giovedì 31 maggio 2007

Librandosi


Come si fa a consegnare un libro alla storia? Io so a malapena come si consegna un libro di storia, ma mi hanno sempre incuriosito i meccanismi che portano prima alla stesura di un libro e poi al suo successo. Le ragioni vere, profonde. Non quelle scovate dai critici illuminati che in qualche modo trovano tormenti interiori anche dietro l'uso del punto e virgola. Chissà, magari davvero (come disse un uomo veramente illuminato) Manzoni con “stette la spoglia immemore” si riferiva ad una donna che non trovava più il suo reggiseno, probabilmente dimenticato a Firenze dopo averlo sciacquato. Ma ieri, mentre stavo lì, seduto dalla parte del torto, ho provato a pensare a che cosa potrebbero scrivere oggi i grandi autori del passato. Che cosa farebbe oggi Dickens, a parte gravare considerevolmente sul sistema pensionistico? In un mondo di veline scopacchione, preti pedofili e transgender l'Aretino avrebbe successo o scriverebbe fiabe per bambini? Verga avrebbe un blog o vergherebbe ancora di suo pugno? E Dante, proprio il grande Vate, che farebbe? Questo lo so! Andrebbe da Benigni a dirgli “Ebbastaaaa bischero! Te tu ci hai fatto du palle punto co' sta Commedia! Ma che te tu sei grullo?”.
Visto che lì, dalla parte del torto, mi sentivo un po' solo, ho provato ad immaginare la trama di romanzi scritti da autori fiondati qui e ora da una macchina da scrivere del tempo:
Moliere scriverebbe un romanzo di intrighi, passioni e bramosie sullo sfondo di un mare in tempesta (ma non troppo che se no la barca giuria annulla la regata). In una qualsiasi ventosa città di mare, un team di ricchi giovanotti con la passione per la vela e per il tempo da perdere, si prepara a mettere in acqua la sua scintillante barca da regata per affrontare la Louis Vuitton Cup (la coppa delle borsette dei vu cumprà insomma). Al momento di varare il prodotto di evoluti studi ingegneristici e miliardi di dollari guadagnati con il sudore della fronte di un notaio testamentario, ci si accorge con stupore della mancanza di un bottiglione di Crystal. Presto, una magnum di champagne! Urla un uomo in bermuda. Nessuno però vuole tirar fuori quei 3-400 dollari da disperdere su una chiglia. Dopo ore di animose discussioni, un cameriere prende una bottiglia di 7UP e la scaglia con presupponenza contro la barca chiosando “tho, ciurma di poveracci”.
La varo di Moliere - 17 euri (238 l'edizione impermeabile) - Edizioni Wet Race.

Suskind ci descriverebbe una Roma di inizio terza Repubblica, in cui un politico progressista scopre di avere una forte attitudine spirituale con le canne ben rollate. Si accorge altresì di elaborare concetti mirabolanti solo ed esclusivamente sotto l'effetto di un po' di pakistano di prim'ordine. Durante tutto il resto del tempo emette un suono continuo tipo modulazione di ampiezza. Decide imperciocchè di dedicare la sua carriera politica ad aumentare progressivamente il numero di dosi che ogni ragazzetto a modo può tenere in tasca senza incorrere in sanzioni penali e nell'interessamento delle unità cinofile, molto attratte dall'odore inconfondibile dell'erba del vicino marocchino. Questa tendenza politica inciderà su molti aspetti della vita sociale, financo sulla moda, che porterà i giovani a vestire indumenti extralarge con tasconi sproporzionati. Il protagonista morirà investito da un uomo fatto come un licaone che si scoprirà poi essere il ministro dei trasporti (l'uomo non il licaone).
Il pro fumo di Suskind - 50 euro bbello - Edizioni Pusher

Marguerite Yourcenar si esibirebbe nell'epopea di uomo potente, acclamato dalle folle e destinato, per circolarità del fato, a vivere il suo declino con una sofferenza che le nostre piatte vite non potranno mai regalarci. Questo imperatore moderno, ormai prossimo al desio (cioè non vicino Milano, desio nel senso di morte, fate un po' di attenzione con questi accenti), scrive una lettera a un amico in cui riversa tutti i suoi ricordi e i suoi sentimenti (nella lettera non nell'amico). Parla dei giorni di gloria, di giorni che scorrevano senza un attimo di dubbio o malinconia. Giorni in cui ogni suo gesto era scandito da applausi e gridolini di stupefatta ammirazione. In cui la felicità si confondeva con la lussuria e la potenza con il potere. Finché l'insufficiente accrescimento interiore si tramuta in eccessivo accrescimento delle interiora e, vecchio e flaccido, all'età di 29 anni afflitto dal peso estorsivo della Corona, il nostro eroe crede che tutto sia finito e si rifugia in una discoteca della Costa Smeralda nella speranza di non essere condannato ad una vita di serie B.
Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar – 6,3 milioni di euro (a stagione) – Edizioni Pirelli


Robert Louis Stevenson farebbe sicuramente l'autore di format televisivi. Per la precisione di reality:
Si prendono 857 politici (uno per ogni partito esistente), si mettono su un'isola deserta, senza portaborse e senza immunità parlamentare. Si dice loro che la produzione ha un surplus di denaro dovuto a circa 60 milioni di sponsor inconsapevoli e che questi soldi sono stati nascosti sull'isola. Le regole però sono molto rigide:

  • È vietato tirare in ballo il dossier Mitrokhin, tanto tutti i concorrenti sono talpe.
  • Per le nomination è possibile votare più volte, disperdere il voto, vendere il voto, comprare il voto, fare un voto, ma è assolutamente irregolare ricontare i voti.
  • Chi va in nomination deve cercare di convincere i telespettatori che in realtà non ha perso: sono gli altri che hanno imbrogliato. Se ci riesce può rimanere sull'isola, altrimenti avrà un ruolo di amministratore delegato in una società pubblica con licenza di aggiotaggio.
  • È possibile creare coalizioni, mescolarle, passare da una all'altra, fino ad un massimo di 14 volte a settimana.
  • Ogni talpa può crearsi fino a un massimo di 10 commissioni di indagine e scavo, 2 regioni a statuto variabile, 4 province automunite blu, 18 comuni, 6 comunità montane e 12 giornate commemorative a scelta.
  • Ogni settimana ci sarà una prova di equilibrismo e "faccia come le pare" (detto anche faccia come il culo). Il vincitore verrà eletto nella carica più importante dell'isola: ministro della ricerca e del tesoro.
  • Il vincitore avrà il diritto di fingere di dividere parte del tesoro con i suoi alleati e usare il resto per attività socialmente utili, mentre in realtà starà investendo tutto in una raffineria di oppio in Venezuela.

L'isola del tesoretto di Endemol – Stevenson Conduce la senatrice Simona Avventura


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mercoledì 30 maggio 2007

Imposte ed impostori


Tipo voi, le pagate le tasse? Io me lo sono chiesto con un certo fervore negli ultimi tempi. Dandomi, peraltro, sempre risposte evasive. Io lo Stato lo ascolto: con tutti i soldi che gli do, fammi almeno sentire che dice. Dice che è ora di mandare i Carabinieri a scuola. Io è un po' che lo dico, ma loro giustamente hanno obiettato che se avessero voluto andare a scuola adesso sarebbero ragionieri, non Carabinieri. Dice anche che sarebbe un'idea geniale rendere obbligatori per gli studenti italiani, sei mesi di erasmus. Anche questo lo sostengo da un po', ma credo che dovremmo elaborare sistemi migliori per risolvere il problema del calo delle nascite. Dice che i dirigenti statali possono anche rubacchiare, basta che non esagerino. Chessaràmmai! Dice cose davvero interessanti. Mi scappa la pipì, ma la trattengo: non vorrei perdermi una di queste dicerie mentre sono in bagno. Insomma mi sono chiesto: ma io a chi fuffolo li do tutti sti euri?
Facciamo prima un po' di chiarezza. Si usa genericamente il termine “tasse”, ma le cose non sono così semplici. Le tasse sono infatti solo uno dei tre tipi di tributi esistenti. Ci sono le imposte che si chiamano così non perché sbattono quando c'è vento, ma perché vengono imposte senza troppi complimenti e il cittadino deve corrisponderle senza alcuna prestazione in cambio (più propriamente per finanziare pubblici servizi di cui magari non ci si giova mai). Si dividono in dirette e indirette (a volte uno spazio cambia il senso di una frase). Le imposte dirette colpiscono direttamente il patrimonio. In pratica il rapporto Stato – cittadino si svolge così:
S: “Hai un certo numero di euri?”
C: (facendo il vago) “Mah, una cosa onesta”
S: “Dammene un terzo”
C: “Perché? Non ho fatto niente, non sono stato io”
S: “Io sì, sgancia”
Quelle indirette colpiscono il valore dei beni. Per esempio, l'IVA, l'ICI le imposte di bollo. Qui il rapporto funziona così:
S: “Hai una casa?”
C: “Una casa, non esageriamo, diciamo che ho un mutuo col tetto”
S: “Non interessa, paga l'ICI”
L'anno seguente:
S: “Ce l'hai ancora la casa?”
C: “Ahò che porti jella? Devo ancora comprare i lampadari”
S: “Non interessa, ridammi l'ICI”
C: “Io? Guarda che ce l'hai tu, te l'ho dato l'anno scorso”
Le imposte indirette nascondono dei perniciosi meccanismi esponenziali. Per esempio quando paghiamo la bolletta del gas, tolte le spese di spedizione, la tangente per la mafia russa (c'è proprio la voce nella bolletta TMF) e arrotondamenti che servono a quadrare (curioso paradosso geometrico), rimane un 30% del valore del bene combustibile e un 40% di imposte: le famose accise. Sul totalone a fondo pagina si applica l'IVA, altra imposta indiretta sul valore del bene. Solo che il valore del bene è per buona parte determinato da un'altra imposta (la suddetta accisa), quindi l'IVA al 20% di quel 40% è un'imposta sull'imposta. Sticazzi. Non per niente, dal punto di vista giuridico, colui che paga l'imposta è definito “soggetto passivo”.
La tassa invece si paga a fronte di un servizio erogato, come le tasse di concessione, le licenze o la tassa rifiuti che versiamo di modo che i nostri scarti possano essere caricati su un camion e portati in giro per l'Italia ad essere rifiutati da comitati antidiscarica, per poi finire a Napoli dove vengono buttati in strada in attesa di essere incendiati da operosi cittadini. Qui le cose funzionano così:
S: “Rifiuti?”
C: “No, no: accetto”
S: “No dico, hai dei rifiuti?”
C: “Sì. Qualcosina. Le buste dei 4 salti in padella e qualche cartella esattoriale”
S: “Ok dammi dei soldi che te li butto io”
C: “Ah vieni qui e me li porti giù al bidone? Gentile”
S: “No, li prendo dal bidone e li faccio sparire”
C: “Ah quindi pago per questo servizio. E se me li tengo in casa?”
S: “Devi pagare lo stesso”
C: “Un po' come il canone per la televisione spazzatura insomma”
Infine ci sono i contributi. Che a un ottuso linguista fissato con significato significante, potrebbero sembrare qualcosa di facoltativo: io decido di contribuire. No. O contribuisci alle spese o contribuisci all'affollamento della popolazione carceraria. I contributi si versano a enti pubblici per ottenere poi delle erogazioni condizionate da precisi presupposti. Tipico esempio l'INPS. Tu contribuisci allegramente tutta la vita, poi se soddisfi la condizione numero A, diventare vecchio, e la condizione numero B, vivere in un paese in cui altri liberi contributori rimpinguino le casse, lo Stato ti rende un po' alla volta ciò che hai versato. Non senza prima aver soddisfatto un esercito di baby pensionati, falsi invalidi e scippatori appostati apposta dietro le imposte delle poste.
Rassegnatevi quindi: anche se vi dedicate all'evasione, rischiando per assurdo linguistico la prigione, non passa giorno senza che si contribuisca ad alimentare l'erario anche senza trovarsi 'a tribbutaria in casa. Il problema non sarebbe nemmeno questo se tutti questi soldi venissero usati per fornire servizi decenti ai cittadini, invece di ingrassare un pachidermico sistema burocratico o per mantenere i partiti politici e una ridda di furbacchioni manigoldi. Oppure per finanziare con 667 milioni di euri l'anno, testate giornalistiche mai sentite, come la guida tv di Sky. Se poi un giorno mi voglio far del male e decido di acquistare un quotidiano, non solo non dovrebbero farmelo pagare, ma mi ci devono anche allegare un omino che mi gira le pagine. L'elenco degli usi scriteriati dei nostri soldi è infinito (qualcosa potete trovare qui). Per fortuna gli impostori (coloro che impongono) hanno istituito, lo scorso anno, una commissione per il controllo dei costi amministrativi e degli sprechi di denaro pubblico. La commissione è stata dotata di 100 mila euri e da allora l'unico atto ufficiale che ha prodotto è stata la richiesta di altri 50 mila euri.

