enigmatico 4X4), il buon Luca delizia la platea con un fugace parallelismo tra gli amministratori dell’azienda Italia e la Brembo, nota casa produttrice di sistemi atti ad arrestare veicoli lanciati a velocità smodata.
Ovviamente, in risposta a cotanta sfrontatezza, si sono levati gli scudi dei sindacati e dei governanti che hanno dovuto interrompere il loro alacre lavoro (tanto che sudo solo a guardarli) per rintuzzare l’amico di Schumacher.
A mio modestissimo parere, avrebbero dovuto ringraziarlo. Ha parlato solo del 50% degli italiani. Ricordo che Grillo aveva fatto un conto approssimativo: non considerando i dipendenti statali (quindi anche i politici), i pensionati, i bambini, gli studenti, i disoccupati, i falsi invalidi, i criminali e quelli oggettivamente impossibilitati a produrre, si può arrivare a un risultato per cui siano circa 3 milioni di persone (su quasi 60) a far girare l’economia. Io non ho i dati per verificare questa analisi, ma so una cosa molto importante che è sfuggita a tutti quelli che si sono indignati per le parole di LCDM. Una barzelletta. Sì proprio una battuta di spirito tristemente realistica che gira negli ambienti soprattutto della media azienda italiana.
Consulente in visita: “Quante persone lavorano in questa azienda?”
Responsabile di produzione: “Circa una su dieci”
L’Italia è il paese dei furbi, un po’ per necessità, un po’ per hobby. Dai a qualcuno la possibilità di ottenere vantaggi personali e quasi sicuramente ne approfitterà non interessandosi troppo delle conseguenze. Il fannullone col posto fisso è ampiamente tutelato qui da noi e i datori di lavoro hanno le mani legate dal punto di vista amministrativo. E allo Stato fa comodo che le aziende non licenzino, così non deve organizzare piani di reinserimento e ammortizzatori sociali. Questo genera tre mostri: il primo è il gravissimo danno nei confronti dei pochi che si danno da fare, che faticano il doppio (se non di più), guadagnano poco anche per colpa dei fannulloni e spesso sono sotto pressione perché facendo si sbaglia e uno che sbaglia è sempre visto peggio di uno che non fa. Il secondo è la tendenza sempre maggiore degli imprenditori a fare assunzioni a tempo determinato, per evitare di trovarsi in casa vita natural durante un danno con le gambe. Il terzo, subdolo e strisciante, è una sorta di lento e inesorabile mobbing che si viene a creare nei confronti di un lavoratore improduttivo che non si può licenziare. Scatta quindi una sorta di isolamento professionale che spesso diviene anche umano. Non è un caso che nei paesi europei con il più basso tasso di disoccupazione, ci sia prima di tutto una più evoluta cultura del lavoro, ma è anche consentito licenziare per motivi aziendali e i lavoratori vengono “attutiti” dallo stato, riqualificati e reinseriti nel circuito produttivo.
Ma gli imprenditori sono pur sempre italiani e spesso fanno altrettanto i furbi, è indubbio che serva una diversa cultura del lavoro anche per loro, ma capita sovente che un dedalo di burocrazia autoreferenziale, costringa soprattutto le piccole aziende (le più numerose in Italia) ad arrangiarsi in qualche modo. Vi garantisco che in questo sistema, creare una realtà aziendale e dei posti di lavoro dal nulla è un’impresa degna del commento “clamoroso al Cibali”. A meno di non avere uno zio d’America che se ne sbatte delle tasse di successione. E poi qualcuno si lamenta che sulle poltrone importanti delle grandi aziende ci sono tutti figli di papà. Non esiste altro sistema in Italia.
Non solo l’imprenditoria non è incentivata (a meno di non essere una donna, sotto i 12 anni, categoria protetta, che vive in una zona depressa – perché ci vive un senatore – e che vuole inventare un sistema che pulisce l’aria inquinata), ma viene immediatamente tartassata all’inverosimile. Inoltre, qualsiasi ometto, dell’INPS, della finanza, dell’asl, dei vigili del fuoco, dell’associazione dentisti, del comune, della provincia, della regione, dello Stato, dell’Europa, del mondo e anche oltre, che si svegli storto può piombarti in ditta e piantarti talmente tante grane da farti venir voglia di dargli le chiavi del miniufficio che hai messo su svenandoti e dirgli di spegnere le luci quando esce.
Ormai il panorama delle piccole imprese italiane è costellato di imprenditori che guadagnano meno dei loro dipendenti (se non ci perdono proprio), sono stressati il triplo e vengono considerati responsabili della sopravvivenza di famiglie di lavoratori. Magari di lavoratori a cui non interessa nulla della famiglia dell’imprenditore o anche solo di fare qualcosa per far funzionare l’azienda.
Vi garantisco, per esperienza personale, che mettersi lì a creare una realtà e dei posti di lavoro, senza amicizie influenti, senza farsi divorare dalle banche, nel rispetto di TUTTE le leggi, decreti, normative, locali, nazionali, europee, pagando TUTTE le tasse, balzelli, oboli, non volendo diventare ricco (cioè dandosi uno stipendio da fame), rispettando tutte le esigenze di chiunque… è la definizione più sbalorditiva di ciò che è impossibile. Nonostante ottime risorse umane.
Credo che Grandi (sottosegretario all’economia) intendesse questo quando ha sarcasticamente risposto che se gli imprenditori fossero più bravi non ci sarebbe stato bisogno dell’intervento sul cuneo fiscale. Ha ragione, non sono abbastanza bravi. Ma in mezzo a questa cambogia, se non hai delle grosse protezioni o un enorme conto in banca, non bisogna essere solo bravi, bisogna essere dei maghi e anche di quelli potenti.
Insomma Montezemolo, che pure ha le sue colpe, ha parlato bravo. L’economia italiana è frenata meglio di un disco al carbonio da fannulloni, da un apparato burocratico con tre teste e 4 testicoli e da un esercito di furbi qualunquisti, menefreghisti e superficiali.
Ora scusate, ma devo andare, la mia pausa caffè ha superato le due ore e entro in straordinari.

