sabato 27 maggio 2006

Gli angeli della santa croce


L’altra sera ho saltato la cena e sono andato al Festival Letterature, Roma, serate in serie alla Basilica di Massenzio, incastrate fra Fori Imperiali e Colosseo, cielo striato di nubi all’ora del tramonto, piccioni in volo resi rilucenti e sintetici dalle fotovoltaiche, né caldo né fresco come in queste sere di prima dell’estate, era all’aperto e così alcuni fumavano, un modo come un altro per tirarsela da intellettuali aggràtis, noi eravamo seduti sulle sedie di plastica però c’era pure un mucchio di esseri umani in piedi, e questo creava una certa atmosfera su quelle sedie di plastica messe in mezzo a un pezzo di monumento di città, che strano. Poi, dopo, quand’è finito tutto, siccome avevo saltato la cena sono andato in cerca di un kebab ma Al Basha, che lo fa molto buono, era chiuso per ferie (ottima scelta, come periodo) e allora alla fine ho cenato con un gelato, pensa te.
Vabbè, torniamo al Festival, il cui programma di ieri annoverava una lettura (reading, se vuoi parlare cool) di Santacroce Isabella, di professione principalmente scrittrice, e poi una cantata (singing, se vuoi parlare cool) di Nannini Gianna, di professione principalmente cantante. Quest’ultima, ogni volta che la vedo, mi fa pensare a suo fratello che era pilota di Formula 1 e allora dico: che famiglia.
Il reading di Isabella titolavasi Requiem ed era musicato da un signore che si chiama DJ Evol (rovesciato Amor, viene Roma), e aprivasi con Isabella vestita di nero coi calzettoni bianchi e le scarpe coi tacchi e la maschera black-latex (lei fa spesso così) e alcuni performer con cartelli e alucce da angelo appiccicate sulle scapole e qualcuno pure con l’aureola messa su col fildiferro. I cartelli recitavano: “Cacciare un angelo? Mai”.
Lo spettacolo proseguiva con la cacciata di questi angeli a opera di certi signori in giacca e cravatta che sembravano tipo i buttafuori delle discoteche. Molto realistico. Isabella, che ha avuto un’infanzia difficile (lo ha detto lei nel reading, mica io) s’è un po’ incazzata e ha reagito con virginale ritrosia. Intanto però s’era capito che gli angeli non erano angeli-attori-performer ma attivisti-manifestanti dell’Angelo Mai Occupato (www.angelomai.org), un centro sociale che rischia la temporanea chiusura e il trasferimento coatto in una nuova sede che però sarà pronta (si dice) fra due anni, e che è fuori città invece che in centro. L’Angelo Mai è noto, fra l’altro, per il “Laboratorio aperto di arti e culture”, che rischia di interrompere l’attività e per i prossimi mesi ha preparato una programmazione che si chiama “l’estate precaria di Angelo Mai”. Chiusa parentesi.
Insomma, con questa storia il pubblico s’è insolentito e c’erano alcuni che urlavano lasciateli parlare, altri che urlavano mandateli via che vogliamo sentire la Santacroce, e non s’è rischiata la rissa secondo me solo perché se uno fa l’intellettuale non può menare le mani, se no si confonde coi politici.
Alla fine è nato il compromesso di mettere da parte gli angeli per un po’, dunque Isabella ha potuto svolgere un sacco di attività: leggere le sue cose con la s moscia, cantare un po’ come le veniva, accennare una curiosa danza sciamanica sul finale e così via. È stata talmente sopra le righe da inchiodare il pubblico. Ammirevole nel suo funzionare nonostante tutto, nonostante sé stessa. Il trionfo dell’individuo.
Intanto gli angeli se n’erano stati sistemati di lato rispetto alle sedie di plastica. Custodi.
Poi quando Isabella ha finito è arrivata sul palco Gianna e suonando il pianoforte ha cantato con una voce impossibile per una così mingherlina, e alla fine s’è scoperto che le due (lei e Isa) sono amiche e hanno girato insieme un video in Giappone. Nella vita non si finisce mai di imparare.
Però Gianna è stata più buona con gli angeli, perché non ha fatto la ritrosa e alla fine dello spettacolo ha ceduto loro il palco, e così una signorina molto educata con le alucce sulle scapole, che usava correttamente i congiuntivi e che perciò col cazzo che andrà mai in televisione, ha spiegato in otto righe le ragioni degli angeli con un’educazione e una chiarezza fantascientifiche. Come se non bastasse s’è scusata più volte con Isabella per averla turbata con l’apparizione prima dello spettacolo, e sarebbe stato bello se le scuse fossero state reciproche. Mentre sul palco si svolgeva tutto ciò, metà del pubblico abbandonava le sedie di plastica credendo che angelo mai fosse diavolo sempre, e i display dei telefonini di nuovo finalmente vivi segnavano inspiegabili traiettorie culturali sotto lo sguardo smarrito degli angeli. Un’ora prima Isabella aveva fatto sapere che solo quando sarebbe stata perfettamente immobile, solo allora, non avrebbe più potuto fermarla nessuno.

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venerdì 26 maggio 2006

Datemi un martello (e vi restituirò un dito)


Oggi mi sono imbattuto in un sito abbastanza curioso: http://www.fuh2.com/ . Sconsiglio chiunque volesse dilettarsi nello sviluppare l’acronimo che compone l’indirizzo a cimentarsi nell’impresa, dato che è piuttosto ardua. La soluzione all’enigma trova la sua manifestazione nella frase “Fuck you and your H2”, che mi accingo ad articolare per chi non è pratico di motori e di lingua anglofona. La traduzione letterale recita un signorile “vaffanculo te e al tuo H2”, dove la sigla identifica un modello di auto particolarmente apprezzato da milionari di variegato lignaggio nonché particolarmente odiato da una sempre crescente comunità di normali utilizzatori della strada.
Le motivazioni che hanno fatto nascere questo sito sono a dire il vero abbastanza comprensibili: per l’utente medio, infatti, quest’auto rappresenta abbastanza bene il “demonio” della strada. È infatti un fuoristrada costosissimo, ingombrante, altamente inquinante e chi più ne ha più ne metta. L’autore del sito snocciola una serie molto assortita di motivazioni per le quali bisognerebbe, in effetti, odiarla. Ne cito alcune:

  • esteticamente è una via di mezzo tra un furgone, una station wagon e un mezzo militare, senza avere alcun pregio di ciascuna delle categorie sopra citate
  • vista la notevole massa a pieno carico, questo veicolo non rientra nella categoria delle automobili “comuni” e in ragione di ciò non deve sottostare ai limiti di efficienza energetica che la legislazione americana prevede (l’autore cita un consumo medio, che peraltro la Casa non è obbligata a dichiarare, di circa 10 miglia per gallone, che calcolatrice alla mano fa 2,35 km/litro). Seguono considerazioni sul fatto che mentre i “fratelli americani” stanno in medio oriente per salvare il futuro delle riserve di combustibile fossile, pochi fortunati e spreconi guidatori dilapidano il pregiato derivato dell’oro nero
  • la H2 è una macchina della morte, dato che in caso di collisione con una normale utilitaria – vista la massa e la carrozzeria da “blindato” – “You can kiss your ass goodbye” ovvero puoi salutare questo mondo


Senza voler stare a disquisire sulla leicità morale di queste motivazioni (che per quanto esagerate si basano su principi assolutamente condivisibili), quello che veramente è impressionante è la quantità di persone che si trovano d’accordo in questa crociata contro uno dei veicoli (non dimentichiamoci che l’america è da sempre abituata a vetture “extralarge” e gli americani non sono mai stati particolarmente attenti agli sprechi) che sta rapidamente diventando il più odiato dei tempi moderni. E non solo per i motivi sopra citati: anche in Italia, per esempio, la fazione anti-SUV (gipponi, fuoristrada o Sport Utilità Vehicle che dir si voglia) è sempre più nutrita, costantemente fomentata dalla maleducazione dei guidatori (che si esibiscono sempre più spesso in parcheggi molto “creativi”), dalla incapacità degli stessi di guidare mezzi che sfiorano tranquillamente le due tonnellate e soprattutto dall’invadenza che pachidermi di questo tipo hanno sui centri urbani come quelli italiani. Mischiata, inutile negarlo, ad una punta di invidia che gli status symbol sono sempre e comunque in grado di generare. fuh2.com, quindi, fondamentalmente non ha inventato niente di nuovo no? Non esattamente: anziché fomentare la violenza privata, lo sfregio della fiancata o l’accoppiamento coatto con il conducente, l’ideatore del sito ha adottato una forma di protesta piuttosto curiosa: ogni volta che incrociate un H2, fatevi scattare una foto in cui mostrate il dito più lungo di una mano a vostra scelta e inviatela al sito per la pubblicazione. Trattasi questo di delitto perfetto, in quanto è un gesto sufficientemente denigrante per far sfogare il già plurifrustrato automobilista medio e soprattutto è raramente capace di innescare la “sindrome di Montecristo” (vedasi Sputare contro il destino dell’umanità), apparentemente inapplicabile vista l’evidente insussistenza del requisito fondamentale (“Colui che invece signoreggia una vettura di scarso valore” … (omissis) ). Per amor di verità occorre precisare che pur stante l’insussistenza della condizione di cui sopra la sindrome può ugualmente manifestarsi a causa dall’elevato livello di testosterone del conducente (celodurismo compensativo recidivo).
Detto ciò, e avvisati delle possibili conseguenze, se sposate la causa non vi resta che partecipare all’iniziativa. Prima di voi lo hanno già fatto in tanti, tantissimi, ed è forse questo l’aspetto che più impressiona. Basti pensare che in tre anni il sito ha raccolto oltre 3400 foto (circa 3 al giorno, se vi pare poco…) e il fenomeno non accenna a ridursi…


