mercoledì 26 aprile 2006

Di quella pira, l'orrendo logo


Non per sbandierare ai quattro venti la mia professione, ma io fabbrico bandiere. Tutto è cominciato con le sfumature della passione patriottica e un paio di sartine, proprio qui a Reggio Emilia, dove è nato il tricolore. Le cose andavano bene e la nostra piccola realtà familiare aveva le qualità di un robusto bonsai: non cresce e non crepa. A dire il vero ci siamo specializzati molto, siamo partiti dai vessilli per i comuni per approdare ai bandieroni da stadio e quelli lanciati dagli sbandieratori durante le fiere. Non è un lavoro facile come sembra…..devono essere molto equilibrate per poter garrire a dovere ed evitare che un maldestro sventolatore finisca avvolto come un bozzolo con l’asta infilata in qualche orifizio. Però il vero salto di qualità l’abbiamo fatto grazie alle bandiere infiammabili (flamable flags). Avete presente tutte quelle bandiere che vengono bruciate nelle piazze per manifestare un leggero disappunto nei confronti dalla relativa nazione? Le facciamo noi. Ora gli affari vanno a gonfie vele (facciamo anche quelle) e la piccola realtà familiare è diventata una fabbrichetta, con tanto di Cayenne di rappresentanza. Non giudicatemi male però, non speculo sull’intolleranza, io rispondo semplicemente a una richiesta del mercato e credo che senza le mie bandiere la gente non andrebbe comunque d’amore e d’accordo. E poi guardate che è un lavoro pericoloso e molto complicato. Il tessuto viene lavorato con agenti chimici che lo rendono altamente infiammabile e grazie a un apposito laboratorio di ricerca (dove si studia anche una nuova tecnica di depilazione), abbiamo trovato il modo di far bruciare le bandiere in modi diversi a seconda dell’esigenza del manifestante esibizionista. Ci sono quelle che si disintegrano in una fiammata rapida e intensa….pregna della foga con cui il facinoroso vorrebbe vedere distrutta la sua controparte. Altrimenti si può scegliere un tessuto più sofisticato, che arde lentamente, comunicando in che inferno di dolore persistente, si vuol far precipitare il nemico di turno. Questo modello consente anche il rimarcare il proprio disprezzo coreografando sulla bandiera in fiamme danze di guerra o calpestamenti simbolici. Senza contare che un detrattore esperto potrebbe sventolare il vessillo incendiato tenendolo tra le mani senza paura che si spenga o che sia lo sventolatore stesso ad accendersi, il che configurerebbe un atto di protesta estremo più consono al bonzismo che all’intolleranza etnico-politica.
Come potete capire non si tratta di una semplice lavorazione artigianale, ma un’opera totale, che coinvolge la politica, la psicologia, la sociologia e il centro grandi ustionati di Pieve Saliceto. Considerate poi che oggi come oggi i violenti sono diventati schizzinosi ed esigenti. La bandiera la vogliono fatta bene. E finchè è quella giapponese fai presto, quella americana è più complessa, ma abbiamo una grande esperienza a causa delle moltissime richieste. Ma ormai è un attimo: un danese fa una vignetta? Due giorni ed arrivano mille ordini per bandiere danesi. Un tizio in vacanza ti pesta un piede e a noi arrivano richieste di bandiere delle isole Heard e Mcdonald, vattela a pesca se la bandiera la vogliono con o senza ketchup. Oppure il presidente del Turkmenistan non si accorge di avere il microfono aperto mentre chiede a un collaboratore “chi è quel nano pelato?”: vaglielo a spiegare a quelli di FI che la loro bandiera è praticamente un kilim intrecciato a mano e ci vogliono sei mesi per confezionarne una.
Al di là dei problemi di produzione ci sono anche tutte le questioni organizzative e logistiche. I contestatori non seguono certo gli standard di mercato e cambiano idee come le bandiere al vento (scusate deformazione professionale). Una volta si rischiava solo di consegnare per sbaglio a un comune, per la propria facciata, uno stendardo infiammabile e quando il sindaco usciva in balcone per una sigarettina santa, dava fuoco agli intonaci appena rifatti con i soldi dei contribuenti. Ma adesso è una babele generale. Non si capisce più chi protesta contro chi. Una volta gli estremisti islamici venivano considerati alla stregua dei fascisti a causa del mancato rispetto dei diritti civili, in particolare delle donne. Dopo che Berlusconi ne ha parlato male, la sinistra ha cominciato ad esprimere simpatia (per l’islam non per Berlusconi). Solo che la stessa sinistra che ha combattuto per liberarci dal nazismo e dalle leggi razziali ora è antisemita e intollerante (esattamente come i fascisti) e nel giorno della festa della liberazione, brucia in piazza bandiere israeliane. In magazzino noi avevamo scorte di bandiere infiammabili con la stella di David, solo per il movimento occidentale e questo ci ha creato non pochi problemi. Il nostro responsabile delle vendite si è inalberato (è più forte di me scusate): vuole denunciarmi per mobbing perché crede lo stia prendendo in giro ed ha gia incendiato una bandiera con lo stemma della mia famiglia nel parcheggio della ditta. Gli estremisti di destra ormai in totale confusione bruciano qualsiasi cosa per non saper né leggere né scrivere e un po’ anche per tradizione, danno fuoco anche i panni stesi e alle canne al vento (quelle anche quelli di sinistra….soprattutto quelli di sinistra). Vorrei lanciare questo appello: assumete una posizione chiara, affinchè io possa organizzare le stive e la programmazione industriale. Non lo dico solo per me: se questi poveri professionisti delle sommosse profonde (i sommossatori), si ritrovano senza un simbolo da dare alle fiamme davanti alle telecamere, finisce che bruciano la tua 127 sport parcheggiata sotto casa o la smart messa di sbieco sul marciapiede (che però…una scaldatina….) o la banca dove tieni a diminuire i tuoi risparmi o il bar dove tuo figlio passa le giornate. Insomma, mettetevi una mano sulla cosc…sul cuor….dove vi pare, ma collaboriamo insieme, per un’intolleranza coerente.

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martedì 25 aprile 2006

Centro Medicina Sportiva "Qua-Si Sana"


Anche quest'anno mi è toccato passare per le forche caudine della visita medico sportiva, atta a verificare che il mio fisico devastato dalla birra e dai pizzoccheri, sia ancora in grado di saltellare per un campo di giuoco e di ricevere allegre gomitate in ben selezionati punti del corpo. Dopo alcuni giorni di visite i miei compagni lamentavano strani disturbi: Uno durante la doccia ha subito la decomposizione parziale del polpaccio sinistro e un altro durante un impegnativo scontro con una media rossa ha riportato la lussazione di tutte le cartilagini inferiori. Insospettito dagli eventi mi sono recato all’umbalatorio con fare circospetto e………..
Ero piuttosto teso quando entrai nello studio della dottoressa xxxxxxx, i fatti degli ultimi tempi avevano creato un alone di mistero attorno a questo evento. Certo è che l'aspetto della dottoressa e il quadro con la foto autografata di Mengele appeso alla parete non contribuivano a rendere disteso l'ambiente.
La dott.ssa non tardò a mettermi a mio agio facendomi domande intime su di me e su tutta la mia famiglia a partire dall'homo erectus. Poi entrò l'infermiera, decisamente scossa, anzi isterica: non aveva ancora aperto bocca e la dott. l'aveva già rimproverata per dodici motivi di cui undici inutili e uno completamente inventato. Appena afferrato lo sfigmomanometro (che te ridi si chiama così) l'infermiera entrò nel panico totale e dichiarò una pressione di 140 minima su 130 massima, mentre il mio braccio era diventato cianotico per la compressione delle arterie. Liberato dalla morsa fui fatto spogliare, stendere e fui privato delle mie otturazioni d'oro. Quindi venni cosparso di gel come una trota salmonata e mi furono applicate delle piccole ventose su tutto il petto. La sensazione era quelle di avere delle sanguisughe romantiche attaccate al corpo. La dott. passò alla macchinetta del ECG che non risparmiò di calci e improperi lamentandosi del suo mancato funzionamento e continuando a spostare le sanguisughe sul mio corpo come se cercasse la combinazione vincente. Visti gli scarsi risultati decise di passare alla prova sotto sforzo che consisteva nello sguinzagliarmi dietro 4 pitbull (Vercingetorige, Ivan il terribile, Adolf e Fiocco di neve) e un facocero affamato. Dopo 76 minuti di inseguimenti e due combattimenti (clandestini) vinti, allo scopo di completare l'opera mi fu mostrata una foto di platinette nuda….nudo….senza vestiti che si scola una birra.
A questa vista il mio cuore cedette (capirete avevo una sete pazzesca e vedere una birra fu un colpo troppo grande). Entrai in fibrillazione e mentre la dottoressa parlava al telefono con un'amica sulla tecnica e l'utilità socio-pedagocica del punto croce, l'infermiera mi afferrò per stendermi sul lettino, ma siccome ero tutto sudato e pieno di gel per l’ecg, continuavo a sgusciargli dalle mani. Così mi tramortì con uno sgabello e mi visitò sul pavimento. Nella semi incoscienza udii vagamente la trafelata discussione che ne seguì:
Inf.: lo stiamo perdendo, lo stiamo perdendo!!
Dott: prima che schiatti faccia l’ECG se no la visita non è valida e non ci pagano
Inf: i sensori non rilevano niente!!
Dott: (sempre al telefono): secondo me il punto croce ha una valenza sociale!
Inf: dottoressa aiuto l’ECG non funziona!
Dott: UFF metta più gel!!
Inf: ma è già pettinatissimo!
Intanto rinvenni e la discussione continuò
Dott: (al telefono) sì sì ok cià cià sì sì ciao ciao ciao ciao
Inf: presto faccia qualcosa!!
Dott: operiamo a cuore aperto!
Io: qui sul pavimento?
Dott: preferisce l’armadio?
Io: no qui va bene, ma scusi se l’ECG non funziona come fa a dire che deve operare?
Dott: appunto apriamo così vediamo se è tutto a posto!
Io: anestesia?
Dott: per gli interventi con ticket non è prevista!
Seguirono urla e schizzi di sangue.
Dopo l’operazione la dottoressa, che continuava ad affermare di non aver visto niente, mi prescrisse circa dodici visite di controllo tra cui: pulizia del colon, verifica dell’attività cardiaca durante l’uscita dall’atmosfera, espianto temporaneo del cuore con eventuale cottura in brodo di tacchino e una mammografia (!!). Tutto questo servirà ad accertare la mia condizione di salute o a privarmene.
Io: ma dottoressa intanto posso giocare, sa, una delle visite me l’hanno fissata per il 2120
Dott: certo per quello non c’è nessun problema.
Io: mavaff.....