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martedì 5 dicembre 2006

Abbattuto un egomostro


Negli ultimi giorni mi sono occupato eccessivamente di me stesso e questo mi ha fatto sentire un po’ in colpa. Non devo abusare troppo del mio ego: io ci sono caduto dentro da piccolo (forse perché giocavo molto con lego). Per questo motivo cerco di occuparmi di tante cose, per distrarmi da me, per evitare che il mio ego corra troppo veloce. Lui è nato per correre. Il mio ego è aerodinamico (l’ho provato nella galleria del vanto). Fatto sta che ho preso una decisione drastica: l’ho mandato a giocare con l’es e mi sono concentrato su altro. Non è stato facile, al mio ego non piace l’es, dice che è un nevrotico, che non sa nemmeno lui quello che fa, che imbroglia a monopoli e che la sua stanza è disordinata e piena di macchie di Rorschach. Ma tant’è, mando l’anima e la coscienza a fare da badanti e libero da qualsiasi accessorio egoriferente, mi faccio spugna (e pure un po’ pendaglio da forca) di ciò che succede intorno a me.
Ho fatto una lista non ragionata delle cose che sembrano interessare maggiormente i miei simili per sentirmi un po’ più simile ed ecco il risultato.
Pare che molti campi di calcio siano infestati da entità ectoplasmiche, note come “gol fantasma”, che sgomentano milioni di persone. La cosa interessante è che, al contrario dei fantasmi standard (quelli da castello scozzese o teatro dell’opera) che impressionano le persone ma non le pellicole, questi si possono vedere solo attraverso immagini riprese con strumentazione tecnica evoluta. Anzi si può dire che esistano grazie a questi strumenti: prima della loro invenzione non ve ne era traccia. Sono molto fastidiosi: fanno rumore di catene (quelle roteate dai tifosi) e lasciano segni del loro passaggio nelle città, nei giornali e nelle televisioni per giorni e giorni. Per contrastarli, bizzarria umana, invece di eliminare gli strumenti che li creano, se ne inventano altri più complessi sperando che non generino mostri ancor più spaventosi.
Nel mentre, dal governo giunge un’altra modifica alla finanziaria. Ora il ticket per il pronto soccorso è disponibile in prevendita su internet e la tassa di successione è annullata se si lascia tutto ai propri genitori.
In giro per l’Europa diverse spie luminose alimentate a energia nucleare, si accendono e si spengono per sempre. Difettosa intermittenza natalizia. L’ex primo ministro russo Gaidar presenta i sintomi di una nuova malattia, mai diagnosticata su altri esseri umani. Dal Cremlino fanno sapere al Gaidar che questa forma di edonismo non è benvista. In questo presepe alla Tim Burton, fini intellettuali italiani chiedono ai bookmaker inglesi a quanto è dato Scaramella che non arriva a Natale.
Frattanto, una nuova modifica alla finanziaria elimina definitivamente il ticket di pronto soccorso, ma inserisce il tassametro sulle ambulanze. La tassa di successione sale al 10% nel caso di lascito al gatto. Il balzello si può pagare a rate o a ratti.
Il partito dei pensionati accusa Prodi di gerontofobia e si butta a destra (si butta insomma, si dirige passeggiando lentamente). Casini accusa la Casa delle Libertà di negargli spazio solo perché invidiosa del suo fascino e prende su tutto l’UDC (che l’aveva portato lui) e si butta a sinistra (dove il fascino viene molto apprezzato). I viceministri giapponesi si mettono a dieta per essere da esempio nella lotta all’obesità, ma qualcuno pensa che i sushi bar siano deserti per altri motivi. Nelle Fiji c’è stato il quarto colpo di stato in 20 anni. Io faccio il tombarolo a Casalpusterlengo e non mi lamento, quelli vivono alle Fiji e passano il tempo a farsi la guerra. E’ proprio vero che i sogni si infrangono sulle bianche spiagge.
Contestualmente giunge rettifica della finanziaria. Al pronto soccorso è possibile avere prestazioni gratuite se si entra cantando “she’s got a ticket to ride”, mentre sono concessi forti sconti sulla tassa di successione se si lascia tutto allo stato.
Avvenimenti di aggressività adolescenziale hanno spinto avvertiti psicologi e sociologi ben vestiti a dichiarare che l’uso dei telefonini con videocamera generi stupidità. Io continuo a pensare che semplicemente la ritragga. Ma i grandi non sono da meno e il pm Woodcock (pene legnoso) continua le sue indagini a sfondo sessuale e pare abbia nel mirino Lele Mora, famoso… noto… stimato… va beh famoso, e il fotografo Fabrizio Corona (invidiato marito di Nina Moric), al centro di una vicenda di illecite pressioni su varie modelle, soubrette e veline. Pare che i due fossero in possesso di immagini scottanti in cui queste ragazze appaiono completamente vestite!!!
Nello stesso istante un emendamento alla finanziaria consente a chi muore senza lasciare nulla a nessuno, di non pagare il ticket di pronto soccorso.

Sono un po’ stanco, il mio ego mi manca, torno da lui. Nella cameretta dell’es mi attende però una scena agghiacciante. L’ego è steso a terra con un pugnale piantato nella schiena. L’es dice che se anche è stato lui, non lo ha fatto consapevolmente. L’anima si rivolge a me in modo etereo e dice “non guardare me, lo sai che io non esisto”. La coscienza è sporca, di sangue. Inghiotte una caramella per l’alito e dichiara “ho visto tutto, si tratta di suicidio”.

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domenica 3 dicembre 2006

Ausonio & Esperio #7






















Soggetto e sceneggiatura: Cruman
Grafica digitale e rendering: Bubi

venerdì 1 dicembre 2006

Porca paletta che ridere!


