lunedì 22 dicembre 2008

'Na tale fatica


Non vorrei fare del facile allarmismo, ma tra qualche giorno è Natale. Il Natale sembra una ricorrenza religiosa con le relative palle, ma non lo è. La Pasqua è la vera madre di tutte le celebrazioni cattoliche, solo che si limita ad offrire un lunedì in coda in autostrada e un uovo di colesterolo con dentro un modellino di automobile che, una volta assemblato seguendo le istruzioni in malgascio, diventa un abominevole portachiavi. Per di più, nessuno sa che cosa si festeggi. Invece il Natale reca seco pacchi dono (con dentro portachiavi), giorni di vacanza, luminarie, cenoni e, di ritorno, tafferugli all'outlet per comprare l'ultimo portachiavi e dispensazione coatta di sentiti auguri a gente che per il resto dell'anno si vorrebbe vedere, non dico morta, ma seduta su un cesso ad affrontare problemi di cacca sì. Però tutti sanno che cosa si festeggia. Oddio, quando sia nato veramente Gesù Cristo nessuno lo sa e per soprammercato lui di compleanni ne ha due (l'altro è appunto Pasqua che però è mobile, nel senso che ogni anno è un giorno diverso non nel senso dell'ikea). Non è l'unico: anche Lazzaro ha due segni zodiacali con buona pace di Branco e dei suoi eredi (di Lazzaro non di Branco).
Io la Pasqua la preferisco. Sa più di seconda possibilità. Anche Gesù lo capì: alla sua prima nascita fu accolto da tre uomini e, com'è come non è, finì che lo misero in croce. Insomma anche a lui il Natale è costato (ferito). Tornando dalla morte optò per palesarsi al genere femminile (le pie donne), forse anche per agevolare la diffusione della novella.

Io so fare tante cose, tante e sexy: so impostare l'orologio del videoregistratore, so riconoscere la bandiera del Belize, so ascoltare quello che dice Cossiga senza comprare un biglietto per il Belize, ma gli auguri di Natale, quelli mi generano fatica dell'anima.
Mi rendo altresì conto che molti professano nei salotti l'ipocrisia degli auguri ma se non glieli fai ti tolgono il saluto pensando di farti un torto. Per altri invece è davvero importante ed è per loro, per il loro bisogno di provare un'opinione di felicità in questo periodo di neve saccarotica, che ho deciso di raccogliere qui, tutti gli auguri che non farò mai perché io sono triste, isolato dall'incomprensione e dalle emozioni distorte, empaticamente disabile e pure un po' stronzo.