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lunedì 28 maggio 2007

ZZZZZZZZZZZ


Fa caldo. Ce ne eravamo accorti, penserete voi mentre percorrete a dorso la fontana di Trevi. Vi sarete anche accorti che ogni anno, l'arrivo delle stagioni temperate (si chiamano così perché ci sono punte di calore) è segnalato e poi accompagnato da eventi ripetitivi. Il primo è il fatto che fa caldo come mai ha fatto caldo dal giorno in cui a qualcuno venne in mente di infilare del mercurio in un termometro di modo che il maggior numero possibile di bambini potesse ingerirlo e, per sicurezza, provocarsi profonde ferite con il contenitore di vetro rotto. Fortunatamente questo caldo record, ma anche killer e molto spesso anomalo, viene talvolta spezzato da nubifragi (anomali) la cui intensità non si era mai registrata dal giorno in cui Noè coniò la celebre frase “basta acqua!”. Un'altra affidabile cartina di Tornasole del tornacaldo è l'impossibilità di entrare in una carrozza della metropolitana senza aver disattivato tutti i recettori olfattivi. Carrozze in cui molte persone sono disposte a rotolare sul pavimento ammiccando alla forza inerziale e ammaccandosi le ginocchia, pur di non sollevare il braccio per raggiungere gli appositi sostegni. Ma per chi come me, vivacchia annebbiato nella bassa padana, dove coppie di anziani ballano valzer viennesi nelle balere estive, l'avvento caldo dell'estate è portato in volo dalle temutissime zanzare. Non tutte però arrivano in volo. Alcune si trascinano su mezzi di trasporto di fortuna. Sono le cosiddette zanzare pigre.
Da queste parti non è facile difendersi dalle zanzare. L'Autan è efficace se riesci a centrarne una con la boccetta e le zanzariere sono superflue: tanto sono talmente grosse che non ci passano proprio dalla finestra. Di solito bussano alla porta con un numero di Torre di Guardia tra le zampe.
Vivendo in zone calde e umide, si paga un tributo di sangue talmente alto che non è infrequente trovarsi in casa un panino con la mortadella e una lattina di fanta assemblati dai simpatici insetti in cambio dei prelievi. Qui siamo tutti donatori.
In anni di emotrasfusioni ho studiato a fondo il comportamento di questi animaletti e ho scoperto cose interessanti e similitudini con le caratteristiche umane da far venire la pelle a piumino d'oca. L'insetto emofago è solo la femmina. Incinta. Il maschio, invece, mangia praticamente solo verdura, perdipiù scondita. In pratica il maschio mette incinta la femmina sul sedile posteriore di una vespa e da quel momento lei comincia a succhiare il sangue. La dieta vegetariana del maschio deriva proprio da questa caratteristica femminile. Lui si mangerebbe anche due puntine di vitello ogni tanto, che fa sangue, ma proprio per evitare che la consorte succhi il suo di sangue, si limita ad essenze di carciofi e asparagi, divenendo anemico e maleodorante e maledicendo quei 3 secondi netti di coito aereo. Ciò che vi stupirà è la loro tecnica di procacciamento del cibo per le zanzare pregne. Le femmine manderebbero volentieri il maschio, ma la specie non è ancora avvezza all'utilizzo di siringhe ed eparina, quindi le zanzare hanno sviluppato una tecnica evolutissima che coinvolge tutta la famiglia.
Vi siete mai chiesti perché, di notte, le zanzare vi volano sempre nelle orecchie, anche se non pungono mai in quella zona? Dovete sapere che questi insetti sono anche in grado di volare senza fare tutto quel ronzio fastidioso. E allora perché? Voi potete dormire come mamma vi ha fatto (nel senso di nudi non copulando) e senza lenzuola lasciando ogni singola venuzza a loro disposizione, ma una zanzara verrà sempre a ronzarvi in un orecchio. Io ho scoperto che è un preciso intento del gruppo di assalto, quello di svegliare la vittima e infastidirla. La zanzara maschio ha questo compito. Il ronzio che sentite non è prodotto dal battito delle alucce, ma lo emette l'insetto con la bocca. Una sorta di prolungata pernacchia (infatti se ci fate caso si avverte anche un leggero afrore all'asparago). L'improvviso risveglio, unito a una serie di sonori ceffoni che la vittima si infligge nel tentativo di scacciare il piccolo molestatore, genera un brusco aumento della pressione sanguigna e delle pulsazioni. La conseguente irrorazione massiccia delle vene e dei capillari, rende agevole il lavoro delle gravide, appostate solitamente attorno alle caviglie, a cui basterà dare un calcetto per usufruire di zampilli di sangue fresco.
A quel punto la femmina si allontana in silenzio, lenta e appesantita (sono quelle che se riuscite a spiaccicare vi disegnano un murales post moderno sulla parete), mentre il maschio le copre la fuga (l'unico modo in cui la coprirà per il resto della sua vita) ronzando sempre più forte e inscenando sarcasticamente un pezzo di Sunday bloody sunday.
Grazie ad anni di studio e ricerche nel campo dell'etologia, sono riuscito ad interpretare, con una buona approssimazione, la conversazione tra una zanzara femmina e una zanzara maschio:
zf (in ansia): “Ho bisogno di sangue fresco, ho il colesterolo a 280”
zm (in pantofole): “Quando arriva a 300 vendi”
zf (incazzata come un ape): “Bravo, fai lo spiritoso. Sei il solito insensibile. Tanto chi li fa nascere i nostri 500 figli eh? Io! Tu ti sei divertito un secondo e mezzo senza nemmeno un po' di coccole e adesso te ne freghi. Io sto maleeee!”
zm: “C'è un cane che dorme qui fuori, serviti, offro io”
zf: “Io voglio sangue umano”
zm: “Sì brava, poi vedi una luce blu, pensi sia un negozio di Cartier, ti ci fiondi e ci rimani fulminata. Poi chi li accompagna all'asilo 500 ragazzini?”
zf: “Appunto, vieni con me e mi aiuti, maschilista microfallocrate”
zm: “Cara, quelli hanno gli insetticidi, le creme repellenti, gli zampironi e una batteria di quotidiani arrotolati. Il cane male che vada si dà una grattatina.”
zf: “Il sangue canino mi fa schifo, chissà cosa mangia quell'ammasso di pulci. Gli uomini hanno un'alimentazione bilanciata. Non pensi ai nostri piccoli? Razza di mostro ronzante! Aveva ragione mia madre, sei uno scansafatiche poco di buono. Dovevo mettermi con Tafano. Chissà che mi è preso quella sera, mi avrai fatto bere del vino con la scusa che fa buon sangue. Tutti uguali voi maschi...”
zm: “zzzzzzzzzzzzzzzzzzz...”