C’è un sacco di gente che ride in Italia in questo periodo. Il riso fa bene, è indubbio, ma pare anche abbondi sulla bocca di non mi ricordo bene chi. Quelli che proprio si sbellicano sono i giornalisti. Questa faccenda Scaramella li diverte più di un film di Buster Keaton. Il verace personaggio (Scaramella, non Keaton) è stato appellato un po’ ovunque con termini come ridicolo, farlocco, grottesco, cialtrone e compagnia bella. Fino a ieri, nonostante 4 cadaveri (un generale, una giornalista e due ex agenti dei servizi russi) costellassero questa brutta storia, tutti ridevano. Mezza Londra (una capitale europea, se a qualcuno fosse sfuggito) contaminata da materiale radioattivo e giù a ridere, Scaramella è troppo divertente per pensare ad altro.
Oggi invece su la repubblica esce un articolo (non firmato) un po’ meno divertito. Riporta (illegalmente) le intercettazioni telefoniche tra Scaramella, Guzzanti ed altri soggetti, presentati un po’ come teatranti. Quanto tempo è passato dallo scandalo intercettazioni e dal decreto che rende punibile chi le diffonde? Non so, non mi ricordo, come non si ricorda quasi niente in Italia.
L’articolo comincia subito con un tecnicismo davvero sexy: “character assassination”, usato per definire la distruzione della reputazione di un personaggio importante. Secondo i giornalisti la commissione Mitrokhin serviva ad espletare questa funzione nei confronti di Prodi e qualche altro esponente della sinistra italiana. L’articolo continua seguendo una tecnica che gli inglesi chiamano “character assassination” nei confronti di quelli accusati di “assassinare il carattere” di Prodi. Questo lavoro, che è in piedi da diversi giorni, ora ha l’arma in più delle intercettazioni. Nello specifico, il punto focale è questo “coltivato è abbastanza” (riferito al rapporto tra Kgb e Prodi) che, addirittura nel titolo del pezzo, diventa un incredibile e virgolettato “Così incastreremo Prodi”. Il seguito è tutto incentrato su questo farloccone pasticcione di Scaramella che va a Mosca da qualche archivista che in cambio di una mazzetta di dollari, rilascia documenti che in teoria dovrebbero essere riservati (questo nell’articolo diventa “mettere insieme falsi dossier”). Io ho trovato interessante il fatto che basti dare 200 dollari a un tizio per venire a capo di segreti di stato. Il giornalista anonimo no.
Proseguendo ci si imbatte nell’intercettazione di una telefonata tra Aleksander Talik e sua moglie. Talik dice che non ci capisce niente di tutte queste storie di spie, attentati e intrecci politici. La signora Natasha risponde che è una storia completamente inventata. Al giornalista basta questo per definire la donna “la saggia moglie”. Ora, forse la conosce bene, forse fa colazione ogni mattina con Natasha Talikova (si dice così no?), altrimenti non mi spiego come l’ascolto di una frase intercettata a una donna che ricopre il ruolo istituzionale di “moglie di qualcuno” possa rendere il tutto una “saggia” testimonianza. E’ forse perché sostiene lo stesso pensiero del giornalista?
Io non discuto sulla saggezza della signora, perché non la conosco, ma Strelkov, Trofimov, Litvinenko, la Politkovskaia (tutti ammazzati in questa vicenda inventata) e un bel po’ di polonio 210 sparso per l’Europa dovrebbero essere elementi sufficienti per far pensare che qualcosa stia succedendo. Oppure tutto questo fa parte delle cialtronerie divertenti di Scaramella, ma se è così mi piacerebbe vederlo scritto, non solo sottointeso.
Di queste morti non parla più nessuno, sono tutti concentrati a difendere Prodi e screditare Scaramella. Gli stessi giornalisti tanto indignati per l’ennesimo e infame omicidio per mettere a tacere una collega, ora se la ridono di tutta questa faccenda perché in mezzo c’è Scaramella. Che ci sarà da ridere? Ci sono ancora italiani che si preoccupano per come vanno le cose e non solo di bisticciare per chi sta dalla parte di quello più figo. Qualcuno pensa che un italiano dotato di raziocinio sia “convincibile” che c’è una parte politica sporca e corrotta e una linda ed efficiente? Solo perché contro Berlusconi si possono mettere in piedi più di cento processi (quasi tutti inutili) facendo spendere allo stato i soldi di una manovrina, mentre solo a chiedere a Prodi di riferire in parlamento su faccende strane si ha in risposta un “ma siamo matti”?. Gli italiani pensano che chiunque ci sia al potere (politici, burocrati, apparati dello stato) abbia comunque le mani sporche. Lo so è un errore, ma è il frutto di questa cultura del bisticcio da stadio, in cui vince chi ha più merda per seppellire l’avversario (se uno è basso ce ne vuole meno). Delle cose importanti quindi, non si occupa nessuno o pochi Don Chisciotte (giornalisti da trincea, politici di confine, magistrati coraggiosi o semplici cittadini) tristemente destinati all’oblio se non alla distruzione mediatica e financo alla morte.
I giornalisti non capiscono (o capiscono) che alimentando questa faida da quattro soldi, continuano a tenerci fuori e lontani dalla verità, da quello che accade davvero, dai veri pericoli che ci minacciano. Tanto è inutile, nessuno convince nessuno di niente qui. E’ solo un continuo, disgustoso sputarsi in faccia.
Dopo aver parlato del polonio, nel mio blog sono finiti un certo numero di cittadini preoccupati. Gente che era a Londra, che ha volato sui B. Airways trovati contaminati. Sono finiti sul mio blog capite? Significa che di questi poveracci non si preoccupa nessuno. Non ho trovato un solo articolo di spiegazioni, di istruzioni, per le persone coinvolte e in ansia per la propria vita. Solo scazzottate politiche.
Alla fine dell’articolo di repubblica c’era un link baldanzoso a un’intervista "esclusiva" de l’espresso a Scaramella. Bene, mi dico, magari viene fuori qualche elemento interessante, visto che Scotland Yard lo tiene protetto e nascosto per qualche motivo (a meno di non essere anch’essa una mandria di cialtroni). L’intervista è agghiacciante. Dopo un martellamento (che ha del processuale) sul curriculum di Scaramella, nel tentativo di smantellare la sua immagine, penso che si arriverà al sodo, che il giornalista finalmente punterà ai temi scottanti. La domanda seguente riguarda la diceria che l’intervistato una volta abbia usato indebitamente una paletta della polizia per fermare delle macchine!!!
Ma la paletta??? Come Alberto Tomba? Ma chi se ne frega. Voglio dire se ha fatto il birichino e si è anche ripreso col cellulare se ne occuperà chi di dovere se ce n’è bisogno. Non mi interessa sapere se il giornalista è pro o contro Scaramella, se pensa che Prodi sia figlio di Maria o nipote di Stalin. Io voglio sapere perché la gente muore, perché i veri poveracci che ormai hanno paura a viaggiare e persino a parlare, si sentono pedine nelle mani di gente senza scrupoli. Voglio sapere perché non si sa mai niente e perché non si è mai tranquilli, sereni, in nessun posto, in nessuna realtà sociale. Perché il potere, di qualsiasi colore, è sempre visto come un enorme mostro da cui non ci si può difendere. Vedo solo giornalisti dalla parte di uno o dell’altro, ma dalla parte di chi potere non ne ha e non ne ha mai avuto, chi c’è?

P.S. Postumo (di 12 ore)
Non è certo merito mio ma delle condizioni di salute di Scaramella, fatto sta che sono sparite risate e intercettazioni ed ora è pieno di preoccupati toni allarmistici per la tutela dei cittadini a cui tutti tengono molto.

