Ieri sono andato al cine per vedere “Il mio miglior nemico” (commedia, Italia, 2006, 115”), film di cui Verdone Carlo è regista e coprotagonista. L’altro coprotagonista è Muccino Silvio (fratello di Muccino Gabriele, regista), un sagnoccone alto con gli occhi celesti e l’aria mite, che diresti ma possibile che questo qui fa l’attore del cinema, ne conosco tanti così che però non fanno gli attori del cinema, e poi pensi che forse fa l’attore perché ci ha il fratello regista, e poi ancora pensi che no, che se fa l’attore dev’essere anche per altri motivi, per esempio perché ci è versato e perché ha studiato per fare l’attore, e che il fratello regista magari gli avrà pure trovato l’entratura giusta, ma nel caso si tratterebbe di una semplice coincidenza, un po’ come il barista che viene notato da un produttore e diventa attore, oppure quello che diventa attore perché nasce a due passi da Cinecittà e quindi gli viene più comodo rispetto a uno che nasce in provincia di Sondrio e per prossimità fa il maestro di sci.
LA TRAMA DEL FILM - Achille De Bellis (Verdone Carlo) ha sposato una tipa di stirpe catenalberghiera, imballata di soldi. Di conseguenza fa l’alberg-manager di mezz’età e se la gode. Nel godersela, licenzia una cameriera accusandola d’un furto (che poi si scoprirà effettivamente avvenuto). Il giovine Orfeo Rinalduzzi (Muccino Silvio), figlio della cameriera licenziata, monta una gran cambogia per far riassumere sua madre (che crede innocente, ma poi imparerà), e nel montarla devasta la vita di Achille. Nella babilonia di sfiga generata dalla perturbazione della Forza, per sopramercato Orfeo rimorchia la figlia di Achille, Cecilia (Ana Caterina Morariu), la quale rispetto al padre mostra un gap evolutivo incompatibile con una singola generazione. La Natura stessa di Cecilia farà sì che la gran cambogia torni in culo anche al suo suscitatore, il vindice Orfeo, e che costui s’abbia a pentire di come ha agito, cosicché alla fine vivranno quasi tutti felici e contenti.
Orfeo (quello di Euridice), Achille (quello del tallone)… chissà perché ‘sti nomi succhiati dalla mitologia greca.
ANOMALIE – Due le anomalie del mio cinema di ieri: la prima è che ci sono andato di pomeriggio invece che dopocena, per sfruttare una situazione promozionale in base alla quale il biglietto pomeridiano costa meno. Certo è che, per fare l’accattone promozionato, non ho potuto praticare la collaudata sequenza pizzeria-sala cinematografica, e così valutare quanto la proiezione influisse sulla digestione della capricciosa con mozzarella di bufala. Pazienza.
La seconda anomalia è che al cinema ho visto un film di Verdone Carlo. L’ultima volta che era capitata una cosa simile fu per assistere a “Bianco, rosso e Verdone”, opera di cristallino rilievo che giunse nelle sale quand’ero minorenne, dunque animato da altri progetti.
Come attuale adulto imbottito di codici estetico-comunicativi, annovero la cinematografia verdoniana fra le produzioni scevre dall’obbligo del grande schermo. Indi attendo pigramente il passaggio in tv, prevedibile nell’arco di un paio d’anni solari dall’uscita nelle sale, onde assistere alla visione sul laido divano di casa riscrivendo per l’occasione le regole d’ingaggio del telecomando.
Allora, direte voi, cosa cazzo ci sei andato a fare al cinema? Era in promozione, l’ho detto, e poi mi sono pure divertito, tiè. Al di là di ciò che penso io, “Il mio miglior nemico” ostenta 12 candidature al David di Donatello 2006.
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI - L’obiezione che si può muovere ai film in tv è d’essere sconciati dagli spot. Sconciare “Il mio miglior nemico” quando lo passeranno in tv però sarà dura, perché gli inserzionisti televisivi dovranno mettersi d’accordo con quelli cinematografici: il film stesso contiene, miscelati nella trama, un gran numero di spot. Nel senso che è imbottito in modo inverosimile di brand deliberatamente messi in evidenza sia con opportune inquadrature (altrimenti gratuite), sia con dialoghi o scene superflue rispetto al concatenato narrativo.
