mercoledì 10 maggio 2006

In fondo a destra


Potrei avere 49 anni. Questo è il settimo presidente della repubblica che mi presiede (e fortuna che non ci sono state rielezioni altrimenti di anni potevo averne 98). Comunque grazie al fatto che l’attuale capo di stato è al colle da poche ore e che Saragat l’ho “visto” i miei primi 3 mesi di vita, posso fregiarmi di essere ancora (per poco) nella prima parte del cammin di nostra vita. Che dire… dei miei primi presidenti posso commentare qualche nota storica, considerato che la mia memoria politica parte più o meno da cicciolina in parlamento (anche se ho ancora il vago sospetto che trattavasi di titolo di film porno). Saragat, combattente, eroe, antifascista, socialista con tendenze antisovietiche finì anche per prendersi del traditore dalla classe operaia comunista a causa anche di flussi di correnti intrapartitiche degne del golfo del messico. Credo mi sarebbe piaciuto, se non altro per la sua visione ispirata ai modelli scandinavi (io mi ispiro molto alle modelle scandinave).
Nel dicembre del 71, alla tenera età di 4 mesi, mi ritrovo con il trauma di aver gia avuto due capi di stato. Viene eletto Leone e anche di lui posso dire due parole su ciò che ho letto. Il grande notabile democristiano, pare al di fuori delle succitate correnti (sempre prodrome di malanni e influenze) e con la “trasversale” sponsorizzazione di Ugo La Malfa finisce al colle dopo aver rinunciato a una candidatura per paura di un allora anacronistico conflitto di interessi. Il quasisettennato al quirinale lo svolge in condizioni di apparente correttezza e nel costante tentativo di mediare le parti politiche, sebbene non risulterà molto incisivo negli anni difficili del terrorismo e del sequestro Moro. Più che scendere dal colle finì rotolando a valle, travolto da scandali di vario tipo su cui si fiondarono giornalisti e parti politiche avverse. I suoi stessi compagni di partito (tranne Andreotti) gli chiesero di dimettersi e così fu, lasciando in un duro messaggio di commiato, la sua rivendicazione di onestà e correttezza.
Di Pertini gia mi ricordo qualcosa. Socialista, partigiano, eroe della resistenza, amato da tutti, un simbolo, non solo come figura ma anche un riferimento politico. Anche se a scuola non facevano che ripetermi che era lì solo pro forma, che non aveva alcun peso e alcun potere (sarà che il mio maestro alle elementari era un po’ fascio). Sembrava quasi fosse stato eletto presidente solo per fare un enorme simbolico gesto dell’ombrello ai tedeschi durante la finale dei mondiali ’82, da parte di tutti i partigiani, deportati e vittime dell’impero nazi-fascista. Ho scoperto solo dopo del suo enorme lavoro per l’indipendenza politica del pensiero socialista (contro i tentativi di ingerenza del PCI) e che da presidente rivoluzionò il concetto stesso di capo dello stato, come punto di contatto tra cittadini e stato.
Cossiga invece me lo sono bevuto tutto!! Ah gli anni dell’attivismo giovanile (cioè quando si faceva qualsiasi cosa pur di non andare a scuola). Il giovane democristiano, presidente notaio, cugino di Berlinguer, arriva con la grazia e la circospezione di una pantera, dopo essere stato protagonista di eventi eclatanti ed aver vissuto in ruoli politici di primo piano, alcune delle pagine più nere della storia della repubblica. Ma da lì a qualche anno le cose cambiarono. Il neuropsichiatra Pierre Daco definì questa mutazione “uscire fuori di cotenna”. Una volta sdoganate alcune faccenduole tipo “stay behind”, Rumor, Donat Cattin (figlio), Moro, il caro Francesco cominciò a tirare picconate (o esternazioni) a destra e a sinistra. Mazzate senza ritegno a livello internazionale, tanto che molti pensarono all’internamento. Qualcuno poi scoprì che da qualche parte nella costituzione c’è scritto che il presidente deve rappresentare il popolo e cominciò un tormentone continuo, una specie di litania recitata ovunque da chiunque, che ripeteva “io non mi sento rappresentato”. In quegli anni l’unica cosa che veniva da dire a me era “io non mi sento bene”. La presunta follia del sardo picconatore continuò anche una volta lasciato il quirinale. Cominciò a mandare strani regali a politici e magistrati. Cercò di fondare movimenti dai nomi bizzarri (“A Valmy a Valmy”, “XX settembre 1792”, “i quattro gatti”), si autodenunciò , fece rivelazioni pazzesche anche a “chi l’ha visto” e cominciò a saltellare a destra e a sinistra confondendo il gia scosso mondo politico.
Di Scalfaro e Ciampi non voglio dire un granché. Il primo mi è sempre stato sugli zebedei. Una vita politica scudocrociata per poi venire a puntare il dito e dire col tono a metà tra il prete di periferia e il papà severo “io non ci stò!!!”. Sapessi noi giggì!!
Ciampi è troppo fresco (per quanto possa essere fresco uno di 86 anni) per parlarne. Comunque proviene dal filone culturale liberaldemocratico (qualsiasi cosa ciò significhi), ex dipendente della banca d’italia, preferì poi diventarne governatore (chissà se un dipendente delle poste può diventare governatore delle poste). Eletto presidente in un momento in cui il mondo politico non aveva voglia di starsi a scannare (o non lo trovava conveniente), ha sempre mantenuto una posizione attiva, moderata e votata alla giustizia sociale.
E ora c’è il napoletano Napolitano. Uno di sinistra, un uomo di cultura, uno che però, quando nel pci tutti spingevano a sinistra (quando c’era il cugino di Cossiga per intenderci), passeggiava beato verso destra (la destra della sinistra, ovviamente). Migliorista, fu definito, perché non voleva la rivoluzione, non voleva sovvertire il sistema, voleva migliorarlo. Voleva rendere umano il capitalismo. Insomma probabilmente era uno dei pochi che all’epoca voleva debellare la povertà, non debellare i ricchi. E gia solo il fatto che andava nella direzione opposta alla massa (che ora ha fatto un bel dietrofront generale), prendendo gomitate e insulti, mi sta un po’ simpatico.
Uno che lì a sinistra sta, in fondo, a destra.

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