martedì 11 aprile 2006

Sono stato presidente, ma era il secolo scorso


La mia attività professionale è quella di acconciatore maschile, l’ho fatto scrivere sull’insegna, però quelli che vengono da me dicono: vado dal barbiere. E hanno ragione, perché ‘sta storia dell’acconciatore l’ho messa su soltanto per giustificare il diploma che tengo appeso in negozio.
Una volta sono stato anche presidente, non presidente del consiglio, intendo, e manco di una squadra di calcio. Sono stato presidente di seggio elettorale. Per essere presidente di seggio non è che devi essere un professore o un palazzinaro, vado bene anche io che taglio i capelli alle persone e talvolta anche la barba.
Ogni volta che apro il negozio tengo a mente il paradosso del barbiere che fa la barba a tutti quelli che non se la fanno da soli e non la fa a tutti coloro che si radono autonomamente: chi fa la barba al barbiere? Ecco, di solito è con questo sgasato quesito d’insiemistica di base che attacco bottone coi nuovi clienti. Quelli che ci saltano fuori in fretta sono pochi. Molti invece restano a bocca aperta come se non volessero farsi prendere per il culo, mentre io mi chiedo: ma questo qui, come la mette nel momento che va a votare?
Cerco di rispondermi come quella volta che feci il presidente di seggio.
Quella volta c’erano le amministrative, mica le politiche. E c’era la lira, mica l’euro. Era il secolo scorso. Altri tempi. Quella volta nel comune dove c’era il seggio dove c’ero io presidente-barbiere, successe una cosa che mi è tornata in mente in questi giorni, e cioè che fino all’ultimo istante c’erano questi quarantanove virgola percento di qua, cinquanta virgola percento di là, e poi quarantotto virgola percento di giù, e poi ancora quarantanove virgola percento di su. E noi lì a tirare fuori schede, e ogni mezz’ora un messo del comune che chiedeva come va come va datemi i dati aggiornati. Non vi sto a dire che palle. Durante quell’agonia ricordo rappresentanti di lista apparecchiati come i falchi, scrutatori che dicevano le parolacce, il poliziotto del seggio che avrebbe messo volentieri le mani addosso a qualcuno, insomma, una baraonda. Però alla fine chiudemmo registri e sacchi di schede votate con timbri e sigilli e ceralacca, precisi come orologi svizzeri e senza aver dovuto mettere le mani in faccia a nessuno.
La notte dello spoglio era diventata quasi mattina, così io e la segretaria del seggio (un mio amico con la barba) guidammo nella luce dell’alba fino all’ufficio elettorale ove mollammo il paccone. Invece di un arrivederci e grazie, ebbi una lettera di precetto per il seggio di circoscrizione. Cos’era? Boh. Ricordo solo che mi ritrovai, il giorno dopo, assieme ad altri cinque presidenti (barbieri o meno) a fare lo scrutinio degli altri scrutini sotto la presidenza di un magistrato.
Io sono un uomo semplice, ancora oggi non ho capito cosa facemmo esattamente quella volta. Mi ricordo soprattutto che riscontrammo registri e i verbali di altre sezioni, questo sì, i registri e i verbali degli altri seggi, e poi che firmammo fogli e che ci diedero tipo sedicimilalire al giorno per il disturbo, da incassare dopo due mesi. C’era un bel clima, un sacco di timbri da sbattere facendo casino, la mia giacchetta di velluto a coste per sembrare vero, la burocrazia che ti permeava, la politica che palpitava nel momento transitorio della delegazione, la democrazia gonfia sul letto di morte. Sensazioni indescrivibili, come l’odore metallescente del napalm.
Mi ricordo di registri e verbali moltissimo pasticciati, con nomi e cifre parziali e totali e preferenze messe un po’ alla cazzo, ma mica per cattiveria, no, per semplice ignoranza, perché (almeno nel secolo scorso) non era detto che se uno faceva lo scrutatore o la segretaria o il presidente di seggio dovesse saper far di conto, nessuno gli avrebbe mai chiesto una cosa simile, in via preventiva. Abituato a gestire la mia partita iva di barbiere, coi registri e i verbali del mio seggio ero stato molto puntiglioso e pensavo che così avessero fatto tutti, perché sui registri ci sono le firme e con una firma messa sotto qualche porcata pensavo si potesse andare in galera. Mi sbagliavo. Aprire certi registri e certi verbali era una sorpresa come scoperchiare un giardino zoologico abusivo.
Qualcuno disse che quei casi di evidente papocchio non è che fossero poi così rari, e che visto che c’erano era prevista già una procedura di riesame: venivano spediti sigillati non vi sto a dire dove, ossia rinviati a giudizio superiore, un po’ come si fa con le schede contestate.
Allora ripensai ai quarantanove virgola percento, ai cinquanta virgola percento che erano venuti fuori da quella tornata, all’alea che c’era dietro quei risultati. All’alea che avrebbe continuato a esserci dopo le elezioni. Alla gente che il giorno prima avevo visto entrare in cabina ridendo senza coscienza, alle persone anziane accompagnate dai figli che continuavano a dir loro cose all’orecchio e quelli allora sì, sì, ho capito, va bene. Ai rappresentanti di lista che bestemmiavano, anche quelli di sinistra che non potevano credere in dio. Agli elettori col naso all’insù che miravano quei manifesti con tutti i simboletti spiegati, solo che molti avevano lo sguardo della mucca quando passa il treno. Ai nomi dei politici che rappresentavano tutto questo. E ancora a quelle differenze di decimali sottili che potevano far prendere una strada o l’altra a tutto il carrozzone, senza che né quelli che spingevano, né quelli che tiravano, avessero la possibilità di sapere da cosa ciò fosse dipeso, perché le differenze percento erano troppo piccole.
Quella volta erano le amministrative, finì in ballottaggio e le coalizioni aiutarono a dirimere le questioni dei decimali, ma forse fu solo una finta.
Il mese dopo andai in municipio e chiesi che il mio nome fosse cancellato dagli elenchi dei presidenti di seggio. Fu una questione di pace mentale, io faccio il barbiere. Tutt’al più voglio sbagliare un taglio di capelli.

Technorati Tags: , ,

Nessun commento: