martedì 27 febbraio 2007

Prodiario


“Caro diario, oggi le cose vanno decisamente meglio. Sembra che il mio governo se la caverà. Mi hanno detto che la Montalcini sta tornando e la cosa mi rincuora molto considerato che non sapevo nemmeno fosse ancora viva. Giulio Andreotti ha promesso di sostenermi, certo mi è costato i dico, ma si sa lui porta fortuna. Questi due senatori a vita si vanno ad aggiungere a Ciampi e Colombo salvando il mio governo e con lui tutto il Paese. Sono quasi commosso per il loro impegno civile. Fanno 360 anni in quattro (una media netta di 90, ci starebbero 7 cinquantenni con l'avanzo di un bambino delle medie) eppure sono ancora quelli che tirano le fila. In confronto a noi la Cina è una puberocrazia. Alla faccia del patto generazionale di Luca Josi.
Incasso con piacere anche una dichiarazione d'intenti prounionista da parte di Pallaro, per quanto il suo nome non mi incuta serenità. Pare che anche i compagni dissidenti abbiano capito le ragioni (e qualche cazzotto in testa) che sottendono a compromessi di circostanza atti a mantenere il potere saldamente nelle mani della sinistra progressista, ma soprattutto lontano dalla moglie di Veronica.
Insomma sono fiducioso e sono sicuro che anche il senato sarà fiducioso.”

“Caro Romano, io so' solo un diario e me dovrei limita' a compiacemme d'ospita' le confidenze intime de cotanta personalità, ma io non so nascondermi dietro a 'n dito come fate spesso voi uomini (anche le donne ma pe' artri motivi). C'ho la netta sensazione che tu non sia così tranquillo come voi famme crede, ce l'hai scritta in fronte la preoccupazione e lo sai che io leggo tra le rughe. Sei in ansia perché la tua maggioranza è un'odissea nell'ospizio, perché i sindacati, che dovrebbero esse' li mejo amici vostra, ve se magnano sulle pensioni, perché l'unica argomentazione che ve viene in mente pe' salvà il carrozzone è “se andiamo via noi torna er nano”, perché Diliberto, soldatino diligente, rinnova il fedele rispetto degli impegni presi co' te, dimenticandosi però de fa' cenno agli impegni presi co' gli elettori. Ve siete persi pe' strada i pacs, tramortiti in dico e soccombuti a Giulio. A Roma', ce semo vennuti a Andreotti, il nemico pubblico nummero uno. Magnamo co' gli americani e mannamo eserciti a scansa' pallottole pe' mori' de cancro. Ce manca solo che togliamo il divorzio pe' salvà la famiglia a Silvio e semo a posto. Va be' sopravvive', ma se l'ambulanza che ce soccore, la croce ce l'ha sopra 'no scudo, ne vale davvero la pena?”

“Caro diario, perché parli romano se ti ho comprato a Scandiano? Ma soprattutto perché parli? Che ne sai tu dei problemi che ho io? Qua sono tutti matti, tutti vogliono qualcosa. Quando anche un solo voto conta, l'ultimo degli sfigati si sente Kissinger. Mi tocca contrattare con gente che non sapevo nemmeno fosse in parlamento. L'altro giorno ho concesso un vitalizio a un usciere che approfittando della confusione mi ha minacciato di non darmi fiducia. Come se non bastasse quel piacione di Casini ha scoperto di avere le palle per sfidare Berlusconi e adesso pensa di essere Napoleone. E lui vuole il sistema alla tedesca, la sinistra radicale vuole il cinema alla russa, Capezzone non ho ancora capito che vuole e poi c'è il Papa, Di Pietro, le liberalizzazioni, la tav, il cav.
Lo so che così sembriamo troppo quegli altri, che avevamo in animo di cambiare, ma non è facile governare così. Dacci tempo per stabilizzare la situazione e vedrai che tutto si sistema. Tranquillo, ho i dodici punti.”

“See! E io c'ho dodici mesi. Nun c'ha creduto manco la mia rubrica telefonica a sti dodici punti e lei è una che da i nummeri. Ah Romà, io sto dalla parte tua ce mancherebbe, dico solo de' salvà almeno la faccia a costo d'esse un po' antipatici. Fallo pe' me, io c'ho 'na dignità, so' rilegato in pelle de canguro, mica so' 'n calendario daa Ferilli.”

“La fai facile tu. A governare ci si sporca le mani e pure la faccia. Sono deluso quanto te: anche io pensavo di fare dell'Italia un paese migliore in poco tempo. C'erano anche i presupposti: la juve in B, il declino dei ricchi, ma forse abbiamo avuto troppo entusiasmo. Tu che ne dici?”

“Dico che si sei ridotto a chiede consiglio a 'n diario de pelle de canguro si messo male forte. Comunque secondo me è mejo che lassi perde, sto paese nunn'è pronto pe' noi, nun ce merita. Sta situazione è talmente un pasticciaccio brutto da potersi definire di via merulana. E ce lo sai bbene che a sta' nela mmerda se rischia di sembrà 'no stronzo.”

“Fine sto diario, non finissimo, ma fine. Il prossimo anno prendo la smemoranda.”

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lunedì 26 febbraio 2007

Panorama inquietante


Aspettare non sempre è spiacevole e nella sala d'attesa di un dentista non si ha una gran fretta di veder giungere il proprio turno. Osservando la fattura delle poltroncine e la geometria ipnotica del piastrellame, cerco di non ascoltare i rumori da officina provenienti dallo studio e di togliermi dalla testa l'immagine, generata da questi suoni, che mi vede fissato su un tornio come un lattonzolo sullo spiedo, mentre un utensile affilato si insinua tra le mie fauci.
Terminato di misurare visivamente tutta la sala mi decido ad afferrare una rivista da attesa. Le scelte possibili sono le solite, Oggi, Focus, Espresso, Panorama... visto che sono qui per una panoramica, opto per quest'ultima (anche se optare è più adatto alla sala d'attesa di un oculista). A pagina 157, nientemeno che nella sezione cultura, trovo un articolo dedicato a Post Scriptum, il libro tratto da codesto blogo. Leggo il pezzo di Monica Vignale che, qualche settimana fa, mi aveva contattato per pormi alcune domande sul mio bislacco progetto editoriale. Non faccio in tempo ad indignarmi che vengo chiamato nella sala Torquemada. Mentre siedo con un aspiratore in bocca che mi fa somigliare a una trota presa all'amo e destinata a snaturare la propria natura salmonandosi, ripenso alle parole della giornalista. Belle parole, parole di apprezzamento e di stima per il lavoro mio e degli amici il Spaggio e lo Postatore Sano. Sono rovinato.
Devo dare atto alla categoria che ho sottovalutato: la sanno davvero lunga. Non è che arriva il primo blogger fesso e li frega tutti. Ho criticato più di una volta in queste pagine il lavoro dei giornalisti italiani e loro non si sono scomposti, hanno fatto la cosa più saggia ed efficace: hanno parlato bene di me, creando un effetto devastante per la mia credibilità e appiattente per le mie critiche.
La polemica che colpisce nel segno deve avere dell'insolentimento come reazione altrimenti diventa solo un esercizio di stile che riscuote pure i favori della critica annullandone gli effetti e confondendone le ragioni. Mi hanno fregato, non ci sono cazzi.
Sia chiaro, sono ben contento che l'ottima Vignale (ora parlo bene di lei, così impara) abbia dedicato tempo ed estro per parlare di celodicehillman e della sua costola cartacea (del blog non della Vignale), ma non posso non considerare gli effetti collaterali che non si limitano al panorama che ho appena espresso (ho una sindrome lessicale da settimanale). Lo Postatore Sano si sente già vip ed esige di coprire una velina e di apparire (nascosto da un libro) nell'album di figurine di Lele Mora, mentre il Spaggio ha denunciato la redazione del noto settimanale perché nella foto sembra avere il naso a patata e passa il tempo a cercare di convincere sua zia di non essere gay. In quanto a me, mi limito a correre senza una traiettoria precisa nei prati in fiore attorno a casa mia. Un po' gaio, un po' confuso.
Quando il dentista si decide ad uscire dalla mia bocca con la sua punta del 12 mi avverte che il premolare è cariato. La notizia mi scuote leggermente, se non altro perché quel dente è d'oro, ma grazie a un'anestesia che avrebbe addormentato anche Galeazzi riesco solo a dire apphaafaphaaaa. Sto proprio diventando vecchio. Sono sfumature, dettagli che spesso non si vogliono notare, ma sono il chiaro sintomo del decadimento senile. Per esempio il passaggio serale tra il lavarsi i denti e il levarseli, è un discreto indicatore.
Una volta avrei tratto gaudio e giubilo da un evento così insolito per me (apparire su Panorama, non levarmi i denti), invece ora mi sembra di considerare solo risvolti negativi. Ricevo telefonate di persone che non sentivo da anni e in cinque minuti mi fanno ricordare perché non le sentivo da anni. Altri commentano la fotografia ritenendosi evidentemente a ragione molto più fotogenici di me (di il Spaggio però no, è impossibile). Nessuno dice niente del libro. No, pensandoci bene, non è vero. Ho avuto diverse conversazioni in merito, quasi tutte su questo tono:

  • Ma se volessi leggere il tuo libro me lo devo comprare?
  • Ehmm mi rendo conto che le leggi del mercato siano assurde, ma se proprio devi riempire un buco nella libreria, vedrò di tirar fuori una copia per te.
  • Ah ecco e fammi la dedica mi raccomando.