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mercoledì 24 maggio 2006

Holden, Barney, Fedro eccetera eccetera


Lost (arguta commentatrice) mi ha fatto venire in mente l’acchiappatore nella segale, noto tra i controintellettuali da salotto, come Il giovane Holden, di Salinger. De Il giovane Holden non bisognerebbe parlare: è un po’ come lo zen, se ne parli, non è zen. Purtroppo l’ormai mitico libercolo è diventato, come spesso accade a tutto ciò che è innovativo e “funziona”, la bandiera di tutti quelli che vogliono far vedere di essere innovativi e funzionali. Così bisogna sorbirsi tutti questi surfisti delle onde della controcultura (leggasi: non mi va di farmi una cultura ma ti faccio credere che è una scelta culturale) che ti sputacchiano in faccia mezze citazioni o codici holdeniani come semini di anguria sulla spiaggia. In televisione imperversano questi personaggi che infamano la televisione e i suoi personaggi, cercando di far vedere che loro sono diversi ma vogliono gli stessi vantaggi derivanti dall’essere personaggi della televisione (tipo conoscere Nina Moric ed entrare al billionaire, ma con l’espressione schifata). O panettieri che ti sbattono in faccia il loro orgoglio di essere panettieri (che fa molto umilefigo, stile espressione profonda appoggiato a una colonna della discoteca), salvo poi farti notare che il loro bagaglio culturale da salotto va ben oltre quello di un impastatore medio. E te lo dimostrano, per esempio, dicendo di adorare Bob Marley, ma non No woman no cry, adorano una budleg registrato con un mangianastri mentre Marley vomitava su un’amaca dopo un marjuana party. Avuto tramite il loro amico rastafari (che ha capito tutto della vita, mica voi ottusi e fagocitati dai modelli occidentali). Per non parlare dei finti trasandati che epitaffiano qualsiasi cosa, anche un neo col pelo, rendendo aggettivo l’ultimo nome che hanno letto sull’aletta di un libro sfogliato, malcelando profonda comprensione, nel bookcaffè più in voga del momento: è molto mucciniano o ha un retrogusto pasoliniano o si intravede un non so che di vattelapeschiano. Se sapessero che il buon JD si rifugiò in un bosco disabitato sparando a qualsiasi cosa si muovesse a meno di un chilometro da casa sua, proprio perché schifato da questa gente, forse si sentirebbero meno cool di quello che pensano. Va bene, in realtà era schifato da tutti, ma mi piace pensare che questi gli procurassero proprio delle ulcere perforanti.
Bisognerebbe avvertire questi intellettualoidi da palcoscenico che Salinger nei salotti non tira più. Ora se non conosci Mordecai Richler, non tieni buttata sulla tua le corbusiere, con un disordine studiato, una copia de La versione di Barney e non distribuisci cinismo di alto profilo come se piovesse, non sei nessuno. Ma Barney non è uno scherzo: il gusto autoerotico di essere ebreo e antisemita, la questione francofoni in canada, il politically uncorrect (very much uncorrect)…..e poi è lungo….altro che giovane Holden. Con Pirsig è andata meglio, c’era lo zen, la motocicletta, sì c’era un po’ di filosofia ma potevi saltare le pagine e la storia manteneva un filo…..però anche quello è lungo: a tenerlo sotto braccio insieme ai giornali arrotolati, il tuo profilo austero da saggio in incognito veniva trasfigurato in quello da facchino sudato.
A me l’acchiappatore nella segale è piaciuto molto, ma non mi ha cambiato la vita, nemmeno ha segnato una qualche svolta. Per dirla tutta a me di Salinger ha fatto impazzire Un giorno ideale per i pesci banana (dei Nove racconti), ma l’ultima volta, al lunedì bene, mi hanno riso in faccia. Penso invece a mia sorella, che giunta all’ultima pagina del libro, si è imbarcata su un cargo battente bandiera panamense e, sbarcata negli stati uniti, ha setacciato i boschi d’oltreoceano, combattendo contro grizzly e formiche assassine, per trovare Salinger e vivere accovacciata in un angolo dei suoi pensieri. Ecco lei deve davvero detestare chi riveste la propria immagine sociale con la copertina bianca de Il giovane Holden. Lei non parlerebbe mai di quel libro, perché è convinta che non si possa spiegare, perché quello che sente è solo suo. Che poi sono buoni tutti a fare i colti con un libro pieno di “eccetera eccetera” e compagnia bella….fai il colto con L’essere e il nulla, saggio di ontologia di 800 pagine o con la dimostrazione del teorema di Fermat!
Io, come molti altri scribacchini come me, devo qualcosa al vecchio JD, perché è entrato a comporre una parte del mio inchiostro, insieme ad altri miei maestri che rinnego in nome di una rivendicazione di stile personale. Come molto devo a Woody Allen (chi non gli deve qualcosa?). E probabilmente proprio per questo li tengo nascosti, per non farmi contagiare troppo.
Preso da euforia tardo adolescenziale sono andato a ripescare il libro e l’ho sfogliato distrattamente, sapendo benissimo dove volevo andare a parare. Mi sono riletto la scena della discussione col tassista sulle anitre del laghetto in central park. Ma non perché la trovi particolarmente significativa o profonda, solo perché ogni volta che la leggo (giuro, ogni volta) mi devo fermare perché le lacrime mi appannano la vista…..penso che non ci sia niente che mi faccia ridere così tanto e il peggio è che non ho la minima idea del perché. Voglio dire, lo stralcio è sicuramente colmo all’inverosimile di archetipi del disagio giovanile, di risvolti patogeni dell’integrazione sociale, di realtà opprimenti sullo sfondo di individualismi repressi…….ma a me fa sbudellare dal ridere. Mi toglieranno 5 punti sulla tessera della biblioteca, ma preferisco mantenere la mia onestà intellettuale.

Se non ve lo ricordate….capitolo XII (hehehe mi viene da ridere solo a dire capitolo XII)

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lunedì 22 maggio 2006

Sputare contro il destino dell'umanità


Un aspetto poco gradevole del destino dell’Umanità si evince osservando l’Umanità che si muove nel traffico di un insediamento umano densamente popolato di umani. In tale habitat è possibile osservare come gli umani esercitano il loro diritto alla mobilità, taluni secondo natura, ovverosia deambulando sui loro arti inferiori, talaltri secondo tecnologia, ovverosia conducendo veicoli motorizzati (nel caso degli umani in grado di farlo, che sono pochi) oppure arginandone alla meno peggio i movimenti (nel caso degli umani con abilità cinestetica di livello medio).
Gli umani amano autoriferirsi a una dicotomia che vede contrapposte le figure del pedone e dell’automobilista, dimenticando che per passare da una categoria all’altra basta salire e scendere da una vettura. In realtà esiterebbero anche i conducenti di velocipedi a motore, ma sono un genere terzo al di fuori da certi giuochi di potere. Sempre a proposito di giuochi, negli scacchi i “pezzi” più sfigati si chiamano anch’essi pedoni, e questo la dice lunga sulle dinamiche della grande scacchiera della vita.
È chiaro che il perno della questione non è sociale ma comportamentale: gli umani racchiusi all’interno di autovetture manifestano un irrefrenabile istinto alla sopraffazione di loro simili che si muovono a piedi (salvo rivedere la loro posizione a parti invertite).
Conscio di questa curiosa distorsione, l’umano consesso ha predisposto convenzioni atte a riparare i pedoni dall’essere regolarmente sopraffatti, non già allestendo barriere fisiche a loro protezione, bensì predisponendo segnalazioni luminose oppure grafiche d’indirizzo cognitivo. Esempio: l’automobilista il quale si trova davanti una luce rossa deve arrestare la sua autovettura e permettere al pedone il quale si trova davanti una luce verde di attraversare la strada. Altro esempio: ove un tratto di strada sia ornato di larghe strisce bianche trasversali, il pedone gode della precedenza d’attraversamento. Questo in teoria. In pratica il pedone – luci verdi o luci rosse, strisce bianche o meno – attraversa solo quando non ci sono auto che sopraggiungono. Questo perché il pedone ha il comprensibile obiettivo di riportare il sedere a casa, anziché lasciarlo sul cofano d’un’autovettura. Sempre in teoria, l’automobilista prepotente sa che giammai incorrerà in (teoricamente previste) sanzioni amministrative: sarebbe troppo faticoso, per gli impiegati della strada, multare gente che pettina le vecchiette usando lo specchio retrovisore della sua Cayenne, dal momento che prima o poi la stessa Cayenne sarà fotografata da un autovelox senza fatica e con maggior utile economico.
Orbene, anche in una situazione di vacanza dell’esecutivo, il pedone può rimediare a tutto questo in modo semplicissimo: trovandosi sulle strisce pedonali, ovvero dinanzi a una luce semaforica di colore verde, può sputare contro le vetture di coloro che gli negano la precedenza. È quanto consiglia l’APRI (Associazione Pedoni Reazionari e Ignoranti) in un recente comunicato che è pure una sorta di “manifesto” comportamentale. Preziosi i consigli raccolti nel documento, che raccomanda, per esempio, di non sputare mai sul parabrezza: gli effetti del gesto sarebbero neutralizzati dal pronto azionamento dello spruzzino lavavetri e del tergicristallo.
Indirizzando lo sputo, invece, contro il finestrino laterale, si possono cogliere risultati di maggior interesse: se il cristallo è sollevato, si è sicuri che la patacca di saliva (o catarro, se si è tabagisti oppure si soffre di patologie dell’apparato respiratorio) resterà a lungo ben visibile sulla sua superficie, procurando sgomento nel conducente del veicolo; se invece il cristallo è abbassato, si può addirittura sperare di colpire il guidatore in faccia oppure sui vestiti, o quanto meno di lordare l’interno della vettura.
Naturalmente un atteggiamento del genere può essere mal gradito dall’automobilista di turno, il quale, congetturando d’esser passato dal torto alla ragione solo per un po’ di saliva, potrebbe assalire il pedone a mani nude come con armi da fuoco (a seconda dell’indole, dell’orientamento politico, della dotazione personale eccetera).
Per tale ragione l’APRI ha predisposto un prontuario che aiuta il pedone a riconoscere il potenziale reattivo degli sputandi prima di sputare contro di loro, e in tal modo modulare il rischio in base all’esito sociale che vuole ottenere. La categoria meno pericolosa sono le signorine e le signore in generale, tanto pronte ad asfaltare chi attraversa sulle strisce quanto remissive nei confronti dei pedoni sputanti (“Inibizione da raccapriccio”).
Più complessa la natura dell’Uomo. Di solito chi conduce una vettura elegante e costosa tende a togliersi dalle palle tenendosi lo sputo ricevuto, poiché teme che a quello possano seguire – da parte del riottoso pedone – anche calci sulla carrozzeria (“Strategia della limitazione del danno”).
Colui che invece signoreggia una vettura di scarso valore, sozza e mal tenuta, potrebbe già avere i coglioni che gli frullano per motivi pregressi, rivelandosi disposto ad addivenire a singolar tenzone accoppando lo sputatore (“Sindrome di Montecristo”): un’eventualità da non sottovalutare.
Tuttavia l’APRI suggerisce pure una tecnica per rimediare a eventuali errori valutativi: dal momento che lo sputato deve scendere dall’auto per vendicarsi sul pedone-lama, quest’ultimo può opportunamente prendere a calci la portiera semiaperta acciaccando la regione tibiale dello sputato e poi dandosi signorilmente alla fuga (ritirata strategica).
Il fine ultimo dell’APRI è di procurare negli automobilisti l’insorgere di una paura diffusa nei confronti dei pedoni con diritto di precedenza, e questo lodevole scopo sarà raggiunto quando chi è al volante percepirà la probabilità di essere preso a sputi come estremamente alta. Solo così, nel tempo, il rispetto nei confronti del pedone con diritto di precedenza potrà divenire ancestrale, e violare il diritto di chi va a piedi sarà come battere le mani di fronte a uno stormo di piccioni: nel trepido ammirare il prodigio del volo, come niente ci si becca una cagata sulla testa.