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venerdì 21 aprile 2006

La classe di Spaggio


Come avrete notato, da attenti osservatori quali siete, il nostro sfolgorante Spaggio ha trovato, nella nicchia telematica qui a destra, un posto più defilato, in favore di una migliore dislocazione dell’arguto e misterioso postatore sano.Lo slittamento non è stato deciso per gelosia nei confronti del di lui bell’aspetto che tanto successo riscuote nelle comunità uterine. Nemmeno, altresì, a causa del suo modo di scrivere disseminato di avverbi ovunque, che onestamente, ora come ora, trovo veramente e smaccatamente deprimente ove per deprimente intendo pigramente ammiccante.
Il motivo ufficiale lo si può scovare nelle 879 pagine di sentenza che la WCCHBMA (Web Contents Control for Human Breath Manteinance Agency), ha emesso a seguito dell’esposto presentato da Mr. Palombo (portavoce dell’AFASIA). La storia completa della vicenda legale la trovate all’apposito post: http://celodicehillman.blogspot.com/2006/04/questo-blog-chiude.html
Nella dettagliata sentenza prodotta dopo 24 giorni di camera di consiglio e 4 di camera caritatis vengono evidenziati alcuni punti determinanti:
A pag. 239 si legge “la presenza dell’immagine di un autore dall’aspetto gradevole alla vista, intento a suggere tabacco da un sigaretta all’uopo assemblata, si configura come istigazione ad atteggiamenti farlocchi. Tale agire è contemplato nell’articolo 1432 paragrafo III comma 2 del codice internazionale di procedure civili…..”
A pag 453 ancora “è da sottolineare inoltre che nella suddetta foto, il Spaggio ostenta, senza tracce di umiltà o vergogna, un’arrogante beatitudine, dando forma così a un messaggio distorto e forviante indirizzato agli sprovveduti avventori dotati di egra personalità. Ciò si configura come reato di sfoggio borioso di atteggiamento malsano e subdola voluttà, come contemplato dal Codice Europeo di Condizionamento Sociale, dal Codice Panasiatico di Imprinting e Deck di Annientamento, dal Codice Da Vinci e prima ancora da quello di Hannurabi.”
A pag 879 la sentenza recita “visti i capi di imputazione ascritti (e io li ho aletti tutti, ndr), gli articoli della legislatura internazionale e considerate le attenuanti generiche dovute alla non intenzionalità, alla buona condotta e alla bassa risoluzione della foto, la WCCHBMA consente al blog CLDH di continuare la propria attività divulgativa, ma condanna il web master a relegare in secondo piano la riproduzione facciale incriminata…..distinti saluti ecc.ecc.”
In realtà nemmeno questa sentenza ci avrebbe costretti a spostare l’allegro facciotto dell’autore, perché la comunicazione del tribunale ha perso validità a causa di un piccolissimo vizio di forma: è stata consegnata al panettiere giu all’angolo invece che alla sede di CLDH. Questo perché il messo comunale si è messo a chiacchierare con la cassiera mentre ingurgitava paninetti al latte ed ha scordato il plico nella cesta delle focacce di Recco alle olive.
E voi direte…allora perché??? Il motivo reale (un po’ come le cause occasionali e cause reali con cui ci smerigliavano gli ammennicoli alle medie) del declassamento, va ricercato nella produzione letteraria dello Spaggio, che, in due mesi e mezzo di attività si è limitata a tre post di cui uno posticcio. Mentre il misterioso postatore sano si è dimostrato molto più prolifico del previsto, meritando di scalzare (o fare le scarpe, curioso che due locuzioni opposte indichino la stessa cosa) l’adorabile pigrone. Le scuse accampate dal giovin pubblicista sono arzigogolate ed eterogenee:
Si è sposata mia cugina (12 volte)
Mi è morto il calabrone (4 volte)
Ho lasciato il gatto acceso
Ho mandato le dita a far coibentare.
Ho finito l’inchiostro nel portatile.
Il morbo di Parkinson
La psoriasi
La gonorrea
La vaginite
Le locuste assassine
Sono morto
Ho una crisi creativa.
Ho una crisi.
Ho.
Nell’attesa che il nostro collaboratore riesca a guarire almeno dalla vaginite, ci riserviamo di far tornare in una posizione più in vista la di lui sindone digitale, non appena la mole di lavoro prodotto potrà ritenersi degna di cotanto sfoggio di beltà.