Certo, faccio la dedica, ci mancherebbe. Spendere qualche euro per un libro che non leggerai e che oltretutto ho scritto io è davvero troppo, ma si sa mai che dovessi diventare famoso e morire tossico tra qualche anno...

  • Ma così corta? Ti sei sprecato. Ci hai messo solo il mio nome.
  • Ehmm ti rendi conto che è l'unica cosa che so di te?
  • Caspita 420 pagine, ma non potevi farlo più corto?
  • Magari il prossimo. Il formato va bene o te lo devo rifilare?

E mentre subisco gli attacchi di qualcuno sinceramente indignato da questa attenzione mal riposta e altri che invece lo ammettono di essere invidiosi, il Spaggio e lo Postatore Sano si negano, millantando appuntamenti con tali Maddalena e Elisabetta e comparsate da tronista. Quando Warhol pronosticò per tutti un quarto d'ora di celebrità, si dimenticò di accennare ai successivi 6 mesi di sfrangimento di ammennicoli.

  • Dottore, ma la capsula la deve fare proprio in titanio tempestato di diamanti?
  • Ma lei non è quello di Panorama
  • Sì, sono io, ma sa com'è, con i guadagni dei 500 libri che mi sono stampato da solo ci ho già comprato un attico a Piaccadilly Circus, ora non vorrei strafare.

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venerdì 23 febbraio 2007

Il trenino dell'amorale


Il mio meccanico di fiducia, che in realtà è di Pescasseroli, mi ha raccontato una sua disavventura commerciale di quelle che ti stracceresti le vesti se non le avessi (in questo caso avesti) pagate uno sproposito. Sovreccitato dallo spirito natalizio e incupito per il medesimo motivo, girovagava per megastore talmente grandi da avere un proprio municipio. Il suo target consumistico era orientato verso uno di quei marchingegni elettroacustici che se assemblati in maniera corretta fanno somigliare il tuo salotto a un cinema, per rivalsa sui cinema che sembrano sempre di più dei salotti. Se invece non te la cavi e sbagli cavo, una ieratica fiammata manderà in gloria i tuoi sogni di home theatre. Individuato l'accrocchio adeguato alle sue aspettative di modernità e investimento, la nostra tuta blu cercava di orientarsi tra sigle sexy e suggerimenti tecnici al limite dello scientifico: “guardi, in confidenza, Bose è merda... prenda questo televisore ectoplasmico, ha un tempo di risposta di 8 millisecondi, cambierà canale senza nemmeno accorgersene”. Veramente già adesso si cambia canale e non ci si accorge di nulla, considerata la varietà delle proposte. Esasperato, l'amico meccanico sbatté una mano su un XYH22S NEW non ancora aggredito da esperti dell'ultima ora, urlando MIO! Costava una cifra pronunciabile senza una laurea in matematica e recava in dono un magnifico finanziamento a tasso zero (quindi non può circolare la domenica). La signorina che elargisce denaro ai bisognosi era di quelle che uscirebbero con te solo perdendo una scommessa. Nella ressa e distratto dall'apparato mammellare dell'impiegata, il mio meccanico si sedette su una persona che era piegata a cercare una ministilo (non sono due macchine ma una batteria). Ma non si fece fregare. Guardò il contratto con attenzione: lesse l'indice, l'introduzione scritta da Giulio Ferroni, la prefazione e le note sull'aletta della copertina. Poi si voltò e vide acquirenti in attesa che lo minacciavano con un trinciapollo. Però prima di firmare chiese “c'è qualche spesa aggiuntiva? Tassi nascosti? Commissioni? Mance? Enciclopedie?”. Venne tranquillizzato: tasso fisso per tutta la durata del finanziamento e nessuna spesa aggiuntiva.
Non aveva ancora finito di montare l'apparato tecnologico armato di chiave del 12 che il postino gli rifilò una lettera proveniente da una finanziaria a nome “Lenti & Inesorabili” con timbro delle Galapagos. La lettera ringraziava senza troppa convinzione e annunciava che il finanziamento era partito accompagnato però da una tassa di apertura pratiche pari a mezza rata e delle commissioni applicate ogni mese per risarcirli della noiosa incombenza di farsi dare dei soldi a scadenze regolari. Dopo 5 minuti tornò il postino con un'altra lettera dello stesso mittente la quale annunciava che per ogni comunicazione verranno addebitati 2 euro, quindi siamo già a 4. Le comunicazioni partiranno per avvertire che a giorni scadrà una rata, una successiva dichiarerà la scadenza e un'altra l'avvenuto pagamento. Dopo 15 giorni una simpatica missiva annuncerà “nulla da segnalare, fin qui tutto bene”. Con l'investimento totale ci si comprava due accrocchi.
Ovviamente non ci pensa nemmeno a imbarcarsi in una protesta formale e piuttosto scornato, il mio meccanico di fiducia mi saluta dopo aver fatto il tagliando alla mia macchinetta. Esco insolentito dal continuo approfittarsi di chi non può difendersi. Piove, giove pluvio. Mi accorgo che i miei tergicristalli lasciano il solito segno esattamente all'altezza degli occhi, così, mica per qualcosa, per dispetto. Arrivato a casa do un'occhiata alla fattura dell'amico meccanico, così, mica per sfiducia, per rispetto. La penultima riga recita “sostituzione tergicristalli 27 euro”. Che ti pigliasse una chiave inglese e senza saperla nemmeno tradurre.
E nemmeno io protesto, cambierò amico meccanico di fiducia. É una catena, che scioglie il sangue dint'e vene sai. Anzi non proprio una catena, direi un trenino, perché c'è sempre un ultimo (o un primo, dipende dal tipo di trenino) che subisce e basta.
Mi riviene in mente anche quel simpatico librario “sociale” che espone i libri degli autori indipendenti. Era ben contento di prendere in carico il mio Post Scriptum autoprodotto. Converso con lui:
- Guardi io ci terrei a rientrare delle spese, lei che percentuale vuole sulla vendita?
- Ah gli incassi delle prime dieci copie vanno in un fondo che serve a srtfinanzpsss
- Che fa? La supercazzola? A che cosa serve?
- A rifinanziare iniziative culturali dell'associazione eccetera
- Se li tiene lei insomma
- Sì, però dalla decima in poi facciamo a metà.
- A metà? A parte che la libreria più lussuosa del pianeta mi ha chiesto il 35%, ma come pensa che io possa vendere più di dieci copie in una sola libreria, sono Cruman, mica Camilleri.
Qui nessuno si lamenta. Pare che fregare il prossimo sia non solo costume popolare, ma quasi un valore aggiunto. Si cercano in continuazione espedienti e ci si para il posteriore da quelli escogitati dagli altri. A volte ci si rimane in mezzo altre volte la si spunta. Tutto normale. Alla faccia di mi manda rai tre. E le giustificazioni sono sempre le stesse: fanno tutti così, se non fai così sei fregato e compagnia cantando. Poi andiamo a tirare le monetine a Craxi.
Oppure facciamo un putiferio per l'aumento di un centesimo della benzina mentre le compagnie telefoniche ci derubano da anni e guardiamo Sanremo dove la Rai spende i nostri soldi per mettere addosso un vestito da 300 mila euro a una donna che tutti vorrebbero vedere senza (senza vestito non senza soldi).
E più abbozziamo più se ne approfittano e più subiamo più approfittiamo di altre situazioni per vantaggi personali. Nessuno scandalo, anzi, spesso sentiamo elogiare la fantasia con cui qualcuno ha trovato il modo di ciurlarci nel manico. Si chiama “arrangiarsi” e tutto si giustifica. Come la noia giustifica i sassi dal cavalcavia, la gelosia giustifica la violenza e il fatto che considerare l'arricchimento un desiderio profondo e considerare la ricerca della soddisfazione dei propri desideri come diritto acquisito alla felicità, giustifica il danneggiare gli altri a proprio favore.
Se la civiltà si chiamasse XYH22S NEW, magari ce ne sarebbe un po' di più in giro.