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venerdì 19 maggio 2006

Equilibri, ovvero letture per cavalli


Facciamo due conti: in una importante libreria di una qualsiasi grande città italiana, possiamo tranquillamente trovare più di 100.000 titoli. Ora, consideriamo che un uomo medio (con un lavoro, una famiglia e i suoi bravi problemini quotidiani) riesca a leggere tre libri al mese (impresa già di per sé notevole) e che riesca a mantenere questa media per cinquant’anni: se ne deduce che in questo considerevole lasso di tempo arriverebbe ad un totale di 1.800 libri, esattamente l’1,8% di quelli contenuti nella suddetta libreria (che non può essere certo considerata il deposito dello scibile umano). Per completare il quadro si può aggiungere che per compiere la titanica opera di leggere i famosi 100.000 libri (diciamo per esempio in 60 anni) bisognerebbe “divorarne” circa 4 al giorno, attività per la quale la pazienza di un santo e la resistenza di un cavallo non sarebbero sufficienti.
Ma che bisogno c’è di leggere tanto?
Nessuno. Infatti questo non vuole essere uno dei soliti inviti alla lettura stile “andate in libreria che fa bene e previene la carie”, oppure “regalate un libro” che mi fa sempre pensare che in realtà la frase continui con “a quegli zucconi dei vostri amici così imparano qualcosa invece di stare sempre seduti in quel bar!”. Niente di tutto questo, anzi: spesso la mia passione morbosa per determinati libri mi spinge a provare “fastidio” nel vedere altri leggerli. Ricordate il libraio de L’ultima lacrima di Benni che vendeva libri solo se questi volevano essere letti dal cliente che li desiderava? Ecco, penso ci siano libri che non sono stati scritti per essere letti da tutti o, più in generale, che la lettura non sia uno sport per tutti, ma non in senso elitario, non credo che una persona sia migliore di un’altra solo perchè legge più libri. E’ un po’ come la musica: non è ben chiaro perché si avverta la tacita convinzione che chi apprezza la musica classica sia migliore (più “intelligente”?) di quanti non riescono a rimanere svegli sentendola.
Forse, qualcosa di elitario c’è (come in ogni altro aspetto della vita): un fanatico dell’operetta non considererà mai un patito dell’hip-hop un vero musicista, ma è un elitarismo circoscritto, contestualizzato. Non va male interpretato Emanuele Trevi quando dice “Non viene mai il sospetto che di libri se ne leggano troppi? [..] che vi sia troppa gente che va ai musei”, bisogna considerare il punto di vista di chi ritiene inutile costringere pessimi lettori a sorbirsi controvoglia uno Svevo piuttosto che un Ulisse di Joyce (giuro che un giorno riuscirò a finirlo), creando così una cultura (“libresca”) di secondo livello o comunque costruita, non genuina, oserei dire transgenica! Ciò che è bello pensare (sempre secondo Trevi) è che “Ci sarà sempre un ragazzo solitario capace di procurarsi un romanzo di Stevenson”.
Argomento interessante è invece quello della “selezione”. Avete mai pensato al modo in cui scegliete i libri che leggerete (o meglio che comprerete)? Io ho cominciato a rifletterci seriamente da quando mi sono reso conto, entrando in una libreria, che avrei acquisito in tutta la mia vita, solo il 2% del sapere contenuto in quel misero negozietto. Così ho inquadrato alcune tecniche di selezione inconsce (o stupide, è uguale) che utilizzo regolarmente convinto in realtà di effettuare una scelta ragionata e competente. Tecniche che ho scoperto essere molto diffuse tra i frequentatori di librerie, anche se con qualche variante tematica. La più immediata è senz’altro la selezione estetica: io per esempio mi accorgo di scartare a priori tutte quelle copertine coloratissime piene di disegni e con i titoli scritti a caratteri cubitali (stile molto diffuso tra gli “scrittori-fiume” americani). A seguire, troviamo la scelta da impatto sociale: molti comprano i libri più venduti al momento o di cui si parla di più (Costanzo docet), io di solito ho la reazione contraria. Diffido istintivamente (probabilmente a torto) dei libri d’esordio che vendono milioni di copie, soprattutto se si sente puzza di manovre editoriali: il vendutissimo La profezia di Celestino aveva sin dall’inizio suscitato il mio disinteresse, poi uscirono in poco tempo (sempre di Redfield) Guida alla profezia di Celestino, La decima illuminazione, Guida alla decima illuminazione e alla comparsa del Diario della profezia di Celestino, si sommò al disinteesse qualche pallido sospetto. Sì perché, io non nego che uno sconosciuto (al mondo letterario) possa scrivere un libro stupendo (come ha fatto per esempio Paolo Maurensig), ma questa insistenza mi è parsa un po’ un battere il ferro finché è caldo. E’ come se Umberto Eco avesse fatto seguire a Il nome della rosa un “Il cognome della margherita” (stat margherita pristina nomine….). Però La profezia di Celestino alla fine l’ho comprato, ma ho anche La prozia di Celestino (seguito del Fagiano Jonathan Livingston, manifesto contro la New Age), perché un’altra regola che sono spinto a seguire è quella secondo la quale, tra gli scaffali delle mie librerie, debba regnare una sorta di par condicio. Così tengo vicini De Felice e Hobsbawn, Hofstadter e Gurdjieff, Freud e Jung, la Bibbia e il Corano, l’Uomo Ragno e Capitan America. Tra l’altro questa tecnica è molto utile per difendersi dai “radiologi della cultura”, quelli che invitate a casa e per prima cosa vi scrutano la libreria come il medico scruta i vostri esami del sangue e cominciano ad inquadrarvi mentalmente: “dunque .… positivista …. junghiano …. erotomane”; andateglielo a spiegare poi che Il delta di Venere ve l’ha regalato un vostro amico pensando si trattasse di un testo di astronomia. Dopodiché vi guardano con aria inquisitoria e formulano la fatidica domanda “ma li hai letti tutti?”. Appena i vostri neuroni avranno rinunciato a tentare invano la strada della telecinesi per far piombare sulla testa del vostro amico il trofeo che tanto sudore vi è costato all’ultimo torneo di curling, un sorriso colpevole tenterà di nascondere la vostra risposta negativa. Questa è forse una delle cose che i “non lettori” capiscono con più difficoltà: non è stupido comprare libri che rimarranno intonsi nelle librerie di casa per anni (io ho libri che non ho mai letto in edizioni diverse, perché non avendoli letti mi dimenticavo di averli), perché spesso leggere un libro è tanto affascinante quanto l’idea di farlo.
Ci sono, infine altre tecniche di selezione meno raffinate ma molto pratiche: scegliere in base allo spessore, nel caso si debba chiudere un buco nella libreria; oppure in base a quello che il libro stesso promette (diventare ricchi, belli, magri, in pace con sé stessi, con gli altri, vincere lo stress, vincere a scacchi, rendere inoffensiva la suocera ecc.) o più semplicemente in base al rapporto prezzo - numero di pagine. Ma la tecnica più in voga tra i topi di libreria è senza dubbio il “sesto senso libresco”: “ha letto il mio libro?”, chiese uno scrittore a Emilio Cecchi “Non l’ho letto, ma non mi piace”, fu la risposta. Questo sesto senso difensivo, in un mondo che ci sommerge di informazioni, è secondo La Capria, “cultura”. E, sempre secondo La Capria, a volte può capitare anche di difendersi da capolavori, dal loro “contagio”: Ungaretti, a chi gli chiese un parere sulle poesie di Montale rispose “Non posso leggerle, se no mi sciupo”.

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giovedì 18 maggio 2006

Il mi(ni)stero dell'attuazione del programma


Ora bisogna che impariate ad usare internet e a selezionare le informazioni che vi si trovano. Oppure quando andate dal giornalaio a comprare la repubblica, che fa molto progressista, dovrete acquistare anche il giornale di Feltri o di Ferrara. Lo so non è facile, ma se da oggi volete un’informazione completa o vi guardate il blog di Grillo e vi comprate i libri di Noam Chomsky o cominciate a spulciare angoli finora inesplorati. Ora verrà fuori (e quel che è peggio non sarà facile accorgersene) a chi è davvero in mano l’informazione di massa in Italia.
Quando c’era il cavaliere nero si poteva stare tranquilli: sapevamo bene che non sarebbe passato sotto silenzio nemmeno un dito nel naso. Se la mattina il berlusca avesse confidato al suo garcon pipì (Emilio Fede) che non avrebbe mangiato caramelle per tutto il giorno e dopo pranzo avesse ingerito una tic tac al tonno muschiato, in meno di mezz’ora tutti i grandi media (internet, tv, giornali) avrebbero gridato “Il premier mente, sapendo di mentine”.
Ora ci possiamo scordare questa beata serenità. Ora prova ad andare su repubblica on line a vedere se trovi scritto da qualche parte che Prodi aveva in programma di fare meno ministri di Berlusconi (gnè gnè) e poi ne ha fatti di più. Cerca da qualche parte notizie sulla spartizione di pentapartitica memoria, delle poltrone del potere. Non troverai scritto che, povero mortadellone, si è ritrovato a fine torta che aveva fatto più fette del previsto. E meno male che c’è il ministero per l’attuazione del programma di governo, che dovrebbe autoeliminarsi per far sì che il programma sia rispettato, ma così facendo sparisce il controllo sul rispetto del programma….Russell e Odifreddi avrebbero un orgasmo (in posti diversi si intende). Il sedere che siede su questa poltrona è di Giulio Santagata, che è entrato nel giro Prodi rispondendo all’annuncio “cercasi organizzatore tour promozionale turistico pullman mortadella”.
Nemmeno si trovano commenti sulla composizione del parco ministri. Su che cosa significa trovarsi ancora con Amato, Intini (viceministro), Bindi (dopo i disastri combinati alla sanità), Visco (vm), Chiti. Vannino Chiti, per i fortunati di voi che non sanno minimamente chi sia, è quello che aveva proposto di obbligare i gestori di siti web che danno informazioni (cioè TUTTI), ad avere un direttore iscritto all’albo dei giornalisti (altra bella italianata gli albi professionali) e a registrare la “testata” presso il tribunale. Dopo che una terza elementare che pubblicava un giornalino scolastico su internet ha chiesto se il capoclasse potesse comparire nell’album delle figurine dei giornalisti, il modesto Chiti ha naturalmente risposto che TUTTI avevano capito male il suo intento ed ha cominciato a fare il vago suggerendo la succulenta ricetta del coniglio alla salsa bearnese.
Ed è un piacere scorrere le grandi testate giornalistiche e vedere facciotti prodiani sorridenti attorniati da cuoricini e scritte del tipo “Dureremo”, “una bella squadra”, “vai Romà bella lì dammi il cinque”. Ma la notizia che i “democratici” di sinistra a Caserta hanno indetto le libere primarie a pagamento per far decidere al popolo sovrano proletario e incazzato, chi debba presentarsi alle amministrative e dopo aver raccolto più di 9000 eurini hanno candidato chi volevano loro e non il vincitore delle consultazioni, l’ho dovuta leggere sul sito di Grillo.
E’ la “democratica” sinistra che vuol far chiudere televisioni, dove la satira politica ora è sparita. Qualcuno accenna controvoglia qualche freddura su Moggi o prova con una lacrimuccia a ributtare lì il berlusca ma senza soddisfazione.
E’ la progressista sinistra, che per riemergere dalla crisi economica, vuol tornare al sistema occupazionale di 30 anni fa. Quando si combattevano i padroni a fianco degli operai sfruttati. Ma non si rende conto (perché completamente fuori dalla realtà produttiva) che ora le cose non stanno più così, che nella media e piccola industria, gli imprenditori stanno peggio dei loro dipendenti e mummificando il mondo del lavoro (invece di incrementare la professionalità e la cultura aziendale) si arriverà al collasso e nessuno potrà più permettersi di dare lavoro, che sia precario, indeterminato o nero.
E i sindacati, sempre più forti e fieri di distruggere chi il lavoro lo crea a favore di chi lo evita, non avranno più nessuno da tutelare.
Questa è la sinistra al governo. Al potere c’è la presunta “intelligenza”, c’è il mondo intellettuale e progressista, che però nulla ha a che fare con la gente che lavora. Con quelli che producono. Dimmi te se sono ridotto ad attaccare la sinistra….da sinistra.
Fate attenzione a quello che vi dicono, perché nessuno controllerà Prodi come è stato controllato Berlusconi.