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giovedì 30 novembre 2006

Più concorrenza per Totti


C’è Totti che girovaga in Ferrari e fin qui niente di strano, anche se non mi sembra il mezzo più adatto per andare a distribuire scatolotti, però er pupone su un Ducato non era sexy. C’è Gattuso che si fa la permanente sotto un casco da parrucchiere e un po’ anomalo è, ma Postatore Sano dice che è una trovata degna del miglior neorealismo alla Eisenstein. Poi c’è una biondona con curve in posti dove le altre donne non hanno nemmeno i posti, che afferra un monitor 14 pollici 4 colori, come non se ne vedevano dai tempi del Basic, lo solleva come se fosse vuoto e tenta di scaraventarlo a terra, tutto perché non le funziona la connessione a internet dopo che il centravanti della Roma gli è entrato in casa mentre dormiva per staccarle il cavo telefonico. Questo forse ha senso e qualche critico socio televisivo potrebbe supporre che l’avvenimento tende a dimostrare che la specie femminile è avvezza a dare le colpe delle proprie sventure al primo accrocchio che le passa sotto mano oppure che il calcio sta cominciando ad invadere la nostra vita in maniera ormai inaccettabile.
Infine, apoteosi del simbolismo, il calciatore di cui sopra afferra l’etichetta col numero di telefono fisso della biondona e lo ingloba nel telefonino tuttofare, rendendo il telefono fisso infisso così che possa uscire da porte e finestre. Questo gesto ha avuto due conseguenze di ampia portata: la prima è il mio stupore nello scoprire che ancora qualcuno ha il proprio numero di telefono etichettato sull’apparecchio di casa. Antica tradizione caduta in disuso quando un coraggioso innovatore si è chiesto “ma a che cacchio serve?”. La seconda è stata la baraonda scatenata da Telecom con conseguente blocco dell’iniziativa e degli spot. Perché? A causa di Gattuso che fa la permanente, penserete voi. No, anche io avrei scommesso su quello, invece si tratta delle solite beghe economiche. La Telecom sostiene che questa fantasiosa operazione commerciale si configuri come “illecito concorrenziale” e il tribunale di Roma, rifacendosi al saggio adagio latino “non si sa mai”, sospende tutto. Il che non deve essere salutare per il cuoio capelluto di Gattuso.
Concorrenza. Curioso che la Telecom sappia di che cosa si tratti. C’è stato un periodo, piuttosto lungo, diciamo che sfiora l’infinitudine, in cui la SIP (!) non ha avuto un solo straccio di competitore e ha fatto un po’ i propri comodini. Alcuni esempi. Perché devo pagare io le spese di spedizione della bolletta? Dove si è mai vista una cosa del genere (a parte in banca)? Se comprate un servizio su internet o via posta, quando arriva la fattura non arriva con il francobollo da pagare. Una volta mi arrivò una bolletta già scaduta e mi fecero pagare la mora (senza doppi sensi). Io vibrai sentita protesta e mi fu risposto di prendermela con le poste. La mia obiezione fu: “IO devo prendermela con le poste? Io sono cliente vostro non delle poste, le poste italiane sono un VOSTRO fornitore di servizi che VOI avete scelto di usare, per me potete mandarmi le bollette anche con dei levrieri afgani da corsa o con un pipistrello viaggiatore, ma se il VOSTRO fornitore di servizi lavora male ve la vedrete VOI non io. Dimmi te se per avere un servizio telefonico devo litigare con le poste, un bel paradosso no?”. La risposta del gentilissimo addetto fu “para...che???”.
E ancora: perché devo pagare canoni esagerati per servizi che per l’azienda hanno un costo vivo praticamente nullo? A metà anni novanta attivai il mio primo cellulare con la Tim. La burocratica operazione (che oggi sembrerebbe un rogito) mi costò 333.000 lirette. Poco dopo, sempre la Vodafone (che allora si chiamava Omnitel), offrì un’attivazione veloce e gratuita. Una settimana più avanti anche la Tim comincio a “regalare” contratti. E le 333.000??? Come fa un’azienda a portare a zero il costo di un prodotto che una settimana prima era 333.000? Aridateme i soldi! E se la Omnitel non fosse comparsa? Ci sarebbe ancora un truffaldino balzello di 171,98 euri?
Ma oggi le cose sono cambiate. Fare concorrenza alla Telecom è legale, solo che è impossibile. L’unica depositaria delle tecnologie e degli impianti di telecomunicazione sta rendendo il progresso lento, magari ragionato, ma lento, molto lento. Siamo agli ultimi posti in fatto di potenziamento delle linee e di allargamento e liberalizzazione delle offerte. Alla faccia del Voice Over IP e dell’adeguamento delle tariffe. Un inciso per i profani: il VOIP è un sistema che permette di telefonare a costi bassissimi attraverso la linea internet. E’ necessaria però una linea veloce che può fornire il detentore delle strutture, detentore che però avrebbe un calo del vantaggioso (per l’azienda) utilizzo delle linee normali… La fine dell’inciso fatela voi.
Liberarsi dal canone Telecom è ancora una chimera per la maggior parte dei cittadini che, frattanto, convivono con un’assistenza che non si impegna un granchè visto che non ci guadagna niente e non ha problemi di concorrenza. Sì perché anche l’ultimo miglio è solo una bella parola nota perlopiù ai maratoneti anglosassoni. La possibilità per altri gestori di portarvi in casa la loro connessione è una realtà solo sulla carta. Dal 1998 (data di inizio del processo di liberalizzazione) la Telecom ha reso possibile l’allacciamento per altre compagnie a circa 500 mila famiglie su 20 milioni! Di questo passo si potrà parlare di reale concorrenza tra circa un quarto di secolo. Così molti gestori sono costretti a proporre ai clienti il rimborso di un canone pagato obbligatoriamente per un servizio praticamente inutilizzato.
In questo scenario orwelliano fa un po’ senso sentire il colosso proprietario unico delle telecomunicazioni in Italia, lamentarsi di concorrenza sleale. Intendiamoci, magari la manovra di Vodafone è davvero un po’ acrobatica, ma a me quelle 333.000 lire mi stanno ancora sul piloro e credo che se nessuno metterà un po’ di pepe nel posto giusto alla Telecom, resteremo ancora per molto tempo in condizioni di effettivo monopolio e, cosa peggiore, in condizioni di arretratezza tecnologica ed economica, facendoci ridere dietro da mezzo mondo, persino da San Marino, con i nostri canoni, tariffazione a tempo e altre macchinazioni giurassiche.
Scusate, c’è giù Totti con la Ferrari che blocca il traffico e non se ne va finchè non mi regala 1000 euro di telefonate 4 cellulari e un monitor 14 pollici fracassato. Io gli ho detto di no, ma dice che se rifiuto mi fa svegliare tutte le mattine da Gattuso con un tackle in scivolata.