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giovedì 22 febbraio 2007

I governi non cadono mai


Ho sentito dire che qualcuno è caduto, ma visto che il motomondiale non è ancora cominciato e Giorgio Rocca ha già dato il suo contributo alla dimostrazione a posteriori della forza di gravità (a posteriori nel senso che è caduto di culo), non so quale altro ruzzolone possa risultare interessante.
Ammetto che ero un po' distratto. Stavo guardando un'aula piena di senatori – quelli che dovevano affrontare il problema della violenza negli stadi per intenderci – che urlavano slogan e lanciavano oggetti (giornali, dentiere, cateteri ecc.) perché la squadra avversaria era stata sconfitta. Raro esempio di gerontobullismo.
Pare che questo tizio che è caduto abbia fatto molto rumore. Per nulla, direbbe un inglese famoso quasi come Beckham. Cerco di capirci qualcosa, anche se è giorno di Champions. Seguo un programma di approfondimento, una di quelle poche trasmissioni utili che si rende inutile andando in onda troppo tardi anche per chi fa il DJ. Come sempre c'è un ospite di sinistra che deve pesare quanto uno di destra e di contorno Luxuria, una donna che finge di non sapere che si trova lì solo perché è un uomo, perché se fosse uomo essendo uomo non solo non sarebbe un onorevole ospite, ma non sarebbe nemmeno onorevole. Ci sono anche Feltri e Capezzone, uno è un direttore di giornale, l'altro è Capezzone. Intuisco che Prodi, reggiano di nascita e romano per professione, ha rimesso qualcosa nelle mani del Presidente della Repubblica. Apprendo sollevato che non si tratta di ciccioli maldigeriti ma delle dimissioni. Il governo è caduto.
Rimane in terra il tempo di fare un po' di scena, per far buttar fuori il pallone dagli avversari che abboccano e non infieriscono, in attesa della spugnetta miracolosa. E la spugnetta arriva: ma sì, non è così grave su, del resto non ci sono alternative, adesso si rantola un po' e via di corsa come prima. Dal PRC arriva la notizia che dimissioni o non dimissioni, in Italia non ci sono altri governi possibili. La cosa è talmente inquietante che aspetto con ansia un intervento di Luxuria. Fassino parla già di un futuro del governo fantasma di cui fa parte, in cui tutti siano finalmente leali. Credo si riferisse ai due senatori della maggioranza che hanno affondato l'Unione. Due uomini che hanno conservato l'unica lealtà sensata: quella verso chi li ha eletti. Ma quando si entra in quell'enorme gioco di ruolo che è la politica italiana, gli elettori diventano come gli atleti delle olimpiadi, hanno l'attenzione di tutti una volta ogni 4 anni (calcolando 1 anno di campagna elettorale). Anche queste cose mi inquietano e mi ritrovo vergognosamente a sperare che Capezzone dica qualcosa.
Qualche “politico” si vanta ingenuamente di essere sempre stato fedele al partito e di aver seguito le direttive per mantenere la stabilità del governo. Dimostrando purtroppo che a metterlo lì non sono stati gli elettori.
Io so che la gente di sinistra sperava sinceramente di vedere realizzati i propri ideali di società, capita a tutti, è l'estasi da vittoria. Poi per chi non c'è abituato è ancora peggio. Chiedere agli elettori della Lega per informazioni. Ma non funziona così. Il popolo veterocomunista, insieme al diversamente comunista si è ritrovato con i propri uomini al potere che però hanno mandato i soldati in Libano, hanno mandato a casa quei quattro gatti che erano in galera per aver rovinato famiglie di poveri proletari, sono scesi a patti con il militarismo americano, con la chiesa e hanno sperato di dare un colpo sinistrorso con i dico: il fallimento del progetto pacs travestito da piccolo passo per l'umanità. Funziona così e di uomini per far funzionare le cose in modo diverso non se ne vedono né a destra né a manca.
Riassumendo: per nove mesi il governo ha litigato con l'opposizione, salvo poi rimanere in piedi grazie ai voti della Cdl e litigare con se stesso, poi sbatte contro un paio di senatori coerenti e qualche senatore a vita (che non è un politico col cacciavite) e riempie studi televisivi di altra gente che litiga. Che cosa si deduce da tutto questo?
Deduzione numero A: in Italia comanda ancora Andreotti.
Deduzione numero B: se qualcuno di quelli che hanno minato il governo aveva le azioni Mediaset, ha unito l'utile (netto) al dilettevole.
Deduzione numero C: domani avrò sonno perché ho seguito tutti i dibatti sulle dimissioni di Prodi, ma il governo sarà come ieri. Quindi l'impatto sociale della politica si limita alle mie ore di sonno.
Deduzione numero D: era meglio che guardavo Inter Valencia, andavo a dormire prima e mi divertivo di più.
Deduzione finale: i governi non cadono mai.
Questa affermazione di sapore guevariano si spiega facilmente. Nel mondo politico italiano cadono le persone, cioè perdono il posto. Un operaio viene licenziato o cassaintegrato, un politico no, lui cade o al limite si fa trombare (come è successo a Cicciolina) e di solito si infila da qualche altra parte (come è successo a Cicciolina). Ma il governo inteso come gestione del paese, non cambia se non in qualche forma o sfumatura. Perché in Italia comandano i burocrati e quelli nessuno li può eleggere e, cosa peggiore, nessuno li può licenziare. L'estensione dell'apparato burocratico di un paese è direttamente proporzionale all'incapacità civile del suo popolo. E in questo ammetto che è colpa anche del cittadino medio.
Sfido chiunque non viva di politica o dell'indotto della politica a rilevare notevoli differenze nella propria vita sociale, nei servizi pubblici, nella sanità, nella previdenza, nel lavoro, generate dall'avvicendarsi dei governi. È ovvio che una legge qua e una là può spostare dei vantaggi o svantaggi personali, ma la vita del paese è sempre scandita dal lavoro di una minoranza onesta e organizzata e sfruttata da un apparato di poteri e corridoi su cui si affacciano stanze riservate a pochi.
Prodi non mi piaceva, ma mi piacciono ancora meno quelli di cui non conosco il nome.