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martedì 16 maggio 2006

La società in C vile


Un po’ mi secca continuare a parlare di Moggi e dell’operazione “piedi puliti”, ma voglio provare a seguire un ragionamento di più ampio respiro (diamine come mi esprimo bene!). Luky Luciano sostiene di essere stato contro i poteri forti e per poterli fronteggiare, ne ha creato uno più forte ancora. Il sistema si basa su un elemento molto semplice: gli italiani. Non è una questione di regole o leggi, la questione è che le banane al polo sud non nascono (oggi invento anche dei proverbi) e se il marciume è nato qui è perché c’erano le condizioni sociali e umane affinchè potesse nascere. I regolamenti vengono dopo e dovrebbero servire a delineare un’idea di funzionamento di un sistema, non a dire “guarda che se imbrogli ti punisco”. Perché questo concetto racchiude in sé la consapevolezza che si ha a che fare con gente che appena può tenta di fregare. Il sistema Moggi era composto da protezionismo, favori, minacce e il maggior tornaconto economico possibile. Se vi guardate intorno non vedete le stesse cose ovunque? Per fare carriera in qualsiasi posto non bisogna entrare nelle grazie di qualcuno ed evitare di pestare determinati piedi? Non si ingoiano rospi e si tacciono cose che non si possono dire? Non si sfrutta un’amicizia influente per un vantaggio personale? I giornalisti si sono, al solito, avventati come mosche sulla cacca, dentro a questo calderone, ma nel mondo del giornalismo funziona allo stesso modo. Si scrivono articoli per favorire una forza politica o anche solo per distruggere uno antipatico. Nel mondo del lavoro si viene spesso considerati o emarginati a seconda di chi si accontenta e la minaccia è sempre quella del posto di lavoro o della carriera. La politica è sempre stata la mamma di questi sistemi (per non parlare della stessa giustizia), ma anche lo sport vive di queste cose da secoli. Persino nelle categorie più basse se si ha un amico in federazione lo si sfrutta. E così, a livelli più alti, si sfrutta il generale della finanza, il ministro, Lele Mora (si sa mai, un paio di modelle) in un giro di favori che camminano su un confine tra amicizia e favoritismo illecito, molto difficile da definire, anche perché si finisce ad essere raccomandati anche se non ce ne sarebbe bisogno, anche se una posizione la si merita comunque. Alla fine questa è la solita insurrezione contro la “normalità” che nessuno ammette di vivere, ma che fa molto figo denigrare.
Questo non per giustificare Telecom Italia Moggi, ma per evidenziare che qui non è un problema di regole ma di civiltà. Tutto viene giustificato. Oppure si criticano gli atteggiamenti che ci ledono nel personale, salvo poi fare di peggio alla prima occasione. Questo atteggiamento “mammone” è espresso bene da un pezzo di Alberoni, che dice “buona parte del buonismo di oggi è una miscela di tolleranza infinita per se stessi trasferita agli altri. Al compagno che allaga la scuola, agli zingari che scippano per strada, alla ragazza che ammazza la madre e il fratello o al giovane che uccide la nonna perché non gli da i soldi per la droga”. Così ascoltiamo impassibili frasi tipo “questi ragazzi che lanciano sassi dai cavalcavia sono vittime di questa periferia di provincia, che non da stimoli, non offre niente”. Io posso anche capire che l’abitudine italica di occuparsi in tutto e per tutto dei figli fino all’età della pensione, porti i giovani in situazioni in cui il cervello comincia a girare a vuoto perché non ha nulla di cui occuparsi, problemi da risolvere, cose da costruire. In molte culture, specie nordiche, quando un figlio comincia a camminare gli si dice “bravo, non ti fermare” e gli si apre la porta. Ma intanto continuiamo a fare regole (e se ne faranno di nuove per il calcio) ma se non si fa niente per un’evoluzione civile nulla cambierà. Le regole diminuiranno la libertà, limitando la fantasia per proteggersi dai disonesti. In Danimarca c’è un tasso di disoccupazione inferiore al 4% anche se i datori di lavoro sono liberi di licenziare persone non adatte all’attività che si svolge. Ma la gente è spinta e aiutata a riqualificarsi e rimettersi in gioco. In Italia non puoi licenziare un dipendente nemmeno se durante l’orario di lavoro si scopa la moglie del titolare. E il tasso di disoccupazione è più del doppio di quello danese e il mondo del lavoro è al collasso per troppa rigidità e per mancanza di professionalità. E’ sempre e solo una questione di civiltà e cultura sociale.
Come ci si può stupire tanto di questa situazione nel mondo del calcio? Abbiamo sempre criticato ma accettato le follie delle tifoserie, le scorrettezze in campo, persino le raccomandazioni nello sport. Ora pare che si sia scoperta una realtà pazzesca. Abbiamo scoperto la normalità.
Ecco perché Moggi è rimasto sconvolto dalle accuse rivoltegli: perché lui non faceva niente di anomalo, perché le cose funzionano così. Ho sentito Feltri (che amo e odio come un bel gatto che si fa le unghie sul mio polpaccio) dire una cosa illuminante, che come al solito è caduta nel vuoto: si parlava dei problemi derivanti dalla quotazione in borsa delle società di calcio e qualcuno ha obiettato che anche in inghilterra è così e tutto va bene. Feltri ha candidamente risposto “in inghilterra ci sono gli inglesi”. Lo stesso direttore ha però anche troppo candidamente addossato molte colpe agli arbitri dicendo “se qualcuno mi telefona per dirmi cosa scrivere nel mio giornale lo mando a farsi fottere”. Giustissimo, ma se da come rispondi a quella telefonata dipende la tua carriera, prima dici sì va bene e poi imprechi una volta attaccato. Non credo vada considerato un atteggiamento vigliacco. Non si può giudicare una persona sulla misura del coraggio, perché si rischia di creare un modello di giustizia per cui non tutti sono “attrezzati”. Bisogna piuttosto criticare aspramente l’inciviltà di fondo che ha portato all’esistenza di quella telefonata. Allora mandiamo pure la juve in C, creiamo nuove regole, nuovi paletti….sperando di non ritrovarceli in posti disdicevoli. Quanti di voi pensano, vedendo un uomo in una posizione di potere (che sia politica, industriale o giornalistica) che se è arrivato lì qualche amicizia importante deve averla e che a qualche compromesso deve essere sceso? Sareste invece stupiti di sapere che è arrivato lì con il lavoro, l’impegno, l’onestà e la coerenza.
La normalità è una questione statistica.

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lunedì 15 maggio 2006

E' finito contro un campo


Ieri ho seguito l'ultima puntata di Contro Campo. Su ora non fate quella faccia, capita di fare degli errori nella vita e io, a parte quella volta che ho pagato un panino 1 milione 750 mila lire, grosse fesserie non ne ho mai fatte prima. Se devo essere del tutto sincero ho anche gradito, non proprio tutto, ma a tratti è stato piacevole. Gia che siamo in vena di confidenze….ho guardato anche colorado cafè. Ero stanco, il telecomando non funzionava, il divano si era impossessato di me…..ok non ho scuse. Cercherò di espiare (eguardando dall’ebuco della eserratura). Tanto per fare del mio male un mezzo gaudio, ho deciso di condividere con voi le cose più interessanti di questa bislacca serata (escludendo le pubblicità e Rossella Brescia, che si chiama così perché viene da….Rossella, un paesino in provincia di…. Bergamo). Vi sembrerò stupido (tanto ormai), ma la cosa che mi ha colmato di irrefrenabile ilarità è stata “mandi mandi” vestito da figlio dei fiori che diceva “Ciao sono Marcello, L’ippi”. Ammetto che ho dovuto leggere un tratto di Va dove ti porta il cuore, per smettere di ridere.
Inizia contro campo tra cosce di miss italia, creme solari di Graziano Cesari e intellettuali (??) assiti a guisa di suino in porcilaia. La bionda fidanzatadimotociclista, che presenzia la trasmissione avendo conseguito il titolo di più bella d’italia e potendo ostentare almeno uno sportivo di livello internazionale tra le sue copule, tenta invano di distogliere lo sguardo dei presenti dalle di lei tette argomentando alcune questioni politico-sportive, peraltro ben scandite. Come risposta si leva dal parterre un coro di unanimi commenti sul vestito della suddetta donzella che lascia intravedere con l’innocenza più maliziosa, parti del corpo che persino lei vede raramente. A seguito di ciò, la miss tornerà ad essere quell’armonioso bricolage di tette e cosce che, in ultima analisi, l’ha condotta a quell’autorevole seggiola. Non senza disegnarsi un sorriso sul viso che urlava “branco di segaioli”.
Seguono alcune dichiarazioni di toccante attualità. Luciano Moggi (padre del famoso procuratore), con la voce rotta dal pianto, annuncia il suo addio al calcio e la sua strenua difesa contro le cattiverie che gli hanno fatto (gnè gnè). Probabilmente “legnare”, “massacrare”, “minacciare”, arbitri, allenatori e giocatori lui le considerava cortesie di cui andare fiero. Come ha commentato Linus, presente allo show, il buon Moggi riteneva che questo modus operandi fosse quello normale, perché ovunque funziona così e quindi trova immondo che qualcuno lo accusi di queste azioni. E pensando che siamo nel paese in cui c’è sempre qualcosa che giustifica, che sia la noia, la società, la famiglia, un motivo per essere carnefici c’è sempre, salvo poi diventare di colpo, vittime in lacrime, forse il ragionamento si può…..giustificare (!).
Ma torniamo alle perle del programma. Cade nel vuoto un refolo di ironia che Linus soffia sul pubblico attonito quando viene chiesto a Ruggeri quale allenatore preferisse tra Capello e Mancini. Il DJ interviene sentenziando “lui vorrebbe Capello”, ma il calmbour scivola via sulla lucida pelata del cantante interista.
Un’altra emozionante dichiarazione colpisce il cuore degli spettatori. Un facinoroso ultrà da bar che risponde al nome di Mughini, afferma sconsolato di non aver guardato i gol nel programma sportivo del pomeriggio perché non se la sentiva. Un applauso ha sottolineato questo gesto carico di dignità. Lo stesso Mughini, sdraiato sulla sedia, tra un’espressione facciale degna di un barbapapà e l’altra, non lascia molto spazio alla sua dignità così teatralmente ostentata e dichiara con aria seccata, che se l’arbitro Paparesta, non è finito in analisi per essere stato rinchiuso da Moggi in uno spogliatoio a fine partita, significa che l’atto in sé non è affatto grave. Probabilmente perché usa i parametri di valutazione appresi al centro di igiene mentale. C’è da dire che il mesto opinionista era decisamente turbato dal fatto che Abatantuono facesse battute più divertenti delle sue e che Paolo Liguori dicesse cose più intelligenti (!!).
Ultime cose degne di nota. Cesari si bea di non essere coinvolto nello scandalo intercettazioni e il Diegone nazionale lo mette in guardia da un eventuale scandalo solarium. Infine Liguori, venendo a sapere di due dirigenti indagati per aver tentato di appropriarsi di una volante della polizia (con tanto di agente autista) per girare per roma, commenta che ora saranno accontentati.
Insomma è stata una serata diversa, conclusa con un sospetto atroce. Se dovessero squalificare sia juve che milan, lo scudetto potrebbe essere assegnato all’inter. Non credo che la popolazione nerazzurra potrebbe reggere un simile trauma. Non c’è preparata. E mi chiedo ancora una cosa: perché le cose più intelligenti sul calcio le dicono quelli che col calcio non c’entrano un fuffolo?