Buon Natale all'Italia in crisi, che sa di chi è la colpa e saprebbe anche come risolvere i problemi se non fosse che il capovillaggio di Aruba ha appena chiamato per fare il balletto del granchio ubriaco.
Buon natale a tutti quelli che sono andati in via Montenapoleone a seguire Beckham con l'espressione di chi se ne sbatte di quelli come Beckham.
E buon Natale anche a lui e gentile consorte che va in giro vestita come Audrey Hepburn, che è un po' come se io mi vestissi come Italo Calvino (comunque farei la mia porca figura).
Buon Natale al paese in cui tutti sanno sempre quello che non si dovrebbe sapere e le cose che si dovrebbero sapere non interessano a nessuno e auguri a chi da ciò trae giovamento.
Buon Natale a chi è innamorato dell'amore, ma all'amore piace un altro.
Buon Natale a chi ha fiducia nel futuro, anche se prima della creazione era il caos e non è che ora siano venuti a rassettare.
Buon Natale a politici ed economisti per tanti motivi. Perché non si capisce niente di quello che dicono, non perché trattino problemi complessi ma perché usano parole che non esistono in natura. Perché in un mondo che suggerisce la necessità del rinnovamento, dopo i fallimenti di comunismo, capitalismo, fede, anarchia, tecnocrazia, fallocentrismo, edonismo e vattelapeschismo, hanno deciso di affrontare la crisi versando miliardi che non esistono per far sopravvivere ciò che ci sta annientando. Sarebbe troppo prevedibile approfittare della crisi per investire nel rinnovamento e nel reimpiego, diamo piuttosto incentivi per svuotare i magazzini di automobili a combustione fossile e per far volare sempre più aerei per unire diverse culture ed esibirsi nel ballo del granchio ubriaco. Auguri quindi ai cervelloni che ci prendono i soldi per far vendere più automobili e poi ce ne prendono altri per farle circolare (così magari la usi meno la macchina, però comprala) e poi altri per combattere l'inquinamento che provocano e poi altri per parcheggiarle e altri perché non hai comprato il modello eurogiusto e se l'hai comprato ormai c'è già il modello eurofigo e poi altri perché smaltire tutta sta roba che compri in continuazione costa, idiota di un consumista.
Buon Natale a tutti quelli che si lamentano della crisi, del lavoro, della miseria e di altre cose che non ho capito perché mentre parlavano gli stava suonando l'iphone con la voce del gattino virgola.
Auguri anche a te gattino virgola che mi hai ridato fiducia e speranza nella vivisezione.
Auguri agli esperti di clima, perché quest'anno si registrano le più intense nevicate che un inverno più caldo del secolo ricordi.
Buon Natale a tutti i carcerati italiani. Voi che essendo dietro le sbarre sicuramente non siete politici, palazzinari, terroristi o impresari del pallone.
Buon Natale a chi odia il Natale, a chi odia quelli che odiano il Natale e a quelli che odiano me, tra tutti, i più avveduti.
Buon Natale a mio padre, che ha lavorato tutta la vita e l'unico sogno di cui io l'abbia mai sentito parlare era quello di vedere l'america. Ora fa anche senza.
Buon Natale a mia madre, senza la quale non sarebbe mai Natale.
Buon Natale a te, che mi sei stata vicino fino a rendermi insopportabile.
Buon Natale a voi lettori, perché sappiate che uno scrittore è un uomo solo che per mestiere fa compagnia agli altri.

E sì, buon Natale anche a te.....Granbassi.

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lunedì 15 dicembre 2008

Le cose che non vi ho detto


Dove sono stato tutto questo tempo? In un posto freddo e angusto. Talmente angusto che a piantarci dei chiodi per appendere i quadri sembrerebbe di stare in una vergine di norimberga. Senza nemmeno la soddisfazione di trovarsi in una vergine.
Ho avuto difficoltà nell'esprimere il mio unico talento, forse anche perché è considerato illegale in ventisette stati. Anche i rapporti sociali hanno preso una piega sgarbata a meno di non voler considerare lo sputo una forma evoluta di interconnessione umana. Ho invece buone prospettive per il lavoro. La mia domanda di assunzione per un posto talmente poco ambito da vedermi unico candidato, ha inaspettate possibilità di essere accettata. Mi hanno detto che sceglieranno tra me e il prossimo che invierà un curriculum.
Non sto accampando scuse, anche perché nessuno se l'è mai avuta a male per la mia sparizione, almeno nessuno di quelli che se ne sono accorti. Quindi taglio corto (come dice sempre il mio barbiere, Postatore Sano) e passo a recuperare il tempo perso, facendo un bigino di questi mesi in cui vi ho lasciati senza la mia cronaca del tempo che scorre, come tutto scorre, ma lui di più.
Per riassumere gli eventi che da giugno di quest'anno mi hanno scosso fino a farmi cambiare posizione sul divano, userò una suddivisione cronologica e per importanza che definirei stocastica, parola usata dagli statistici per definire “a casaccio”.