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martedì 20 febbraio 2007

Una fetta di popolo bue, tagliata vicino all'osso


Ho seguito con attenzione i fatti di Vicenza. Non pensate male, non come quelli che guardano la partenza della Formula1 perché il telecronista ripete da due giorni che la prima curva è stretta e sarà difficile passare indenni. No, io avevo i miei motivi per interessarmi alla manifestazione contro fatta da quelli a favore (o il contrario non ho ben capito): c'è un mio amico macellaio a Vicenza e mi ha chiesto di seguire le cose e spiegargliele per bene perché lui deve affettare quarti di bue e non ha tempo per fare politica, ma gli pareva brutto non saperne nulla. Poi voleva anche sapere se in televisione si vedeva l'insegna della sua norcineria. È un amico, non potevo dirgli di no, anche perché serve un filetto così morbido che si taglia con un tonno.
Indi per cui mi sono svegliato a un'ora in cui non ci si sveglia se non si è mormone o turnista. Ho acceso la televisione (no, non sono andato lì: le manifestazioni di massa mi creano problemi e manifesto una massa di effetti collaterali). Tanto c'era un minicorteo di giornalisti con molti più occhi di me. Ascoltavo. Alle sette di mattina era già arrivato qualcuno e tutto era tranquillo, ma il grosso doveva ancora giungere. Alle undici c'è già un bel mucchio di gente e nessun disordine, ma mi suggeriscono di mantenere alta la tensione perché “quelli dei centri sociali” devono ancora arrivare. Nel primo pomeriggio ci sono tutti, tanti, saranno 50 mila, il mio amico macellaio dice “sono 75 mila che faccio, lascio?”. Tutto tranquillo, i cameraman si annoiano, gli inviati controllano se magari qualche treno di malintenzionati è in ritardo, se dei facinorosi si sono fermati al punto informazioni a chiedere il rimborso del supplemento rapido, prima di dar fuoco alla stazione. Niente, è proprio tutto tranquillo. Mo che dico al mio amico macellaio? Nemmeno un piano americano (e scusate il calambour) su un abbozzo di devastazione urbana con sullo sfondo i suoi culatelli.
Una cosa interessante però la vedo. Un gruppetto, tranquillo nella sua grupposità, manifesta vicinanza letteraria (cioè tramite striscione) con le BR tratte in arresto nei giorni scorsi. La cosa mi incuriosisce e provo a capirne di più. Pare che qualcuno consideri questi arresti come un atto repressivo nei confronti di una specie di eroi che tentano di creare le condizioni per un mondo migliore per tutti. Dove tutti siano liberi e i diritti umani vengano rispettati. A costo di ammazzare qualcuno. In un certo senso potrei anche capirlo. Io a quello che parcheggia il SUV quattromilaquattro benzina metà sul marciapiede e metà in mezzo ai coglioni per andare in edicola a comprare un giornale che non leggerà, gli sgonfierei le gomme della bici se ce l'avesse. E un mondo dove uno compra un SUV 4400 appositamente per salire sul marciapiede dell'edicolante è sicuramente migliorabile. Però ancora non ho seppellito un bazooka in giardino. Forse perché sono un vigliacco o perché non ho un giardino. Quindi anche le mie condizioni abitative sono migliorabili.
C'è poi il fatto che questi brigatisti (molti di loro) erano iscritti alla Cgil e a qualcuno è sembrata una brutta cosa. Epifani però non accetta discorsetti. Dice che il sindacato non ha niente da imparare. Io lo spero proprio, spero che dalla morte di Guido Rossa qualcosa sia cambiato. Ma penso anche a tangentopoli, alla situazione negli ospedali, dell'amministrazione pubblica e via discorrendo e penso che sia strano che un'organizzazione come la triade abbia sempre fatto spallucce come chi non sa o non può.
Ma forse così sto dalla parte degli eversori. Renzo Gemmi, funzionario dei Carc di Reggio Emilia, cacciato dalla FIOM nel 2002 dice che nel sindacato alla fine ha vinto chi la lotta non la vuole e ora in prigione c'è chi “rappresenta un punto di riferimento per le masse”. Anche queste masse mi incuriosiscono. Sicuramente a qualcuno piaceranno queste BR, ma a me non ha chiesto niente nessuno. Non mi hanno chiesto se voglio cambiare questo mondo. Ok diamolo per scontato perché in effetti due cosette da dire ce l'avrei. Ma nessuno mi ha chiesto se mi va bene cambiarlo ammazzando persone. Al di là delle spiacevoli conseguenze dell'essere sparato (tipo non poter vedere l'inter che vince uno scudetto), instaurare un sistema con la forza, ma soprattutto con il terrorismo (quindi non con un sollevamento popolare) rende indistinguibile il regime sovvertito da quello sovvertente. E Woody Allen non era così visionario quando immaginava i vincitori della rivoluzione mentre applicavano leggi speciali tipo indossare le mutande sui pantaloni per controllare che siano sempre pulite. Insomma ho avuto la sensazione che Gemmi e compagni ritengano tutti quelli “inerti” (come me) o dei vigliacchi o gente che non capisce ciò che per loro invece è chiarissimo. Oppure, nel caso peggiore, dei bersagli. È questo che è fastidioso (anche gli UZI 9 millimetri, ma soprattutto questo) non tanto gli ideali o le lotte sociali. Il fatto che loro si sentano in qualche modo “unti” un po' come il loro nemico giurato (non Luca, Silvio). E sinceramente di amore e eroi si scrive e si parla troppo, considerato che tutte queste storie finiscono sempre in epitaffi e fascicoli di avvocati divorzisti. Anche perché se fosse vero che il popolo è bue è completamente inutile imporre con la forza un sistema sociale evoluto, sarebbe come obbligare la gente bassa ad essere più di un metro e ottanta (riferimenti a politici non voluti).
Se ci pensate è tutto un buffo paradosso. Le religioni, che conosciamo a stento e gestite da persone altrettanto stentate, ci dicono che cosa fare; il governo, guidato da gente che non abbiamo votato, ci dice come farlo e misteriosi terroristi cercano di smontare tutto per il nostro bene, senza che ci abbiano mai fatto nemmeno gli auguri di Natale. A ben vedere pare proprio che ognuno faccia semplicemente gli stracazzi propri (come diciamo noi a Liverpool).
Ne ho parlato con il mio amico macellaio. Anche lui, che segue pedissequamente la filosofia der Magnotta (senza sapere di essere pedissequo) ha spesso sentenziato “mi iscrivo ai terroristi” approcciando discorsi tipo mucca pazza e gallina costipata. Però nemmeno lui ha dei “kala” in giardino, lo so di certo perché lui in giardino ha tutte piante di punta di vitello.
Alla fine non sono stato molto utile al mio amico macellaio vicentino, ma per farmi perdonare vi riferisco un suo messaggio. Ci tiene a sfatare un mito: lui gatti non ne tratta.
Forse non è stagione.

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mercoledì 14 febbraio 2007

Pacco generazionale


Seguo sempre con estrema attenzione i servizi e gli articoli dedicati ai grandi imprenditori. Da sognatore quale sono, infatti, amo pensare che in queste storie di successo si celi qualche spunto che un comune mortale possa sfruttare per cogliere un’illuminazione, un’idea o anche solo una botta di coraggio per provare a tuffarsi in qualcosa di più stimolante dell’indossare una cravatta regimental invece di quella a tinta unita. Purtroppo il mio rapporto con questo genere di articoli non è tutto rose e fiori, e che ci crediate o no ci son cose che mi fanno incupire anche di più del compenso giornaliero di Cimoli o dell’ultimo vaneggiamento di Matarrese. Stando all’autorevole parere di ben pagati analisti ex-bocconiani, il problema principale dell’industria italiana è lo scarso dinamismo. Non mi spiego come sia possibile: qualsiasi neolaureato che vagli le proposte di lavoro divulgate dai media non ha che da accomodarsi e riempirsi la bocca: si cercano persone dinamiche, dotate di attitudine al cambiamento, adatte al lavoro in team e disposte a mettersi in gioco. Che sia così difficile trovarle? Non credo il problema sia quello, ma piuttosto sapere che farsene di persone simili una volta assunte. Perché la verità è che annunci di questo tipo sono utili solo per compiacere gli azionisti se questo turbinio di dinamismo resta fermo ai piani bassi dell’azienda. Parlo con miei coetanei e assorbo con un pizzico di sgomento aneddoti che parlano di IT manager che non sanno usare un cellulare, o di amministratori delegati restii a comprare un biglietto aereo su internet. Ciò che è scritto in molte mission aziendali è più vero di quanto non si creda, specialmente il vecchio adagio “l’azienda è a immagine delle persone che ci lavorano”. Senza disquisire sul fatto che purtroppo son poche le realtà in cui una poltrona si conquista per meritocrazia, di certo c’è che nei ruoli strategici si è indotto un meccanismo perverso che vuole senatori a vita quale unica garanzia della continuità aziendale. Che la politica abbia fatto scuola?
Ma che se ne fanno le aziende di giovani con spiccate attitudini al lavoro in team se a capo di questi mettono un dispotico accentratore preoccupato solo di rimanere abbastanza indispensabile per non perdere la poltrona anche dopo l’età pensionabile? A che servono dinamismo e flessibilità se le innovazioni vengono valutate da chi considera la nuova versione di Office un problema insormontabile?
Continuando a sognare, perdipiù, mi piacerebbe che il discorso di cui sopra non venisse snaturato estremizzandolo dall’altro verso. No, non ritengo che un’azienda con decenni di storia alle spalle debba essere data in mano a un neolaureato (nemmeno per nepotismo, guarda un po’), e non penso nemmeno che la chiave del successo sia seguire come una banderuola al vento ogni cambiamento delle best practise tanto cara agli aziendalisti americani. Semplicemente mi piacerebbe che concetti come quello espresso da Luca Josi e provocatoriamente formalizzato nel suo “patto generazionale” diventassero una sorte di policy aziendale non scritta, un gentlemen agreement tra l’azienda e i suoi dipendenti. So che non è facile, sarebbe come chiedere alle istituzioni di farsi carico dei problemi dei cittadini anziché delegarli a Capitan Ventosa. Ma non è una richiesta così strampalata. Non son certo di condividere appieno quanto scritto nel patto in questione, ma di sicuro alcuni passi vorrei averli scritti io. E benché le petizioni via internet godano di poca credibilità (presumibilmente per la difficoltà di controllare l’effettiva esistenza dei sottoscrittori) e siano a mio parere perfette per lanciare l’abolizione dei costi di ricarica delle sim prepagate ma non certo per un tema come questo, mi piace constatare – ammesso che ciò sia veritiero, purtroppo non ho i mezzi ne le conoscenze per controllarne la veridicità – che l’iniziativa in questione sia stata sottoscritta da persone che da questo gesto non traggono alcun tangibile vantaggio se non in termini di onestà intellettuale. Un certo signor Profumo, per dire, non ha bisogno di far le scarpe ad alcuna cariatide per arrivare al vertice di un'azienda. Ci si trova già. Ma sottoscrivendo questo patto ha in qualche modo sancito la propria volontà a non invecchiare sulla stessa poltrona vita natural durante (un vero peccato, viste le buonuscite che si aggiudicano certi top manager esonerati dai cda), a favore del rinnovamento e della dinamicità che tanto manca alle imprese italiane (e all’azienda Italia in primis) per colmare il gap con il resto del mondo. Ma c’è di più: se un patto del genere l’avesse sottoscritto ai tempi del suo debutto un famoso Giulio della politica italiana (non Cesare, uno più recente anche se di poco), state pur certi che sarebbe ben difficile riuscire a rinfacciarglielo oggi. Lo stesso non si può dire per l’iniziativa di cui sopra: la memoria di Google, infatti, sarà di supporto a qualsiasi Capitan Ventosa del futuro prossimo. Chissà che davvero anche nel belpaese non capiti di avere a che fare con qualche leader quarantenne con un bagaglio di vent’anni di ruoli di responsabilità alle spalle.