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martedì 18 aprile 2006

Nì & Nò

Certe conversazioni hanno l'imperdonabile colpa di essere private. E forse significa emplicemente che le altre persone, sono private del piacere di ascoltarle.
Ciao nì
Ciao nò
Come al solito riuscire a parlare con te è un’impresa.
Come al solito hai iniziato una frase con "come al solito", e che l'abbia fatto anch'io non deve distoglierti dall'autocoscienza. Come vanno le cose? Ti immagino che vaghi per campi coltivati a cheerleader.
Ma va’, non vedo una donna dal ’76. Ho anche fatto ricorso al TAR del Lazio, ma è stato respinto per vizietto di forma. E tu? Uomini?
Ieri sono uscita con Pay. E’ molto galante.
Dev’essere un maiale.
Sì lo penso anche io. A metà cena ha detto di amarmi.
E tu?
Gli ho chiesto di passarmi l’aceto balsamico.
Buono.
Gli ho spiegato che per me lo storione è un pesce, ma non so se ha recepito. Comunque l’ho mandato via perché aveva l’espressione di uno che voleva dormire avvinghiato a me. Io non ho mai capito il diffuso bisogno di compagnia quando si dorme. io preferisco avere compagnia quando sono in fila alla posta.
Secondo me la gente finisce per pensare che nascondi un terribile segreto.
Uh, e se invece di un segreto io nascondessi un terribile secreto? tipo smells like teen spirit.
In effetti dai coordinate confuse, li incasini con le ascelle e le ordinate.
Ho letto gli ultimi tuoi pezzi. Mentre la stampante stampava (il participio presente è una bella cosa) pensavo che continui a inimicarti tutta la parte della popolazione che respira.
Mah, lo sai, mi piace scrivere le cose in faccia.
Io apprezzo molto quello che scrivi, ma lo apprezzo di quel tipo di apprezzamento che potrei definire di superficie come l'insegna dell'autogrill. Però, preferisco mille volte te.e questo anche se tu non sapessi prepararmi un camogli. Forse perché questi panini sono un po' come i cabuoi: devono essere del tuo paese.
Lascia ch’io glissi. Allora il nostro progetto di scrivere un libro insieme?
Non so, io so solo che vorrei fosse un bel tomo con una classica copertina di pelle e il titolo in latino, intarsiàtovicisinimi. Ah, e poi vorrei uscisse con almeno un gadget perché i gadget sono talmente brutti che ce li voglio. Ah, una musicassetta (che come tutti sanno in latino si dice "phonocapsella") di te che leggi il libro e in sovraccoperta (nel senso di "vestito con una sovraccoperta") spaggio, che non c'entra niente ma ha una buona mimica.
Comunque mi hanno chiamato da un casa editrice milanese. Mi hanno detto “trovi una settimana per venire a milano”
E tu che hai risposto?
“Ci vuole così tanto per venire a milano?”
Dovremmo tutti versarti l'8 x 1000 per il semplice e meraviglioso fatto che esisti.
Sì, dicono tutti così, poi si drogano e l’8 x 1000 lo versano a don Mazzi.
Eh, volevo chiederti una cosa: ma davvero non mi hai creduto quando ti ho detto che era entrato un bicchiere di carta in camera mia, l'altra notte?
In effetti il fatto che qualcosa volesse entrare nella tua camera da letto ha messo a dura prova la fiducia che ripongo in te. Piuttosto come vanno i preparativi per il matrimonio di tua cugina? Trovate le scarpe? Come sono?
Non sono anfibi. Poi Maria tende a stressarmi coi vestiti. Ieri mi ha detto “che ne pensi di un vestito rosa?”. Io le ho detto che è troppo vecchia per i colori sgargianti, ma purtroppo era a me che pensava. Così le ho detto che non indosserò mai nulla di rosa in tutta la mia vita.
E lei?
Lei ha detto “che palle l’esistenzialismo”.
In che parte de “L’essere e il nulla” si accenna al colore rosa?
Nella terza parte, quando parla del desiderio sessuale e dice "bisogna rinunciare completamente all'idea che il desiderio sia desiderio di voluttà o desiderio di far cessare un dolore" e poco dopo dice che "di per sé il desiderio è irriflesso - ma perché non ha scritto "non riflesso"? - e incompatibile con il colore rosa".certo, c'è qui l'husserliana intenzionalità affettiva, e husserl indossava solo dolcevita scure, per lo più nere. A un sarto preferisco sartre.
Non mi ricordo….ho in mente però la parte dove si parla del tuo culo come dimostrazione a posteriori dell’esistenza di dio. Ora tolgo il libro da sotto il mobile che balla e lo rileggo…poi lo metto sotto il mobile che canta.
La cosa peggiore è che sarà anche pieno di bambini a ‘sto matrimonio. Molta gente pensa che per il solo fatto che ha messo al mondo dei figli, questi possano rompere l’anima a chicchessia. Trovo sia uno scorretto uso della democrazia.
Be’ dai li sbattete davanti a qualche televisione e via. Ora ho sentito dire che ce ne sono fatti apposta per i bambini….i televisori al plasmon. Ma com’è tua cugina?
Cugina bene e poi ha un’espressione….magnetica….come una risonanza. A proposito devo andare a fare ‘sta risonanza magnetica nucleare al pollice che non mi si oppone più, ma ‘sto nucleare non è che mi convica molto. Dici che fanno anche le risonanze magnetiche eoliche?
Probabile, ma rischi una broncopolmonite.
Ci mancherebbe anche quella, stanotte ho anche avuto il mio incubo ricorrente.
Cioè?
Sogno di aprire l'armadio della stanza di mia madre e di trovare dentro la testa mozzata di robert smith, il cantante dei cure, immobile in un sorriso agghiacciante di denti di madreperla. Sarà perché ho una madrepirla.
Ipotesi acrobatica ma non da scartare.
Però lo sai che c'è? Voglio dirti che mi piace parlare con te. Si, sono consapevole che sia evidente e che non aggiunga nulla alla letteratura contemporanea scrivere "mi piace parlare con te".Quindi è inutile.E questo fa del volerti dire che mi piace parlare con te una cosa importante.
Gia, non fa un piega, come Spaggio.
Ora devo andare.
Ok ci sentiamo appena possibile.
Sì, non nei prossimi giorni però. Vado in campagna stasera e lì non c'è campo, benché sia paradossale.
Ciao nì
Ciao nò

giovedì 13 aprile 2006

Una coca e un pizzino


Io non vado mai all’estero. Se si esclude una gita al monte Titano e un pieno di benzina a Chiasso (CH) i miei viaggi avventurosi si fermano alle propaggini di Marina di Viserbella. Sì lo so che così limito le mie vedute, che mi perdo realtà che nemmeno riesco ad immaginare e voi sapete gia che io vi risponderò che Salgari non si è mai mosso da casa e ha descritto viaggi e luoghi mirabolanti senza mai essere stato nemmeno a Marina di Viserbella. Quindi chiudiamola qui…l’Italia del resto è spaccata in due. Voi che fate parte della metà che viaggia e conosce il mondo, voi che sapete addirittura se il buffet della valtour nel miyamar è migliore di quello di malindi….voi potrete aiutarmi a capire. Come ci vedono gli altri? Ok gli americani coi satelliti spia, ma tutti gli altri? Che impressione facciamo? Che idea si fanno? Su pizza spaghetti e mandolino siamo tutti d’accordo e non ci piove. Ma questa faccenduola della mafia…. A volte penso alle idee che ci facciamo noi di certi paesi. Per esempio in colombia comandano i narcotrafficanti, tutti sniffano coca e chissà che c’è scritto su sto benedetto cartello di Medellin. In Spagna girano tutti con delle banderillas estensibili e appena vedono un bovino lo infilzano ballando il flamenco poi ne gettano le orecchie agli astanti in visibilio e si nutrono dello scroto (del bovino non degli astanti). In Danimarca (che ricorda molto Modena sud) girano tutti in bicicletta raccontandosi favole ed evitano di mangiare la frutta. E via discorrendo….
Quando, nei primi anni novanta, venne ucciso il padrone indiscusso del narcotraffico in colombia (Pablo Escobar),la notizia fece il giro del mondo. Tutti accolsero il fatto più con stupore che con la speranza di vedere debellata una piaga sociale. Oggi è la cattura di Provenzano (ma perché il t9 scrive provenzano??) a fare il giro del pianeta e mi incuriosisce sapere come l’abitante medio della terra percepisce la notizia. Provo a mettermi nei panni di chi visualizza un italiano con la coppola la lupara e la camicia macchiata di sugo. Il fatto che il pericolo pubblico numero uno venga scovato dopo 43 anni di latitanza, presso un suo vicino di casa, credo mi farebbe pensare che, quantomeno per qualche tempo, non lo si sia voluto arrestare. Del resto dopo le stragi Falcone, Borsellino, le bombe a Roma Firenze e Milano e l’attentato fallito allo stadio Olimpico, la mafia ha smesso improvvisamente di attaccare frontalmente lo stato civile e a noi comuni mortali non è dato sapere perché. Intendiamoci, capisco perfettamente che avendo disseminato il paese di identikit di Bruce Willis non era facilissimo trovare un anziano con problemi di prostata. Capisco anche che, come si dice, lavorare sul territorio preso in mezzo tra criminali che sparano proiettili da cinghiale e politici che sparano cazzate da elefanti non deve essere esattamente uno spasso. Quello che non capisco, piuttosto, è perché non si fanno due domandine energiche all’avvocato di Riina che è stato fino a ieri a dire che Provenzano era morto, sostenendo di sapere anche quando.
Poi penso a quella masseria, alle condizioni in cui viveva uno degli uomini più potenti della via lattea. Mi ha ricordato molto la cattura di Saddam Hussein. E l’ho pure immaginato, seduto su una malandata sedia di paglia, mangiando cicoria e mozzarella, pensare….”ma quando arrivano questi?”.
Tornando allo straniero osservatore ho il vago sospetto che continui a vederci come progenie del Vito Corleone di Puziana memoria. Mentre tu, italiano medio, attratto dalla plasmosità dei televisori esposti a mediaworld, che non sai nemmeno da che parte si soffia dentro a un mandolino, non ti senti per nulla picciotto e rifiuti sdegnato l’associazione Italia-mafia. Però quando vai in Sicilia in ferie e qualcuno ti taglia la strada, non lo mandi ammorìammazzato come fai per le vie di casa tua. E se ti bloccano la macchina parcheggiata attendi paziente l’arrivo di qualcuno che si degni di liberarti…..qualcuno che ringrazierai servilmente. Baciamo le mani.