martedì 22 maggio 2007

Potere temporale: piove, governo laico


In questi giorni mi concedo il lusso di lasciarmi inquietare da vicende di una certa rilevanza sociale. Due vicende per la precisione (uso il plurale nella sua forma minimalista). In realtà sarebbero tre, ma non me la sento adesso di parlare della incipiente brullità delle mie tempie.
La prima è la religione odio dei popoli. A mia memoria (che, bella fregatura, più accumula materiale meno funziona) non ricordo un attacco sociale così forte alla Chiesa Cattolica in Italia. Eminenti personalità, per esempio mia sorella, mi accusano di difendere troppo la Chiesa, peraltro senza mai entrarci. In realtà io non difendo affatto (me lo diceva sempre anche il mio allenatore): cerco solo di capire. Grazie ad una procedura mentale piuttosto meccanica, si può immaginare che i laicisti sognino un mondo laico, i cattolici un mondo cattolico, gli islamici un Islam globale e mia sorella un mondo senza fratelli. Ma una manata laica alla Chiesa creerebbe un paese ateo? Chi ha bisogno di fede cerca la fede, come uno che ha bisogno di fumare cerca un parco, anche se il medico gli ha consigliato di essere parco con il fumo. Se una fede o la sua istituzione, viene abbattuta se ne cerca un'altra o se ne crea un'altra.
I detrattori di casa nostra contestano l'oppressione politica e sociale della Chiesa. Per quanto riguarda l'ingerenza politica, visto che il potere temporale non esiste e la danza della pioggia pure, è ovvio che la colpa è di chi si fa volontariamente “ingerire” e più che avere un governo di sinistra (ce l'abbiamo?) che possiamo fare? Quindi si protesta verso il cantone sbagliato. Per la questione “condizionamento” dei fedeli sarò cinico, vista l'ora. Il laico, anche se non sempre lo ammette, in fondo al suo cuoricino ospita la morbida convinzione che il religioso un po' rincoglionito sia. Su, ammettiamolo. Però è anche un dato di fatto che nella presunta patria del Cattolicesimo, l'Italia appunto, non si respiri un oscurantismo dogmatico. Tra i fedeli stessi molti dettami vengono normalmente trasgrediti e non si verificano mutilazioni o sassaiole. Siamo onesti, anche tra le famiglie cattoliche ormai il problema del sesso prima del matrimonio, per esempio, consiste nel rischio che certi ragazzini facciano sesso prima del matrimonio dei genitori. Probabilmente, tra le grandi religioni abramitiche, il Cristianesimo è la più malleabile e disposta (o interessata) a perdonare. E visto che, citandomi addosso, chi ha bisogno della fede cerca la fede, quali sarebbero le alternative? Le numerose sette (che essendo sette non sono nemmeno tanto numerose)? Altre religioni? L'Islam che alza la testa in Europa sarebbe per le nostre abitudini, la fine del progressismo. Cosa direbbero i laici di una religione che consiglia a una donna di allattare tre volte al giorno il suo collega uomo per poter condividere il luogo di lavoro (al di là del fatto che il collega farebbe anche gli straordinari)? Ne ha parlato repubblica.it ed è sicuramente una notizia resa più assurda di quello che è realmente, ma leggetela e fatevi la vostra idea, mica posso fare tutto io. Ecco quindi le contraddizioni che scomodano la mia inquietudine: un governo progressista di sinistra che dovrebbe essere laico, ma che presenta lacune legislative proprio in tema di fede e il suo popolo se la prende con la Chiesa dando contemporaneamente comprensione a una cultura religiosa ancora più rigida e castrante. Non è che stiamo tirando giù le cattedrali sbagliate?
La seconda cosa che mi insolentisce (erano due ricordate?) è il frutto di una triangolazione ferrea tra il Ministro Nicolais, il bollo della mia moto e 101 euri. Unendo i punti e riempiendo gli spazi viene fuori quanto segue: il governo ha dichiarato di aver trovato 101 euri da dare agli statali (non se li devono dividere, 101 a testa) e i sindacati, dopo convulsa concertazione hanno risposto un secco “PRESI!”. A me fa piacere che li abbiano trovati e so anche dove li hanno trovati. Dal bollo della mia motoretta che è passato da 130 euri a 220 in un anno! Perché non è euroX e c'inquina, dicono. E non posso nemmeno giocarmeli al lotto.
Prima di tutto se mi raddoppiate la tassa di proprietà perché la moto inquina, penso che il concetto di proprietà crei smog. Altrimenti dobbiamo tornare alla tassa di circolazione, ma poi si rischia che io non circoli pagando ciò che non è dovuto e creando, non circolando, un circolo di aria viziata. Se devo pagare perché inzozzo l'aria, piuttosto aumentate la benzina, il cui consumo è sintomo indicatore di circolazione. Tanto sapete come si fa no?
Ma soprattutto, la mia motoretta per rovinare l'aria quanto un boeing che porta ammassi di carne con le infradito alle Maldive (una volta e solo andata), deve stare a gas aperto un centinaio d'anni e non mi risulta che i biglietti aerei siano stati tassati. Sebbene io, andando in moto, decongestioni traffico e aria, le infradito no. Mi consolo pensando che questo furto (di cui ho parlato diffusamente qui) sia servito a scongiurare lo sciopero degli statali. Lo sciopero degli statali consiste in un certo numero di dipendenti a carico dello stato che non fanno quello per cui sono pagati. Forse non leggo bene i giornali, ma io ne ho visti uno stravento di questi scioperi nella mia vita. Comunque non avranno aumentato le tasse (secondo programma di governo), ma io ho meno soldi e gli statali di più. C'è sicuramente chi se li merita, ma il mio sbigottimento è dovuto principalmente all'ultimo vertice del triangolo: il Ministro Nicolais che è sicuramente retto, ma poco acuto. In un'intervista a Report sui dirigenti statali che continuano a lavorare dopo condanne definitive (e prenderanno pensioni misurate su stipendi rubati), ha dichiarato che non si può mica mandare a casa tutti quelli condannati per reati lievi (il limite è 2 anni di carcere). A me è sembrato di capire che uno possa rubare, corrompere, abigeare eccetera, basta che tra patteggiamenti e palpeggiamenti non si faccia dare più di due anni. Se rimane in quei limiti di decenza può continuare a vivere di soldi pubblici e dirigere apparati statali. Creando inoltre i presupposti per la più alta espressione di personalità che il nostro paese conosca “lo fa lui, lo faccio anche io”. Bello, ho pensato. Sta canna deve avermi preso bene. Poi mi sono ricordato che non fumo da quando ho dato fuoco, a 8 anni, al salotto di casa e sono andato a controllare. Ha detto proprio questo! Smog, statali, furbacchioni, il livello di fumo negli occhi è oltre i limiti di legge. Alziamo i limiti di legge.
Ah, non è vero che mia sorella vuole un mondo senza fratelli, al limite senza frati.

Poscritto
C'è un'altra cosa che mi preoccupa. Se chi è entrato, rimbalzando tra i drammi della vita, in questo blog, ieri, cercando “modi indolore per suicidarsi” sta di nuovo leggendo (e lo spero), vorrei rispondere al suo quesito: no, non esistono modi indolore, qualcuno si fa male sempre, molto male. E se vuole scrivermi posso provare a raccontargli come sia sempre possibile farsi del bene. Ciao e resisti!

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lunedì 21 maggio 2007

9 Maggio: ricordatevi di fare qualcosa

Se è vero che qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure, qualcuno si ricorderà che queste pagine scure hanno ospitato alcuni pezzi sul terrorismo in Italia (in particolare qui e qui), su quegli anni di piombo che, in qualche modo, un macabro filo riconduce sempre ai nostri giorni. Dritto come un filo a piombo. Non è mai facile scomodare assassini e vittime e la follia che per i primi è ideologia e per i secondi non è niente, è solo morte. È ancora più difficile per me scrivere di una sofferenza che pochi conoscono e nessuno capisce, specie dopo aver parlato di sogni e motorette. Ho cercato di resistere, è dal nove Maggio che ci provo, ma alla fine la coscienza l'ho trovata, era in lavatrice. Quindi mi scuso in anticipo e mi spiego in ritardo. Dopo tante iniziative prese in favore di ex o meno ex terroristi, lo Stato si accorge anche delle vittime dell'eversione e istituisce una giornata della memoria: il 9 Maggio appunto. Per quanto lodevole, ho trovato questa iniziativa una specie di beffa.
Della memoria c'è assolutamente bisogno, su questo non c'è dubbio anche se imparare dagli errori del passato non è esattamente uno sport che ci riesce bene. Che non ci sia una grande attenzione verso questi temi che tutto sono tranne che un ricordo, lo ha dimostrato un'involontaria (spero) gaffe di repubblica.it che ha inframezzato tra l'home page e l'accesso all'articolo che parlava delle vittime del terrorismo, un paginone pubblicitario che recitava “armi e pistole”. Credo si trattasse di armi giocattolo, per fare le guerre giocattolo. È successo Venerdì scorso, non posso dimostrarlo, ma io sono una brava persona, fidatevi. Poca attenzione e memoria distorta. La beffa sta nel fatto che in Italia, se chiedi in giro, l'unica cosa che è successa è l'assassinio Moro e usare l'anniversario della sua morte come data della memoria rischia di alimentare questa distorsione mnemonica. Più in generale e soprattutto tra i giovani, la cultura storica degli anni bui del nostro Paese si limita alle BR, a cui si attribuiscono tutte le malefatte di cui si è sentito parlare: dalla strage di Bologna allo scudetto della Juve.
Ma la vera madre di tutte le beffe consiste nel fatto che le stanze del potere che hanno ideato e creato questa giornata della memoria, sono abitate dai primi e fondamentali smemorati. Da quelli a cui, spero per distrazione, sono passati di mente centinaia di morti, migliaia di feriti e famiglie distrutte e abbandonate, ma a cui, curiosamente, non sono passati di mente gli autori di questi orrori che, in certi casi, ci lavorano anche in quelle stanze.
C'è anche una madre della madre delle beffe. Purtroppo è, ancora oggi, indispensabile agire prima ancora che ricordare. Ma anche qui ci sono strane dimenticanze. I rigurgiti delle nuove BR hanno aumentato l'oblio sul terrorismo nero che gode ancora di una certa libertà d'azione.
L'eversione di destra ha sempre avuto differenze sostanziali con i gruppi armati di estrema sinistra sebbene avessero il comune mezzo (spesso confuso con il fine) della distruzione violenta. Il terrorismo nero era (ed è) caratterizzato da un'imprevedibilità dovuta a quello che venne definito spontaneismo armato e da una ferocia profonda. Assassini che festeggiavano con champagne e ostriche la morte di giudici e poliziotti e che ridevano in faccia ai parenti delle vittime dalle gabbie nei tribunali. Quasi inesistenti poi gli episodi di pentimento o dissociazione. Inoltre l'eversione di destra accompagnava all'attacco frontale allo Stato, il lasciarsi sedurre da collusioni con i poteri forti, entrando in sistemi complessi di giochi di potere che a volte si sono ritorti contro gli stessi terroristi. Il fatto che si senta parlare pochissimo di certi personaggi e di certi uomini di altissimo valore morale barbaramente uccisi (se non per fare un film sulla banda della Magliana che fa molto pulp) non trova origine, purtroppo, solo in carenza di fosforo.
Fare certe indagini e parlare di certi fatti è ancora molto pericoloso. Famigliari di vittime vivono nel terrore anche solo per aver cercato di capire che cosa è successo ai loro cari, visto che sono stati completamente abbandonati. Del resto erano state abbandonate le vittime stesse. Giudici che combattevano in prima linea come Vittorio Occorsio (che indagava sui collegamenti tra Ordine Nuovo e la massoneria) e il suo successore Mario Amato, lasciati soli, senza scorta senza il sostegno delle istituzioni, seppur minacciati apertamente e uccisi con i poliziotti con cui collaboravano.
Nomi che non dicono niente a nessuno, mentre c'è chi vive nell'angoscia, chi è costantemente minacciato, chi vede ripetutamente infangata la memoria dei propri cari anche a distanza di 30 anni, come è successo recentemente alla madre di Valerio Verbano.
Italicus, Piazza della Loggia, Bologna, Piazza Fontana, la Questura di Milano, Peteano, la Freccia del Sud e altre migliaia, sottolineo migliaia, di attentati nel corso di 20 anni. Ricordare tutto è doloroso e difficile per chi vede morti ammazzati tutti i giorni nei film che si sovrappongono alla realtà. Le commemorazioni sono un segno, ma non ha senso istituire il ricordo di cose che nessuno sa perché non se ne parla. E se non se ne parla perché è pericoloso significa che i problemi prima di ricordarli bisogna risolverli e non si risolvono con l'omertà, l'insabbiamento e la distorsione della realtà. In due parole non si risolvono all'italiana.
La Comunità Europea ha proclamato il 11 Marzo giornata europea per le vittime del terrorismo internazionale (data dell'attentato di Madrid). Lo sapevate? Ve lo ricordavate?
Perché questo 9 Maggio dovrebbe fare una fine diversa? Tanto più che il terrorismo islamico lo viviamo come una minaccia concreta e presente, mentre l'eversione interna è poco più che un scusa per far lavorare Minoli e Lucarelli.
Gli Italiani hanno il dovere di capire in che tunnel di follia è transitato il nostro Paese, ma hanno il diritto di sapere se ne sono usciti e se per caso quella luce in fondo alla galleria non sia l'uscita, ma il treno.