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lunedì 12 febbraio 2007

Non ho 4 Euro, figuriamoci 500


La mia motoretta è del secolo scorso. Questo modo sexy di identificare il 1999 spinge l'immaginario collettivo a credere che si stia parlando di un pezzo di antiquariato perché fino a 8 anni fa “il secolo scorso” significava cavalli (equini, non hp) motori a vapore e velocipedi bohemienne. Invece la mia motoretta non ha nemmeno 10 anni, è stata costruita con la tecnologia affacciata al 2000: un sistema di ripartizione della frenata che permette di sentire un po' meno spesso frasi del tipo “scusa non ti avevo visto”, mentre ti estraggono un guard rail dal naso; quattro cilindri con doppio contralbero che fanno sì che io possa dire di avere quattro cilindri con doppio contralbero provocando un meccanico rispetto e un timore nel chiedere spiegazioni che fa il gioco del mio non saperne dare. Insomma la mia motoretta è un attrezzo assemblato con tutti i crismi, prova ne è che il concessionario ha voluto in cambio un mucchietto di milioni senza farmi alcuna concessione, snaturando così la sua natura. Si tratta di un investimento dilaniato nel tempo che ho fatto volentieri. Un oggettino che mi godrò per un bel pezzo, pensai. Non avevo fatto i conti con i paladini dell'ambiente. Non quelli che si fanno prendere a bidonate di scorie radioattive in testa a bordo di canotti, non loro. Parlo di politici e legislatori con i loro macchinoni di rappresentanza, senza assicurazione, senza pedaggi, senza tasse, senza zone a traffico limitato e multesenti. Questi gestori della cosa pubblica dotati di autista, hanno deciso che la mia motoretta e tutte le altre non eurocatalogate non potranno più circolare per le città appestate dal trasporto su gomma, dal riscaldamento domestico e dalle macchine di rappresentanza. Visto che non potrò andare più da nessuna parte la mia tassa di circolazione sarà ridimensionata in maniera commisurata alla limitata circolabilità, ho ingenuamente congetturato. No. Me l'hanno raddoppiata. Così imparo a non guadagnare 10.000 euro al mese come loro e non cambiare veicolo ogni due anni adeguandomi alle fantasie pseudoecologiste e riempiendo il pianeta di materiale inquinante da smaltire.
Io non penso che questi politicanti siano tutti scemi, ma il fatto che loro lo pensino di me un po' mi insolentisce. Io per apprezzare il loro impegno sociale sventolato come una tessera di partito, dovrei credere che la mia motoretta eurozero inquini più di un'automobile euro4 (che tra due anni sarà una vecchia ciminiera in confronto all'euro5 senza che ancora nessuno abbia capito che stramaledizione sia un euro1), che contribuisca all'incremento di PM10 e che la sua eliminazione dal traffico risolva i problemi dello smog in Italia. Tutte queste cose sono evidentemente false. In un qualsiasi percorso medio cittadino una moto euro0 brucia meno della metà di carburante di una modernissima auto euro4 (e inquina di conseguenza), rimane in strada la metà del tempo e decongestiona il traffico senza creare problemi di parcheggio. Il 60% di PM10 è prodotto dal riscaldamento e dagli impianti industriali, il 30% dal trasporto pesante su gomma e dalle centrali termoelettriche, il 2% dai veicoli privati, di questo 2% solo una piccola parte è generata dai motoveicoli.
La situazione che si viene a creare è di facile lettura, persino per un politico. Le tantissime moto eurofree diventano un peso per i loro proprietari: pieni di limiti di circolazione, con tasse esorbitanti, assicurazioni vampire e invendibilità a causa del crollo del valore dovuto a queste norme (a meno di venderle in Germania, dove l'ecologia è presa sul serio). Che cosa fa il buon centauro impossibilitato dalla nuova finanziaria a comprare un mezzo nuovo? Rottama, pagando, la sua amata due ruote o la lascia nel box e va a piedi. No, no furbissimi legislatori, non va a piedi. Prende la macchina. Che inquina di più anche se è euro4, ingorga tangenziali, crea costosissimi problemi di parcheggio e fa nascere creature infernali come gli ausiliari del traffico. Voi direte, sono pazzi! Magari dico io (dico verbo, non nel senso di pacs).
Loro hanno il macchinone pagato da noi che consuma come il boeing con cui vanno a fare i fenomeni alle Maldive, limiti di circolazione non pervenuti, la moto non ce l'hanno perché la moto è per gente con le palle (ma se ce l'avessero sarebbe l'ultimo modello), in casa hanno un bel calduccio perché la colf filippina pulisce meglio svestita e intanto autorizzano la costruzione di inutili rigassificatori che producono PM0,5 da far venire un tumore a un carcinoma. E ci fanno pure la figura di quelli che si preoccupano dell'ambiente. Di quelli che usano solo fogli protocollo di Kyoto.
La cosa più triste però è che è colpa nostra. Di tutti quelli che sentono parlare questa gente di salvaguardia dell'ambiente e non capiscono che si stanno riferendo al loro ambiente di lavoro. Di quelli che si bevono che una motoretta del '99 è un'arma biologica e senza fiatare pagano 500 euro di tassa di circolazione (di una moto che ne vale 300) per poi non poter circolare. Forse è arrivato il momento di accorgersi che i nostri rappresentanti ci trattano come pecoroni rumorosi ma mansueti. Di accorgersi che mentre ce ne stiamo seduti sul divano a ridere dei politici messi alla berlina (euro4) perché non sanno chi è Nelson Mandela, ci facciamo ciurlare nel manico da chi ci vantiamo di deridere.
Tra tutto ciò che è movimento frutto di combustione a partire da un shuttle per guardare l'infinito da qualche chilometro più vicino, agli aerei che portano gentiluomini ad occuparsi di adolescenti indigenti thailandesi, la motocicletta è ciò che più si avvicina a un rapporto sano con la natura, con l'ottimizzazione delle risorse e dello spazio e nulla cambia al nostro pianeta che si tratti di una Guzzi Nuovo Falcone 500 del 1971 o un scooter euroqualchecosa.
Fermare le moto euro0 per salvaguardare l'ambiente è come andare dal dentista con dodici carie e farsi un bello sbiancamento dei denti così che si possa sorridere mentre si marcisce da dentro.