Fra gli sponsor c’è un gruppo automobilistico europeo, cui fanno capo i marchi di tutte le vetture utilizzate dai protagonisti (addirittura la provincia indicata sulle targhe è quella ove ha sede la filiale italiana del gruppo, e non quella dove i personaggi del film prosperano, cioè Roma…); c’è una birra, quella che viene bevuta dai protagonisti, la cui marca compare pure sull’insegna del bar ove sono ambientate varie scene; c’è dell’acqua minerale, quella che si nota in tutte le scene dove può esserci bisogno del prezioso liquido; c’è un produttore di computer, il cui notebook dal logo discreto, per esigenze di scena, è ornato d’un adesivo sul coperchio (ma chi mai attaccherebbe adesivi sul notebook?); c’è una compagnia telefonica che fa una convention nell’albergo di Achille all’inizio della storia, e che marca tutti i cellulari dei quali i protagonisti abusano (tenendone un paio sul comodino col logo in favor di cinepresa, navigando in UMTS solo per cercare un bar, videochiamandosi con dovizia di primi piani sul display sponsorizzato and so on); c’è un costruttore di apparecchiature fotografiche digitali, anche se meno in risalto degli altri perché serve occhio esperto per riconoscere un suo prodotto nelle mani di un guardone a caccia di coppie appartate in un parco.
Mi sembra di non aver dimenticato nessuno, ma se così fosse dipende da un loro errore di comunicazione.
Comunque la lista completa degli sponsor si può leggere se si ha la pazienza di attendere la coda dei titoli di coda, ove i benefattori vengono ringraziati pubblicamente (se non altro perché altrimenti si sarebbe delineata la pubblicità occulta). Un mio dubbio: nel film c’è un ricorso inconsulto a motorini e caschi, ma sia i motorini, sia i caschi, sono scassati e inaffidabili. Non si poteva trovare anche qui qualche sponsor decente? Per motivi di sicurezza, voglio dire.
COROLLARIO – Trovo perfettamente normale che le sponsorizzazioni possano aiutare a tenere bassi i costi di produzione di un film, ma l’eccessiva visibilità di prodotti commerciali è stucchevole e non risponde alle finalità dell’arte. Meglio sarebbe citare gli sponsor solo nei titoli di testa e poi non doverci pensare più. Se invece la pubblicità arriva a soggiogare alcuni punti chiave della storia, lo spettatore esigente si distrae, con l’immaginazione torna indietro sino al set e gli par d’udire obliqui personaggi urlare “ahòoo, inquadrame bbene quer telefonino”, oppure “a Verdo’, piano co’ sta retromarcia che sinnò nun se capisce che machina è!”, oppure “a Sirvio, leveme quee dita dar telefonino che copri tutto… ‘mmazza che mano aò! Te nun ciài ‘e dita, ciài li cotechini!”.
LA MORALE – Da ogni storia si deve tirar fuori una Morale (v. infra, Una pizza, un cine e una morale): cosa ci insegna questo film? Ci insegna che nella vita non bisogna fare del male a qualcuno perché quel qualcuno potrebbe non essere colpevole come crediamo, e quando scopriremo le conseguenze del nostro errore di valutazione sarà troppo tardi (quindi il film è dichiaratamente contro la pena capitale). Inoltre questo film ci insegna che quando ci è antipatico qualcuno, prima di esternare il nostro sentimento conviene sempre informarsi se per caso costui abbia una figlia bòna (anche se, a veder lui, ciò sembrerebbe improbabile). E infine questo film ci insegna che quando rimorchiamo una bella topa che magari sembra anche intelligente, la prima cosa che dobbiamo fare è domandarle precise notizie sulla sua famiglia e sul suo luogo di residenza, altrimenti il destino cinico e baro potrebbe farci pentire d’esser stati troppo discreti (quindi questo film è a favore della riduzione della privacy delle persone, però a fin di bene).