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venerdì 18 maggio 2007

Valentino ma vince sempre


Valentino Rossi è qualcosa di più di un motociclista. Almeno almeno è un motociclismo e questo nonostante si chiami... Rossi. Allo stesso modo Vittorio Gassman era l'attore. Non c'era scampo: dimmi il nome di un attore? Gassman. Destino infame per i suoi colleghi, che non essendo Gassman, non potevano certo essere dei gran attori.
“Che cosa fai nella vita?”
“L'attore”
“Ma non sei Gassman”
“Evidentemente”
“E come ti guadagni da vivere?”
La gente era così convinta della sovrapposizione tra il concetto di attore e il concetto di Vittorio Gassman, nonostante la gran parte di essa non avrebbe distinto le abilità recitative di Alvaro Vitali da quelle di Dustin Hoffman, che lo stesso Gassman cominciò ad enfatizzare le sue opinioni sulla settima arte con la formula “io sono Vittorio Gassman”, simulando perfettamente di malcelare stupore e solennità. I bravi attori a volte peccano di ricorsività.
Anche Vale Rossi ha la spocchia del numero uno. Di quello che fa sì che non essendo lui, non si possa essere un bravo pilota. Non che per essere un numero uno sia necessario sottintenderlo ad ogni piè sospinto, ma “avere la spocchia del numero uno” ha un significato ombra che consiste in “è uno solo, possiamo sopportarlo”. Anche il grande Cassius Clay, per fare un grosso esempio, non si è mai distinto per modestia e simpatia, ma quando il pugnace Foreman a Kinshasa cercò di argomentare il suo disappunto, fu percosso come un tamburo. Da quel giorno chiunque si trovasse a portata di mano (chiusa) del pugile, trovò che l'immodestia fosse elemento distintivo di un animo nobile. Clay sosteneva di essere talmente veloce da riuscire ad alzarsi dal letto, premere l'interruttore della luce e tornare sotto le coperte prima che la lampadina si accendesse. Io solo per alzarmi dal letto ho bisogno di un carro ponte e di almeno 30 minuti di terapia motivazionale. Una volta in piedi poi, non ho speranze di rintracciare l'interruttore senza un dispositivo GPS.
Ma torniamo al dott. Rossi. Di un pluricampione del mondo di motoretta c'è poco da dire. Sarebbe anche stupido parlare di simpatia o antipatia, tanto lui ha il talento (Valentino... talento... mah) e io mica. Io e lui non abbiamo niente in comune a parte la passione per la motoretta e delle incomprensibili voci su un'ipotetica confusione negli orientamenti sessuali. Per il resto, personalmente, non condivido certi suoi atteggiamenti, come probabilmente lui non condividerebbe i miei, se solo gliene fregasse qualcosa. In definitiva è un bravo giovine con un insano polso destro e tanto basta. Non c'è molto da dire nemmeno sulla sua tifoseria che in quanto tale fa il proprio mestiere tifosando.
Due parole mi sgorgano invece su quell'ambiente che si intitola con aria snob “addetti ai lavori”. Epitaffio molto utile per accedere a quelle aree vip al cui ingresso troneggia un cartello che consente ai suddetti di entrare e fa defluire il popolo bue verso luoghi più proletari. Questi “esperti del settore” si guadagnano da vivere giocando a chi è più amico di Valentino Rossi e per primeggiare in questa tenzone si prostrano a sbaciucchiare la terra dove cammina, anche se tempestata di ricordi canini e ad esaltare qualsiasi suo movimento, che sia la tecnica di appallottolamento dei reperti nasali o il mostrare le pudenda in mondovisione.
Io sono un poveraccio e non posso permettermi Sky come invece fa Lucy coi diamanti. Così devo seguire le corse delle motorette su Italia1 ed ascoltare Guido Meda (quello che si occupa delle corse motoristiche si chiama Guido? E quello che si occupa di canottaggio? Remo?). Codesto personaggio in costante lotta con il suo barbiere, si rivolge a qualche milione di telespettatori sparsi in tutta Italia, come se stesse parlando con un amico suo al bar sport di fronte a un bianchino. La sua telecronaca persegue due scopi principali: il primo è riuscire a creare delle formule verbali da tormentone. Quando gli esce qualcosa che lo soddisfa, continua a ripeterlo fino alla nausea e poi si bea nel sentire altre persone che per condizionamento ipnotico, ripetono la stessa locuzione. Come quando intonacò gli ammennicoli a tutta Italia per settimane affibbiando all'iberico Lorenzo il soprannome di “para fuera” che trovava davvero geniale. Finché un giorno uno spagnolo gli disse “guardas che in spagnolos para fuera non significas un cazzos” e smise. L'altro suo intento predominante è onorare la sua tessera del fan club di Valentino Rossi. In poche parole è un po' come seguire un derby commentato da Sandrino 'o mazzolatore. Purtroppo, ad esclusione del competente e obiettivo Loris Reggiani, il vecchio Meda è in ottima compagnia. Se Rossi urta qualcuno in pista è perché “non è uno sport per signorine” se Rossi viene urtato è perché certi criminali dovrebbero stare a Guantanamo invece di correre nel motogp. Se Rossi cade è sfortuna, se cade un altro pilota è un povero imbranato che sta più steso di un tappeto.
Nelle ultime nove gare, Rossi ha vinto 2 volte. Le altre sette volte non è mai stato battuto da qualcuno, ma dalla sfortuna, da assassini prezzolati scesi in pista per farlo fuori, congiunture astrali, il terremoto, le cavallette. Non esistono altri piloti. Non esistono altre moto. Durante l'ultimo GP il giovane e roccioso Stoner ha vinto, secondo Meda, perché la pista prevedeva un rettilineo. Mi sembra abbastanza ovvio che in uno sport come il motociclismo, le motorette contino qualcosa, altrimenti si correrebbe a piedi (che con quelle tute sarebbe uno spettacolo imperdibile). Se un mezzo è più adatto a certi percorsi lo sarà meno su altri eppure non ho mai sentito dire che Rossi abbia vinto perché c'erano le curve. Giustamente. Poco importava, tra l'altro che piloti con la stessa velocità di punta di Stoner siano arrivati a decine di secondi dietro. Non è bravo Stoner, è solo perché lunga e dritta correva la strada. Sarebbe come dire che Pantani vinceva perché c'erano le salite. Ma non basta.
Nico Cereghini, noto all'ambiente delle due ruote per i suoi suggerimenti “luci accese anche di giorno, casco ben allacciato e prudenza, sempre” dispensati mentre sgasava in monoruota con una mano sola, si esibisce nel miglior pezzo di repertorio all'italiana: abbiamo perso? Significa che gli altri hanno barato. Nessuno scrupolo quindi a darsi un tono accennando, neanche troppo velatamente, alla possibilità che la Ducati abbia imbrogliato.
Credo che tutto il motociclismo non abbia che da perderci se queste sono le persone che hanno il compito di raccontarlo al grande pubblico. Credo che i tifosi, quelli alè buuu arbitro cornuto, dovrebbero stare sugli spalti, non nei salotti a fare gli opinionisti. Credo anche che un campione di quelli che nascono una volta ogni secolo come è Valentino Rossi, non abbia bisogno di questo manipolo di lacchè. A lui basta quell'insano polso e proprio per quello ha il diritto di imbufalirsi se, abituato ad arrivare davanti, gli capita di stare a ruota.
Prova dovrebbe esserne il fatto che Valentino Rossi, da anni, si è trasferito a Londra perché, a suo dire, con gli italiani proprio non si riesce a stare. Eppure (o proprio perché) qui sono tutti a suoi piedi.

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giovedì 17 maggio 2007

Sogno o son d'estro?