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giovedì 8 febbraio 2007

Il miracolo di S.Remo


Io non sono molto religioso, perciò di Sanremo so poche cose. Quelle che bisogna saperle per forza però le so. Per esempio so che è il santo patrono dei cantanti, i quali gli hanno dedicato un festival dove si trovano tutti insieme, solo che cantano uno per volta, cioè, uno per volta se sono cantanti single, in due se sono paola&chiara, in gruppo se sono un gruppo eccetera. Però mi pare che certe volte al festival di Sanremo c’è pure un’orchestra che suona e quindi, volendo, uno può andare lì a cantare e basta, senza portarsi dietro i musicanti. Se si fida, ovvio. Una volta Sanremo invece cantava in playback. Trattandosi di un santo, non oso immaginare chi fosse il doppiatore.
Uno di questi giorni discettavo con la mia amica, quella con cui devo andare in vacanza, esplorando il margine delle nostre specchiate intelligenze nel tentativo di valutare l’ordine di grandezza della misura in cui Sanremo ha in qualche modo scalfito il derma delle nostre rispettive esistenze. Lei ha sostenuto che Sanremo si pronuncia S. Remo, ma io le ho detto che no, che quella è una città della Liguria e non c’entra niente col festival. Lei ha insistito e allora ho capito che la mia amica è ancora meno religiosa di me. Comunque entrambi ci siamo confessati abbastanza confusi.
Lei, per esempio, di Sanremo ricordava di quando, ai tempi della scuola dell’obbligo, era a casa a studiare (lei, non S. Remo) e le canzoni dei cantanti uscivano dal televisore (le canzoni, non i cantanti) coprendo le distanze. Questo perché, dice lei, i suoi genitori seguivano il festival in TV, e quand’è così davvero non ti puoi salvare, le canzoni ti inseguono ovunque. Una cosa per me inspiegabile è come mai, visto che tutte le strofette di Sanremo fanno rima, alcune facciano più rima di altre e ti si mettano in testa a rompere le palle, visto che neanche sono belle. Boh. Però questo non vuol dire che le canzoni di Sanremo siano tutte brutte o i partecipanti tutti cani latranti. Per dire, tantissimi anni fa a Sanremo ci andò Vasco Rossi, uno che a vederlo adesso non te lo saresti mai aspettato: a quell’epoca aveva un sacco di capelli anche sopra la testa, non solo ai lati e dietro.
Sanremo, a modo suo, è ovunque. Come il Budda, ha detto la mia amica. Per esempio se giri nei serpentoni della casbah che c’è dentro qualsiasi autogrill dell’autostrada, di sicuro ti imbatti in un ciddì con qualche Sanremo di qualche anno qualsiasi. Somewhere in time.
Tra un po’ arriverà il festival di Sanremo 2007, quello nuovo, con su tutte canzoni inedite compresa qualcuna che però ricorda una vecchia canzone e allora dàje al plagiatore, e gli ambulanti che vendono i ciddì pirata di Sanremo avranno come al solito il ciddì di Sanremo 2007 in anteprima rispetto agli autogrill e rispetto alla conclusione del festival, anche.
Almeno credo, perché se così non sarà, allora vorrà dire che Sanremo è stato vietato come le partite di pallone e questo farebbe precipitare l’italica nazione nella dissolutezza derivante dalla mancanza di un qualsiasi punto di riferimento.
Quando Sanremo nuovo sta per arrivare, tutti i media si concentrano sull’argomento e sui presentatori, sulle vallette, sugli ospiti stranieri. Cose fondamentali, che rimangono. Io e la mia amica, per esempio, pur non avendo mai seguito il festival di Sanremo in maniera cosciente (lei, quella volta che le capitò, stava studiando nell’altra stanza) ci siamo messi lì a ricordarci i presentatori e abbiamo elencato Pippo Baudo, Pippo Baudo, Pippo Baudo eccetera. Poi ci siamo ricordati pure di quel comico toscano, come si chiama… Quello lì che lo hanno fatto incazzare e alla fine non s’è capito se aveva fatto bene a fare il presentatore invece di limitarsi all’imitazione di Renato Zero. Quanto alle vallette, io mi sono ricordato di quando c’erano Sabrina Ferilli ed Eva Herzigova, però questa cosa mi è stata contestata dalla mia amica: non era la Herzigova, era un’altra, tipo la Henger, che pure Eva si chiama. O era un altro anno. Non ci siamo saltati fuori. Anche perché in effetti scegliere una valletta bruna (Sabri) e una bionda (Eva, quale che fosse delle due) sarebbe stata veramente una trovata becera. Impossibile che sia successo davvero. Sugli ospiti stranieri, infine, abbiamo lasciato stare, perché si ha sempre l’impressione che siano gli unici pagati, tra tutti quanti lì.
Un’altra cosa che io so di Sanremo, e che forse dovevo scrivere all’inizio (ma ero confuso) è che è un concorso, cioè alla conclusione c’è un cantante (o un essere bino come paola&chiara, o una banda) che arriva primo, uno che arriva secondo eccetera, e certe volte per far vincere più gente includono categorie protette tipo cantanti esordienti o cantanti pensionati e diventa come la tombola, con ambo, terno, quaterna e tombolino. La mia amica di vacanza invece ha detto che è noto che Sanremo è truccato e chi vince si sa sempre prima che il festival incominci, insomma che è tutto un magna magna e che presto o tardi qualcuno andrà in galera, a meno che non li facciano chiudere anzitempo per scarsità di òdienz o di scèr. Quasi stremati, ci siamo interrogati a lungo sul perché chi vince Sanremo vende pochi dischi e chi perde ne vende tanti, e di ciò abbiamo provato condivisa meraviglia (strano, la meraviglia è figlia dell’ignoranza). A seguito di tutto ciò, oltre a meditare sulla digeribilità dei cannelloni di Angie, abbiamo dovuto inesorabilmente concludere che per essere gente che non caga Sanremo, ne sappiamo veramente troppo. Sicuramente molto di più di quel che sappiamo del concerto di capodanno, che pure seguiamo con regolarità.
Proprio quando stavamo per lasciar perdere abbiamo capito perché: il festival di Sanremo è una tappa molto importante e la si aspetta come un rito di passaggio. Il suo segreto è di durare un numero imprecisato di giorni durante i quali l’uomo, e a volte anche la donna (come nel caso della mia amica) si rende conto che l’inverno e finito, che i pomeriggi sono un po’ più luminosi e che in certi momenti ti sembra di scorgere il profumo verde della primavera. Ecco, questo è il miracolo di Sanremo. È da novembre che lo aspetto, quasi non ne posso più.

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martedì 6 febbraio 2007

Ce lo dice da un anno


Mi si dice che non sono tipo da anniversari. Forse è vero o forse semplicemente non ho nulla di cui festeggiare la ricorrenza. Ma un piccolo tributo a codesto inconsueto blogo lo voglio fare. Esattamente un anno fa pubblicavo l'apertura di Ce lo dice Hillman e lo facevo con quell'entusiasmo tipico delle cose di cui si sa bene ci si stuferà nel giro di un mese. Da quel giorno, sotto i ponti, sono passati 175 post, qualche vignetta, un libro, ma soprattutto 55 mila persone. Quelle che starebbero in uno stadio per intenderci e non si sono neppure menate.
All'inizio era tutto strano, anche i commenti di quei dieci disperati che incappavano nel sito o ci finivano spinti da qualche mio ricatto morale, ma più spesso immorale. Commenti non proprio stimolanti, ma mi hanno aiutato ad andare avanti. Chi non verrebbe spronato da frasi tipo "non c'hai niente da fare eh" o "ma come ti vengono in mente ste cose" o ancora "il testo bianco su nero mi fa andare insieme i sentimenti" (non è nero è grigio scuro). Così ho continuato a scrivere stupendomi (stupendo me) di me stesso e dei due eterei ma determinanti collaboratori, ma soprattutto stupendomi di un crescente interesse e di un tutto sommato esiguo numero di insulti registrati.
Sono diverse e bizzarre le tappe fondamentali di questo viaggio sciagurato: il tentativo di chiusura coatta da parte dell'AFASIA, il sorpasso iconografico di lo Postatore Sano ai danni il Spaggio, i primi pezzi scelti da Tocqueville e Liberoblog, lo strabiliante mese di Novembre con 13 mila accessi in 30 giorni e infine il libro, quel Post Scriptum voluto, stampato e esposto al pubblico ludibrio senza ritegno e senza rispetto alcuno per la letteratura contemporanea.
Forti di questi dignitosi risultati, noi hillmaniani stiamo mettendo in cantiere progetti ambiziosi. Dopo il libro abbiamo deciso di incidere un disco (magari con un cacciavite), girare un film qualunquista per le masse (tipo tre metri sopra il celo dice hillman) e un quiz a premi con un personaggio misterioso da riconoscere, che chiameremo “chi vuol esser Postatore Sano” (non nel senso di chi vuole identificarsi in lui ma chi è il vero idolo di Postatore Sano). Che poi magari domani mi stufo e chiudo la baracca, ma si sa, sognare costa solo il prezzo di una scatola di barbiturici.
Ora dovrei ringraziare qualcuno, ma siccome non sto ritirando nessun premio faccio senza. Tanto chi ha la mia gratitudine lo sa bene visto che ne approfitta per rinfacciarmelo.
Quindi invece di rendere merito a chi in qualche modo ha avuto a che fare con questa bislacca avventura anche solo sorbendosi qualche mio scritto pur di non lavorare, chiedo una cortesia giusto per soddisfare un ragionevole interesse. In pratica ho una curiosità che ha appena finito di consumarmi il fegato e chiede altro da mangiare. Mi riferisco alla curiosità verso di voi, verso chi volontariamente utilizza la propria connessione internet (più facilmente quella del posto di lavoro, l'università e via discorrendo) per vedere che ci dice Hillman. Che tipi siete? Che pensate? Perché lo fate? Disperati ragazzi miei.
Fatemi dunque questo presente di compleanno: appalesatevi, lasciate una traccia di voi, una frase, una parola, un segno di interpunzione, qualcosa che mi possa far immaginare come siete fatti, se e quanto siete fatti, che dopobarba usate e perché lo usate visto che siete donne, quale tara familiare vi affligge, se siete la zia pazza di qualcuno o il cuggino che una volta è morto di qualcun altro. Ma soprattutto se per caso avete duemila euri da prestarmi a tasso agevole.
Mentre attendo fiducioso che battiate un colpo, prendo congedo perché io comincio a perderne qualcuno. Mi preparo la mia sana tisana al finocchio addolcita con miele di ape maia (che è tanto gaia) e mi butto sul letto a quattro di spade, perché s'è fatta 'na certa e va bene il blogo, va bene l'anniversario, va bene tutto, ma c'ho 'na pezza de sonno 'n faccia! Buonanotte nì!