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martedì 28 novembre 2006

La vita non è un (micro)film


Avete presente i film di James Bond? Quelli dove tutti sono spie o controspie o amici di spie. Non ci sono persone normali, poliziotti normali o politici onesti se non per morire per mano di qualche psicotico megalomane che vuole sterminare il genere umano in un millisecondo, ma quando ha per le mani James Bond escogita un modo per ucciderlo lento e colmo di possibilità di fuga. Quei film dove una stilografica è un microfilm, un cappello è una centrale a fusione, un’automobile è all’occorrenza un aereo, un motoscafo o un capo di abbigliamento e il cattivo che si ravvede ha sempre uno stacco di coscia letale. Ecco, quei film hanno una caratteristica tautologica: sono dei film. Sticazzi!!!
Alle volte giungo a conclusioni sorprendenti lo so, ma non fatevi distrarre dal mio naso aquilino (nel senso di fiuto non di profilo). In questi giorni ascoltando i telegiornali con attenzione ci si accorge che tra il pallone d’oro a un giocatore di serie B e la moviola dello svenimento di Berlusconi, si staglia gagliarda una spy story alla Le Carrè: la morte dell’ex agente dei servizi segreti russi Litvinenko, avvelenato con il polonio 210. Ora voi non ci crederete, ma questa storia è vera, cioè questo tizio è morto davvero e dal fatto che non abbia abbandonato il mondo dei meno partecipando, novantenne, a un festino di cheerleader, si può dedurre che qualche altro tizio lo abbia tolto di mezzo per uno di quei motivi che nei telefilm del tenente Colombo vengono definiti “movente” con un tecnicismo di alta scuola.
Che ai media prema solo la parte romanzesca della vicenda è dimostrato dal completo disinteresse nei confronti degli elementi determinanti che renderebbero la storia dannatamente reale e preoccupante, perdendo quel fascino che ci fa addormentare con un libro di Fleming sulla faccia. I riferimenti alla commissione Mitrokhin, all’omicidio della giornalista russa, alle vicende di Cecenia, al fallimento della Yucos e a Paolo Guzzanti, sono solo accennati speditamente per non rendere troppo noioso l’intreccio. Però una cosa lascia veramente inebetiti. Non ho trovato scarabocchiato in qualche tabloid da un euro o sussurrato da una tgrotocalco, nemmeno una parola sull’arma del delitto. Dico, qualsiasi investigatore da strapazzo sa quanti elementi (in questo caso chimici) può fornire l’analisi dell’arma utilizzata… persino Derrik. Per Cogne si piange miseria da anni perché non si è trovata e qui che c’è viene snobbata come una maglietta fuori moda.
L’arma usata per un omicidio suggerisce spesso alcuni dettagli sul colpevole (se è uomo o donna per esempio) e sulle circostanze in cui si è svolto l’atto criminoso (se premeditato o frutto di raptus).
Io non ho scritto nemmeno un libro giallo eppure la prima cosa che mi sono chiesto è stata “perché il polonio?”. Quanti modi ci sono per uccidere un uomo? Molti di più di quelli per tenerlo in vita. Allora perché un sistema così plateale? Perché utilizzare un veleno che dice così tanto dei colpevoli quando si poteva simulare un incidente, un infarto, un aggressione di un balordo e altre trovate a cui si è già fatto ricorso? L’omicidio è anche un messaggio. Per forza.
Il polonio non è certo un veleno che passa inosservato e chi l’ha usato doveva conoscerlo bene o adesso sarebbe molto in ansia. Teoria supportata dall’utilizzo dell’isotopo con minor tempo di dimezzamento (emivita per dirla in maniera più sexy) e comunque anche il più “economico” da produrre. E’ un metalloide rarissimo: in natura se ne trova nei minerali dell’uranio in concentrazione di 100 microgrammi per tonnellata. Roba che non si trova dal pizzicagnolo insomma o come direbbero nei telefilm “il cerchio si restringe molto”. Altrimenti è possibile ottenerlo sfruttando i neutroni prodotti nei reattori nucleari, altra risorsa che non puoi certo comprare a rate da mediaworld. Queste le deduzioni più ovvie, ma si potrebbe andare ulteriormente a fondo. Gli assassini non hanno certo voluto fare un “lavoretto pulito”, anzi. La tollerabilità del polonio da parte dell’organismo umano è di 6,8 miliardesimi di grammo. Avete presente un miliardesimo di grammo? Io no e credo nemmeno gli autori dell’avvelenamento visto che hanno praticamente contaminato mezza Londra. Perché tanta grazia, tanta voglia di “far vedere”? E di nuovo, perché un veleno così particolare, così raro eppure così identificabile? Perché non il radio o un veleno da nonnina stile arsenico e vecchi merletti?
Il polonio è stato scoperto dai Curie nel 1902 e fu così chiamato in onore del paese di nascita di Marie Curie, ma anche per porre l’accento sulla situazione della Polonia, in lotta per rendersi indipendente… dalla Russia. Esattamente come la Cecenia, su cui stava indagando la Politkovskaya di cui Litvinenko era informatore (uccisa con delle banalissime revolverate). Il polonio fu il primo elemento chimico con una valenza geopolitica. Questo potrebbe far pensare con un buon margine di sicumera, che i mandanti vadano cercati verso est. Eh, si vede proprio che non leggete i gialli. Se la mano insanguinata provenisse da lì, non avrebbe lasciato così tante tracce (pure radioattive), quindi è possibile che qualcuno voglia far credere che il killer provenga dal freddo. Eh, si vede che leggete pochi gialli. Forse sono state lasciate così tante tracce proprio per far ritenere assurdo che i servizi segreti russi si siano mossi con tanta goffaggine e quindi depistare.
Bella storia vero? E io so solo quello che qualsiasi persona normale (cioè quelli che muoiono tranquillamente nei film di spionaggio) può sapere.
Ma qui nessuno vuole scrivere libri. Forse sarebbe il caso di ascoltare e proteggere le persone che sanno più di me e che stanno rischiando la vita in nome di verità che vengono nascoste facilmente grazie al fatto che pochissimi le vogliono ascoltare. Forse è il caso di dar peso a ciò che dice Paolo Guzzanti, invece di pettinare bambole sulla sua tendenza politica, perché qui le persone muoiono davvero e quel mondo che ci sembra lontano e romanzesco, fatto di controspionaggi, intrighi internazionali e complotti occulti esiste davvero e il terrore dei londinesi è una delle tante conseguenze. Solo dando voce alle verità che fa comodo nascondere, si potrà indebolirlo.

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domenica 26 novembre 2006

Ausonio & Esperio #6






















Soggetto e sceneggiatura: Cruman
Grafica digitale e rendering: Bubi

venerdì 24 novembre 2006

Matrix Reality (segui la cozza)


Avevo appena spento il computer e con lui tutte quelle entità che ci vivono dentro, quelle con cui comunico quando l’accrocchio meccanico è acceso e che poi vanno in uno di quei posti misteriosi, tipo dove si rifugiano le zanzare d’inverno, finchè non do di nuovo corrente per inserirmi nella rete di gente come me, che detesta i vicini di casa per il semplice fatto che sono vicini.
Avevo spento, sono sicuro, ma lui non era convinto e si riaccese d’iniziativa. Io feci un’espressione da film dell’orrore di ordine non primo, giusto per un tempo da copione, poi staccai la spina e andai verso il letto dicendo qualcosa su Edison ed altre divinità. Ma lui rifiorì anche senza spina. E mi parlò: disse “segui la cozza”. Feci qualche altra espressione e aprii il forno a microonde. In quel momento bussarono alla porta. “Non è finita qui” pensai verso il computer e andai a vedere all’uscio se qualcun altro si voleva candidare alla microcottura. Era un testimone, ligure credo, non ho capito bene. Con lui una ragazza, credo, qualcosa di prossimo a una ragazza. Mi dissero che seguendoli avrei cambiato la mia vita e vinto uno sconto per un abbonamento a Torre di Guardia, da oggi alla fine del mondo. Lei era davvero poco piacente… una cozza insomma. Sulla spalla aveva tatuato un limone… li seguii. Mi portarono a una festa spensierata, dove alcune cubiste si dimenavano consapevoli di aver ereditato l’errore dei progenitori che si sono resi indipendenti da Dio e anche un discreto fondoschiena. In un angolo, appoggiato a una colonna c’era il solito disadattato: rideva, beveva e scrutava culi senza capirne il significato intrinseco.
Seguii la cozza. Mi condusse all’interno di un salone arredato da due poltrone e un uomo che ne utilizzava una. L’uomo si alzò e distinguendosi dalle poltrone, parlò.
“Il mio nome è Orpheus, ma puoi chiamarmi Luciano” disse quasi senza muovere un muscolo, tanto che avevo ancora qualche dubbio sulla possibilità che fosse una poltrona.
“Che cosa vuoi da me… Luciano?” chiesi infastidito dall’ambiente e dal chinotto e red bull bevuto al bar escatology.
“Io ti propongo la scelta più importante della tua vita, di quella che tu credi sia la tua vita” e tirò fuori dalle tasche le sue mani mostrandomi due bussolotti colorati “pillola bianca: questa serata non sarà mai successa, ti sveglierai nel tuo letto e continuerai la tua triste vita tra fotomodelle, macchine veloci e soldi. Pillola marrone: la tua consapevolezza raggiungerà livelli che non puoi nemmeno immaginare, la coscienza si espanderà fino a farti male, la conoscenza ti apparterrà, tu sarai la conoscenza, nessun mistero, nessun dubbio, nessun dogma, nessun dorma”
“Strane pillole, che forma hanno?” dissi fingendo di non prestare attenzione.
“Ehmm… sono supposte, le pillole le abbiamo finite”
“Un’endovena?”
“Non distrarti ora, hai poco tempo per decidere. Per scegliere di sapere che cosa succede davvero attorno a te, di uscire dalla realtà che ti hanno costruito intorno e vedere con i tuoi occhi la verità. Saprai quello che non dicono sui più grandi misteri della storia, saprai la verità sui poteri che muovono il mondo, sulle armi e le malattie create dall’uomo, saprai quello che non si dice sul cancro, sui retrovirus, sulle medicine, su armi batteriologiche, su folli piani di controllo dell’umanità, sui governi, sui servizi segreti… a proposito, il tuo vicino di casa è Bin Laden
“Ecco perché quella carta da parati finto roccia” mi aveva scosso ma non volevo darlo a vedere.
“Sei scosso vero?”
Fanculo, pensai.
“A soreta. Lo capisco, ma abbiamo bisogno di gente come te, dobbiamo risvegliare il pianeta, dal torpore e dal controllo mentale che subisce” disse porgendomi la supposta marrone (colore che gettava dubbi sul reale percorso che la riguardava).
“Fammi capire. Devo rinunciare alla mia vita divertente e colma di soddisfazioni, per immergermi in uno scenario catastrofico, fatto di dolore e morte?”
“Vedo che cominci a capire, mi fa piacere, che cosa decidi?”
“Aspetta che ci penso… NO!”
Era deluso ma non voleva darlo a vedere.
“Sei deluso vero?” chiesi malcelando soddisfazione e un ruttino da red bull.
“No, l’Oracolo aveva previsto tutto. L’Oracolo non sbaglia mai, i suoi messaggi sono di difficile lettura, ma dopo aver parlato con lei non sei più la stessa persona (l’Oracolo vuole anche 200 euri a previsione). Ma tu devi vincere le tue paure, io ho fiducia in te, tu sei l’Eletto”
“No guarda, secondo me avete contato male i voti o qualcuno ha fatto il furbo con le schede bianche. E poi io non ho votato, non mi è arrivata la comunicazione, non vale, tutto a monte.”
L’atmosfera si faceva nervosetta e per evitare problemi simulai un qualche interesse.
“Ma conoscerò davvero tutto il conoscibile? Anche l’esistenza di Dio, che cosa ci aspetta dopo la morte, avrò poteri sovrumani e saprò tutto su Andreotti?”
“Ora non esagerare, su Andreotti non possiamo garantire, ma avrai i copioni di tutti i reality televisivi”
“Non mi interessa” dissi dirigendomi verso la porta. Poi un sussulto, il ripensamento che è luce della saggezza. Mi fermai, mi voltai e chiesi “se ne prendo mezza mi dici se è stata la Franzoni?”
In quel momento squillò un telefono e dal nulla apparvero due uomini in nero che mi afferrarono con violenza bloccandomi e costringendomi in una posizione che non prometteva nulla di buono. La cozza mi abbassò i pantaloni e sentii i passi di Luciano che solo in quel momento (per strane associazioni mentali) realizzai essere un nerboruto omone di colore.
Non so che cosa successe dopo. Non so che cosa mi fu “somministrato” so solo che tutta questa faccenda mi brucia ancora.
Ah, già che sei qui che leggi, il tuo capo è un ibrido innestato con DNA alieno.