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martedì 11 aprile 2006

Sono stato presidente, ma era il secolo scorso


La mia attività professionale è quella di acconciatore maschile, l’ho fatto scrivere sull’insegna, però quelli che vengono da me dicono: vado dal barbiere. E hanno ragione, perché ‘sta storia dell’acconciatore l’ho messa su soltanto per giustificare il diploma che tengo appeso in negozio.
Una volta sono stato anche presidente, non presidente del consiglio, intendo, e manco di una squadra di calcio. Sono stato presidente di seggio elettorale. Per essere presidente di seggio non è che devi essere un professore o un palazzinaro, vado bene anche io che taglio i capelli alle persone e talvolta anche la barba.
Ogni volta che apro il negozio tengo a mente il paradosso del barbiere che fa la barba a tutti quelli che non se la fanno da soli e non la fa a tutti coloro che si radono autonomamente: chi fa la barba al barbiere? Ecco, di solito è con questo sgasato quesito d’insiemistica di base che attacco bottone coi nuovi clienti. Quelli che ci saltano fuori in fretta sono pochi. Molti invece restano a bocca aperta come se non volessero farsi prendere per il culo, mentre io mi chiedo: ma questo qui, come la mette nel momento che va a votare?
Cerco di rispondermi come quella volta che feci il presidente di seggio.
Quella volta c’erano le amministrative, mica le politiche. E c’era la lira, mica l’euro. Era il secolo scorso. Altri tempi. Quella volta nel comune dove c’era il seggio dove c’ero io presidente-barbiere, successe una cosa che mi è tornata in mente in questi giorni, e cioè che fino all’ultimo istante c’erano questi quarantanove virgola percento di qua, cinquanta virgola percento di là, e poi quarantotto virgola percento di giù, e poi ancora quarantanove virgola percento di su. E noi lì a tirare fuori schede, e ogni mezz’ora un messo del comune che chiedeva come va come va datemi i dati aggiornati. Non vi sto a dire che palle. Durante quell’agonia ricordo rappresentanti di lista apparecchiati come i falchi, scrutatori che dicevano le parolacce, il poliziotto del seggio che avrebbe messo volentieri le mani addosso a qualcuno, insomma, una baraonda. Però alla fine chiudemmo registri e sacchi di schede votate con timbri e sigilli e ceralacca, precisi come orologi svizzeri e senza aver dovuto mettere le mani in faccia a nessuno.
La notte dello spoglio era diventata quasi mattina, così io e la segretaria del seggio (un mio amico con la barba) guidammo nella luce dell’alba fino all’ufficio elettorale ove mollammo il paccone. Invece di un arrivederci e grazie, ebbi una lettera di precetto per il seggio di circoscrizione. Cos’era? Boh. Ricordo solo che mi ritrovai, il giorno dopo, assieme ad altri cinque presidenti (barbieri o meno) a fare lo scrutinio degli altri scrutini sotto la presidenza di un magistrato.
Io sono un uomo semplice, ancora oggi non ho capito cosa facemmo esattamente quella volta. Mi ricordo soprattutto che riscontrammo registri e i verbali di altre sezioni, questo sì, i registri e i verbali degli altri seggi, e poi che firmammo fogli e che ci diedero tipo sedicimilalire al giorno per il disturbo, da incassare dopo due mesi. C’era un bel clima, un sacco di timbri da sbattere facendo casino, la mia giacchetta di velluto a coste per sembrare vero, la burocrazia che ti permeava, la politica che palpitava nel momento transitorio della delegazione, la democrazia gonfia sul letto di morte. Sensazioni indescrivibili, come l’odore metallescente del napalm.
Mi ricordo di registri e verbali moltissimo pasticciati, con nomi e cifre parziali e totali e preferenze messe un po’ alla cazzo, ma mica per cattiveria, no, per semplice ignoranza, perché (almeno nel secolo scorso) non era detto che se uno faceva lo scrutatore o la segretaria o il presidente di seggio dovesse saper far di conto, nessuno gli avrebbe mai chiesto una cosa simile, in via preventiva. Abituato a gestire la mia partita iva di barbiere, coi registri e i verbali del mio seggio ero stato molto puntiglioso e pensavo che così avessero fatto tutti, perché sui registri ci sono le firme e con una firma messa sotto qualche porcata pensavo si potesse andare in galera. Mi sbagliavo. Aprire certi registri e certi verbali era una sorpresa come scoperchiare un giardino zoologico abusivo.
Qualcuno disse che quei casi di evidente papocchio non è che fossero poi così rari, e che visto che c’erano era prevista già una procedura di riesame: venivano spediti sigillati non vi sto a dire dove, ossia rinviati a giudizio superiore, un po’ come si fa con le schede contestate.
Allora ripensai ai quarantanove virgola percento, ai cinquanta virgola percento che erano venuti fuori da quella tornata, all’alea che c’era dietro quei risultati. All’alea che avrebbe continuato a esserci dopo le elezioni. Alla gente che il giorno prima avevo visto entrare in cabina ridendo senza coscienza, alle persone anziane accompagnate dai figli che continuavano a dir loro cose all’orecchio e quelli allora sì, sì, ho capito, va bene. Ai rappresentanti di lista che bestemmiavano, anche quelli di sinistra che non potevano credere in dio. Agli elettori col naso all’insù che miravano quei manifesti con tutti i simboletti spiegati, solo che molti avevano lo sguardo della mucca quando passa il treno. Ai nomi dei politici che rappresentavano tutto questo. E ancora a quelle differenze di decimali sottili che potevano far prendere una strada o l’altra a tutto il carrozzone, senza che né quelli che spingevano, né quelli che tiravano, avessero la possibilità di sapere da cosa ciò fosse dipeso, perché le differenze percento erano troppo piccole.
Quella volta erano le amministrative, finì in ballottaggio e le coalizioni aiutarono a dirimere le questioni dei decimali, ma forse fu solo una finta.
Il mese dopo andai in municipio e chiesi che il mio nome fosse cancellato dagli elenchi dei presidenti di seggio. Fu una questione di pace mentale, io faccio il barbiere. Tutt’al più voglio sbagliare un taglio di capelli.