Stasera guardo protestantesimo e dipartimento scuola educazione per mondare la mia anima, promesso.

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venerdì 12 maggio 2006

TRIADENT! Più calcio nei denti!


Stavolta è dura. Amici giornalisti e giornalai, stavolta è davvero dura. Quasi mi dispiace vedere i professionisti della notizia così in difficoltà. Me li vedo tutti sudati con questa bomba mediatica senza precedenti tra le mani, che cercano di costruire sensazionalistici servizi, dossier e scoop da arresti (cardiaci e cautelari). E gli italiani? Non fanno una piega (come spaggio), nemmeno si scompongono. Non fanno neanche quel raro sforzo di leggere l’articolo della gazzetta dello sport, ma si fermano come sempre alle foto, i numeri dei voti ai calciatori e i titoloni (ho sempre avuto il sospetto che gli articoli in se fossero solo degli effetti ottici creati ad arte).
Ma che cosa vi aspettavate? Di stupire la gente dicendo che il calcio è tutto un magna magna? Che ci sono delle lobby di potere che manovrano soldi, arbitri e giornalisti? Sarebbe come sbattere in prima pagina che cicciolina non è più vergine ed aspettarsi un coro di oooooooooooooh!!
Che il calcio professionistico non fosse uno sport lo si poteva intuire tramite un ragionamento alla portata persino di un ultrà. Mi sento di poter azzardare l’ipotesi che una caratterista che ci si debba aspettare di trovare in uno sport sia…..la sportività (ooooooooh). Durante una partita di calcio, i giocatori passano 90 minuti a cercare di fregare l’arbitro, simulando, dopo un leggero contatto, di essere stati colpiti da uno stiger terra terra, facendo la faccia da madre badessa nobel per la pace dopo aver deassemblato un ginocchio a un avversario tramite intervento invasivo con scarpino del 12, rotolandosi a terra per 48 minuti in preda a convulsioni epilettiche per poi alzarsi più scattanti di prima grazie all’imposizione di taumaturgica spugnetta a cui pare si accenni nel terzo mistero di fatima. Se poi quel represso masochista che risponde al nome di arbitro, sbaglia a valutare una situazione, viene flagellato sul campo e calpestato per le settimane a seguire! E tutti a parlare di arbitri incompetenti. Dovrebbero invece fare i complimenti a chi ha fatto di tutto per farli sbagliare, ottenendo ottimi risultati. Attorno a questo curioso teatrino si svolge la faida nazionale delle tifoserie, con tafferugli, agguati, minacce, omicidi, il tutto sponsorizzato dai programmi televisivi dove vengono invitati gli ultras intellettuali, quelli che si insultano allo stesso modo di quelli da stadio con la differenza che vengono anche pagati (da qui la definizione "intellettuali" per distinguerli da quelli da stadio, meno furbi perchè pagano per scannarsi). A fare la regia di tutto questo grand guignol con contorno di doping, veline, scommesse clandestine e nepotismo, c’è un gruppetto di gradevoli personcine che ha fatto del denaro e del potere la sua ragione di vita e la ragione di morte di chi li ostacola. Si parlava di sportività, se non ricordo male…..
Così quello che davvero emoziona e stupisce è vedere le danze e il sorriso di Ronaldinho che si diverte e diverte (anche se effettivamente mi divertirei anche io con la sua american express platinum), mentre sapere che “forse” Moggi fa dei magheggi, non fa effetto a nessuno. Scenario “normale” ma inquietante (come tantissime cose che succedono nel mondo).
L’apoteosi della megalomania da potere arriva con la lezioncina di vita sul rispetto e sui diritti civili. Sì perché qualcuno si è permesso di spiare questi eleganti personaggi mentre calpestavano i diritti degli altri. E indicono anche una conferenza stampa per dichiarare che questo è un grave affronto alla tutela dei diritti dei cittadini. Oh io sono d’accordo eh? Come ero d’accordo sulle cose che disse Castro in Italia sulla difesa dei diritti umani. Ma il fatto che lo dicesse uno che ha perseguitato e incarcerato i dissidenti, con tanto di aria indignata mi ha fatto venire un’unghia incarnita.
Certe macchine purtroppo non si possono fermare se non distruggendole. Anche perchè spesso cercare di fermarle ne mette in moto di più perverse. Come la corsa delle procure. Tipo quella di Torino che mandò personale ad indagare in brasile perché avevano visto Ronaldo scendere zoppicando dalla scaletta dell’aereo dopo mondiali. E intanto qui ci sono poveracci che aspettano sentenze da 15 anni.
State attenti voi giocatori di curling, un giorno potrebbe marcirvi il ghiaccio sotto i piedi mentre siete nella discoteca di briatore con quella che legge le previsioni da Emilio Fede.

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mercoledì 10 maggio 2006

In fondo a destra


Potrei avere 49 anni. Questo è il settimo presidente della repubblica che mi presiede (e fortuna che non ci sono state rielezioni altrimenti di anni potevo averne 98). Comunque grazie al fatto che l’attuale capo di stato è al colle da poche ore e che Saragat l’ho “visto” i miei primi 3 mesi di vita, posso fregiarmi di essere ancora (per poco) nella prima parte del cammin di nostra vita. Che dire… dei miei primi presidenti posso commentare qualche nota storica, considerato che la mia memoria politica parte più o meno da cicciolina in parlamento (anche se ho ancora il vago sospetto che trattavasi di titolo di film porno). Saragat, combattente, eroe, antifascista, socialista con tendenze antisovietiche finì anche per prendersi del traditore dalla classe operaia comunista a causa anche di flussi di correnti intrapartitiche degne del golfo del messico. Credo mi sarebbe piaciuto, se non altro per la sua visione ispirata ai modelli scandinavi (io mi ispiro molto alle modelle scandinave).
Nel dicembre del 71, alla tenera età di 4 mesi, mi ritrovo con il trauma di aver gia avuto due capi di stato. Viene eletto Leone e anche di lui posso dire due parole su ciò che ho letto. Il grande notabile democristiano, pare al di fuori delle succitate correnti (sempre prodrome di malanni e influenze) e con la “trasversale” sponsorizzazione di Ugo La Malfa finisce al colle dopo aver rinunciato a una candidatura per paura di un allora anacronistico conflitto di interessi. Il quasisettennato al quirinale lo svolge in condizioni di apparente correttezza e nel costante tentativo di mediare le parti politiche, sebbene non risulterà molto incisivo negli anni difficili del terrorismo e del sequestro Moro. Più che scendere dal colle finì rotolando a valle, travolto da scandali di vario tipo su cui si fiondarono giornalisti e parti politiche avverse. I suoi stessi compagni di partito (tranne Andreotti) gli chiesero di dimettersi e così fu, lasciando in un duro messaggio di commiato, la sua rivendicazione di onestà e correttezza.
Di Pertini gia mi ricordo qualcosa. Socialista, partigiano, eroe della resistenza, amato da tutti, un simbolo, non solo come figura ma anche un riferimento politico. Anche se a scuola non facevano che ripetermi che era lì solo pro forma, che non aveva alcun peso e alcun potere (sarà che il mio maestro alle elementari era un po’ fascio). Sembrava quasi fosse stato eletto presidente solo per fare un enorme simbolico gesto dell’ombrello ai tedeschi durante la finale dei mondiali ’82, da parte di tutti i partigiani, deportati e vittime dell’impero nazi-fascista. Ho scoperto solo dopo del suo enorme lavoro per l’indipendenza politica del pensiero socialista (contro i tentativi di ingerenza del PCI) e che da presidente rivoluzionò il concetto stesso di capo dello stato, come punto di contatto tra cittadini e stato.
Cossiga invece me lo sono bevuto tutto!! Ah gli anni dell’attivismo giovanile (cioè quando si faceva qualsiasi cosa pur di non andare a scuola). Il giovane democristiano, presidente notaio, cugino di Berlinguer, arriva con la grazia e la circospezione di una pantera, dopo essere stato protagonista di eventi eclatanti ed aver vissuto in ruoli politici di primo piano, alcune delle pagine più nere della storia della repubblica. Ma da lì a qualche anno le cose cambiarono. Il neuropsichiatra Pierre Daco definì questa mutazione “uscire fuori di cotenna”. Una volta sdoganate alcune faccenduole tipo “stay behind”, Rumor, Donat Cattin (figlio), Moro, il caro Francesco cominciò a tirare picconate (o esternazioni) a destra e a sinistra. Mazzate senza ritegno a livello internazionale, tanto che molti pensarono all’internamento. Qualcuno poi scoprì che da qualche parte nella costituzione c’è scritto che il presidente deve rappresentare il popolo e cominciò un tormentone continuo, una specie di litania recitata ovunque da chiunque, che ripeteva “io non mi sento rappresentato”. In quegli anni l’unica cosa che veniva da dire a me era “io non mi sento bene”. La presunta follia del sardo picconatore continuò anche una volta lasciato il quirinale. Cominciò a mandare strani regali a politici e magistrati. Cercò di fondare movimenti dai nomi bizzarri (“A Valmy a Valmy”, “XX settembre 1792”, “i quattro gatti”), si autodenunciò , fece rivelazioni pazzesche anche a “chi l’ha visto” e cominciò a saltellare a destra e a sinistra confondendo il gia scosso mondo politico.
Di Scalfaro e Ciampi non voglio dire un granché. Il primo mi è sempre stato sugli zebedei. Una vita politica scudocrociata per poi venire a puntare il dito e dire col tono a metà tra il prete di periferia e il papà severo “io non ci stò!!!”. Sapessi noi giggì!!
Ciampi è troppo fresco (per quanto possa essere fresco uno di 86 anni) per parlarne. Comunque proviene dal filone culturale liberaldemocratico (qualsiasi cosa ciò significhi), ex dipendente della banca d’italia, preferì poi diventarne governatore (chissà se un dipendente delle poste può diventare governatore delle poste). Eletto presidente in un momento in cui il mondo politico non aveva voglia di starsi a scannare (o non lo trovava conveniente), ha sempre mantenuto una posizione attiva, moderata e votata alla giustizia sociale.
E ora c’è il napoletano Napolitano. Uno di sinistra, un uomo di cultura, uno che però, quando nel pci tutti spingevano a sinistra (quando c’era il cugino di Cossiga per intenderci), passeggiava beato verso destra (la destra della sinistra, ovviamente). Migliorista, fu definito, perché non voleva la rivoluzione, non voleva sovvertire il sistema, voleva migliorarlo. Voleva rendere umano il capitalismo. Insomma probabilmente era uno dei pochi che all’epoca voleva debellare la povertà, non debellare i ricchi. E gia solo il fatto che andava nella direzione opposta alla massa (che ora ha fatto un bel dietrofront generale), prendendo gomitate e insulti, mi sta un po’ simpatico.
Uno che lì a sinistra sta, in fondo, a destra.