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lunedì 5 febbraio 2007

Quello che non voglio più sentire


Si tratta di pochi teppisti che rovinano tutto l'ambiente. Saranno pochi teppisti, ma se è così mi manca di capire come si sia passato dagli stadi pieni di gente in giacca e cravatta, senza settori e gruppi organizzati, di cinquanta anni fa, allo stadio fatto di tifosi scortati, perquisizioni, telecamere a circuito chiuso, nemici dichiarati, elicotteri, biglietti nominali, recinzioni e cavalli di frisa. Una serie di atteggiamenti violenti è da anni considerata normale e accettabile. Gli insulti continui tra diverse fazioni o verso gli atleti, lancio di oggetti, petardi e compagnia bella. Talmente normali da accogliere con gaudio e con accenni alla candidatura al nobel per la pace, l'accordo tra due tifoserie di non insultarsi per ben 90 minuti. Ho sentito qualche opinionista strappato a una miniera nel Klondike, armarsi di questi onorevoli gesti per dimostrare la civiltà del mondo del calcio. Se la normalità è la violenza verbale e psicologica, l'arroganza e la brutalità bisogna capire che fare del male o addirittura uccidere è solo un passo più in là. Non si può considerare routine tutto ciò che è meno di un omicidio e poi sostenere che se avviene un omicidio è colpa di una scheggia impazzita che ha sconfinato di qualche metro dalla feroce normalità.
Adesso basta. Ghigno indignato regalato ai telespettatori in crisi d'astinenza da calcio da chi del calcio ha fatto uno spettacolo di burattini fitto di personaggi improbabili aizzati uno contro l'altro. Da chi si insolentiva se gli ospiti caricati a molla finivano per trovarsi d'accordo, rovinando il mediatico panem et circenses.
Usiamo il modello inglese. Suggerito con boriosa esterofilia da chi dimentica che in Inghilterra è pieno di inglesi, elemento che qui deficita. Oltre a non considerare che in terra di Albione mancano gruppi ultrà organizzati e capeggiati da loschi figuri che si sentono dei Che Guevara de noartri e si vantano di poter ricattare le società di calcio e la società civile.
I tifosi servono al calcio. Perché queste cose, in Italia, succedono solo nel calcio? Solo perché è l'evento mediatico più seguito e l'escalation della violenza è andata di pari passo con l'assurdo divenire onnipresente di questo spettacolo sportivo, ma soprattutto non. Tutto questo ha dato sempre più potere alle curve fatte di chi gode a sentire la sera che il suo passaggio è stato foriero di paura e disordine. E l'Italia sopporta l'espressione troglodita dell'affermazione di sé, di persone che vanno allo stadio e a fine partita devono chiedere chi ha vinto.
Il calcio dà da vivere a tutti gli altri sport. Se si calcolano tutti i soldi scivolati in tasche sospette, l'impiego poderoso di forze dell'ordine i danni a cose e persone... ho forti dubbi che la bilancia sia in attivo.
Quello che invece vorrei cominciare a sentire è un po' di onestà intellettuale. Questo calcio è un gran brutto affare, ma un brutto affare di miliardi. Dietro le quinte lavorano poteri occulti, in campo si vede sempre meno sportività e tra gli spalti gente pronta ad uccidere. Non mi interessa se si tratta di veri criminali o ribelli da telefilm, che hanno finito di insultare i propri genitori e cominciano ad insultare la polizia, perché fa molto fico, fa maledetto, con l'eccezione di quando serve mangiare e quando si ha paura. In quei casi la mamma e la polizia non fanno poi così schifo. Quello che qualcuno deve avere il coraggio di dire è che questo calcio costa caro da tutti i punti di vista e risanarlo ora costerà ancora di più. Ma soprattutto che lo sport non c'entra nulla. Lo sport è tutto il resto. È il rugby, che porta negli stadi 60 mila persone, senza un poliziotto, senza dover dire per chi tifi per poterti sedere da qualche parte e goderti uno spettacolo vero. E nel campo non si scambiano certo margheritine di prato. Ma con tutto il sangue e le ossa rotte, la lealtà, la correttezza e il rispetto reciproco sono sempre protagonisti. Non vedrete mai un giocatore di rugby rantolare a terra per un'illusione di contatto. Non li vedrete rantolare a terra nemmeno con una spalla rotta o tre tacchetti in fronte. Mai una protesta con gli arbitri (cosa considerata normale nel calcio) e se proprio si finisce a scambiarsi qualche opinione decisa, a fine partita si appiana tutto con bella birra ignorante. Ma di rugby si parla pochissimo e i repressi trogloditi non troverebbero la realizzazione di sé. E soprattutto non pagherebbero mai per andare a vedere uomini molto più duri di loro, anzi per vedere ciò che loro non sono. Uomini che si confrontano alla pari e non in branco.
E vorrei anche non vedere queste inutili sospensioni dei campionati (anni fa furono sospesi quelli di tutti gli sport!) perché i criminali sono criminali anche fuori da uno stadio. Non credo che in assenza di un match, andrebbero in comunità a svolgere lavori socialmente utili.
Una soluzione ce l'ha suggerita involontariamente Calvino. In un suo racconto una città era popolata da bambini pestiferi e turbolenti. Decisero allora di costruire un grattacielo, arredarlo e metterci dentro tutti gli infanti distruttori, dicendo loro che potevano fare qualsiasi cosa, senza punizioni, ramanzine o chiacchiere varie. I bambini si fiondarono come cavallette e distrussero mobile per mobile, piano per piano. A metà grattacielo erano belli che stufi e non più stimolati alla turbolenza. Alla stessa stregua si potrebbe dire una volta per tutte che lo stadio è un posto pericoloso e che ci si va a proprio rischio e pericolo. Ci sono cose che non si possono fare con tranquillità. Non si può girare per le strade di una grande città con delle banconote da 100 euro in mano, o in minigonna di notte in un parco. È pericoloso c'è poco da fare, perché la gente è una brutta bestia, è inutile indignarsi, sarebbe come indignarsi per dover chiudere la porta con dodici mandate blindate ogni volta che si esce di casa o dover attivare mille antifurti. Allora recintiamo i campi con altissime protezioni e lasciamo liberi i tifosi. Senza settori separati, senza poliziotti, senza controlli e senza racconti postumi di ciò che succede. Prima o poi si stuferanno di prendersi a legnate senza nemmeno sentirlo raccontare alla domenica sportiva. Si stuferanno di non avere delle divise da insultare e se possibile ammazzare, di non avere arredamento urbano da distruggere e barriere da abbattere. Si stuferanno o piano piano si “selezioneranno”. In ogni caso, a rimetterci sarà solo chi ha deciso di fare di 11 uomini in calzoncini una ragione di vita e di morte e non un uomo che avrebbe voluto passare la domenica a fare qualcosa di molto più utile per la società o al limite, godersi la propria famiglia.