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lunedì 10 aprile 2006

Le lezioni politiche


Una volta non si scherzava mica. Una volta c’erano Berlinguer Andreotti e Almirante (va be’ Andreotti c’è ancora, sapete lui ha deciso di vivere per sempre, ieri mi ha chiamato dicendomi “per ora tutto bene”). Una volta si andava a votare incazzati. Non per qualche motivo particolare, così perché la politica era da duri. E se c’avevi la faccia di uno che andava a votare indeciso ti beccavi del qualunquista a gratis…senza nemmeno sapere che significa. Allora si votava un’ideologia. Si andava al seggio per dire “io sono questo”. I figli della grande madre russia imparata sui libri (quasi tutti autografi) di Marx e nei film di don Camillo, votavano PC. I nostalgici vergavano a braccio teso delle X uncinate sulla fiamma dell’MSI. Gli intrallazzoni si tuffavano nell’orgia pentapartitica DCcapitanata con Altissimo, La Malfa, Craxi amici e delfini, tonni e squali. Quelli cattivi con la salopette di jeans votavano Democrazia Proletaria (e se gli girava colpivano il presidente del seggio con una chiave del 16), sapendo di bruciare il voto ma vantandosene con gli amici al circolo della FIOM. Quelli alternativi di tendenza, cioè non quelli da centro sociale, quelli trasandati ma intelligenti, quelli non mi pettino ma ne so molto più di te…..insomma quelli votavano Pannella e il suo partito transnazionale. Ora di transnazionale abbiamo solo luxuria. Però erano strani questi radicali perché si facevano in quattro per propagandare le loro idee e il loro partito, però se ti avvicinavi, loro ti facevano capire che gli stavi assai sulle palle e che il loro circolo di intellettualscaciati era molto riservato e se non dimostravi di saper sostenere una discussione sull’ermeneutica comparata nella rivoluzione culturale in cina ti guardavano come se avessi lo scorbuto. Erano gli anni di Lama, Carniti e Benvenuti (altro che Moggi Giraudo e Bettega), in Giappone i primi edifici antisismici sono stati costruiti in occasione della visita della trinità sindacale....e hanno retto a stento. C'erano Storti, Brutti e Malfatti. E Berlusconi ancora discuteva con Bonolis sul colore del pupazzo Uan. Accipicchia che anni erano quelli. I leader di partito si chiamavano segretari (forse perchè secretavano) e non presidenti (perchè presenziano), la Democrazia Cristiana era ovviamente a piazza del Gesù, il Partito Comunista a Botteghe Oscure e il PSI a via del Corso....dove ci sono tutti i negozi reach oriented.
Poi c’è stato un periodo strano, di personaggi né carne né pece. Gli anni degli Occhetto, Goria, anni in cui si votava sperando che non ti cascasse la matita per terra. Di lì a poco (quasi) tutta una classe politica sarebbe stata presa a (di) pietrate (se me la sento uso dei verbi ausiliari).
Adesso si vota perlopiù contro. Si vota contro il cavaliere nero della contea di Arcore o contro fra mortadella da Scandiano. Qualcuno adesso pensa che un voto possa davvero cambiare il paese, ma molti di quelli che guardano i fatti (e non le facce) rimangono un po’ interdetti. Alla fine degli anni novanta la gente è stata a guardare come lavora oggi una sinistra di un paese allineato. La sinistra che guarda ai poveri ha tassato il medico di base. Io credo che i ricchi non vadano dal medico di base (tranne Giulio Base, lui sì). La sinistra che difende i diritti degli extracomunitari ha affondato gli albanesi al largo del mar Adriatico. La sinistra del rispetto dell’indipendenza dei popoli ha bombardato gli jugoslavi insieme agli americani. E adesso per il governo propongono il loro esponente. A rappresentare la sinistra ci sarà un cattolico che ha sempre lavorato nel mondo dell’alta finanza. Roba da far venire le pustole a tutto il soviet supremo. La destra è stata un po’ più coerente. Ha nominato il suo dittatore, basso, pelato piuttosto egoriferito e ha vissuto di riflesso, adeguandosi alle sue “bizzarre estrosità” fino alla disfatta ineluttabile.
Ed ora godiamoci due specialità tutte italiane, come la pizza e i pizzoccheri. La danza dell’uscita del pollo (exit poll) in cui tutti vincono e gli altri perdono, e lo sconfitto (ingiustamente) che promette opposizione a prescindere. Senza nemmeno sapere che cosa farà il vincitore.
Che cosa abbiamo imparato in sessant’anni di democratiche elezioni? Un comico genovese diceva “cambiano i belini ma i culi sono sempre gli stessi”. Io non voglio fare il solito disfattista e penso anche che una bella alternanza serva quantomeno a far smettere la gente di dire “se governassi io sarebbe meglio”. Quindi fiducia gente. Ora scusate ma devo andare, devo ritirare le mutande dal fabbro.

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sabato 8 aprile 2006

Il mio migliore promo


Ieri sono andato al cine per vedere “Il mio miglior nemico” (commedia, Italia, 2006, 115”), film di cui Verdone Carlo è regista e coprotagonista. L’altro coprotagonista è Muccino Silvio (fratello di Muccino Gabriele, regista), un sagnoccone alto con gli occhi celesti e l’aria mite, che diresti ma possibile che questo qui fa l’attore del cinema, ne conosco tanti così che però non fanno gli attori del cinema, e poi pensi che forse fa l’attore perché ci ha il fratello regista, e poi ancora pensi che no, che se fa l’attore dev’essere anche per altri motivi, per esempio perché ci è versato e perché ha studiato per fare l’attore, e che il fratello regista magari gli avrà pure trovato l’entratura giusta, ma nel caso si tratterebbe di una semplice coincidenza, un po’ come il barista che viene notato da un produttore e diventa attore, oppure quello che diventa attore perché nasce a due passi da Cinecittà e quindi gli viene più comodo rispetto a uno che nasce in provincia di Sondrio e per prossimità fa il maestro di sci.
LA TRAMA DEL FILM - Achille De Bellis (Verdone Carlo) ha sposato una tipa di stirpe catenalberghiera, imballata di soldi. Di conseguenza fa l’alberg-manager di mezz’età e se la gode. Nel godersela, licenzia una cameriera accusandola d’un furto (che poi si scoprirà effettivamente avvenuto). Il giovine Orfeo Rinalduzzi (Muccino Silvio), figlio della cameriera licenziata, monta una gran cambogia per far riassumere sua madre (che crede innocente, ma poi imparerà), e nel montarla devasta la vita di Achille. Nella babilonia di sfiga generata dalla perturbazione della Forza, per sopramercato Orfeo rimorchia la figlia di Achille, Cecilia (Ana Caterina Morariu), la quale rispetto al padre mostra un gap evolutivo incompatibile con una singola generazione. La Natura stessa di Cecilia farà sì che la gran cambogia torni in culo anche al suo suscitatore, il vindice Orfeo, e che costui s’abbia a pentire di come ha agito, cosicché alla fine vivranno quasi tutti felici e contenti.
Orfeo (quello di Euridice), Achille (quello del tallone)… chissà perché ‘sti nomi succhiati dalla mitologia greca.
ANOMALIE – Due le anomalie del mio cinema di ieri: la prima è che ci sono andato di pomeriggio invece che dopocena, per sfruttare una situazione promozionale in base alla quale il biglietto pomeridiano costa meno. Certo è che, per fare l’accattone promozionato, non ho potuto praticare la collaudata sequenza pizzeria-sala cinematografica, e così valutare quanto la proiezione influisse sulla digestione della capricciosa con mozzarella di bufala. Pazienza.
La seconda anomalia è che al cinema ho visto un film di Verdone Carlo. L’ultima volta che era capitata una cosa simile fu per assistere a “Bianco, rosso e Verdone”, opera di cristallino rilievo che giunse nelle sale quand’ero minorenne, dunque animato da altri progetti.
Come attuale adulto imbottito di codici estetico-comunicativi, annovero la cinematografia verdoniana fra le produzioni scevre dall’obbligo del grande schermo. Indi attendo pigramente il passaggio in tv, prevedibile nell’arco di un paio d’anni solari dall’uscita nelle sale, onde assistere alla visione sul laido divano di casa riscrivendo per l’occasione le regole d’ingaggio del telecomando.
Allora, direte voi, cosa cazzo ci sei andato a fare al cinema? Era in promozione, l’ho detto, e poi mi sono pure divertito, tiè. Al di là di ciò che penso io, “Il mio miglior nemico” ostenta 12 candidature al David di Donatello 2006.
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI - L’obiezione che si può muovere ai film in tv è d’essere sconciati dagli spot. Sconciare “Il mio miglior nemico” quando lo passeranno in tv però sarà dura, perché gli inserzionisti televisivi dovranno mettersi d’accordo con quelli cinematografici: il film stesso contiene, miscelati nella trama, un gran numero di spot. Nel senso che è imbottito in modo inverosimile di brand deliberatamente messi in evidenza sia con opportune inquadrature (altrimenti gratuite), sia con dialoghi o scene superflue rispetto al concatenato narrativo.
Fra gli sponsor c’è un gruppo automobilistico europeo, cui fanno capo i marchi di tutte le vetture utilizzate dai protagonisti (addirittura la provincia indicata sulle targhe è quella ove ha sede la filiale italiana del gruppo, e non quella dove i personaggi del film prosperano, cioè Roma…); c’è una birra, quella che viene bevuta dai protagonisti, la cui marca compare pure sull’insegna del bar ove sono ambientate varie scene; c’è dell’acqua minerale, quella che si nota in tutte le scene dove può esserci bisogno del prezioso liquido; c’è un produttore di computer, il cui notebook dal logo discreto, per esigenze di scena, è ornato d’un adesivo sul coperchio (ma chi mai attaccherebbe adesivi sul notebook?); c’è una compagnia telefonica che fa una convention nell’albergo di Achille all’inizio della storia, e che marca tutti i cellulari dei quali i protagonisti abusano (tenendone un paio sul comodino col logo in favor di cinepresa, navigando in UMTS solo per cercare un bar, videochiamandosi con dovizia di primi piani sul display sponsorizzato and so on); c’è un costruttore di apparecchiature fotografiche digitali, anche se meno in risalto degli altri perché serve occhio esperto per riconoscere un suo prodotto nelle mani di un guardone a caccia di coppie appartate in un parco.
Mi sembra di non aver dimenticato nessuno, ma se così fosse dipende da un loro errore di comunicazione.
Comunque la lista completa degli sponsor si può leggere se si ha la pazienza di attendere la coda dei titoli di coda, ove i benefattori vengono ringraziati pubblicamente (se non altro perché altrimenti si sarebbe delineata la pubblicità occulta). Un mio dubbio: nel film c’è un ricorso inconsulto a motorini e caschi, ma sia i motorini, sia i caschi, sono scassati e inaffidabili. Non si poteva trovare anche qui qualche sponsor decente? Per motivi di sicurezza, voglio dire.
COROLLARIO – Trovo perfettamente normale che le sponsorizzazioni possano aiutare a tenere bassi i costi di produzione di un film, ma l’eccessiva visibilità di prodotti commerciali è stucchevole e non risponde alle finalità dell’arte. Meglio sarebbe citare gli sponsor solo nei titoli di testa e poi non doverci pensare più. Se invece la pubblicità arriva a soggiogare alcuni punti chiave della storia, lo spettatore esigente si distrae, con l’immaginazione torna indietro sino al set e gli par d’udire obliqui personaggi urlare “ahòoo, inquadrame bbene quer telefonino”, oppure “a Verdo’, piano co’ sta retromarcia che sinnò nun se capisce che machina è!”, oppure “a Sirvio, leveme quee dita dar telefonino che copri tutto… ‘mmazza che mano aò! Te nun ciài ‘e dita, ciài li cotechini!”.
LA MORALE – Da ogni storia si deve tirar fuori una Morale (v. infra, Una pizza, un cine e una morale): cosa ci insegna questo film? Ci insegna che nella vita non bisogna fare del male a qualcuno perché quel qualcuno potrebbe non essere colpevole come crediamo, e quando scopriremo le conseguenze del nostro errore di valutazione sarà troppo tardi (quindi il film è dichiaratamente contro la pena capitale). Inoltre questo film ci insegna che quando ci è antipatico qualcuno, prima di esternare il nostro sentimento conviene sempre informarsi se per caso costui abbia una figlia bòna (anche se, a veder lui, ciò sembrerebbe improbabile). E infine questo film ci insegna che quando rimorchiamo una bella topa che magari sembra anche intelligente, la prima cosa che dobbiamo fare è domandarle precise notizie sulla sua famiglia e sul suo luogo di residenza, altrimenti il destino cinico e baro potrebbe farci pentire d’esser stati troppo discreti (quindi questo film è a favore della riduzione della privacy delle persone, però a fin di bene).
NELLA FOTO IN ALTO: Ana Caterina Morariu, vera giustificazione alla visione del film, non compare nella locandina né è reperibile decentemente ritratta nel web (e poi dicono che non c’è la censura), per cui qui ve beccate Carletto e Sirvio che giocheno cor telefonino.