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martedì 9 maggio 2006

Motocinismo

Qualche tempo fa mi trovavo a discutere con un amico di profondi quanto interessanti temi filosofici concernenti aspetti voluttuosi e voluttuari della realtà: donne e motori. Due argomenti la cui comprensione, a causa di inconoscibili leggi di natura, diminuisce con l’aumentare delle parole che si spendono in merito. D’un tratto uno sciame di ragazzini cominciò a circondare la mia moto, parcheggiata lì vicino, ronzando commenti che oscillavano tra l’erotico spinto e l’ingegneristico improvvisato. Uno in particolare colpì la mia attenzione, perché scrutava il mezzo con la perizia di un collaudatore compassato. Durante la sua analisi, il ragazzino (che già cominciava ad incutermi qualche timore) emetteva dei mugugni molto simili a quelli emessi dall’ortopedico mentre scruta la radiografia del mio scafoide. Il tempo passava e lo sciame scemava (scusate la cacofonia), ma lui era ancora lì ed io ero in ritardo. Qualcosa mi diceva che era meglio aspettare che anche lui abbandonasse il campo. L’attesa fu breve, il mostro (così ormai la mia mente lo vedeva) si avvicinò, sollevò i suoi occhietti luciferini, goffamente mascherati con un paio di spesse lenti e, come una coltellata, mi trafisse con un labile “scusa…”. Sono finito – pensai – adesso mi chiede la P.M.E. al regime di coppia massima, oppure se l’albero motore è su due supporti di banco con cuscinetti a strusciamento e io farò la figura del fesso di fronte al mio amico. “Gli specchietti sono regolabili?”….salvo!!! Questa la sapevo, ci ho dovuto pensare un attimo, ma la sapevo! L’esperienza mi aprì la mente a nuovi interrogativi: quali sono i requisiti di un vero motociclista? La passione è sufficiente? Ma la passione per cosa? Per la velocità? La tecnica? La libertà? Le donne che amano fare le passeggere? Io una certa passione l’ho sempre avuta. Da ragazzino, patito di motocross, feci in modo di essere attrezzatissimo: tuta, pettorina, casco, stivali, mi mancava solo la moto, ma in pista ci andavo lo stesso. Giravo a piedi; fingevo di ispezionare il percorso, ma in realtà non avevo la moto. Poi arrivò anche quella e dopo mesi durante i quali il mio naso tendeva spesso, per motivi newtoniani, a puntare verso il centro della terra, cominciai anche a divertirmi. Poi, dopo tanti anni e tante moto, sono diventato uno “stradista”, ma la moto veniva sempre prima di tutto anche prima di me (tranne una volta che in un fosso sono arrivato prima io poi lei), sì perché non mi interessava se in pieno inverno mi attiravo i malanni oltre alle risate della gente, non pensavo ad essere bello sotto i miei 12 strati di canottiere lana fuori e gazzetta dello sport sulla pelle, mi interessava solo viaggiare sulla mia fida due ruote. Ammetto che dal lato tecnico non sono mai stato un drago. Mi ricordo i miei compagni di avventure: qualcuno avrebbe modificato anche lo shuttle se solo fosse riuscito a metterlo sul cavalletto. Io al massimo installavo un pezzo di cartone tra i raggi del ciao con una molletta da panni.
Insomma il motociclista è un animale strano che vive ai margini della società, quasi braccato. Sì, accidenti, siamo una razza a parte, che si nutre dei sacrifici che è costretta a fare. Almeno così pensavo fino a qualche tempo fa. Ero arrivato a considerare anche il motociclista in via di estinzione. E invece…. Che succede? Un mare di centauri! Come cavallette hanno eclissato l’asfalto italico durante tutta la bella stagione. E’ impressionante, non si fa più nemmeno in tempo a salutarli tutti quando li incroci, si rischia di risultare antipatico, ma anche di andare dritto in qualche curva! Però sono pochi quelli che rispondono. Uno addirittura mi ha inseguito pensando che gli avessi fatto un gestaccio. Non capisco. Penso che tutti amino la moto come me, che magari loro sanno anche l’escursione del loro forcellone oscillante (io non sapevo nemmeno di averne uno, figuriamoci poi se sapevo che oscillasse). Un po’ frastornato chiedo lumi al mio concessionario di fiducia. Gli chiedo se è vero che è esplosa la passione per le moto. Lui bofonchia a mezza bocca che effettivamente gli affari vanno benino, poi sale sul Ferrari 308 del suo maggiordomo e si allontana. Ancora confuso continuo la mia indagine: chiedo in giro, osservo. Comincio a notare molta gente che conosco e che non ha mai avuto niente a che fare con le due ruote, se non quelle di Milano e Roma del Lotto, in giro con moto che fino a qualche anno fa avrebbero fatto invidia a qualsiasi pilota professionista. Belve da 2, 3, 4 (ho perso il conto) cento chilometri orari! Le risposte alla mia domanda, “perché hai comprato la moto?”, sono un climax ascendente di assurdità (almeno a me suonano come tali). Dall’ingenuo “l’ho vista mi piaceva e l’ho presa” al disarmante “un mio amico ce l’ha uguale e va sempre in giro con delle belle gnocche”. Io allora insisto: chiedo a qualcuno se è mai andato in moto prima d’ora e mi sento rispondere di no, che imparerà guidando. Con una moto da 270 all’ora? Mi chiedo io. Va bene tutto, ma è come se per imparare a scalare mi arrampicassi sulla parete nord del K2!!
Ero deciso ad andare in fondo a questa storia. Una domenica soleggiata mi inerpico sul godibilissimo passo della Cisa; arrivato in cima parcheggio (a fatica) e mi guardo intorno. Sembrava di essere in un motosalone internazionale. Mai viste tante moto tutte insieme, ma soprattutto tutte uguali. Poi guardo bene; anche i motociclisti sono tutti uguali: precisi, eleganti, competenti e…belli, sì soprattutto belli. Folgorato sulla via di La Spezia! Ho capito! La moto è di moda!!! Il terribile sospetto diventa consapevole realtà: la moto come le scarpe con le zeppe! Tutto è chiaro adesso: i motociclisti che non salutano, un BMW 1100 guidato da un bel ragazzo in bermuda e infradito, i prezzi delle moto che sfiorano e spesso superano quelli di un’automobile medio-piccola.
Intendiamoci, io non sono un elitarista e credo che chiunque possa spendere i propri soldi come più gli aggrada. Però un paio di questioni andrebbero, a mio parere, sollevate. Una è di natura meramente sentimentale: la moto non è un bene necessario, a differenza dell’automobile di cui ormai è quasi impossibile fare a meno, quindi si presuppone (o si presupponeva) che chi ne acquista una lo faccia per desiderio, amore, curiosità, ma mai perché la “società” lo richiede per essere “cool”. E’ plausibile immaginare che qualche automobilista farebbe volentieri a meno di ficcarsi dentro quelle scatole su quattro ruote, che preferirebbe essere da qualsiasi altra parte, che possa addirittura odiare la propria automobile, ma io non ce la faccio ad immaginare un centauro che possa avere lo stesso atteggiamento verso la propria moto che ha acquistato solo perché è molto trend! Probabilmente se esiste una “qualità” motociclistica, sembra risentire dell’aumentare della quantità. Ma mettiamo da parte i sentimenti. Passi la moto come moda; ma non è una moda un po’ pericolosa (come le scarpe con le zeppe, del resto)? Nessuno sembra avere il coraggio di dirlo. Le case costruttrici si scannano a suon di spaventosi rapporti peso/potenza e di velocità che farebbero invidia al capitano Kirck. Questa competizione ha trovato terreno fertile in un paese come il nostro dove vige l’eterna lotta del “chi ce l’ha più grosso”, dove chi non appoggia il ginocchio viene messo alla gogna. Sì perché ormai un vero motociclista si vede dai segni sulle saponette, sulle pedane e sulle coperture. Così, a fronte di un continuo scrutare e giudicare, si sentono accese discussioni su come farsi questi segni indelebili che distinguono il vero pilota come il tatuaggio di un guerriero Maori. E il divertimento sembra essere svanito; c’è solo la voglia si sembrare un pilota col manico (anche se più da fermo che in sella). Il quadro si completa con l’evoluzione tecnologica e della ciclistica che hanno reso le moto apparentemente molto facili da guidare, dando una sensazione di illusoria (quanto pericolosa) sicurezza anche ai più inesperti. E i media calcano la mano. Anche sulla pelle delle persone, la spietata legge del mercato trionfa con il suo cinismo. Ho sentito personalmente venditori parlare della stessa moto sia come docile agnellino che come belva da pista, in funzione del cliente che si trovavano di fronte. In tutta onestà non capisco come un mezzo che sviluppa 160 cavalli e che pesa 160 kg, appoggiato su due tubi di gomma relativamente stretti, possa definirsi “facile da guidare”. Non si parla mai di che cosa significhi commettere un piccolo errore in sella a certe moto, nessuno spiega che certi mezzi richiedono requisiti psico-fisici particolari, che, in soldoni, bisogna esserci portati. Proprio come per il calcio o per la cucina. Non è facile calcolare quante vittime della strada siano in realtà vittime di un sistema cinico, che finge di non vedere le strade trasformate in piste. Voglio solo sperare che l’unica vittima di questa moda sia il mio inguaribile romanticismo motociclistico.