"All that we see or seem is but a dream within a dream"
EAP

La scorsa notte ho fatto un sogno. Capiterà anche a voi, appena svegli, di ricordare perfettamente che cosa avete sognato, ma già mentre vi lavate i denti i residui onirici notturni svaniscono quasi completamente. Sarebbe interessante studiare che cosa spinga la mente a liberarsi così in fretta di ciò che sogna. Anche se magari il fatto è legato al fluoro del dentifricio o, nel mio caso, alla fortissima craniata sullo stipite della porta del bagno che intercorre regolarmente tra il ridestarsi e lo spazzolamento delle fauci. Comunque sono quasi certo che mi trovavo con la mia moto presso una pompa di benzina. In mutande ovviamente. Nei sogni si è quasi sempre in mutande. Nella scena seguente, tentavo di sedurre l'avvenente benzinaia. Peccato che il mio abbigliamento, particolarmente adatto al concupimento, si fosse trasformato in una spessissima tuta in pelle da motociclista, impossibile da sfilare senza l'intervento di un team specializzato. La colluttazione con il molesto indumento mi ha portato tosto a risvegliarmi, trovando però molto strano il fatto che stessi dormendo sui gradini di un portone coperto da un piccolo plaid. Dopo un certo periodo caratterizzato da sgomento e sciatalgia, ho vissuto un nuovo risveglio, stavolta nel mio consueto letto, tranquillizzato dalla vista dei miei piedi che ogni notte prevaricano dimensioni e coperte disegnando ombre sinistre nel chiarore dell'alba. L'alluce nella luce.
Ho sognato di sognare. Fosse dipeso da me, Freud avrebbe aperto una pasticceria.
Questa attività onirica nidificata mi ha sbigottito. Che cosa mi impedisce di credere che a un certo punto mi sveglierò nuovamente e poi ancora? E che cosa mi farà capire di essere finalmente la sorgente originale? E in quel caso, che cosa spinge la mia essenza prima a dormire così tanto? Ho una sorgente narcolettica? A me Cartesio non basta. È vero: penso, ma anche prima pensavo di farmi la benzinaia eppure non esistevo, sebbene fossi in preda ad un'erezione (quindi nemmeno coito ergo sum dimostra niente).
Non voglio qui discettare di argomenti già ampiamente trattati dai miei colleghi Jorge Luis Borges e Edgar Allan Poe (sì colleghi, chemmefrega tanto sto sognando), ma piuttosto del nostro rapporto con l'ignoto. Se esiste qualcosa oltre la vita che conosciamo (oltre non è sinonimo di dopo) noi non ne abbiamo consapevolezza. Nessuno può presentare una chiara documentazione, nemmeno il mago Do Nascimento. Ma se un dove, un quando o un tuttavia esiste, le entità che popolano quell'oltre, hanno consapevolezza della nostra realtà conosciuta? L'umana speranza che esista un altrove più dignitoso di Frosinone, ci rende convinti che i frequentatori di quel nowhere al quale ci sentiamo destinati, siano dotati di risorse al di là di ogni immaginazione. Loro possono vederci, noi no. Solo i più evoluti di noi possono comunicare con loro, gli altri devono comporre un numero a tariffa maggiorata per avere un'intercessione mediatica e medianica. Mafforsenò.
Molti si preoccupano di che cosa li attenda dopo la morte, se c'è una vita eterna o almeno un quarto d'ora di pace e soprattutto se si potrà scambiare una banconota da 100. Io invece non escludo possa esistere un'anticamera limbica alla vita. Ma se qualcosa esiste prima della vita, è possibile che, come noi, non abbia la minima idea di che cosa ci sia oltre. Ho immaginato così il dialogo escatologico di due non ancora esistenti.
“Tu credi nella vita dopo la nascita?”
“No io sono abio
“Io invece ci credo. Giù a altroquando c'è un nonessere che direbbe (se esistesse) di aver avuto un'esperienza postoriginis. La sua essenza è diventata pesante, precipitando sul nonpavimento, muovendosi lentamente e con clangore di articolazioni”
“Che schifo, se avessi un apparato digestivo ti vomiterei sulla coscienza”
“Già, però sembra che esista una vita e che si provino sensazioni”
“Ad esempio?”
“L'amore”
“Che roba è?”
“Non ne ho percezione. Pare somigli molto all'attività digestiva a cui accennavi poc'anzi”
“E questi presunti vivi che se ne fanno?”
“Si amano, in modo totale, biblico”
“Biblichecosa?”
“Biblico... non so dev'essere un testamento che però è stato impugnato. Comunque questi vivi si concedono sollazzo alle membra. A volte reciprocamente, altre volte invece, si amano a mano”
“Sono tutte fesserie. Io sono convinto che continueremo a non esistere e mi va bene così. Dopo la nascita non c'è niente così come non c'era niente prima della...”
“Della cosa?”
“Prima che cominciassimo a non esistere”
“Questo non è logico”
“Che cos'è la logica”
“Ma che cazzo ne so!”
“Che cos'è cazzo?”
“Ma va' a nascere concepito va'”
Lo scettico alla fine nascerà e da vivo si unirà a un gruppo di Hare Krishna. Anche l'ente che cercava piccole evidenze nascerà. In provetta. Ora dirige il CICAP. E si amano.
Potremmo essere noi quelli più vicini alla verità. Speriamo sempre in qualcosa che va al di là di ciò che siamo in grado di esperire. Trascurando la nostra evoluzione, senza sapere dove possiamo realmente arrivare, qui e ora. La risposta potrebbe essere dentro di noi (essolo che è sbagliata!).
Siamo quindi il frutto della proiezione onirica di un letargico o dell'estro di Dio? Scegliete pure con tranquillità: o siamo davvero ciò che di più prossimo a Dio possa esistere o “tutto quello che vediamo o sembriamo, è solo un sogno dentro un sogno”.
Ora vado a mettermi i pantaloni.....

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martedì 15 maggio 2007

Menare il camper l'aia


Il mondo intellettuale progressista è in subbuglio a seguito di una sconcertante notizia che non ha più senso tenere nascosta: mia madre è razzista.
Devo ammettere che non è mai stata il faro illuminante della tolleranza umana. Per esempio non può proprio vedere Fernando Alonso. Non che il pilota spagnolo ne faccia un cruccio personale, ma la situazione aveva assunto sfumature preoccupanti durante il connubio con la scuderia di Briatore, a cui mia madre preferisce di gran lunga un cadavere sull'uscio. Poi ci sono i film dove si menano. Quelli di Bud Spencer, Walker Texas Ranger, Domenica in. Anche in questo caso mia madre elabora preconcetti culturali che per brevità riassumerò con la formula “che schifo”. Ultimamente, però, la situazione è precipitata. Una piccola comunità di zingari si è insediata in un'aia ai margini del paesino di periferia in cui i miei anziani genitori risiedono. L'avvento dei nuovi ospiti ha portato la possibilità di un eccitante scambio culturale e una serie spaventosa di episodi di criminalità. Ogni notte diversi appartamenti vengono visitati (manco fossero musei) da sostenitori del nomadismo dei beni materiali. L'esasperazione degli intolleranti autoctoni ha portato alla istituzione di piccole ronde notturne armate di insonnia da panico. Quello che gli abitanti del posto faticano ad accettare è soprattutto una certa dose di cattiveria e violenza gratuita associate al fenomeno della dislocazione delle private proprietà. Gli espropriatori usano addormentare la gente che dorme con un gas che raramente ha decorso fatale. Svolta la loro attività, durante la quale l'inquilino gasato deve cercare di non svegliarsi altrimenti viene rimandato a letto a ceffoni, gli ospiti usano esprimere gratitudine defecando in salotto ed allontanandosi a 160 all'ora per le vie del paese a bordo dell'auto messa a disposizione nel sottostante garage. Durante quest'ultima operazione, qualche giorno fa, è stato asfaltato un pedone indigeno, all'oscuro degli usi e costumi degli investitori. Purtroppo lo hanno lasciato lì, si vede che avevano fretta. Eppure in bagno c'erano appena stati.
Com'è come non è, i miei anziani genitori vivono soli e nel terrore. Dormono con i lucchetti alle finestre, nonostante non abbiano più l'età per apprezzare un ambiente caldo e umido, nel tentativo di salvaguardare le loro membra e ciò per cui hanno lavorato onestamente una vita.
Quando il giornalista di Studio Aperto chiede a mia madre e ai suoi compaesani che cosa pensano degli zingari, la risposta unanime è “dovrebbero starsene a casa loro”, dimenticando che, in quanto nomadi, si trovano a casa loro un po' dappertutto. L'intellettuale progressista arriccia il naso un po' schifato. Lui non tollera gli intolleranti. Pensa che dovrebbero starsene a casa loro. Odia il giornalista perché ha rimarcato l'etnia dei “nemici” e odia mia madre perché fomenta il razzismo dimostrando scarsa comprensione delle contingenze storiche e perché fa di tutta l'erba un fascio (secondo me anche perché lui è tifoso di Alonso). Di contro lui non dimostra comprensione per la vita di mia madre, già di per sé non semplicissima (essendo la mia di madre), resa un inferno senza pace e senza sonno, ma lei certo non scrive un editoriale su questo insano disinteresse e di come l'intellettuale utilizzi tutta l'erba di cui sopra.
Da un certo punto di osservazione l'intellettuale non si può dire che sbagli. I giornalisti spesso più che dare le notizie, le fanno. Certi dettagli fanno di un evento una notizia. Come quando un pitbull sbrana un bambino. Non ci si può certo aspettare di trovare sui giornali “canide afferra ripetutamente con la bocca un cucciolo di uomo” per evitare di fare del razzismo canino. Qualche giorno fa un ragazzo è sparito dopo aver saputo di essere gravemente malato. Il “dettaglio” delle analisi errate ha reso questo fatto una notizia. Se fosse sparito per esami giusti non avrebbe attirato l'attenzione dei media, eppure sempre di un essere umano in grave difficoltà si sta parlando.
Però, almeno nel caso del paesello dei miei, mi sento di difendere i giornalisti. È vero, hanno dato risalto all'etnia delle persone in questione, ma hanno riportato fedelmente un sentimento popolare. Infatti nessuno degli intervistati ha detto “cerco di comprendere le radici socio culturali che hanno portato questa gente a cagare sul divano del mio soggiorno”. No, tutti hanno espresso prima paura poi il rifiuto di accettare, l'intolleranza. I giornali pongono la questione “xenofoba” perché la pone la gente, che sia per ignoranza, razzismo, incomprensione o solo paura.
Tutte cose da combattere. Non tutti hanno le risorse per comprendere, non tutti hanno le basi culturali per andare oltre i fatti. È giusto lavorare per superare questi limiti, ma contro la paura chi combatte? Chi si occupa di proteggere gli indifesi prima di accusarli di razzismo? Allora prima di mollare il bicchiere di Lagavulin e alzarsi dalla poltrona per sputazzare la propria superiorità umana e intellettiva, qualcuno dovrebbe preoccuparsi del perché la gente ha paura. Qualcuno dovrebbe capire e spiegare a chi non riesce a farlo, perché qualsiasi comunità viene attraversata da preoccupazioni e panico appena entra in contatto con gruppi di persone dediti a sopravvivere a danno degli altri, formati da uomini che oltre a delinquere magari sono anche veramente razzisti e detestano mia madre molto più di quanto lei detesti loro anche se non gli ha mai pisciato nel serbatoio del camper.
È vero che il passaggio che porta da singoli episodi al giudicare un intero popolo è figlio di una forma di ignoranza deprecabile, come del resto limitarsi a dare del razzista a chi, a fronte di gravi danni subiti, si permette di dire che non vorrebbe avere a che fare con certa gente, mi sembra solo un sistema per propagandare una supposta superiorità morale (che in quanto supposta...).
Io ho provato a parlare a mia madre di integrazione, ma non dorme lo stesso. Ho provato anche a dire, come fanno spesso questi intellettuali, che anche noi italiani anni fa siamo andati in giro per il mondo a fare danni. Mia madre mi ha risposto: “e quindi io devo farmi prendere a calci nel culo senza protestare per questo? Allora con la stessa logica potremmo mettere tutti i tedeschi in un enorme forno”. Mia madre certe volte ha delle espressioni colorite, ma non sapevo come ribattere e ho finto uno spasmo intestinale (“usa pure il salotto degli ospiti” mi ha detto mia madre). Probabilmente non sono abbastanza intellettuale.
Se la gente finisce per rivolgersi a Borghezio è anche colpa di questi intellettuali sempre pronti a sostenere che la loro intolleranza è lecita, mentre quella degli altri no. Perché ora fa molto controcultura difendere i colpevoli e bacchettare le lamentose vittime. La cosa curiosa poi è che spesso questa controcultura ritiene corretto usare lo stesso sistema “razzistico” per demolire ciò che lei trova sgarbato. Per esempio un prete pedofilo è motivo sufficiente per demolire la Chiesa intera, mentre, chessò, un maestro pedofilo non è un buon motivo per demolire il Ministero dell'Istruzione.
Non si può pretendere saggezza e comprensione da chi già vive nel disagio ed è costretto a subire prepotenze senza capire perché e chi possa aiutarli. Anche per comprendere ci vuole un presupposto di serenità ed equilibrio.
“Quelli sono tutti ladri”
“Voi siete tutti razzisti”
C'è così tanta differenza tra queste due affermazioni? E soprattutto a chi serve questa diatriba? Alla gente che soffre no di certo, all'evoluzione culturale nemmeno.
“Mamma non tutti gli zingari sono così”
“Ma perché non se ne stanno in Zingària?”
“Non esiste la Zingària, mamma”
“Se la saranno rubata!”