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venerdì 7 aprile 2006

La dodicesima porta


Io devo smettere di andare dal giornalaio, ma è più forte di me (non il giornalaio, cioè anche lui, ma non intendo quello). E’ come una droga. Ora poi fino a venti giornali al dì posso arrivare, oltre, per la legge, divento un edicolante. Sulla “gazzetta di reggio” (emilia) di 3 giorni fa, in terza pagina si dava a caratteri cubitali la notizia della costruzione della nuova uscita dell’autosole con relativo casello ad altissima automazione (bah). Comunque come potete vedere nella foto di ottima risoluzione e fotoritoccata con perizia, il titolo recita “prevede dodici barriere, 4 in entrata e 7 in uscita”. Ho rifatto i conti diverse volte, con la calcolatrice scientifica di windows, anche usando la notazione polacca inversa….tocca ammetterlo: è sparita una porta.
Dopo un primo momento di smarrimento la mia mente ha iniziato un piacevole girovagare tra le ipotetiche funzioni di questa barriera fantasma. Sarà munita di telepass? Ci sarà un casellante? E se sì, potrò chiedere informazioni? Soprattutto mi importa dove porta la porta.
Forse sarà riservata a particolari categorie di automobilisti. Per esempio a quelli che fanno quaranta minuti di fila per uscire e quando arriva il loro turno si mettono a cercare il biglietto e i soldi sradicando i sedili della macchina. Immagino che per loro la barriera si alzi sulle miniere infernali di golconda. Oppure sarà il casello per quelli che guidano piantati in mezzo alla strada. In quel caso l’accesso condurrà su una autostrada monocorsia….piena di camion….in salita….con i cantieri aperti…e senso di marcia unico alternato….senza autogrill…con una suocera a bordo….anche se si è scapoli.
Sondando teorie fantascientifiche invece, immagino che la barriera sia una sorta di teletrasporto che smolecola vetture e persone e le ricompone all’uscita autostradale più vicina alla destinazione desiderata. O, meglio ancora, anzi più divertente ancora, tutto è completamente casuale. Tu devi uscire al casello di Bratislava sud e invece ti ritrovi a Cappelle sul Tavo. E anche la rigenerazione molecolare avviene in modalità random, quindi oltre a ritrovarti a Cappelle sul Tavo avrai gli occhi di tua suocera e un parafango al posto del sedere (ah ce l’avevi gia prima della scomposizione molecolare? Ah scusa).
Ma le ipotesi più affascinanti sono quelle metafisiche: il casello fantasma come varco spazio temporale. Un passaggio verso dimensioni parallele (ma se incontri queste dimensioni non possono più essere parallele, quindi almeno evita di salutarle), dove la tua Cayenne è una Trabant modello base e di mestiere fai il palafreniere. E perché non il casello escatologico? La barriera del giudizio universale. Dove il pedaggio che si paga è il dazio per ciò che siamo stati nella vita (me lo diceva sempre mio nonno, meglio farsi pagare da zio, che pagare dazio) e non puoi nemmeno usare la viacard. Dove il casellante ti costringe a pagare il fio (er fio de chi?) e non puoi tornare indietro, c’è gia la coda e non puoi scendere perché severamente vietato, non puoi mostrare la tessera riduzione militare o dire che sei il portaborse di qualcuno.
La prossima volta che vi trovate nei pressi di Reggio Emilia, piuttosto che tentare la sorte sperando di non incappare nella dodicesima porta, tirate dritto fino a Modena e poi tornate sulla via emilia. C’è un po’ di traffico, ma sempre meno che a Cappelle sul Tavo.

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giovedì 6 aprile 2006

Il coglione sinistro



Mamma mamma silvio ha rotto il vaso della carestia bing!!! Adesso sono fatti tuoi gnè gnè, adesso la mamma ti picchia e io tengo lo stereo alto e stacco il telefono azzurro gnè gnè!!
Finalmente l’ha fatta grossa. Non si aspettava altro, poter puntare il dito a un passo dalle elezioni e gridare “guardate tutti se l’è fatta nei pantaloni!”. Ma porca paletta non c’è verso. Non riescono a sfruttare nemmeno questi assist alla ronaldinho. Anzi, sono capaci pure di staccare di testa liberissimi in area e colpire a porta vuota….facendo 98 metri di autogol! Avete mai letto la repubblica on line? Sito ben fatto, tempestivamente aggiornato, completo. Qualche scelta editoriale discutibile ma quando una cosa è ben fatta è ben fatta, non ci sono cazzi…o coglioni. Se l’avete visto sapete anche che il titolo principale viene aggiornato in continuazione, praticamente ogni mezz’ora, seguendo l’avvicendarsi degli eventi di cronaca. Per circa 72 ore ha capeggiato sfolgorante e inattaccata la scritta “siete dei coglioni” (ovviamente virgolettata anche se non è una citazione testuale, ma sì che te frega, siamo giornalisti mica cardiochirurghi). Hanno dovutto mettere in secondo piano persino le foto della modella rimasta in topless durante una sfilata. Poi il fatto che hamas abbia parlato per la prima volta all’onu di pace con israele…be’…che vuoi che sia. Vuoi mettere fomentare la folla contro il cavaliere nero? No no no no (non è behetoven) non è il solito pippone contro i giornalisti (anche perché se no i miei collaboratori mi strappano le cartilagini inferiori). Tanto lo sappiamo come funzionano queste cose. Per tutta la legislatura sono usciti articoli in corpo 32 sullo stile “crollo della produzione: -0,01%” e poi in basso a destra vicino al sudoku “il tasso di disoccupazione cala del 2%”. Sono solo i giornalisti che pensano che non ci accorgiamo di queste cose. Solo loro pensano di essere molto scaltri….ops sto facendo un pippone contro i giornalisti! Quello che volevo suggerire è come fare una seria e soprattutto efficace opposizione (guarda te come mi sono ridotto). Quano un bambino cattivo fa una marachella molto plateale, il modo migliore per lasciarlo nella cacca è assumere un atteggiamento indignato ma dignitosamente flemmatico (figo eh?). In questo modo l’attenzione rimane concentrata sul danno e sul suo autore, che nel tentativo di discolparsi diminuirà il livello di galleggiamento nella suddetta cacca. Se si comincia invece a fare più caciara di quanto frastuono possa aver fatto il frantumarsi del vaso, l’attenzione si sposterà sugli additatori (per quelli pigri ci sono i trapani additatori) che saranno costretti a dire cose molto intelligenti per non fare la figura degli spioni senza argomenti che non aspettavano altro che il fratellino odiato mettesse un piede in fallo (o nella cacca). Risparmiando inoltre l’umiliante e balbettante giustificazione sotto l’occhio di bue a cui avremmo condannato il malcapitato mantenendo un atteggiamento freddamente scosso (ho finito gli avverbi e gli aggettivi). Quindi per pietà meno caciara…se uno è stupido fa inevitabilmente mostra di ciò che è. Urlando “guardate quanto è stupido” ci si mette altrettanto in mostra e si rischia che la gente non noti la differenza. Del resto anche D’Alema disse “se gli italiani votano forza italia significa che non hanno capito niente” (uso le virgolette a caso ovviamente) e probabilmente pensava, dicendolo, a un branco di coglioni….nessuno ha detto niente….e il Berlusca ha vinto. MeDITATE gente meDITATE.