NELLA FOTO IN ALTO: Ana Caterina Morariu, vera giustificazione alla visione del film, non compare nella locandina né è reperibile decentemente ritratta nel web (e poi dicono che non c’è la censura), per cui qui ve beccate Carletto e Sirvio che giocheno cor telefonino.
LA TRAMA DEL FILM - Achille De Bellis (Verdone Carlo) ha sposato una tipa di stirpe catenalberghiera, imballata di soldi. Di conseguenza fa l’alberg-manager di mezz’età e se la gode. Nel godersela, licenzia una cameriera accusandola d’un furto (che poi si scoprirà effettivamente avvenuto). Il giovine Orfeo Rinalduzzi (Muccino Silvio), figlio della cameriera licenziata, monta una gran cambogia per far riassumere sua madre (che crede innocente, ma poi imparerà), e nel montarla devasta la vita di Achille. Nella babilonia di sfiga generata dalla perturbazione della Forza, per sopramercato Orfeo rimorchia la figlia di Achille, Cecilia (Ana Caterina Morariu), la quale rispetto al padre mostra un gap evolutivo incompatibile con una singola generazione. La Natura stessa di Cecilia farà sì che la gran cambogia torni in culo anche al suo suscitatore, il vindice Orfeo, e che costui s’abbia a pentire di come ha agito, cosicché alla fine vivranno quasi tutti felici e contenti.
Orfeo (quello di Euridice), Achille (quello del tallone)… chissà perché ‘sti nomi succhiati dalla mitologia greca.
ANOMALIE – Due le anomalie del mio cinema di ieri: la prima è che ci sono andato di pomeriggio invece che dopocena, per sfruttare una situazione promozionale in base alla quale il biglietto pomeridiano costa meno. Certo è che, per fare l’accattone promozionato, non ho potuto praticare la collaudata sequenza pizzeria-sala cinematografica, e così valutare quanto la proiezione influisse sulla digestione della capricciosa con mozzarella di bufala. Pazienza.
La seconda anomalia è che al cinema ho visto un film di Verdone Carlo. L’ultima volta che era capitata una cosa simile fu per assistere a “Bianco, rosso e Verdone”, opera di cristallino rilievo che giunse nelle sale quand’ero minorenne, dunque animato da altri progetti.
Come attuale adulto imbottito di codici estetico-comunicativi, annovero la cinematografia verdoniana fra le produzioni scevre dall’obbligo del grande schermo. Indi attendo pigramente il passaggio in tv, prevedibile nell’arco di un paio d’anni solari dall’uscita nelle sale, onde assistere alla visione sul laido divano di casa riscrivendo per l’occasione le regole d’ingaggio del telecomando.
Allora, direte voi, cosa cazzo ci sei andato a fare al cinema? Era in promozione, l’ho detto, e poi mi sono pure divertito, tiè. Al di là di ciò che penso io, “Il mio miglior nemico” ostenta 12 candidature al David di Donatello 2006.
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI - L’obiezione che si può muovere ai film in tv è d’essere sconciati dagli spot. Sconciare “Il mio miglior nemico” quando lo passeranno in tv però sarà dura, perché gli inserzionisti televisivi dovranno mettersi d’accordo con quelli cinematografici: il film stesso contiene, miscelati nella trama, un gran numero di spot. Nel senso che è imbottito in modo inverosimile di brand deliberatamente messi in evidenza sia con opportune inquadrature (altrimenti gratuite), sia con dialoghi o scene superflue rispetto al concatenato narrativo.
