lunedì 7 agosto 2006

Zara la zanzara

Zara la zanzara trovò la sala d’attesa noiosa e irritante, come tutte le attese, con o senza sala. Le due cimici berciavano senza sosta. Facevano venire voglia di ribaltarle e guardarle zampettare affannosamente nel tentativo di avere di nuovo la giusta visuale del cimicioso mondo che le circonda. Poi sono sempre così maldestre: l’ultima volta si sono schiacciate un piede e sono dovuti uscire tutti per il mefitico odore. Zara la zanzara odia andare dal veterinario. Insetti che ti guardano in ragnesco, entomofarmaci, ronzii lamentosi e quel nauseante afrore di amaro montenegro. Ma questa volta ne aveva bisogno (del veterinario non dell’amaro montenegro). Ultimamente qualche piccola disfunzione aveva reso meno efficace la sua attività preponderante: punzecchiare a destra e a sinistra (soprattutto a sinistra), ma sempre con il sorriso sul pungiglione. Spesso edulcorava i suoi attacchi con benevoli suggerimenti: “su, non farti il sangue amaro (che poi mi fa acidità di stomaco)”.
Il dottore la visitò minuziosamente: le alucce erano in perfetta forma, del resto Zara era veloce come Cassius Clay. Le zampette erano talmente forti che sei sembravano davvero troppe. Il veterinario le disse di togliersi il vestitino tigrato per poterle fare una puntura e prelevare un campione di sangue. “A me?!” pensò Zara. Pensò anche che il dottore non voleva farsi sfuggire l’occasione di vendicare anni di bollose notti estive. Sapeva bene che un prelievo non sarebbe servito a niente: avrebbero analizzato il sangue dolciastro di quel ciccione che dormiva sulla panchina del parco, per non parlare della tracannata fatta a quel tizio (o tizia), intrufolandosi nelle pieghe della sua palandrana. Poi avrebbero trovato anche quello strano liquido aspirato dal seno di quella ballerina della televisione. Non era male, ma la fece sentire tutta gonfia e dura.
I suoi sospetti erano fondati. Il medico, millantando nuove tecniche diagnostiche, mise un cuscino sotto la testa di Zara conciliandole il sonno, spense la luce e cominciò a girarle intorno sussurrando frasi sconnesse, avvicinandosi ripetutamente alle sue orecchie con la siringa in mano. Zara sopportò la pantomima del veterorepresso e si prestò al prelievo.
Il dottore, visibilmente soddisfatto, sparì nel laboratorio analisi per ricomparire con 218 pagine di referto. Lo lesse tutto di fronte a Zara, mugugnando ad ogni voltura di pagina. Ad intervalli regolari ruttava qualche “ahiahi” per poi lanciare un’occhiata sorniona alla paziente come a dire “è tutto a posto”. Zara sentì l’irrefrenabile desiderio di riprendersi il maltolto attingendo alla giugulare del veterinario. Ma il suo grande autocontrollo e una boccetta di autan che spuntava dalla tasca del camice, la fecero desistere. Finalmente l’amante degli animali si sguainò gli occhiali di tartaruga dalla faccia e sentenziò:
“se lei è un terrorista ciccione con le tette rifatte è tutto a posto, altrimenti che manitù mi strafulmini se ne so qualcosa!”
Dopo una ieratica pausa la diagnosi proseguì
“Le consiglio una vacanza in un ambiente locuste”
“Locuste?”
“No volevo dire lacustre”
“Ci sono le rane, non è esattamente una villeggiatura salutare per me”
“Ah giusto, allora guardi prenda queste supposte”
“Supposte? Le è mai capitato di pestare una cacca di zanzara?”
“No, in effetti no”
“E questo non le dice niente?”
“Mmmm quindi il fatto che il vostro nome scientifico sia culex pipiens…. Ok, non potrebbe succhiarla?”
Zara assunse un ronzio minaccioso.
“Lo sa che sono una zanzara anofele?”
“Ok d’accordo, prenda queste pastiglie”
“A che servono?”
“Servono a cosare il coso ricosando eccetera eccetera”
“Certo, stupida io a chiederlo”
Zara ingurgitò le medicine e stette (siliconate) subito meglio. Non le parve vero e volò ad avvolgere il naso del veterinario in un abbraccio a sei zampe. Persino il sapore dell’autan le sembrò piacevole.
“Grazie dottore, ma come ha fatto?”
Il veterinario si esibì in una saggia postura da umilissima divinità, si schiarì la voce, perché ogni divinità che si rispetti, articola le parole con una voce ben modulata e proclamò:
“Che gli dei del valhalla mi possano sbriciolare una palla se ne ho una minima idea” e corse a farsi un’iniezione di antimalarico.

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2 commenti:

kalmha ha detto...

:-)))))))))

Perla

Anonimo ha detto...

La sala d’attesa più che noiosa l’ho trovata distesa ma non distensiva. Il sangue amaro aveva il gusto pieno della vita. Il veterinario avendo lunga esperienza di gufi gufava compulsivo, impulsivo e repulsivo. E perché limitarsi alla giugulare se si può avere tutto il parco venoso con cui banchettare? Anofele e cules pipiens hanno in comune il medesimo riferimento anatomico e non sono le tette ancorchè siliconate, riferimento spesso usato in questo poco Augusto (forse Pacrazio?) concentrato di demenziale genialità grammaticale e semantica. La tendenza prevalente va verso l’esclusione dell’ormai obsoleto silicone per un innovativo cortisone, molto più trendy. Trattandosi di insetto con sei autorevoli zampe avvolgenti e avendo, in determinate contingenze che traggono nutrimento dalla una smodata propensione per il sacrificio umano con debito e addebito spargimento di materiale ematico, più che gli dei del Valhalla credo che bisognerebbe andare oltre il semplice sbriciolamento di palle e passare a qualcosa di più corposo, incaricando Kalì che può agire alla bisogna senza aiuti essendo la prestigiosa rappresentante del parterre indiano dotata di ben sei robuste possibilità per dare adeguata punizione agli attributi del veterinario.