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giovedì 23 novembre 2006

Il rosso e il nero

Sdoganare il terrorismo è la moda del momento. Una volta faceva molto tendenza vantare amici gay, adesso vale come il due di picche: se non ti fai vedere a braccetto con l’ex eversivo di riferimento non sei nessuno. Tra le istituzioni politiche c’è una vera e propria corsa alla riabilitazione: benefici vari, grazie (di nulla), condoni, amnistie, ma non solo, se sei davvero uno cool e ci sai fare, ti aspettano lauree, cattedre, case editrici, poltrone statali e compagnia bella.
La cosa che questi nuovi modaioli non sanno è che non hanno inventato niente di originale. I terroristi neri hanno goduto del medesimo trattamento già diversi anni fa, con la differenza che nessuno ne ha parlato. Per qualche motivo di cromia, si fa sempre un gran parlare della lotta armata rossa, delle BR e di Lotta Continua, ma nessuno spreca mai parole per Ordine Nuovo, Ordine Nero, Rosa dei Venti, Avanguardia Nazionale, i NAR e moltissimi altri nuclei d’azione. Negli anni di piombo, l’estrema destra viveva un fenomeno poi battezzato “spontaneismo armato”: i giovanissimi, fomentati ad arte (quindi non così spontanei come sembrerebbe) erano talmente numerosi e vogliosi di agire che anche per fare una rapina bisognava prenotarsi mesi prima.
Moltissimi attentati sono rimasti impuniti e tra quelli che invece sono finiti in carcere (tutti nomi che direbbero poco ai più) quasi nessuno si è pentito o dissociato e chi l’ha fatto è stato uccciso. Mambro e Fioravanti in questo quadretto fanno quelli che pagano per tutti, quelli famosi. Poi c’è anche un tizio, un certo Vinciguerra che ha praticamente esatto l’ergastolo per sé per la strage di Peteano e ha detto tante cose, su militanti ancora in giro e attivi, su assassini arrestati che hanno continuato a esibire la loro inclinazione anche in carcere e che ora godono di benefici di stato.
Per dovere di cronaca (anche se datata) Mambro e Fioravanti hanno sempre rifiutato ogni addebito inerente la strage di Bologna. Una strage che (insieme a Piazza Fontana) ha mietuto vittime per anni. Testimoni, attivisti sulla via del cedimento, persone informate… tutti colpiti da accidentali suicidi da sviste automobilistiche, da infarti polmonari (facendo il verso alla patologia che colpì i testimoni del caso Kennedy, noi copiamo sempre dagli americani). Ma di tutto questo non si sa nulla, non si è mai smosso granchè. Anche se si dice, si pensa. Gli esperti della gestione del potere sanno come vanno queste cose, sanno chi è cosa, e sanno che il popolo bue va coccolato e strigliato come un bimbo, senza dirgli che babbo natale è in realtà un ciccione ubriacone pagato due lire da una catena di grandi magazzini. Pare che l’unica cosa che è successa in Italia negli ultimi 40 anni sia il caso Moro. Il nero sfina.
Allora uno ripensa a Moggi. No non è un terrorista, però per anni tra i banconi dei bar, si è sussurrato che nel calcio comandava lui, ma nessuno diceva niente. Era come una leggenda metropolitana, spesso tacciata di fantapolitica o complottismo. Poi viene fuori che la fantapolitica tanto fanta non è. E poi uno ripensa alle altre parole di Vinciguerra. A quando diceva che in qualche modo il braccio armato dell’estrema destra “stava simpatico a qualcuno”, quando parlava dell’utilizzo fatto dei nazisti nel dopoguerra per creare organizzazioni e strumenti (leggasi armi) per contrastare la minaccia rossa. Ai collegamenti politici, militari, massonici, con il Mossad, il Sid, il SISMI, la CIA il servizio segreto argentino, Gladio, la NATO e ad andare avanti non si sa se ridere o sentirsi un po’ Truman Show.
Insomma lo sdoganamento dell’eversione non l’ha inventato l’attuale governo, tant’è che più di dieci anni fa la Mambro si fece sfuggire un inquietante “noi siamo in carcere e voi al governo”, solo che per il terrorismo nero è passato inosservato e non si capisce perché.
O meglio, io non lo capisco… anzi io non lo so, posso immaginarlo, ma non lo so. Certo si potrebbe puntare a quei famosi archivi coperti da segreto di Stato. Obiettivo perseguito dalle associazioni dei familiari delle vittime (altra entità completamente ignorata, che non gode di alcun beneficio e di pochissime proposte politiche a suo favore), ma “qualcuno” pensa sia una speranza mal riposta a causa della distruzione di molte cartacce colme di verità troppo vere per il popolo bue.
Ma quello che penso è sbagliato, qualsiasi cosa sia. Le cose succedono a un livello diverso, quasi sempre per ragioni differenti da quelle che paiono ovvie e seguono percorsi non scrutabili dai più.
Se fosse così “semplice”, non si spiegherebbe perché il PCI, arrivato al potere, sia rimasto inerte, non abbia aperto archivi o inasprito pene per i reati di depistaggio che hanno seppellito uomini e inchieste intorno a Ustica, l’Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Bologna eccetera eccetera. Non si spiega come oggi in Italia regga un governo Prodi, alla faccia del rinnovamento e del progressismo. Un uomo già presente spiritualmente (nel senso di sedute spiritiche) negli anni di piombo, già sospettato di rapporti con i servizi segreti russi quasi 30 anni fa e additato come politicamente incapace da mezzo mondo occidentale durante il semestre di presidenza europea. E non si spiega come il caso Litvinenko sia stato archiviato con una fretta maggiore di quella che ha caratterizzato l’omicidio Politkvoskaia. E ai pochi a cui interessa la verità un po’ più di della crisi del milan, viene da chiedersi perché nessun giornale parli di Paolo Guzzanti (che guida i lavori della commissione Mitrokhin) per cui Litvinenko è stato informatore per anni (così come per la Politkvoskaia). Oggi Guzzanti è probabilmente sotto tiro di organizzazioni che hanno tanti di quei modi per farti fuori che fanno a chi si inventa il più fantasioso. Probabilità sostenuta dal fatto che ora Guzzanti gode dello stesso livello di protezione dell’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede.
Intanto sulle prime pagine dei giornali si accenna con coraggioso sdegno alla mancata restituzione de l’Afrodite da parte del museo Getty.
Le organizzazioni eversive di destra prolificano ancora, con sigle nuove, ma probabilmente gestite da nomi vecchi. Il KGB ha cambiato identità e i servizi italiani hanno cambiato dirigenza, ma pare che il potere occulto rosso abbia solo sbiadito un po’ i toni per rendersi meno chiassoso, ma non meno pericoloso. Insomma destra o sinistra che sia, qualcuno gioca a Mission Impossible, creando armi di ogni tipo (anche chimiche e biologiche) calpestando vite innocenti e diritti. Qualcuno che a differenza di Tom Cruise, fa molta fatica a esprimere la sua mascolinità o a superare un brutto o morboso rapporto con la madre. Mentre noi andiamo a fare la spesa sperando di essere scelti per il prossimo grande fratello e entrare un po’ nel sistema, quello vero.