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venerdì 2 febbraio 2007

Rock‘n’roll will never jail


C’è stato un tempo in cui il rock underground sognava il suo futuro in una costellazione di indies, etichette discografiche indipendenti che producevano onorevoli ellepì suonati da band di molto migliorabile notorietà.
In quell’epoca di vinile cellophanata sul finire degli Ottanta, qua e là per l’Italia erano nati locali dove vedevi pettinature che avresti potuto incontrare a Londra, a Glasgow o a Edimburgo, anche se per qualche strana fatalità eri ubicato nella Bassa Emiliana o a San Benedetto del Tronto. Non ho mai capito se tutto ciò fosse bene, anche perché molte indie-band si sono dissolte in vite qualunque o in cucchiaini scaldati con l’accendino, ma resta il fatto che ancora oggi continuo a preferire sfumature e zazzere senza futuro ai panettoni cotonati dei cantanti che s’esibiscono nelle ville sarde: credo che in ciò si estrinsechi la mia esterofilia di barbiere.
Lo zeitgeist, allora, viveva nell’atmosfera dei concerti, un po’ snob, un po’ feroce, un po’ aggregante, coi gruppi che vendevano i propri dischi alla fine della serata. Un clima che poi s’è perso, o perlomeno l’ho perduto io. Non del tutto, però: cercando con attenzione ogni tanto lo ritrovo. Come qualche sera fa al Jailbreak, un localone che sta a Roma sulla via Tiburtina (si pronuncia Tibburtina, con due bbi, altrimenti non starebbe a Roma ma in un luogo abitato da genti meno accanite con le labiali).
Al Jailbreak l’ingresso fa tre euri, un prezzo equo, nel senso che entrare costa meno che rinunciare a scroccare le sigarette. Poi è chiaro che i soliti cinque bloodymary te li finanzi a parte. Oggi i prezzi equi sono snob, dal momento che per entrare in qualsiasi ricettacolo massivo di fighetti normalizzati spendi almeno quindici euri. Quindi il Jailbreak è un locale snob.
Sul palco del JB, l’altra sera, se la pluggavano i Presi per caso, una banda nella quale suonano e cantano persone che per un verso o per l’altro si sono incontrate nel carcere capitolino di Rebibbia: chi censurato, chi incensurato, comunque sia tutti ar gabbio per motivi professionali, veri o presunti, e nell’accezione omnicomprensiva dell’aggettivo. Come sono omnicomprensivi i testi che raccontano di malavita e bellavita con la criminale ironia dolceamara di chi ha vissuto due volte almeno.
I componenti sono cinque, sei, sette, otto… Boh, non si capisce esattamente perché trattasi di banda elastica e durante i concerti ci sono alcuni che restano sempre sul palco e altri che entrano ed escono di scena facendo come cazzo gli pare, manco fosse la casa delle libertà. Senza contare eventuali guest star con precedenti (penali) romanzeschi. Non potete pretendere che uno che va a un concerto rock si ricordi tutto tutto, quindi per ingredienti e dosaggi esatti rimando a http://www.presipercaso.it/
Qui parliamo di effetti collaterali, perché mentre questi ineffabili rockettari per caso suonano e cantano, sanno farti venire in mente un sacco di cose, fra le quali: che la musica è forse la sola forma di democrazia attuabile dopo l’antico modello ateniese; che si può passare dalla blues ballade al riff acido senza andare necessariamente in galera (anche perché magari in galera ci si è già); che non si capisce per quale motivo un individuo come Solange vada sempre in TV mentre i Presi per caso mi sa che è difficile; che, censurati o meno, questi qua fanno rock per bene e per davvero, e in ciò sta la loro gloria; che trascorsi e presenti giudiziari non costituiscono una trovata commerciale, alla faccia di Marilyn Manson che una fedina penale così se la sogna; che la loro presenza scenica è tale da poter indurre cristina da vena a cambiare pusher; che si può passare da uno stato euforico alla disperazione in pochi istanti, dipende dalla canzone; che in tutto questo la cocaina non c’entra, ma può essere un’opportunità; che vedere gli scacchi nel cielo non è la stessa cosa che vederci Lucy coi diamanti, a meno che non si ragioni soltanto sul risvolto artistico; che il concetto di pericolosità sociale è socialmente pericolosissimo.
Mentre i Presi per caso suonano e cantano puoi anche imbambolarti su un giro di basso e su un assolo di chitarra elettrica, guardare attraverso il sudore del pubblico, accorgerti di qualcuno che ha gli occhi lucidi e non l’avresti detto mai. Puoi ridere da solo o distenderti sul pavimento sonico come se avessi per sempre i tuoi lontani sedici anni o ancora sedici anni di condanna da scontare.
L’unica cosa che non puoi è fare finta, perché certe canzoni non fingono metafore. Il mondo è fatto di buoni e cattivi, ma quelli che suonano meglio fanno un mondo a parte.

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giovedì 1 febbraio 2007

Un quadro (della situazione) a interessi zero


Chissenefrega. Se fossi uno conciso concluderei qui avendo detto ciò che urgeva dire. Certo, da un punto di vista di risvolti psicologici nei rapporti tra giovani donne e ringiovaniti uomini, le scaramucce coniugali tra il cavaliere nero e la principessa del lago, hanno il loro peso sociale... ma a chi voglio darla a bere, faccio fatica a pensare a qualcosa che mi interessi di meno. Mi correggo: provo un poderoso disinteresse per gli opinionisti che hanno valutato le scuse di Berlusconi, non consone all'insolentimento della moglie. Persone che magari sono sposate da vent'anni e ancora intercalano il contraddittorio con le rispettive consorti con frasi tipo “ma che cazzo dici?”, delineando così il loro livello di comprensione. E magari quei tre, quattro minuti ce li sprecano a cercare di assimilare le spiegazioni della consorte, tanto per pareggiare i conti con i tempi del diletto che le concede tra le lenzuola. Però le esigenze di una donna di cui sanno poco più che essere moglie di uno famoso, le capiscono alla grande, manco fossero istruzioni del cellulare. E le capiscono tanto bene da sentirsi in dovere di andare in televisione a farlo capire anche a noi. Non interesserà a nessuno, penso. Penso male, qualche migliaio di persone ha risposto a un sondaggio sulla stabilità matrimoniale dei bisticcianti. Il 71% è convinto che finiranno male, gli altri invece non sono invidiosi.
Cerco a fatica di capire che succede nel mondo, vagando imbarazzato tra parallelismi con i coniugi Clinton, confronti con la moglie di Blair e dualismi con il marito di Maurizio Costanzo. Di politica si parla un po': veterofemministi di sinistra che riabilitano la moglie del demonio e nostalgici fallocrati che rivendicano, se non due sonori ceffoni, almeno un taci donna come si usava una volta. Di chissenefrega bipartisan, nemmeno un governo ombra.
E porca paletta, per colpa di berlusconifull sono finito su Telemarket. Poco ci è mancato che prenotassi un Tano Festa a 160 mila euro, godendo però di un buono acquisto di 80 mila, con cui avrei potuto portarmi a casa anche un Cascella strepitoso e una frantumazione di Arman più unica che rara, facendo così entrare il mio salotto nella storia dell'arte. Il tutto per un irresistibile condizionamento ipnotico, non perché distingua un Raffaello da una crosta di pane e nemmeno perché il televenditore faceva incidentali cenni alle precarie condizioni di salute del pittore, la cui malaugurata dipartita avrebbe avuto strabilianti effetti sul valore del mio salotto. Non ci si può fare niente, si comincia con una panca antigravitazione per far venire gli addominali come quelli di Isacco Newton, si passa ai Miracle Blade che tornano utilissimi nella frequente necessità di incidere una lastra di marmo o fare a fette delle lattine e si finisce col farsi convincere che quel vaso di fiori di De Pisis a 60 mila euro è davvero da sconsiderati lasciarlo lì appeso. Anche se De Pisis secondo me se lo sono inventato. A quel punto vale la pena investire su uno Staccolanana.
E tutto questo perché un maschio italiano si è fatto beccare a fare il provolone dalla moglie? E se scoppia una guerra che succede? Finisce che ordino i 10 cd della canzone italiana, i sacchetti essicavestiti e il ribucciabanane.
Non me la sento di attaccare ancora i giornalisti. E credetemi, non lo faccio per la bizzarra coincidenza che tra qualche giorno mi porterà alla ribalta della cronaca nazionale insieme al mio libro. Assolutamente no, non è per quello (colgo l'occasione di ringraziare l'eccellente giornalista che se n'è occupata e per esprimere il mio disappunto nel non aver visto il suo nome nelle liste dei candidati al Pulitzer). In fondo se il popolo bue è più interessato a capire la psicologia di coppia di due tizi con cui non avrà mai a che fare, piuttosto di capire quella dei propri figli, che devono fare sti giornalisti? Magari mentre scrivono quegli articoli guardano commossi e colpevoli la propria laurea, ma se il quotidiano di quello là sbatte in prima pagina le proposte lussuriose di Berlusconi e vende come un bibitaro nel deserto, non è che possono stare lì a vedere il proprio venduto precipitare perché hanno messo in prima pagina una corbelleria di nessuno interesse come, per esempio, dove fuffolo sono finiti i nostri militari partiti per il Libano.
È una sorta di corsa agli armamenti. A nessuno piace avere arsenali atomici in cantina, ma poi quello lì ha il raggio fotonico, quell'altro c'ha l'alabarda spaziale e allora io che sono il figlio della serva di Goldrake che non mi munisco di magli perforanti?
Così l'unica soluzione è sedersi attorno a un tavolo e debellare tutto, contemporaneamente. Guardandosi in faccia e contando fino a tre e buttare via tutto insieme con la paura che se uno fa il furbo rimane armato fino ai denti di fronte a uno che ha appena gettato tutte le sue difese.
Ci sono i giornali di gossip, sono fatti apposta. Almeno lasciatemi la soddisfazione di vedere l'imbarazzo della gente nel comprare Novella qualchemila, come se stesse acquistando un porno. E più che altro lasciatemi uno spazio dove reperire informazioni leggendo le quali non si rimanga con la domanda “e allora?” nella testa e l'espressione inebetita sulla faccia.
Altrimenti, se devo subire un bombardamento mediatico di aria fritta, se devo sopportare una frantumazione scrotale che potrei esporre tra le opere di Arman, voglio uno spazio pubblico in cui poter affermare il mio dignitoso, ponderato, profondo...CHISSENEFREGA!!!!

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