mercoledì 26 aprile 2006

Di quella pira, l'orrendo logo


Non per sbandierare ai quattro venti la mia professione, ma io fabbrico bandiere. Tutto è cominciato con le sfumature della passione patriottica e un paio di sartine, proprio qui a Reggio Emilia, dove è nato il tricolore. Le cose andavano bene e la nostra piccola realtà familiare aveva le qualità di un robusto bonsai: non cresce e non crepa. A dire il vero ci siamo specializzati molto, siamo partiti dai vessilli per i comuni per approdare ai bandieroni da stadio e quelli lanciati dagli sbandieratori durante le fiere. Non è un lavoro facile come sembra…..devono essere molto equilibrate per poter garrire a dovere ed evitare che un maldestro sventolatore finisca avvolto come un bozzolo con l’asta infilata in qualche orifizio. Però il vero salto di qualità l’abbiamo fatto grazie alle bandiere infiammabili (flamable flags). Avete presente tutte quelle bandiere che vengono bruciate nelle piazze per manifestare un leggero disappunto nei confronti dalla relativa nazione? Le facciamo noi. Ora gli affari vanno a gonfie vele (facciamo anche quelle) e la piccola realtà familiare è diventata una fabbrichetta, con tanto di Cayenne di rappresentanza. Non giudicatemi male però, non speculo sull’intolleranza, io rispondo semplicemente a una richiesta del mercato e credo che senza le mie bandiere la gente non andrebbe comunque d’amore e d’accordo. E poi guardate che è un lavoro pericoloso e molto complicato. Il tessuto viene lavorato con agenti chimici che lo rendono altamente infiammabile e grazie a un apposito laboratorio di ricerca (dove si studia anche una nuova tecnica di depilazione), abbiamo trovato il modo di far bruciare le bandiere in modi diversi a seconda dell’esigenza del manifestante esibizionista. Ci sono quelle che si disintegrano in una fiammata rapida e intensa….pregna della foga con cui il facinoroso vorrebbe vedere distrutta la sua controparte. Altrimenti si può scegliere un tessuto più sofisticato, che arde lentamente, comunicando in che inferno di dolore persistente, si vuol far precipitare il nemico di turno. Questo modello consente anche il rimarcare il proprio disprezzo coreografando sulla bandiera in fiamme danze di guerra o calpestamenti simbolici. Senza contare che un detrattore esperto potrebbe sventolare il vessillo incendiato tenendolo tra le mani senza paura che si spenga o che sia lo sventolatore stesso ad accendersi, il che configurerebbe un atto di protesta estremo più consono al bonzismo che all’intolleranza etnico-politica.
Come potete capire non si tratta di una semplice lavorazione artigianale, ma un’opera totale, che coinvolge la politica, la psicologia, la sociologia e il centro grandi ustionati di Pieve Saliceto. Considerate poi che oggi come oggi i violenti sono diventati schizzinosi ed esigenti. La bandiera la vogliono fatta bene. E finchè è quella giapponese fai presto, quella americana è più complessa, ma abbiamo una grande esperienza a causa delle moltissime richieste. Ma ormai è un attimo: un danese fa una vignetta? Due giorni ed arrivano mille ordini per bandiere danesi. Un tizio in vacanza ti pesta un piede e a noi arrivano richieste di bandiere delle isole Heard e Mcdonald, vattela a pesca se la bandiera la vogliono con o senza ketchup. Oppure il presidente del Turkmenistan non si accorge di avere il microfono aperto mentre chiede a un collaboratore “chi è quel nano pelato?”: vaglielo a spiegare a quelli di FI che la loro bandiera è praticamente un kilim intrecciato a mano e ci vogliono sei mesi per confezionarne una.
Al di là dei problemi di produzione ci sono anche tutte le questioni organizzative e logistiche. I contestatori non seguono certo gli standard di mercato e cambiano idee come le bandiere al vento (scusate deformazione professionale). Una volta si rischiava solo di consegnare per sbaglio a un comune, per la propria facciata, uno stendardo infiammabile e quando il sindaco usciva in balcone per una sigarettina santa, dava fuoco agli intonaci appena rifatti con i soldi dei contribuenti. Ma adesso è una babele generale. Non si capisce più chi protesta contro chi. Una volta gli estremisti islamici venivano considerati alla stregua dei fascisti a causa del mancato rispetto dei diritti civili, in particolare delle donne. Dopo che Berlusconi ne ha parlato male, la sinistra ha cominciato ad esprimere simpatia (per l’islam non per Berlusconi). Solo che la stessa sinistra che ha combattuto per liberarci dal nazismo e dalle leggi razziali ora è antisemita e intollerante (esattamente come i fascisti) e nel giorno della festa della liberazione, brucia in piazza bandiere israeliane. In magazzino noi avevamo scorte di bandiere infiammabili con la stella di David, solo per il movimento occidentale e questo ci ha creato non pochi problemi. Il nostro responsabile delle vendite si è inalberato (è più forte di me scusate): vuole denunciarmi per mobbing perché crede lo stia prendendo in giro ed ha gia incendiato una bandiera con lo stemma della mia famiglia nel parcheggio della ditta. Gli estremisti di destra ormai in totale confusione bruciano qualsiasi cosa per non saper né leggere né scrivere e un po’ anche per tradizione, danno fuoco anche i panni stesi e alle canne al vento (quelle anche quelli di sinistra….soprattutto quelli di sinistra). Vorrei lanciare questo appello: assumete una posizione chiara, affinchè io possa organizzare le stive e la programmazione industriale. Non lo dico solo per me: se questi poveri professionisti delle sommosse profonde (i sommossatori), si ritrovano senza un simbolo da dare alle fiamme davanti alle telecamere, finisce che bruciano la tua 127 sport parcheggiata sotto casa o la smart messa di sbieco sul marciapiede (che però…una scaldatina….) o la banca dove tieni a diminuire i tuoi risparmi o il bar dove tuo figlio passa le giornate. Insomma, mettetevi una mano sulla cosc…sul cuor….dove vi pare, ma collaboriamo insieme, per un’intolleranza coerente.

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