Ci sono state le olimpiadi. Ha vinto Phelps.
Anche la Granbassi (uso l'articolo perché è donna non perché è uno scrittore dell'800) ha vinto e l'ho capito da fatto che esultava come un'invasata, manco avesse vinto una medaglia olimpica.
Poi è tornata a casa e dall'Italia ha solennemente dichiarato che i vincitori di Pechino dovrebbero dare un segno di protesta verso la politica estera cinese.
Santoro ha denunciato un suo imitatore per blasfemia, considerando il voler sostituirsi a dio un atto sì liberale, ma decisamente scortese. Per dimostrare la sua magnanimità ha cominciato ad invitare imitatori al suo programma danno zero, sostenendo di essere a favore della satira. Verso gli altri. In fase di istruttoria si è scoperto che a denunciare l'avventato dj spiritosone, non è stato Santoro ma un tizio che lo imitava. La cosa ha scatenato le ire del vero Santoro, ma ormai non ci crede più nessuno.
Frattanto la Granbassi sfodera la pretesa della detassazione dei premi per le medaglie olimpiche. Premio che è il più alto al mondo e otto volte quello degli americani. A chi le fa notare di essere già stipendiata dallo stato per fare la moschettiera evitando i doveri di ogni carabiniere (servire, proteggere, andare in giro in coppia e saper o leggere o scrivere), la bella spadaccina risponde dando del calciatore a chicchessia. Ribadisce altresì che ella fornisce buon servizio alla nazione tutta e che quindi va trattata in maniera privilegiata. Dal mio angusto rifugio elaboro che le persone che lottano contro il cancro, ma anche chi mi porta via la spazzatura da sotto casa, forniscano altrettanto servizio alla nazione tutta e che di questi non si possa fare a meno, mentre della bella assaltatrice all'arma bianca, sebbene con rammarico, potremmo anche fare senza. Quindi, sempre debilitato dal mio angusto rifugio, mi ritrovo a non trovare cagione per privilegiati trattamenti.
Divampa l'Obamania. Persino il mio barbiere (Postatore Sano) si vanta di sostenere il nuovo presidente americano. Lo fa come una volta si vantava di avere amici gay e in un secondo momento, di esserlo (un amico gay). Il fatto che il nuovo capo della nazione che esporta più democrazia al mondo sia un nero è sicuramente segno di una rinnovata civiltà occidentale, ma a molti sfugge come il colore della pelle possa essere sintomo di superiori valori umani. Questo mi ricorda qualcosa, qualcosa che preferirei non ricordare. Sta di fatto che qualcuno sperava che questo evento unico ed eccezionale, fosse prodromo di una maggiore sintonia mondiale tra occidente e mondo islamico. La notizia della sua elezione è infatti stata accolta dalla controparte con un grido di giubilo: “e adesso convertiti, negro”.
Nel mentre, la Granbassi, fiera del successo femminista che ha portato il gentil sesso nell'Arma, rivede un'anticchia il suo giuramento “nei secoli fedele” e pretende di continuare a fare la zorra stipendiata dall'esercito (cioè da noi) senza esercitare, ma anche la soubrette stipendiata dalla Rai (cioè da noi) e ha pure qualcosa da dire sulla ritenuta d'acconto. Però è bella.
Scoppia la crisi mondiale totale globale megaultrasuper. Fior di economisti incrociano le calcolatrici per stabilire quale sia la causa di questo disastro economico e dai rotoli bianchi escono numeri che, interpretati alla bisogna, indicano chiaramente che la gente sono tutti matti. La mia umile opinione è che sia successa una cosa molto semplice: qualcuno si è accorto che il concetto secondo cui chi ha 1000 euro in banca è un poveraccio e chi ha 10 milioni di debiti è un magnate, è a dir poco bislacco. Un po' come è successo con il colgate con erbasol, che spopolò finché qualcuno si chiese “che cazzo è l'erbasol?”. La crisi c'è e si sente, si percepisce nell'aria. Gira voce che il clan dei casalesi, per elargire prestiti a strozzo, richieda la busta paga.
Intantociò, la Granbassi lascia la Benemerita modificando il solenne giuramento in “fedele finché mi tira il culo (e che culo)” e si dedica alla carriera di bella faccia in televisione che chissà perché sta là. Senza sapere che presto la sua idiosincrasia per le tasse e la sua passione per la tv via satellite saranno destinate a incrociarsi di nuovo. Come due sciagurati sciabolatori.
La sinistra insorge contro il raddoppio dell'Iva sul canone per vedere le partite di calcio e i film suini. Un attacco alle famiglie povere, dice Veltroni che ha lo stesso motto di Obama che poi era lo stesso della Wehrmacht. Io ne conosco di famiglie povere, una è la mia. Nessuna di queste può permettersi un minimo di 30 euro al mese per vedere Sky e nemmeno Lucy coi diamanti. Io fatico a comprare il pesto per condire la pasta, perché tutti i miei soldi li spendo per comprare la pasta. Quindi non mi sento molto colpito dall'aumento dell'Iva su un canone che non potrò mai permettermi anche senza Iva. Però mi piacerebbe che qualcuno si indignasse altrettanto per il fatto che la pasta costi come un figlio scemo.
Intantoche, sento parlare della Granbassi come donna bella e di successo che ha a cuore, oltre alla riduzione delle sue tasse, il bene di chi soffre e lo dimostra regalando al Dalai Lama una maschera da scherma (e in quanto lama poteva anche tornare utile) un po’ sudaticcia che il buon uomo tibetano ha usato come vaso da fiori d’alta montagna.
Un europarlamentare della Lega, stipendiato come lo scià di Persia ma oberato di lavoro come la Granbassi, affronta i venti di crisi europei, vantandosi attraverso le onde radio rai, di aver messo in piedi una cambogia per far sì che tutte le aziende di telefonini adottino lo stesso caricabatterie. Gesto vestito di nobiltà ecologica perché, parole sue, “ogni volta che cambio telefono devo buttare il caricabatterie”. Notevole. E io stupido che nella mia testolina angusta come il suo rifugio, penso che sarebbe molto più ecologico non cambiare un telefono ogni due mesi perché è uscito quello che fa il doppio delle cose del precedente anche se tu fai sempre le stesse tre cazzate. Però fa molto aperitivo. Io, che sono una famiglia povera, ho lo stesso telefono con lo stesso caricabatterie da due anni. Se la gente fosse meno figa, il mondo sarebbe un posto migliore.