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venerdì 11 maggio 2007

Non ti c-urar di me


Io non posseggo un televisore e ciò mi rende forse anomalo, ma non certo pericoloso.
Il fatto di non possedere un’abitazione di proprietà, né un’automobile, né un cane domestico o altre cose del genere non fa di me oggetto di curiosità. Invece col televisore è diverso, sembra che lo debba avere per forza. Quando dichiaro in pubblico che vivo e prospero senza televisore, c’è sempre qualcuno che mi chiede: ma come fai? Come faccio a fare cosa? Come faccio a frequentare le persone sbagliate? Non ho la TV, tutto qui. Cosa dovrei fare come?
Della mia evidente e conclamata anomalia si sono puntualmente accorti anche gli ineffabili gentiluomini dell’URAR, che da quanto mi risulta è un noumeno che si occupa di farti pagare il canonerai. Sempre da quanto mi risulta, il canonerai è un qualcosa che ti chiede la TV pubblica, così definita da quando esistono, in contrapposizione, le TV private. Prima c’era la TV e basta, ed era solo Rai, da cui canonerai.
La Rai pare si sostenti non solo di pubblicità e puttanate varie come le TV private, bensì dei proventi del canonerai. Quest’ultimo viene richiesto in tutti i modi praticamente dagli albori dell’era catodica. Anche Renato Zero, moltissimi anni fa, cantava una canzone che diceva “viva la Rai che ci fa crescere sani (omissis) paghiamo allora questo abbonamento per mantenerli in salute e in sentimento”. Se trovate assurda quest’affermazione andate qui e avrete la misura dell’impatto ambientale del canonerai.
Il canonerai è dovuto anche se si possiede un apparecchio TV che si usa solo per guardare, che so, Canale 5 oppure Al Jazeera via satellite, oppure esclusivamente per ridursi sull’orlo della follia con la pleistèscion.. Esistono scuole di pensiero che sostengono che basti addirittura la mera presenza di un sistema di ricezione (per esempio un cavo collegato a un’antenna) per far sorgere l’obbligo di pagamento del canonerai. Questo succede perché il canonerai non è un abbonamento, ma una tassa, almeno così mi è parso di capire. Ma io sono un barbiere, non un uomo di legge, quindi mi fido.
Una delle qualità precipue del canonerai è di scadere una volta l’anno, e nel periodo i cui sta per farlo – mi si dice – c’è una pubblicità in TV che ti ricorda che devi pagare, e ti fa sentire una persona un po’ speciale chiamandoti “abbonato” (dunque non “tassato”, né “abbottato”, epiteti che sarebbero più acconci). Ovvio che se non hai la TV, non saprai mai che devi pagare. Questa è una delle poche certezze che la TV sa darti, anche se solo indirettamente.
Se non paghi il canonerai, quelli dell’URAR ti mandano a casa una lettera in cui si sostiene che a loro risulta che non paghi il canonerai. Tu pensi: e grazie al membro virile! Risulta anche a me!
Però poi vai avanti a leggere e trovi concetti che ti gelano: per esempio, si evince che se hai un televisore in casa e fai il furbo a non pagare il canonerai, la cosa è molto grave e potresti attirarti delle sfighe. Tipo misteriosi incaricati che vengono lì a controllare e se si imbattono in un televisore ti fanno pagare gli arretrati del canonerai da quando sei nato fino a oggi, più interessi di mora e di bionda, roba che ti viene fuori una cifra vicina al PIL del Principato di Sealand. A meno che tu non abbia un parente, un convivente o, insomma, qualcuno che sia già un abbonatorai, al che basta quello che paga lui, e tu guardi la TV aggràtis. Il confine del canonerai è, evidentemente, segnato dalle mura domestiche. Nel senso che se vai a guardare la TV da un vicino, o se gliela spizzi dalla finestra, tu sei salvo. Credo.
La cosa veramente fantasmagorica che c’è scritta in questa comunicazione dell’URAR, è che devi rispondere per forza qualcosa perché se no, in mancanza di tue dichiarazioni, loro non possono chiudere la tua pratica. Allora ti chiedi: ma ‘sta pratica chi ve l’ha fatta aprire, di grazia?
Per far chiudere questa cosa mostruosa misteriosamente aperta, la rosa delle motivazioni che si possono addurre è ampia: ho già pagato e non ve ne siete accorti; ha pagato un mio parente; avete sbagliato nome, non mi chiamo Lucio ma Lucia (occhio all’accento); sono all’aldilà da 26 anni, quello che cercate è mio nipote; sono emigrato in Cambogia dopo aver visto Rambo 3, eccetera.
Oppure, semplicemente, potete dichiarare di non avere un televisore in casa. Che vengano pure a controllare, li attendete con la napoletana carica sul fornello pronti a offrire loro un buon caffè. Evidente che l’onere della prova, e le relative spese necessarie a dichiarare necessariamente con lettera raccomandata, sono a vostro carico. L’URAR è un noumeno che presume, e si suppone non faccia nient’altro, poi.
Io la prima volta che ho ricevuto una comunicazione dell’URAR ero poco più che un bambino. C’era scritto che a loro risultava che avessi presentato la dichiarazione dei redditi e stranamente non ero abbonatorai. Quindi, per favore, che utilizzassi l’allegato bollettino per correre all’ufficio postale a versare il dovuto. Come se uno, appena ha un reddito, la prima cosa che fa è andare a comprarsi un televisore. Successivamente è iniziata la sequela delle comunicazioni preoccupanti, quelle che citano la benedetta pratica aperta. Negli ultimi dieci anni ho cambiato casa almeno cinque volte e ovunque andassi a stare, prima o poi arrivava la letterina i cui mi si chiedeva una mano per chiudere ‘sta pratica. Ultimamente ne giungevano un paio all’anno, al che mi decisi ad aiutare quella brava gente.
Ebbi pietà.
Inviai per raccomandata una dichiarazione scritta in cui spiegavo, una volta per tutte, di non possedere un televisore e di non avere alcuna intenzione di acquistarne uno. Di non voler intrattenere alcun rapporto con l’URAR, acronimo di cui voglio ignorare il significato e che non riesco neppure a pronunciare perché ho la R moscia. Di avere, comunque, un grande rispetto per il loro lavoro, e anche per il lavoro dei loro committenti, dei quali avevo avuto più volte occasione di seguire le trasmissioni in casa di amici e parenti paganti il canonerai, e pur tuttavia di non essere interessato a divenire io stesso un loro seguace. Di voler far loro risparmiare i denari necessari a spedirmi quella sterile missiva, e con ciò procurare un piccolo giovamento alle casse dell’azienda che si preoccupava tanto della mia vita senza TV.
Nella lettera raccomandata, evidenziavo anche la mia generosità nel sostenere un costo (quello dei francobolli e del tempo perso) che non chiedevo indietro, perché io sono amico di tutti, sono un bonaccione.
Ma non è successo niente, anzi, malgrado i miei sforzi la rutilante richiesta del canonerai è giunta di nuovo, col bollettino prestampato da pagare all’ufficio postale e col suo corredo di preconcetti insinuanti sulla mia posizione di evasore fiscale. Allora, come in un racconto zen di quelli che vanno di moda sulle bancarelle dei libri usati, sono stato illuminato: canonerai è futuro seconda persona singolare, quindi il tuo, perché io non canonerò mai.
Se non vi basta... Tu canonerai con dolore

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mercoledì 9 maggio 2007

La triplice intervista


Sul numero di Maggio della patinata rivista Trend è apparsa la prima e unica intervista corale agli autori di CLDH. La sventurata giornalista ha provato a capire qualcosa del progetto editoriale “Post Scriptum” e del perché ci ostiniamo boriosamente a chiamarlo progetto editoriale. Siccome sono andate esaurite tutte le copie tirate (verbo che per l'occasione descrive molteplici aspetti della realtà) del mensile e siccome alla richiesta di ristampe l'editore ha fatto sapere “g'ho mia temp”, riporto integralmente il testo insanguinato.