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venerdì 5 maggio 2006

Mi ha cercato qualcuno?


Sapete tutti che cos’è e come funziona un motore di ricerca? Evidentemente no. Io lo so perché me lo ha spiegato spaggio, ma non ve lo dico che è più divertente. Sono giunto a questa conclusione valutando le chiavi di ricerca che hanno indirizzato molti navigatori in codesto blog. Da una prima analisi si intuisce che praticamente nessuno conosce il modo di rendere il più precisa possibile una ricerca con il risultato di finire su siti che, nel migliore dei casi, non hanno nulla a che fare con quello che si stava cercando, ma nella peggiore delle ipotesi, ti brasano l’hard disk, ti clonano il cellulare, la carta di credito, il gatto e uno dei tuoi figli (quello più scassapalle) e rendono pubblici tutti i tuoi vizietti segreti (anche il fatto che scarichi illegalmente gli mp3 di dj francesco). Un altro errore diffuso è quello di considerare google come l’I ching e rivolgersi allo strumento come a un oracolo, scrivendo per esempio “perché non riesco a settare l’ora del mio videoregistratore?”, oppure “ho i capelli che mi vanno stretti”. Immagino che la gente poi se la prenda a male non vedendo comparire la risposta ai quesiti o il consiglio giusto per risolvere un dilemma.
In questi 3 mesi di vita (del blog) ho raccolto le chiavi di ricerca che hanno condotto qui i naufraghi di internet, estrapolando le più interessanti e suddividendole (se me la sento uso dei gerundi) per categorie. Ecco il risultato:
LOOK
Foto sopracciglie
Sopracciglia non rasate
Sopracciglia sottili istruzioni
Uomini con il petto ciccione e peloso
(può rientrare anche nella categoria feticismo, ndr)
Rasate sopracciglie
Come fare le sopracciglie
Ceretta sul petto pelo fitto
Ciondolo luminoso cellulare
SCIENZA E TECNOLOGIA
Come si fa lo slittino
Moto perpetuo brevetto
(hanno brevettato l’idea di spaggio, ndr)
Aerografo effetto venturi figura
Antigravitazione
Arredo gant
(può rientrare anche nella categoria interni e architettura, ndr)
Cicap test allergici elettrici
Curva di gant
(potrebbe trattarsi della variante bassa del circuito di Misano, ndr)
Esistono davvero i bambini veggenti (mio nipote dice di no, ndr)
Idiozie paranormali
In calabria c’è il disboscamento eccessivo?
Scarsa precisione di un rolex
(povero spaggio, ndr)
Riconoscere falso rolex submariner (ti hanno beccato spaggio, ndr)
Stanze antigravitazionali (trattasi probabilmente di scienza alberghiera, ndr)
SESSO E FETICISMO
Donne che defecano
Abitudini sessuali opossum
(spero rientri in categoria animali, ndr)
Assist culi aperti (forse inerente lo sport, ndr)
Ce lo mettono in culo (potrebbe trattarsi anche di politica, ndr)
Coppie libertine italiane
Culi scassati
Foto fatte a coppie appartate
Luoghi coppie appartate umbria
Video di donne che si radono le ascelle
(forse tutorial per la categoria look, ndr)
Vidio de pamela adeso
ANIMALI
Corno rinoceronte sterco
Gallina non piscia
Gatto affezioni polmonari
Quando muore un cane
(potrebbe trattarsi anche di domanda, ndr)
Dove lasciare cane ferie
Perché il mio cane piscia quando mi vede
(temo possa trattarsi anche di problema di look, ndr)
PSICOLOGIA
Aiuto un fratellino gelosia
Amare un orso
(potrebbe rientrare nella categoria animali, ma ho anche l’inquietante sospetto che possa trattarsi di feticismo, ndr)
Biglietti ironici da lasciare per aver parcheggiato male (non si capisce bene chi è che parcheggi male e chi lasci il biglietto a chi, ndr)
Il mio migliore amico mi ama (pensa se ti odiava, ndr)
Partner mentire hacker cellulare (tecnologia, sesso, informatica….un po’ di tutto, ndr)
Relazione psicologica per cambiare il proprio nome all’anagrafe
Sindrome ossessivo compulsiva woody allen
(psicologia applicata allo spettacolo, ndr)
Sognare forbici (potrebbe trattarsi anche di animali, ndr)
CLUTURA E CURIOSITA’
Ce’ del marcio nella cia (politica e grammatica, ndr)
Come scoprire se hai un tumore (sgratt, sgratt, ndr)
Come si usa la panca antigravitazionale (sollevamento pesi per pigri, ndr)
Il nome del somaro di winnie di pooh (red canzian?, ndr)
Legge sul traffico di pelle umana (e l’acquario degli impiegati?, ndr)
Odifreddi paradosso del cammelliere (logica e spettacolo, trichebballacche, ndr)
Sintetizzatore cruman (se esiste lo voglio, ndr)
Test per sapere quanto vivi (io?, ndr)
Tutte le balle su berlusconi. Manuale di conversazione politica elettorale free foundation
Perché la palla da rugby è ovale
Cià + yo yo + linguaggio giovanile
Come si taglia la coca
Epatite da barbiere
(al barbiere la B e la C non piacciono, ne vuole una tutta sua, ndr)
VARIE E INCOMPRENSIBILI
Ana caterina morariu troia (perché poverina? Ndr)
Diploma che palle (che informazione avrà voluto trovare, ndr)
Fotoromanzi troppo vicini (al corpo o tra loro? Ndr)
Lo berlusco il berlusca canzone
Paul gascoigne ossessivo (sport e psicologia, ndr)
Picciotto su somaro con lupara (in questo caso google niente sapeva, ndr)
Ragazze barbiere (look o feticismo? Ndr)
Tranquillamente
Una modella durante una sfilata alla settimana della moda in corso a medellin, in colombia
(e poi? Che ha fatto? Che è successo? Ndr)
Cazzo dobbiamo fare quel compito che abbiamo iniziato l’altro volta, mi questo
Somaro in matematica
(forse le due cose sono collegate, ndr)

Ovviamente tra tutti questi, solo il tizio che cercava il test sulla durata della vita, ha trovato ciò che lo interessava…..speriamo stia bene.

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giovedì 4 maggio 2006

Dagli allo strillone


Tra una mail e l'altra capita occasionalmente di imbattersi in messaggi che fanno sorridere.
Quelli, in assoluto, che meglio solleticano la mia ilarità sono le leggende metropolitane, o bufale che dir si voglia. Proprio in questi giorni ne sono capitate due particolarmente succulente, che hanno tratto in inganno e allarmato anche personaggi dai quali mi sarei aspettato un comportamento leggermente meno "uterino".

La prima di queste notizie recita - e mostra, dato che è accompagnata da un video - che l'aereo più famoso del mondo, l'Air Force One, sarebbe stato violato da un graffitaro da quattro soldi, che in barba a tutte le misure di sicurezza sarebbe riuscito a fregiare la fiancata del prestigioso velivolo con la fida bomboletta. L'eco di questo scherzo è rimbalzato per i quattro angoli del pianeta in men che non si dica, provocando allarmismo e indignazione presso la stampa specializzata. Questa non ha tergiversato e ha gridato allo scandalo denunciando pericolosissime inefficienze della sicurezza nazionale. Dove sta la cosa divertente? Il video è stato diffuso dall'autore stesso, una vera autorità nel campo della pubblicità, che si è preso la briga di noleggiare un 747, dipingerne la fiancata per creare una replica del vero Air Force One e poi cimentarsi in questa impresa. Ora, converrete che una pubblicità simile sia ”leggermente" più costosa di un trafiletto nella pagina degli annunci economici del Washington Post, ma i fatti han reso onore alla genialità di questo personaggio che, sfruttando il tamtam che su internet si innesca quando viene pubblicata una notizia bomba come questa (marketing virale), ha ottenuto una notorietà assolutamente incredibile.
Ma i poveri giornalisti che avrebbero dovuto fare, quindi, per non cadere in questo abbaglio colossale? Fare forse indagini incredibili improvvisandosi novelli Sherlock Holmes? Niente di tutto ciò: a dire il vero avrebbero solo dovuto seguire il link al sito citato in coda al video, che rimandava a una catena di siti collegati all'autore, pubblicitario professionista e personaggio non nuovo a manovre promozionali di questo tipo...

La seconda curiosità, sempre legata agli aerei e pubblicata a gran voce da portali internet (e pure dalla carta stampata italiana, a dire il vero - http://www.corriere.it/Primo_piano/economia/2006/04_aprile/26/caretto.shtml) riguarda invece una fantomatica strategia adottata dalle compagnie aeree per "stivare" un maggior numero di passeggeri su un aeromobile, ovvero dotare la classe economica di... posti in piedi!
La bufala è stata in effetti ben escogitata, dato che è stata diffusa con tanto di disegno esplicativo in cui venivano rappresentate le file di "sedili" per gli sfortunati viaggiatori al fine di far percepire l'effettivo aumento di densità abitativa della cabina. Gli arditi sostegni ricordano nemmeno troppo
lontanamente le panchette in dotazione alle attrazioni da luna park, con tanto di sponda frontale di sostegno (evidentemente prevista per evitare lesioni a vacillanti viaggiatori insonnoliti). Già mi immagino la voce della hostess:" invitiamo i signori passeggeri dotati di posti a sedere ad allacciare le cinture di sicurezza, a richiudere il tavolino posto di fronte a loro e a porre lo schienale in posizione verticale. I passeggeri in piedi sono invece pregati di alzare le braccia e di fare attenzione in quanto tra pochi secondi verrà chiusa la sponda di protezione. Giro omaggio per chi prende la coda..."