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mercoledì 5 aprile 2006

Razzismo, ovvero tendenza a lanciare razzi


Premetto: io le partite di calcio di serie A le interromperei subito. Ma proprio prima che comincino, prima dell’arrivo dei tifosi allo stadio. Non certo per quello che fanno gli ultras in curva. Del resto signori, se il calcio non è uno sport per signorine, non lo è nemmeno fare il tifoso di professione. Vuoi vedere gli stadi pieni? Ti becchi anche tafferugli, sassaiole e insulti. Gia, insulti. Caso nazionale e interrogazioni parlamentari perché dei tifosi dicono negro a un calciatore di colore vagamente scuro. Inammissibile. Va bene devastare le città, va bene impiegare inutilmente ogni domenica centinaia di poliziotti e relativi soldi dei contribuenti che preferiscono guardare il curling, vanno bene le risse, i razzi sparati in faccia, i carabinieri all’ospedale, ma negro a uno di colore NO! Ecchediamine!!! Che razza di esempio diamo ai giovani…devastare insultarsi, ma rispettando le culture perbacco! Che poi non capisco quali insulti siano sdoganabili e quali no. Il grande Franchigia Baresi, in qualsiasi stadio si trovasse a zompettare (persino il meazza) veniva subissato di epiteti concernenti le abitudini sessuali libertine della moglie. Il povero libero è finito in lacrime tra le braccia di Arrigo Sacchi, senza ormai un capello (Baresi non Sacchi, lui ne è sprovvisto dalla nascita). L’adiposo Maradona veniva deriso per la sua prominente epa (rotolo de coppa) ed è finito drogato in una clinica per recupero afflitti dalle sostanze stupefacenti e dalle magliette di Che Guevara (XXL). Certo insultando un uomo di colore si colpiscono milioni di persone, ma insultando un cornuto se ne colpiscono molte di più….poi i cornuti sovrappeso….!! D’accordo, d’accordo è un fatto di cultura. La storia ci insegna: schiavismo, discriminazioni razziali, genocidi. Non dimentichiamo però che in curva non ci sono docenti di storia comparata alla sorbona di parigi. Sono tifosi, che, apoteosi della coerenza, sostengono squadre zeppe di giocatori di colore (uno dei tifosi condannati ha anche dei bambini africani adottati a distanza) e che quindi non esprimono ideologie razziste…vogliono solo insultare. Concetto bislacco è vero (mi sono stupito di averlo scritto), ma la stessa società (civile, non sportiva) che ora condanna queste cose ha sempre accettato questi atteggiamenti. E’ sempre valso anche il simpatico “devi morire”. La cultura dell’odio fino alla morte sì, ma l’intolleranza razziale no? Allora che si fa? Creiamo un bel decalogo dell’insulto. Negro non va bene perché non rispetti le diversità razziali, quindi ditegli “sei uno stronzo ma rispetto molto i fratelli africani yo yo”. Ma c’è davvero qualcuno che pensa che queste cose creino una cultura di intolleranza???? Un gruppo di persone che si infila in uno stadio ad insultare atleti perché hanno la disdicevole intenzione di spingere una palla dentro la loro sacra porta. O a pestare (e ammazzare) coetanei perché hanno una brutta bandiera. E li condanniamo perché dicono negro a uno di colore?? E i politici, le istituzioni sportive, i giornalisti dicono che bisogna fare qualcosa. Non sia mai che queste tifoserie finiscano per dare un cattivo esempio ai giovani. A loro non interessa niente della razza, interessa trovare il modo più umiliante di insultare. Ed è il fatto stesso che accettiamo da sempre questa cultura di guerriglia che dovrebbe far riflettere. Volete fare qualcosa? Chiudete gli stadi, tanto c’è sky, tanto ci sono le card piratate. Se no lasciate libero sfogo a questo circo da antica roma. Se si fermano solo gli insulti ai calciatori di colore, Baresi e Maradona ci rimangono male.

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lunedì 3 aprile 2006

Un giudice

Sono un giudice….anzi ero un giudice. No, non sono in pensione e non ho cambiato mestiere. Mi hanno semplicemente ammazzato. Qui nel mondo dei più è arrivato anche il povero Tommy. Un viso simpatico. Solo a guardarlo ti fa dimenticare la sfortunata esistenza che ha passato. Vissuto nella malattia e morto nel dolore e nella crudeltà degli uomini. Vittima di quello che non ha avuto il tempo di scoprire. La brutalità delle persone. E io ne so qualcosa. Io la conoscevo, l’ho combattuta per tutta la vita. Per i mie ideali, per il mio paese, per la giustizia e per altre ragioni che ho lasciato lì da voi. E soprattutto anche io ne sono vittima. Ora da qui osservo un popolo sconvolto….e non capisco. Qui abbiamo la parabola (ne abbiamo che ci avanzano di parabole) e prendiamo tutti i telegiornali, i programmi sportivi e i telefilm americani. Tutti parlano del povero Tommy. Tutti sono vicini nel dolore ai genitori. Sì anche quei giornalisti che senza sapere nulla buttavano ami per gli squali. Quelli che dicevano “nel diario della madre c’è scritto sono preoccupata per Tommy”. E basta, non aggiungevano altro. Ti instillavano il dubbio ma non si scomodavano a dichiararlo. Si preoccupavano di generarti il tarlo morboso, che avrebbe centuplicato la tua curiosità e il loro fatturato in tirature. Ora sono vicini alla famiglia. Spero non troppo vicini…..lo spero per loro.
Anche nelle trasmissioni sportive parlano di Tommy. Si scusano di dover parlare di calcio, ma premettono che non lo dimenticheranno mai. Io sono stato dimenticato in fretta. Ho dato la mia vita per il mio paese, ma le trasmissioni sportive hanno parlato solo del rigore che non c’era. Non mi interessa la gloria…non mi è mai interessata. Ma questa ipocrisia….. Oggi sul giornale (ci arrivano anche quelli, stropicciati, ma ci arrivano) c’era scritto che i detenuti di un carcere hanno dichiarato che chi ha ucciso Tommy è un lurido infame. Probabilmente appena l’avranno per le mani lo faranno carino. Io li conosco quelli. Non si fanno queste cose. Un bambino inerme e indifeso…. In quel carcere ci sono anche quelli che mi hanno aspettato sotto casa armati di mitra. Io ero solo…disarmato….indifeso. Come altro si può definire un uomo solo assalito da belve armate? Che potevo fare? Sputargli? Ci ho provato, ma ho sputato sangue. Qualcuno ha detto (passati i primi giorni di sgomento) che me la sono andata a cercare. I più magnanimi, che “sono i rischi del mestiere”. Forse hanno ragione. Io però non sono un soldato…non ho mai fatto male a nessuno…come il povero Tommy e ho avuto una vita difficile…come Tommy. E non ho potuto difendermi….come lui, anche se non sono un bambino, anche se a volte avrei voluto tornare ad esserlo. Pochi giorni dopo l’arrivo del piccolo è arrivata anche una ragazzina. Diciassette anni, anche lei di Parma. Brutalizzata senza motivo. Aveva appena scoperto la gioia di essere viva giovane e bella. Hanno dato la notizia in tre parole e poi hanno detto che Adriano forse non giocherà contro il Villareal. Nemmeno lei ha potuto difendersi. Nemmeno gli altri che sono qui con noi. Donne stuprate e uccise dal branco, ragazzi giustiziati per un sorpasso. Siamo tutti qui, con il piccolo Tommy e aspettiamo…desideriamo vedere la stessa indignazione, lo stesso sdegno colmo di rabbia e voglia di ricordare, per tutte le vittime dell’inutile brutalità umana. Perché le nostre vite erano ugualmente importanti, avevamo persone che ci amavano e ideali.. E siamo tutti stati barbaramente uccisi, lontano dai nostri cari, senza poterci difendere. Ora basta o divento come quei pietosi (nel senso che fanno pietà) servizi poetici di studio aperto, con la musichetta e una voce strappalacrime che ti dice che cosa sognava il povero piccolo, che cosa voleva prima che qualcuno lo strappasse ai genitori (di colpo riabilitati). Tommy è qui, ora sta bene. Dice che non sognava quelle cose e che voleva bene al papà….dice anche qualcosa su quei giornalisti, ma non posso ripetervela, sapete su certe cose qui sono un po’ rigidi.