Da cosa, a chi e quando è nata l’idea di creare un blog?
Cruman: L'idea ispiratrice ha, come ogni buona idea, origine da un equivoco. Ero al telefono con Postatore Sano e ho chiesto quale sistema potessi usare per smettere di fare il palafreniere, lavorare poco e guadagnare tanto. Lui mi disse che un buon sistema è finire su blob. Siccome Postatore mantiene la sua fama di antifigo (cosa che fa molto figo) utilizzando pervicacemente un cellulare del '76 che soffre di effetto larsen e cassa amsterdam, io ho capito che avrei dovuto fare un blog. Il resto è storia.
Spaggio: L’idea è venuta a Cruman, più di un anno fa, che ha visto nel blog uno strumento perfetto per sfogare la sua contagiosa voglia di scrivere e per dare un senso alla sua insonnia. Io, che non ho alcuna delle due doti di cui sopra, mi sono fatto trascinare nell’impresa e do il mio contributo soprattutto remando contro. Visto il successo dell’iniziativa è evidente che non ci riesco molto bene.
Postatore Sano: In realtà non c’è nessuna idea dietro CLDH. Si tratta di una creazione preterintenzionale che si è ritorta contro il suo stesso papà, cioè Cruman. Cruman è un ragazzo padre, ed è evidente che CLDH soffra della mancanza di una figura materna. Altrimenti non si porrebbe tanti problemi.
Quali sono gli argomenti principalmente trattati nel blog?
Cru: Qualsiasi cosa mi venga in mente su cui nessuno abbia ancora detto niente o su cui abbiano detto qualcosa ma io riesca dirla in maniera più sexy.
Spg; Tutti. Da quando abbiamo capito che il qualunquismo per le masse è la vera chiave del successo ci siamo posti l’obiettivo di non trascurare nemmeno gli argomenti più seri, anche se ovviamente ci teniamo gli assi nella manica (tipo il Grande Fratello) per i momenti più propizi. Se leggendo il blog trovate solo argomenti non banali non demordete, ci redimeremo presto.
PS: Non ne ho idea, non leggo mai il blog. Mi limito solo a scriverci qualcosa, ma in quel caso metto solo delle parole in fila e alla fine viene fuori un pezzo nel quale chi legge crede di trovare un senso, un argomento. In realtà io cerco solo di far stare bene le righe di testo in bianco sul fondo nero (CLDH ha il fondo nero). Quando Cruman se ne renderà conto mi ritirerà la password.
In che modo si è espansa la rete di contatti?
Cru: Come succede in tutte le buone famiglie italiane: con le intercettazioni telefoniche. Una volta mi sono accorto che qualcuno dalla Presidenza del Consiglio entrava quotidianamente nel blog. Poi ho scoperto che cercava le soluzioni alle definizioni delle parole crociate.
Spg: In modo epidemico, come un’influenza. Prima il passaparola con gli amici, poi grazie agli aggregatori e ai motori di ricerca. In verità tante persone sono capitate sul blog per caso e si sono affezionate: sulle chiavi di ricerca che hanno condotto da noi tanti lettori è nato anche un post. Pare che le sopracciglia siano un argomento che sta davvero molto a cuore alla gente (sul blog hanno addirittura un post tutto per loro) e che ci ha portato tantissimi contatti.
PS: Davvero non sono riuscito a capirlo. Io ho solo telefonato a una mia amica dicendole che avevo scritto un post, pregandola di controllare se io avrei sbagliato qualche congiuntivo che allora lei me lo dicesse. Magari anche lei sbaglia i congiuntivi e così s’è fatta aiutare da qualcuno e i contatti sono aumentati.
Quando e perché avete pensato di trarre un libro dal vostro blog?
Cru: Dopo aver ricevuto una serie di mail da lettori che lamentavano danni alla retina a causa del disagevole testo bianco su sfondo nero (in realtà è grigio scuro) e siccome non sapevo come si cambiava lo sfondo, ho fatto un libro. Purtroppo la carta nera costava troppo.
Spg: anche questa idea è venuta a Cruman, che ha una vera e propria passione viscerale per i libri e che ha sempre sognato di scriverne uno. A me è semplicemente parsa una buona trovata, dato che mi avrebbe permesso di liberarmi di tutti quei fogli volanti per casa con i post più belli stampati sopra. Per lo stesso motivo penso faremo un libro anche per raccogliere tutti i bugiardini di uso più comune.
PS: Me lo chiedo spesso anch’io. Ho sempre creduto che esistessero tecniche migliori per riciclare il denaro sporco, ma quando Cruman mi ha detto che voleva fare questo libro ho ritenuto che volesse finalmente uscire da certi giri loschi.
Perché è stato scelto il titolo “Post Scriptum”?
Cru: Volevo un titolo breve immediato e che descrivesse se stesso. Purtroppo “Libro” è stato bocciato senza appello. Post Scriptum non mi convinceva, ma dopo le primarie dalle urne era uscita come alternativa solo “Un rutto non è una risposta”.
Spg: Fino all’ultimo è stato in ballottaggio con lo strillo di quarta di copertina: “sulla strada del nichilismo nessuno oserà starvi appresso”; purtroppo per scrivere un titolo di siffatta lunghezza sulla costa del libro avremmo dovuto optare per un formato tabloid, assolutamente incompatibile con gli scaffali dei fornai.
PS: Perché io e Lara non siamo riusciti a convincere Cruman a scegliere un altro titolo. Però nessuno potrà accusarci di non aver usato tutte le nostre armi di seduzione. Gli abbiamo anche detto che se proprio voleva usare un titolo in inglese, allora avremmo preferito “Do ut des”.
Secondo quale criterio – se ne esiste uno – sono stati scelti i pezzi da inserire nel libro?
Cru: Molto semplice. Ho riletto tutti i pezzi, quelli che mi suscitavano un senso di vergogna li ho eliminati. Casualmente erano tutti di Spaggio.
Spg: il principio esiste ed è il secondo della termodinamica, ovvero quello di massimizzazione dell’entropia. Son stati scartati tutti i pezzi che per formato avrebbero consentito un’agevole impaginazione e tenuti tutti gli altri, al fine di non renderci troppo facile il lavoro di produrre un libro sotto Natale che avrebbe reso banale l’impresa ai nostri occhi.
PS: Abbiamo volutamente escluso tutti i post che contenevano messaggi in codice, frasi criptate, sequenze di testo cifrato e comunque elementi che potessero ricondurre alla nostra attività di agenti segreti. Sul libro sono stati inseriti, quindi, pezzi del tutto insignificanti, che non cambieranno la storia. Una mossa vincente: Post Scriptum sta vendendo tantissime copie, Spaggio ha acquistato una Porsche nera che Grasselli se la sogna, e Cruman andrà presto in TV.
Perché avete deciso di autoprodurlo?
Cru: Io non volevo autoprodurlo. Ho contattato una casa editrice e la segretaria è stata molto scortese e siccome io non sono per nulla permaloso ho deciso di fare tutto da solo, mascherando l'operazione come matura scelta di ribellione al sistema. E non ho nemmeno pianto!
Spg: per lo stesso motivo per cui si prendono le scale invece dell’ascensore: può essere per il gusto di mostrare a se stessi che si può farcela o semplicemente perchè l’ascensore non arriva mai. Nel nostro caso, non ci andava di aspettare l’ascensore.
PS: Non l’abbiamo deciso noi, l’ha deciso il libro: non si poteva riprodurre da solo e allora ci ha chiesto una mano. Il problema è stato fecondarlo: la legge italiana è molto restrittiva in questo senso e siamo dovuti andare in Svizzera.
In che modo avete risentito del successo ottenuto da “Post Scriptum”?
Cru: Ecco: risentito mi pare il termine acconcio. Mia madre ha comprato una dacia nella tundra moscovita e mio padre sta trattando per lo yacht di Briatore con tutti i passeggeri. Quando ho mostrato loro il saldo negativo dell'operazione, hanno impugnato il testamento (nel senso che l'hanno preso in mano) e una gomma.
Spg: la soddisfazione più grande è venuta trovando nella sala d’attesa del dentista il numero di Panorama sul quale è stata pubblicata la nostra foto: per ingannare l’attesa di un trapano in arrivo su un premolare l’ho mostrata alla segretaria che, in un afflato di buonismo, mi ha concesso di assomigliare vagamente allo Spaggio della foto. Ma nemmeno tanto…
PS: Per me non è cambiato un granché: sotto la finestra della stanza d’albergo in cui vivo continua a sostare la solita torma di ragazzine. Prima dell’uscita del libro erano mediamente un centinaio, ora saranno più o meno 120. Una giovane su cinque legge abitualmente libri, me l’ha detto Moccia.
State già preparando il seguito, così da raddoppiare questo successo?
Cru: Più che altro pensavo a un film da botteghino. Chessò, “tre metri sopra il ce lo dice Hillman”. Oppure creare un nuovo fenomeno di costume: per esempio mettere Spaggio su un ponte romano (non sul Tevere però) e fargli attaccare dei piercing dagli innamorati. Da questo, sì, potrei trarne un libro: “Il senso di Spaggio per l'Aniene”.
Spg: Sì, ma abbiamo intenzione di aspettare Natale prossimo per l’uscita dato che se regalare libri fa figo, regalare libri in cui si figura tra gli autori fa fare un figurone. Perché negarsi un piacere simile?
PS: Boh, quei due vogliono fare un seguito, mentre io sarei per fare tirature speciali di questo che abbiamo già e buonanotte. Tipo un’edizione con la copertina in brossura e oro, un’altra in stile pop art con copertina gonfiabile, un’altra ancora copertinata in alluminio aeronautico. Roba da vendere a 50 euri al pezzo all’ingresso delle discoteche della riviera romagnola.
Infine, pensate di mollare tutto e dedicarvi a tempo pieno alla scrittura?
Cru: Io mi dedico già a tempo pieno alla scrittura. Di cambiali.
Spg: guadagnare un sacco di soldi scrivendo è sempre stato il mio sogno e il libro va considerato un trampolino di lancio per realizzarlo. Spero che presto mi venga data la possibilità di firmare opere ben più redditizie di questa, ragion per cui mi sto attrezzando prima di tutto per diventare vigile urbano e poi, al culmine della carriera, riuscire a diventare un notaio. A quel punto credo che sarei uno scrittore felice.
PS: Francamente io pensavo di mollare la scrittura e di dedicarmi a tempo pieno a tutto il resto. Il problema è che temo di non essere portato.
(Intervista di Laura Bertolani)