Fra gli sponsor c’è un gruppo automobilistico europeo, cui fanno capo i marchi di tutte le vetture utilizzate dai protagonisti (addirittura la provincia indicata sulle targhe è quella ove ha sede la filiale italiana del gruppo, e non quella dove i personaggi del film prosperano, cioè Roma…); c’è una birra, quella che viene bevuta dai protagonisti, la cui marca compare pure sull’insegna del bar ove sono ambientate varie scene; c’è dell’acqua minerale, quella che si nota in tutte le scene dove può esserci bisogno del prezioso liquido; c’è un produttore di computer, il cui notebook dal logo discreto, per esigenze di scena, è ornato d’un adesivo sul coperchio (ma chi mai attaccherebbe adesivi sul notebook?); c’è una compagnia telefonica che fa una convention nell’albergo di Achille all’inizio della storia, e che marca tutti i cellulari dei quali i protagonisti abusano (tenendone un paio sul comodino col logo in favor di cinepresa, navigando in UMTS solo per cercare un bar, videochiamandosi con dovizia di primi piani sul display sponsorizzato and so on); c’è un costruttore di apparecchiature fotografiche digitali, anche se meno in risalto degli altri perché serve occhio esperto per riconoscere un suo prodotto nelle mani di un guardone a caccia di coppie appartate in un parco.
Mi sembra di non aver dimenticato nessuno, ma se così fosse dipende da un loro errore di comunicazione.
Comunque la lista completa degli sponsor si può leggere se si ha la pazienza di attendere la coda dei titoli di coda, ove i benefattori vengono ringraziati pubblicamente (se non altro perché altrimenti si sarebbe delineata la pubblicità occulta). Un mio dubbio: nel film c’è un ricorso inconsulto a motorini e caschi, ma sia i motorini, sia i caschi, sono scassati e inaffidabili. Non si poteva trovare anche qui qualche sponsor decente? Per motivi di sicurezza, voglio dire.
COROLLARIO – Trovo perfettamente normale che le sponsorizzazioni possano aiutare a tenere bassi i costi di produzione di un film, ma l’eccessiva visibilità di prodotti commerciali è stucchevole e non risponde alle finalità dell’arte. Meglio sarebbe citare gli sponsor solo nei titoli di testa e poi non doverci pensare più. Se invece la pubblicità arriva a soggiogare alcuni punti chiave della storia, lo spettatore esigente si distrae, con l’immaginazione torna indietro sino al set e gli par d’udire obliqui personaggi urlare “ahòoo, inquadrame bbene quer telefonino”, oppure “a Verdo’, piano co’ sta retromarcia che sinnò nun se capisce che machina è!”, oppure “a Sirvio, leveme quee dita dar telefonino che copri tutto… ‘mmazza che mano aò! Te nun ciài ‘e dita, ciài li cotechini!”.
LA MORALE – Da ogni storia si deve tirar fuori una Morale (v. infra, Una pizza, un cine e una morale): cosa ci insegna questo film? Ci insegna che nella vita non bisogna fare del male a qualcuno perché quel qualcuno potrebbe non essere colpevole come crediamo, e quando scopriremo le conseguenze del nostro errore di valutazione sarà troppo tardi (quindi il film è dichiaratamente contro la pena capitale). Inoltre questo film ci insegna che quando ci è antipatico qualcuno, prima di esternare il nostro sentimento conviene sempre informarsi se per caso costui abbia una figlia bòna (anche se, a veder lui, ciò sembrerebbe improbabile). E infine questo film ci insegna che quando rimorchiamo una bella topa che magari sembra anche intelligente, la prima cosa che dobbiamo fare è domandarle precise notizie sulla sua famiglia e sul suo luogo di residenza, altrimenti il destino cinico e baro potrebbe farci pentire d’esser stati troppo discreti (quindi questo film è a favore della riduzione della privacy delle persone, però a fin di bene).
NELLA FOTO IN ALTO: Ana Caterina Morariu, vera giustificazione alla visione del film, non compare nella locandina né è reperibile decentemente ritratta nel web (e poi dicono che non c’è la censura), per cui qui ve beccate Carletto e Sirvio che giocheno cor telefonino.
Technorati Tags: Cinema, Verdone, Muccino, Pubblicità occulta
1 commento:
Caro Postatore Sano, quelli che lei così mirabilmente descrive sono gli effetti di una legge che ha liberalizzato nel cinema il c.d. "product placement". Lo sponsor paga e il regista inserisce nel film il prodotto. C'è modo e modo per farlo, naturalmente: nel film dei vari Verdone, De Sica e compagnia danzante, l'impressione è quella di assistere a uno stucchevole mega-spot, che forse non porta allo sponsor i benefici attesi...
edo
Posta un commento