Rosso o nero… fate il vostro gioco… rien ne va plus.


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lunedì 20 novembre 2006

Niente sesso, siamo in classe


Che il sesso polarizzi attenzione e veicoli le masse, gli esperti di marketing più avvertiti lo hanno imparato bene, ma la vera rivoluzione ipnotica è lo spaccio di morbosità. La morbosità come fenomeno comunicativo consiste nel fornire, con finta marginalità, risposte a domande che la gente si vergogna di fare e a volte persino di pensare.
In questa mezza stagione in via di estinzione, sono i pruriti adolescenziali a tenere banco (e anche un po’ cattedra), relegando calciatori e attempate pin up a una penombra ingloriosa, ma degna dei contenuti espressi. Questi ultimi, per quanto belli e famosi, nulla più possono concedere alla viscerale e mai satolla tenia della morbosità, avendo ottenuto ribalte per la loro prole ricca ma scevra da meriti e financo per le loro placente da collezione.
Opulente di dettagli scabrosi è invece la vicenda della professoressa scopacchiona (meritevole di aver gettato una luce neorealista sul cinema trash anni ’70), colta – in quanto insegnante un po’ hippy quindi figlia dei fiori – insieme a giovanissimi studenti a prendersi reciproco diletto. Di letto.
I giornali ne hanno parlato profusamente, almeno finchè hanno avuto particolari goderecci da snocciolare. Trasfigurando le informazioni in preoccupante risvolto socio culturale, si è fatto incidentalmente cenno alla posizione esatta coreografata dalla signorina, alla reale area anatomica esposta alle intemperie e all’onanismo diffuso di chi contemplava non essendo stato bocciato un numero sufficiente di volte per partecipare in forma attiva all’orgia istruttiva. Queste fondamentali informazioni, succulenta esca, hanno attratto una perniciosa attenzione, anch’essa mascherata da profondo dissenso e impegno civile, che ha spinto i media ad aggiornare costantemente la sceneggiatura del convivio dionisiaco. L’allarmante degrado dei valori è stato così corredato da una professoressa prima nuda e supina, poi in ginocchio non per preghiera, ma per peccato di gola, poi vestita, ma con un seno a fare capoccetta e allegra compagnia cantando.
I risultati di questa fiera denuncia sociale sono grossomodo questi: un manipolo di mamme preoccupate e imbufalite, un nutrito gruppo di papà insolentiti che ripensano con invidia e rammarico alla grinzosa insegnante della loro giovinezza, un bulletto sopraffatto dall’ego che dopo cinque anni di scuole medie (ci si trovava bene, particolarmente con il corpo insegnanti) è diventato eroe della nazione adolescente e una professoressa un po’ porcella senza lavoro, ma con milioni di piccoli fan. Il tutto prevedibile come la pioggia nel week end.
A Livorno, una decina di ragazzini tra i 15 e i 18, si divertiva a sperimentare il gusto proibito della trasgressione e del sentirsi grandi prima che sia troppo tardi (cioè prima di essere davvero grandi e non divertirsi più) realizzando anche piccoli filmati con i vituperati telefonini con cui qualcuno, a volte, telefona pure. Un’accorta mamma li ha scoperti e ha allertato le forze dell’ordine che, dopo accurate indagini, hanno denunciato tre giovanotti per detenzione di materiale pornografico.
Possono fare sesso, ma non possono guardarsi mentre lo fanno. Ne trarrebbero un cattivo insegnamento o, peggio ancora, potrebbero rimanere traumatizzati. Ovviamente l’accento è stato posto su questi fantomatici filmini e lo sdegno seguente ha preceduto un incremento vertiginoso delle ricerche su google con la chiave “livorno filmini sesso studenti”.
Forse un po’ di vero sdegno servirebbe. Io alle volte mi accontenterei di un cenno di onestà intellettuale. Del tipo di Cronaca Vera che almeno ti promette, senza pudori, dettagli scabrosi per qualche euro e un minuto di vergogna dall’edicolante. I giornali seri invece si occupano di aspetti culturali, di educazione, ma titolano con frasi afrodisiache e imbottiscono gli articoli di dettagli da bar, perché sanno che questo attira le persone serie, perplesse dal tramonto dei valori.
L’educazione è prima di tutto una questione familiare, poi della società che purtroppo è lo specchio dei tempi. Negli ultimi anni va di gran moda demonizzare l’uso smodato di tecnologia evoluta (così definita in rapporto a chi la utilizza), ma quando ero ragazzino io (nel secolo scorso) le cose non erano diverse. C’erano i prepotenti, c’erano quelli che proprio non potevano avere 15 anni, magari erano loro a non volerlo, ma certo è che la barba e una costante tendenza ad accoppiarsi, non facilitavano la transizione puberale. E non è che trattenessero la loro naturale ferocia perché non avevano un cellulare con la videocamera per immortalarla. Magari la televisione non era così invadente, eppure Pasolini (tanto osannato dagli intellettuali) non raccontava certo realtà giovanili incorniciate da fate turchine e buoni sentimenti.
Io non sono un buon target di mercato. A me non interessa conoscere ciò che dovrebbe essere privato e mi cruccio, sinceramente, di non capire che cosa spinga le persone ad accapigliarsi per la morbosità più gretta. A fingere interesse di alto profilo per godere in proprio gli orgasmi degli altri. Penso sempre che queste persone siano le stesse che si allungano dietro a un inviato della tv e fanno ciao con la manina cercando invano di contrastare un’espressione ebete. Le stesse che pagano per guardare un castello pieno di attori che si sposano e che assistono altri mentre lo fanno. Un castello che, visto da fuori, è identico a uno vuoto o pieno di maestranza delle pulizie.
Oggi ho sentito l’ultima – spero – puntata del matrimonio di un uomo basso, ma molto ricco, americano, con una donna alta, ma molto bella, sempre americana. A qualcuno deve aver fatto piacere sapere che il rito si è svolto secondo i dettami di Scientology e che lui, per tradizione, ha donato a lei un gatto, una pentola e un pettine, in cambio della promessa di felicità. Mica scemi questi di Scientology, ottimo affare direi. Certo che se io fossi il gatto, mi farei qualche scrupolo ad essere regalato insieme ad una pentola. Meno male che non si sono sposati a Vicenza.