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lunedì 7 maggio 2007

Caro amico t'iscrivo


Pre Scriptum: Nel naturale svolgersi di questo post, raggiungerò vette inesplorate di qualunquismo e sciorinerò dati e cifre senza averne verificato uno che è uno, nella speranza l'abbia fatto qualcun altro in mia vece. Di contro, prometto solennemente che non tratterò in alcun modo del processo di Cogne e tanto meno delle dichiarazioni di Rivera (non il calciatore, l'altro).
Per il concertone del Primo Maggio è stato ingaggiato un tizio di nome Rivera, attraverso la seguente selezione:
“Tu che cosa suoni?”
“I citofoni”
“Bene, ti regalo il concertone del Primo Maggio”
“Che bello, il mio prim'omaggio”
Questo personaggio in cerca d'androne, ha approfittato dell'occasione per fare una cosa molto originale: dirne due al Papa, visto che scatena applausi a costo zero. Io ho subito pensato che Rivera è uno furbo come pochi, mica come quell'attrice che chiede per cortesia di non scaricare i film se no non può pagare il mutuo. Lei, con tutte le tette che aveva, si è beccata i fischi, Rivera gli applausi. E c'ha pure la barba. Furbo come un centrocampista. Tutto lì.
Tutto lì un cazzo, dice l'Osservatore Romano (liberamente interpretato). Una ridda di polemiche e indignazioni ha travolto l'Italia intera. A seguito della quale si è scatenata una cambogia di controindignazioni che hanno occupato le pagine dei giornali per un periodo ormai attempato. La cosa mi ha molto sbalordito perché, va bene che ferisce più la lingua che la spada, ma è anche vero che la spada volendo la fa a fette la lingua, mentre la lingua al limite gli da una leccatina. Così ho provato a chiedermi per che cosa ci si indigni e ci si insolentisca in Italia.
Qualche sera or sono ho assistito a una puntata di Matrix che mi ha permesso di non comprare il libro “La Casta” dei giornalisti Rizzo e Stella, perché me l'ha raccontato tutto (sarà contento l'editore). In codesto libercolo si affrontano i problemi dei costi della politica, degli sprechi e delle incredibili incoerenze che contraddistinguono la vita del nostro Bel Paese. Provo ad analizzare i temi più attuali e simbolici.
SANITA'
Mentre il comune mortale dimostrava platealmente la propria mortalità crepando a causa di un tubo caricato a veleno invece che ossigeno, in Senato erano impiegati 3 medici costantemente a disposizione (forse un'ambulanza blu non era carina). E mentre le casse della sanità pubblica sono più vuote di una puntata del Grande Fratello, questi tre medici, che immagino patissero vita di trincea in un ambiente come il Senato, percepivano un totale di 750 mila euri l'anno. Cioè come 15 primari di ospedali pubblici. Qualche martire sociale si è deciso (l'anno scorso) a mandarne a casa due, liquidandoli con nostri 2 milioni e 500 mila euri (principiant qualunquister).
E a proposito di liquidi EMERGENZA IDRICA
Durante la pioggia di servizi giornalistici sulla carenza di pioggia e le minacce di un'estate a farsi docce con la coca cola, il Senato (solo il Senato) spende 400 mila euro di bolletta dell'acqua. I buoni Rizzo e Stella hanno calcolato che questa cifra corrisponde a consumare una piscina olimpionica al giorno. Almeno ci facessero qualche vasca a rana, giusto per rassodare il ventre molle della politica.
OCCUPAZIONE
In Italia ci sono più di 3 milioni di dipendenti pubblici. Facendo della matematica da rigattiere significherebbe 1 ogni 19 persone (compresi i neonati). In teoria, per qualsiasi esigenza amministrativa o sanitaria, dovremmo fare una coda (al massimo della sfiga statistica) di una dozzina di persone (amateur qualunquister). Eppure OGNI ufficio pubblico d'Italia lamenta carenza di personale. Di conseguenza o c'è un numero spaventoso di imboscati o l'organizzazione strutturale della burocrazia va cosparsa di benzina, gettata in un altoforno e riscritta da zero.
Come se non bastasse i giovani rimbalzano tra precariato e cacciatori di teste, mentre qualsiasi poltronato della politica, finito il suo mandato si ritrova con qualche altra poltroncina, di solito inutile, ma retribuita come un sultano. Questo meccanismo fa sì che in Italia esistano società pubbliche con 25 consiglieri di amministrazione e un dipendente. Immagino che durande i CDA parleranno di come è meglio soffriggere la cipolla e come usare il gettone di presenza.
PENSIONI
Per molti di noi il sogno della pensione corrisponde alla Miramare di Pinarella di Cervia, altri, che andranno in pensione a un'età in cui sembra già incredibile essere vivi, con il sostegno dell'inps, tra vent'anni, potranno comprarsi il quotidiano e leggere come va il processo di Cogne (dilettant qualunquister). Per gli ex parlamentari è leggermente diverso. Loro si aggiudicano un vitalizio e una pensione anche con una settimana di lavori d'aula (durante la quale erano in bagno a litigare con Luxuria). L'inps annovera tra i propri clienti, simpatici personaggi che hanno frequentato le stanze dei bottoni per una dozzina d'anni (d'anni non è usato a caso) versando allo stato 220 mila euri. Poi sono andati in pensione a 40 anni (la gente normale si laurea a quell'età) e insieme ai vecchietti vanno in posta a ritirare una busta contenente oltre 8 mila euri (se qualche scippatore vuole sapere in quale ufficio postale, mi contatti). Questo significa che in poco più di due anni verrà restituito loro quanto versato e dopo... dai 44 anni in su questa gente prende da noi 8 mila erui al mese, senza far niente e senza averli prima versati allo stato. E poi ci stracciano l'anima con la riforma delle pensioni. Al governo c'è la gerontocrazia e in pensione ci sono 40enni a spese nostre.
Questa è solo la punta dell'iceberg (che resiste pure all'innalzamento della temperatura). Poi ci sono i 444 milioni di euri di affitto dei palazzi del potere a Roma, a fronte dei quasi 40.000 immobili di proprietà dello stato, di cui un buon 15% occupati abusivamente e alcuni addirittura sequestrati perchè modificati abusivamente. Come se io mi sequestrassi la mia macchina perchè un passante ci ha installato un alettone. E i 32 milioni di euro per fare le terme a Merano, i 21 milioni per allargare l'aeroporto di Aosta. Di Aosta? Ad Aosta ci si va solo in gita scolastica e in pullman. Allargate la stazione dei pullman piuttosto. I 110 autisti senza patente assunti a Palermo. Il finanziamento pubblico ai partiti, cancellato con un referendum su cui si espresse persino il mio criceto, capendo peraltro meglio di me il quesito: ora a quel finanziamento è stato cambiato nome ed è quadruplicato rispetto a prima del referendum. Insomma, se volete gustarvi il vostro fegato alla veneziana, comprate il libro o riguardatevi la puntata di Matrix.
Quella sera mi sono detto “perdincibacco, immagino da domani che quarantotto di polemiche, indignazioni, manifestazioni, rivolte, macchine incendiate, gente sconvolta che non guarda più Buona Domenica”. Nulla. Si parlava ancora di quello che ha detto Rivera, quello che ha detto la Chiesa su quello che ha detto Rivera e quello che in merito ha detto l'avvocato Taormina da Bruno Vespa davanti a un plastico del Primo Maggio. Nulla, appunto. Nella puntata successiva di Matrix c'era la vicina di casa della Franzoni. Il programma ha fatto il DOPPIO di ascolti di quella con Rizzo e Stella (2 milioni e 300 contro 1 milione e 100). Allora penso che la gente sono tutti matti (professional qualunquister). Penso che la gente è disposta a farsi possedere contronatura basta che abbia la propria razione di scandaletti, morbosità e gossip (superior qualunquister). Penso che tutti questi privilegi del mestiere della politica sono rimasti immutati con l'avvento della sinistra. E queste sono le cose che contano, non le ideologie, la filosofia, la storia, la ginnastica. Conta la vita delle persone e un minimo di umanità. In quest'ottica ha più senso votare il Partito Pensionati che scegliere di che colore sarà vestito chi ci governa. Tanto ce li avremo dietro e non potremo vederli (insane and pervers qualunquister).
Si parla tanto di conflitto di interessi. La politica stessa lo è. Ci sono troppi interessi nel fare politica. Allora eliminiamoli tutti (gli interessi non i politici). Rendiamo la politica un lavoro, non dico da operaio, ma almeno di un normale dirigente d'azienda. Così chi si avvicinerà a questo mestiere lo farà per la cosa pubblica non per la cosa sua. Se giriamo per il bosco carichi di cosciotti di agnello non ci lamentiamo di attirare i lupi (delirium qualunquister with orrible common place). Vien voglia di iscriversi ai terroristi (qualunquister from bar). Ora scrivo a Rivera e gli chiedo se m'iscrive.

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mercoledì 2 maggio 2007

Pago ma non son pago


Per motivi irrilevanti ai fini di ciò che vado a dire, mi vedo costretto a utilizzare due telefoni cellulari, proprio io che ritengo che anche uno sia troppo. È un modo come un altro per espiare i peccati della mia vita precedente*.
1 di questi 2 cellulari è un videofonino 3. Oltre a telefonare, con tal dispositivo multimediale posso svolgere una caterva di attività ricreative, fra le quali guardare la TV.
Ho deciso di lasciarmi andare completamente a quest’ultima opportunità, conscio del fatto che certi piaceri hanno un prezzo. D’altronde in questo periodo mi trovo agli arresti domiciliari e perseguo il nobile sentimento della noia, così, tanto per cominciare, ho deciso di trascorrere una giornata in compagnia del Music Channel e me la sono cavata con un euro e mezzo. Conveniente: esattamente quanto pagavo qualche tempo fa per guardare il Grande Fratello (che ora, ahimé, è finito), allorquando mi sentivo molto più avanti delle più azzardate previsioni che poté fare Eric Arthur Blair all’epoca sua.
Non pago della musica leggera, ho deciso di passare al Cartoon Network: con appena un euro ho ritrovato le esitazioni della mia infanzia, tanto che dopo un po’ ho dovuto decidere di investire un altro eurino per fare un tuffo nel canale Rai, sai, ho cliccato sull’icona “vai” e mi sono ritrovato immerso nei programmi del servizio pubblico, che sono civili assai.
Finalmente un po’ di indipendenza, mi son detto, che tuttavia non è nulla senza la forma fisica, e allora ho deciso di cimentarmi con il palinsesto (che non è un attrezzo ginnico) di 3 Sport TV. Un altro euro ha cambiato padrone e insomma, a conti fatti questa passeggiata mi è costata meno di diecimila lire, una cifra che da quando c’è l’euro non ci prendi manco il taxi fino alla stazione.
Ho sete di sapere, non ho sufficienti problemi esistenziali che mi frenino dal guardare la TV su un monitor di due pollici scarsi, sono giovane e ricco e so che la vita è fatta di gioie e dolori. Cerco la rima e trovo il Motomondiale, due euri al giorno, la posta sale.
Automaticamente pago, ma ancora non son pago. Allora accedo a Playboy TV, tre euro l’ora, settantadue volte più costoso del canale Rai, roba da signori con una certa classe. Ma non mi basta: per altri tre euri e un’altra ora di calda emozione provo anche Fuego Canal, così mi sento davvero trasgressivo al prezzo di un pacchetto di sigarette da dieci.
Mi bruciano gli occhi ma il pomeriggio è ancora giovane, ho la gola secca e in frigo c’è una bottiglina di plastica piena di cocacola light, quella senza zucchero ma con l’aspartame che è stato dimostrato essere cancerogeno. Pur tuttavia quest’ultima nozione è meglio che non si sappia in giro, altrimenti addio dolci dietetici e chewingum senza zucchero.
Mi bevo ‘sta cocalight e mi sento vincitore: sull’etichetta c’è scritto “1coke 1song” e senza una comprensibile ragione penso al motto di Jamaica: “Out of many one people”.
Esco dalle mie turbe percettive e apprendo di poter scaricare una canzone gratis dal web, come ai bei tempi dell’anarchia, basta che vada su http://www.coca-cola.it/ a fare il download del software iTunes, che serve a suonare e comprare canzoni con la carta di credito. Poi mi basterà lanciare iTunes, inserire il codice stampato dietro l’etichetta della coca all’aspartame e via, la canzone sarà mia. Semplice. Questa meravigliosa opportunità scade il 30 aprile, mi rendo conto che manca un giorno e decido di non perdere altro tempo col telefono-TV. Ora è il momento della musica.
Accedo a iTunes Store e trovo l’area cocacola ove mi si invita a inserire il codice. Eseguo, ma non sono registrato su iTunes. Mi si costringe, dunque, a creare un account, mi si chiede nome, cognome, indirizzo e numero di telefono. Eseguo con piaggeria. Alla fine della procedura scopro di aver diritto ad acquistare un brano da 0,99 euri e scelgo Tuca Tuca di Raffaella Roberta Pelloni in arte Carrà.
In altri termini ho ceduto i miei dati personali in cambio di una canzonetta, così per dimenticare questo pomeriggio di follie spengo videofonino e computer. È primavera e fuori si sta scatenando un temporale caraibico, allora mi metto ad ascoltare Stepping Razor Tosh in cuffia. Penso ai miei peccati di questa vita sentendomi abbandonato al destino di qualcun altro e così, con la panza ancora pressurizzata dall’anidride carbonica, mi appago dell’enfietà dei giusti.

* Nella mia vita precedente uscivo spesso con la figlia di un re; lei aveva poteri magici e sapeva passare attraverso i muri, perciò al castello nessuno s’è mai accorto di nulla.

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