Per finire, aspettatevi meraviglie (ma questa volta spero di non vedere la notizia pubblicata su portali di informazione "seri") dalla combinazione Coca Cola & Mentos. Perchè? Alcuni provetti alchimisti (guarda caso americani) hanno infatti scoperto che gettando alcuni confetti delle deliziose caramelle in una bottiglia della famosa bevanda, si provoca una fortissima reazione che genera uno zampillo di schiuma pressoché istantaneo ed alto un paio di metri. Al di là che mi chiedo come cavolo abbiano fatto ad accorgersene (ma del resto solo un americano si sognerebbe di bere una coca cola mentre mastica un intero pacchetto di caramelle), questa notizia è assolutamente vera e verificabile (basta cercare su video.google.com le due parole chiave di cui sopra per trovare una miriade di filmati). Quello che mi fa sorridere è sapere che già circola un'email che allerta i genitori di questo pericolosissimo fenomeno, dato che questa combinazione potrebbe addirittura essere utilizzata per costruire ordigni casalinghi. Facile prevedere che saranno molteplici le mutazioni di questa email: a giorni mi aspetto di riceverne una che mi avvisa di non provare la combinazione donuts + Brunello di Montalcino, dato che la golosa ciambella potrebbe espandersi a contatto con il pregiato nettare fino a provocare il soffocamento. E non escludo - spero non vi dispiaccia - di diffonderne a mia volta una variante in cui diffido tutti dal provare a cospargere una caciotta con la Nutella. L'effetto? Suggeritemi voi, in fondo l'importante è che provochi ingiustificato allarmismo e una discreta inquietudine. Io ho provato e dopo aver ingurgitato l'ardita combinazione l'unica cosa che mi è successa è stata la pressoché immediata comparsa di due grossi brufoli sulla fronte. Troppo poco per essere all'altezza di chi ha "firmato" l'Air Force One...

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mercoledì 3 maggio 2006

Povero Cristo


Sono passati trent’anni da quando Woody Allen parlò per la prima volta di vangeli apocrifi, vergati nei “manoscritti del mar morto”. Testi di grande valore storico e culturale ritrovati in una grotta, dentro ad antiche anfore. Una scoperta di valore sociale elevatissimo e un evento di assoluta importanza archeologica, sebbene il fatto che le anfore contenessero anche due biglietti per holiday on ice, ha gettato qualche ombra sulla esatta datazione delle pergamene. I vangeli, sempre secondo Allen, furono scritti da una persona sola in momenti diversi, oppure da più persone che indossarono a turno lo stesso paio di pantaloni. Le anfore, con il loro prezioso contenuto finirono sulla bancarella di un rozzo mercante che, nella sua totale ignoranza le rivendette al prezzo di 800 mila dollari l’una.
Allen fu lungimirante pioniere di una moda che spopola negli ultimi anni: scoprire prove di falsi storici. Non avendo più risorse per scoprire qualcosa di nuovo, i ricercatori (di fama) si buttano su cose gia assodate cercando di smentirle. E a questo scopo qualsiasi carta straccia è ben accetta. Per esempio un tizio trova per terra la carta di un mac burger su cui c’è scritto “giulio cesare si è suicidato con 32 coltellate” e subito si urla alla riscrittura della storia. Chissà per quale motivo, se una qualsiasi fonte nega millenni di storia e ricerca, viene considerata indiscutibile e di colpo tutto il resto diventa favoletta da scribacchino. Voglio dire, quelli che hanno sempre pensato che i vangeli fossero la sceneggiatura di un film lunghissimo, in base a quale prova storica ora considerano i vangeli apocrifi come una registrazione fedele degli eventi? Mi viene da pensare che non si è alla ricerca della verità ma di qualsiasi cosa sostenga le stesse cose che sosteniamo noi. Qual è il soggetto preferito per questo sport? Ovviamente la fede. E’ la più facile da attaccare, ma anche quella che ha meno senso attaccare (spiegare o negare la fede con la storia è come rispondere sensatamente a una domanda di Marzullo). E quale tra le religioni è la più attaccabile? Quella cattolica senza dubbio. Rende di più negli spettacoli comici e nei talk show e nessuno ti si lancia addosso con del tritolo per bretelle. Devo ancora trovare un libro o un intellettuale che parli di come si possa confutare la storia di Maometto, o il fatto che un mussulmano una volta morto per la religione, viva in eterno tra fiumi di latte e miele, in compagnia di 70 vergini suri. Eppure non sembra molto più “scientifico” della bibbia tutto questo.
Vittima sacrificale di questa attività (atta solo all’autoglorificazione) è ovviamente Gesù, che mai come ora si può definire un povero Cristo. In questi anni l’abbiamo visto diventare di tutto: inesistente, illusionista, marito, padre….gli è stata assegnata qualsiasi età, aspetto, nome, genìa. Tra le ultime novità c’è quella di uno “scienziato”….eh sì….americano (tale Doron Nof), che dopo aver dimostrato che la divisione delle acque di fronte a Mosè altro non fu che un fortunatissimo fenomeno idrico, ha di recente spiegato il miracolo della passeggiata sull’acqua, argomentando che a quell’epoca in galilea c’erano le condizioni per la formazione di ghiaccio. Ovviamente di queste condizioni se ne rese conto solo Gesù, mentre tutti gli astanti osservavano estasiati lamentandosi della mancanza di qualcosa che rinfrescasse il loro martini con l’oliva (ma pensate se fosse scivolato!!).
La più recente “sensazionale” scoperta riguarda il buon vecchio Giuda (quello negro in Jesus Christ Superstar per intenderci), che dopo millenni di condanne, dopo essere diventato un insulto, viene riabilitato fino a più fedele discepolo, che arrivò a fingere un tradimento per seguire Gesù nel suo disegno di sacrificio e redenzione dell’uomo. Non si spiega poi perché Giuda arrivi ad impiccarsi per il rimorso (di che?) e perché Gesù stesso dimostri sulla croce di non gradire granché la fine che il padre gli stava facendo fare.
Io non sono un teologo e nemmeno uno storiografo, ma mi pongo le seguenti due domande: perché quando si scoprono questi documenti, invece di analizzarli con lo stesso occhio critico con cui sono analizzati secoli di storia, si grida subito “AH visto? Ve l’avevo detto!!!”, dando subito per scontato che siano la verità assoluta per il semplice motivo che sovvertono realtà consolidate?
E infine…qual è lo scopo di questi attacchi? Non certo storico, perché tutte queste cose vengono strumentalizzate e non studiate. Si vuole abbattere la fede? Una fede specifica? Dimostrare che dio non esiste? A uno che ha fede (in dio non nelle istituzioni culturali) che cosa può interessare se la sindone rappresenta Gesù o se è stata stampata in off set su una Heidelberg 108SM 8 colori con inchiostrazione automatica? Si vuole forse abbattere le infrastrutture ecclesiastiche? Ma a che scopo? A chi serve? Ad altre infrastrutture? O qualcuno si crede tanto superiore da dover salvare quei poveracci senza cervello che credono, partecipano e praticano? Sarebbe come andare da un Harleysta e dirgli “guarda che la tua moto perde pezzi”, pensate che diventerebbe un ducatista? E’ vero, la harley perde i pezzi, ma la amano anche per quello.
L’ultima volta che ho visto un Cristo Pantocratore, aveva un’aria strana e il gesto di benedire non pareva più tanto benevolo….non vorrei mai che arrivasse una risposta alla domanda di Woody Allen “Dio, che cosa hai fatto tu, ultimamente?”.

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martedì 2 maggio 2006

Sperdersi in internet come sperdersi nei pensieri


Una questione nata con la diffusione di Internet riguarda la necessità di connessione al web delle reti di computer aziendali. Solo questo tipo di “apertura” permette di sfruttare i vantaggi che la rete comporta, dal semplice scambio di posta elettronica (più rapida ed economica della posta tradizionale) sino alla ricerca di notizie, facilitata dalla nuova tecnologia. Un minuto dopo che tutto ciò che abbiamo appena elencato è stato assunto come realtà assodata, sono nate questioni intorno alla liceità dell’uso che il lavoratore dipendente fa di Internet se questo non è strettamente connesso all’attività produttiva.
Indi, dal momento che l’impiego di programmi di messaggeria, la ricerca notizie di varia natura, il pascersi di immagini e video erotici, il consultare caselle e-mail diverse da quella “aziendale” e via discorrendo possono non essere esattamente in linea con l’interesse del datore di lavoro, ecco il coagularsi della reprimenda contro i navigatori clandestini. Lettere di richiamo, software sbarrati, licenziamenti, ricatti, strumentalizzazioni, controlli non autorizzati hanno portato a galla un difetto di comunicazione fra chi in una determinata situazione paga il collegamento a Internet (il datore di lavoro) presumendo che ciò gli porti dei vantaggi, e chi invece usa detto collegamento a Internet in quanto ciò gli porta dei vantaggi (il dipendente).
Il difetto di comunicazione risiede nel fatto che una delle parti potrebbe essere portata a sostenere che detti vantaggi non coincidono, e guarda caso questa parte è quella che paga il collegamento a Internet.
Ma affermare che i dipendenti navigatori, se navigatori non fossero, renderebbero di più, equivale a dire che i dipendenti navigatori, se navigatori non fossero, renderebbero di meno: non rinvigoriti dai messaggi dell’amante, non rinfrancati dalle note tettine di Paris Hilton, non stimolati a essere al passo coi tempi dopo aver letto l’ultimo gossip, costoro potrebbero davvero comportarsi come grigi travet senza fantasia, anziché come brillanti opinionisti che signoreggiano il loro tempo e – conversando con chicchessia – fanno sempre la figura di persone di mondo.
Quindi abolire l’Internet libera sul luogo di lavoro, ovvero voler influire sulle modalità con cui vi si ricorre, ovvero effettuare un controllo diretto o indiretto sull’attività natante dei dipendenti, ‘un si pòle. Chi l’ha detto?
Andatevi a vedere http://www.shinynews.it/diritto/0306-vietato-spiare.shtml e lo saprete. Potete tranquillamente farlo anche se siete in ufficio, perché scoprirete che nessuno può più rimproverarvi nulla. Poi però tornate qui.
Siete andati? Avete letto? Bene. Allora forse avrete dedotto – perché non c’è scritto, ma si evince – che andar per Internet è considerato come pensare, volare di fantasia, ricordarsi di un bel momento o di un momento brutto, ragionare sul prossimo fine settimana: tutte cose che è normale, e spesso automatico e inevitabile, fare anche mentre si lavora. Tutte cose che possono distrarre oppure no, ma se ciò accade dipende solo dal rapporto fra pensiero e pensatore. La differenza fra i pensieri e la cronologia di Internet è che i primi non si vedono (al massimo si vede l’espressione assente del pensatore), mentre la seconda sì. Ma evidentemente si va affermando la convinzione che consultarla sia un po’ invadere la sfera altrui, come se si pretendesse di guardare dentro i pensieri delle persone. Il problema, semmai, è ridefinire il concetto di concentrazione e assiduità sul lavoro in presenza delle cosiddette tecnologie sempre attive, che sarebbero quelle che non spegni mai, che consideri latenti finché non ti arriva una mail o un messaggio e allora ti si accende la lampadina. Se quest’ultima frase vi ha suggerito un parallelo col cervello, allora vuol dire che potete ancora salvarvi.

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