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sabato 1 aprile 2006

QUESTO BLOG CHIUDE!


Ancora poche ore e questo blog non si aprirà più. Hai voglia a cliccare sul link dei preferiti… Il vostro browser si esibirà in una bella schermata bianca con le paroline di istruzioni e scuse perché la pagina non può essere visualizzata, e sarà inutile che leggiate le solite ipotesi sulle cause della mancata connessione, controlliate l’url, contattiate l’amministratore (di sistema, non di condominio) eccetera, eccetera, eccetera. Dunque, Internet spazio libero? Demagogia pura. E solo occidentale, per giunta, perché in altri posti del mondo, che Internet non è libera almeno hanno il coraggio di proclamarlo in chiare note. Qui invece sembri libero, ma da un momento all’altro ti cancellano dalla rete e tu non sai neppure perché.
Noi, in questo, siamo fortunati: il perché lo sappiamo e purtroppo, fra i tre autori di questo (ex)blog, è toccato a me girarvi la notizia. Non a Cruman, che è il padre di CLDH (Ce Lo Dice Hillman) e da quando si è saputo censurato, per lo sgomento continua a correre senza una traiettoria precisa nei prati in fiore attorno a casa sua. E non a Spaggio, il quale è parte in causa nella censura del blog. Sì, ecco il punto: questo blog viene chiuso perché nella foto in formato santino che lo raffigura nel colonnino a destra, lo Spaggio non sembra suggere una radice di liquirizia oppure lo stecco di un cremino algida. No, egli sembra aspirare e soffiar via sensualmente il fumo d’una sigaretta.
Embè? - direte voi. Embè un cazzo, dice Mr. Palombo, portavoce dell’AFASIA (American Fighters Against Smoking In-picture Actors), un’associazione di volontari che si batte contro la rappresentazione del vizio del fumo attraverso i mezzi di comunicazione visiva.
Gli attivisti dell’AFASIA ce l’hanno con gli attori che fumano nei film (non al cinema, stupido, proprio dentro i film), nei fotoromanzi, nelle campagne pubblicitarie, e ovviamente fra le pagine di Internet, che è il mezzo di comunicazione (anche) visivo più progredito e verosimilmente anche il più frequentato.
Questi fumatori iconografici – dicono i censori della sigaretta ritratta – col loro atteggiamento fanno passare il messaggio che fumare sia un valore positivo, o comunque un comportamento non deprecabile, concetto particolarmente pernicioso se messo a contatto coi giovani d’oggi. Immaginiamo che se in un film un personaggio scarica il nervosismo sterminando decine di innocenti invece di concedersi una nazionale senza filtro, l’AFASIA non trovi nulla da ridire.
Orbene, dopo un primo momento di euforia determinata dal fatto che lo Spaggio era stato considerato un uomo di spettacolo, è arrivata la mazzata: l’AFASIA, dopo averci inviato una mail di diffida dal proseguire la pubblicazione online, ha segnalato CLDH alla WCCHBMA (Web Contents Control for Human Breath Manteinance Agency), un’organizzazione che si occupa della manutenzione della respirazione umana e verifica che questa non sia messa a repentaglio da contenuti diffusi in rete. La WCCHBMA, che ha sede a Salt Lake City, nello Utah, è molto potente anche al di fuori degli Stati Uniti, poiché sin dagli albori della battaglia politica contro il fumo, riuscì a cavalcare la nuova tendenza e a distogliere l’attenzione di importanti fondi d’investimento (da alcuni dei quali è partecipata) dalle multinazionali del tabacco, volgendola piuttosto all’industria degli armamenti.
Chi manovra i fili della WCCHBMA, naturalmente, è poco interessato al fatto che la gente fumi o meno, ma tiene tantissimo alle notizie che vengono diffuse in rete e alla direzione che queste notizie possono far prendere ai dollari dei piccoli e medi risparmiatori. Quindi l’AFASIA non è che una delle varie associazioni che dietro una facciata socialmente utile svolgono la loro reale, ma occulta, funzione di “sentinelle” in difesa degli interessi di cartello dei narcos colombiani.
Insomma, ragazzi, ci siamo andati a cacciare in un pasticcio molto più grosso di noi, e tutto per una sigaretta che magari lo Spaggio s’è fumato tre anni fa, visto che la foto lo rappresenta in una forma in cui non lo vedevamo da tempo.
La nostra contromossa, che potrebbe tuttavia rivelarsi un’arma spuntata se solo qualcuno, da qualche parte nella rete, riuscisse a dimostrare che lo Spaggio è realmente un attore (magari ha recitato in un porno e noi non lo sappiamo), è stata l’inoltro di un immediato ricorso alla PEWFIF (Planet Earth Web For Internet Freedom), la rete planetaria di attivisti la cui finalità è tutelare la libertà d’espressione in Internet in tutte le sue forme, anche le più pestilenziali.
Per conoscenza, la sussistenza del ricorso sarà suggerita anche all’IFEX (International Freedom of Expression Exchange), al CASCFEN (Central Asian and Southern Caucasus Freedom of Expression Network), al CJFE (Canadian Journalists for Free Expression), al CRN (Cartoonists Rights Network, International), al CEHURDES (Center for Human Rights and Democratic Studies), al CJES (Centre for Journalism in Extreme Situations), al CERIGUA (Centro de Reportes Informativos sobre Guatemala), al CPJ (Committee to Protect Journalists), all’IJC (Independent Journalism Centre), al MICIFJ (Moldova Index on Censorship International Federation of Journalists), al JED (Journaliste En Danger), alla FLP (Fundación para la Libertad de Prensa), allo FXI (Freedom of Expression Institute), alla MFWA (Media Foundation for West Africa), alla SEAPA (Southeast Asian Press Alliance), alla TJA (Thai Journalists Association), alla WAN (World Association of Newspapers), al MISA (Media Institute of Southern Africa), alla ADPI (Asociación para la Defensa del Periodismo Independiente) e al WPFC (World Press Freedom Committee).
Nel ricorso sosteniamo, per la precisione, l’inconsistenza formale dell’accusa, dal momento che lo Spaggio per vivere non recita (he doesn’t act to eat) né posa come fotomodello (he doesn’t pose as a model), e se lo fa non lo ammette (even if he makes it, he doesn’t admit it), insomma non è un attore (he isn’t an actor) e per questo può fumare quanto vuole (he can smoke as and how much his own asshole pulls to him), nonché comparire fumante su qualsiasi mezzo di comunicazione visiva (he can be shown on visual mass media while he smokes) senza per questo ricadere nella sfera di competenza dell’AFASIA, né tantomeno essere oggetto di persecuzione a opera degli sgherri della WCCHBMA.
Ordunque, se domani ci leggerete ancora, vorrà dire che s’è verificata la condizione numero A(*) oppure la condizione numero B(**). Altrimenti, come si suol dire, grazie di essere venuti. Adios.

(*) Condizione numero A: abbiamo vinto il ricorso per direttissima.
(**) Condizione numero B: non s’è riunita la commissione di censura e quindi riusciremo
a ciurlare nel manico ancora per un po’ di tempo.

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