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domenica 19 novembre 2006

Ausonio & Esperio #5






















Soggetto e sceneggiatura: Cruman
Grafica digitale e rendering: Bubi

venerdì 17 novembre 2006

Un posto in libreria... o no?

È paradossale come il meno adatto di noi tre si trovi a scrivere per primo la recensione di un libro per il blog. Cruman è un vero cultore della carta e la divora letteralmente (non è una tarma, intendo nel senso che legge molto), e anche Postatore non è da meno seppur sia vero che con il suo mestiere si trova ad avere a che fare molto più spesso con la carta patinata dei periodici che con le copertine rigide. Dei tre, fatto sta, sono sicuramente l’unico che trovando in libreria l’ultimo libro di Fabio Volo ha avuto l’impulso di comprarlo e così provo a raccontarvi com’è andata.

Premesso che molti dei libri di casa mia, esclusi per ovvi motivi i tomi universitari, sono ancora vergini eccezion fatta per le prime pagine, ho affrontato la lettura di getto prima ancora che la copertina prendesse polvere. E questo, per il lettore bolso che sono, è già un successo. L’altra cosa che mi ha stupito, e che non mi succedeva da un sacco di tempo, è che son riuscito a leggerlo tutto d’un fiato, complice una domenica passata a sonnecchiare fino alle tre del pomeriggio con il conseguente strascico di insonnia che ne è seguito. E in quattro ore “Un posto nel mondo” era già finito.

Michele ha trent’anni e come tutti più o meno a quest’età si ritrova a fare i conti con la propria vita. Un lavoro che lo fa sentire in gabbia, le relazioni sentimentali che finiscono non appena si esaurisce l’entusiasmo iniziale e un amico fraterno che colto dalle medesime paure decide di mollare tutto e partire per ritrovare se stesso. Fin qui, a dire il vero, niente di nuovo: negli ultimi anni in tv e al cinema si è visto virtualmente di tutto sull’argomento, quasi il raccontare il disagio dei trentenni fosse il solo modo di fare numeri ai botteghini.

Logico, quindi, partire prevenuti e aspettarsi da chi è arrivato qualche anno dopo “sul pezzo” qualche spunto in più: come dire, se l’autore ha avuto più tempo per pensarci avrà tirato fuori pure qualcosa di originale, no? Più ci penso e più mi rendo conto che è stato probabilmente questo interrogativo a spingermi a divorare il libro, a cercare il colpo di scena o la svolta. Che invece non arriva mai, dato che per come è strutturato il racconto (che di fatto è una retrospettiva dei cinque anni precedenti raccontata dal protagonista mentre dalla sala di attesa di un ospedale aspetta che la sua compagna partorisca) l’unica sorpresa è scoprire che in cinque anni possono starci un viaggio, un figlio, una compagna ritrovata e un amico perduto. C’è tanta morale in questo racconto, ma è la stessa che tutto sommato puoi trovare anche nei film di cui si parlava sopra: che la vita ti rincoglionisce, che devi andare alla ricerca di te stesso o corri il rischio di essere meno importante del numero di serie del cartellino che timbri ogni mattina, che i figli spesso sono solo un collante per un rapporto sentimentale che da solo non si regge. Ma allora che c’è di nuovo, di non banale?

Quando ho appoggiato il libro sul comodino non mi è affatto venuta voglia di alzarmi (anche perché erano le tre del mattino passate… dove cavolo andavo?) e partire. Non mi è passato per la testa, nemmeno lontanamente, di preparare la valigia e lasciare un biglietto sul tavolo con su scritto “io ci provo, ciao”. Così mi son chiesto: son sbagliato io o forse questo racconto non è riuscito a cogliere nel segno? E dire che gli elementi ci sono tutti: il lieto fine (perché a dispetto di ciò che succede nel corso del racconto il protagonista afferma di aver trovato la propria felicità), la morale, un pizzico di filosofia e pure qualche episodio divertente. Mentre mi addormentavo mi sono pure dato una risposta (come Marzullo insegna…): quello che più mi ha deluso è stato notare che l’accento sia posto sul fatto che per trovare la felicità sia necessario dare un taglio con tutto. Mollare il lavoro, la famiglia, gli amici e dedicarsi solo a se stessi, sperando che qualche coincidenza arrivi a innescare un processo di cambiamento che altrimenti, nel proprio mondo, proprio non potrebbe avvenire.

È come se l’amor proprio, la volontà e la consapevolezza di voler cambiare ciò che non ci piace non siano sufficienti perché in fondo, senza una “scossa”, gli uomini sono troppo stupidi per capire se sono felici o no.

A mio parere la formula magica che Michele racconta non è così miracolosa. Ha un po’ il sapore di “meglio ricchi (dentro, ovviamente) e felici che poveri e tristi”, ma questo lo sanno tutti. Sarebbe stato più interessante se le perle filosofiche inserite nel racconto avessero fatto riflettere il lettore su come sia ben più difficile trovare la felicità in quel che la vita regala tutti i giorni, senza andarlo a cercare in un mondo completamente diverso e lontano. Perché anche per quello ci vuole un bel coraggio, altro che fare un biglietto aereo per Capo Verde. A me piacerebbe leggere un libro, o vedere un film, che mi faccia sognare raccontando di un mondo in cui le persone riescono, a volte, a non essere apatiche e insoddisfatte. E che soprattutto mi racconti, senza sminuirle o farle sembrare un semplice “accontentarsi”, le soddisfazioni che si possono cogliere quotidianamente. E questo indipendentemente dal fatto che io sia o no soddisfatto della mia vita: semplicemente per arricchirmi un po’, per capire tutti i punti di vista e poi a ragion veduta valutare di cosa ho bisogno per essere felice.

Detto ciò, quel che mi è rimasto dell’ultimo libro che ho letto è una soddisfazione pari a quella che mi resta dopo essermi sciroppato in fila quatto episodi del tuo telefilm preferito: un bel senso di leggerezza e la soddisfazione di essermi dedicato a un po’ di sano ozio. Forse Fabio Volo non si aspettava questo da me, ma io ve l’avevo detto che sono un lettore bolso.


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