Oltre a tutto ciò ho capito cose importanti, ho avuto rivelazioni similnirvana.
Ho capito che se un poliziotto cretino spara a un ragazzo scoppia una rivoluzione, ma se la mafia ne ammazza 1000 quanto ha fatto la juve?
Ho capito che l'ultimo dei fessi, specie se di sesso femminile, dopo essere stato due settimane a Parigi comincia a dire “voi italiani”.
Ho capito che anche se ho paura di volare e se il viaggio più lungo che ho fatto è stato in direzione Vetralla (e non ci sono nemmeno arrivato), ho speso più soldi in compagnie aeree di un commesso viaggiatore.
Ho capito che qui a poco a poco la gente finirà tutta in rifugi angusti, perché capire, sacrificarsi e fare qualcosa che non preveda un divano e un telecomando, sono sport troppo impegnativi.
Ma la cosa più importante che ho capito è che..

la Granbassi ha rotto i coglioni.


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martedì 17 giugno 2008

Olanda Romania: previste espulsioni


Il giuoco del pallone è, in Italia, fenomeno di costume. A differenza del nuoto. E tanto più gli italiani sono invasati di pallone, tanto più i pallonari (detti anche calciatori) sono pallonari. Non come una volta (o come in paesi del terzo mondo del pallone tipo le Isole Faoer), quando un calciatore era anche commercialista, autoferrotranviere o dottore (come Socrates che, bizzarria, era dottore in chirurgia e non in filosofia).
Il pallone è indubbiamente un bel diporto. Un giuoco molto tecnico sebbene fatto coi piedi e non villano come la pallavolo che è giuoco di mani. Il nostro paese poi è la patria dei commissari tecnici e sicuramente avremmo vinto molti più mondiali se tutti questi allenatori non si ostinassero a fare i barbieri e gli autisti di pullman.
Il prototipo del giuocatore di pallone è esteticamente conturbante, ha una moglie che piacerebbe avere anche a me, dei figli con dei nomi che indicano la professione del padre e una serie di tatuaggi in posti dove io non ho nemmeno i posti. La sua pelle è una biografia: date di nascita, nomi di prole e della donna da cui è uscita (o in cui il giocatore di pallone è entrato, se preferite) e vittorie indimenticabili ma non si sa mai. Ammetto che anche io ho un tatuaggio in ricordo di un mio successo. Per fortuna sono alto, altrimenti sarebbe stato un problema ricordare il “Quattordicesimo torneo interparrocchiale della madonna del cuore sanguinante del viandante del pellegrino. Terzo classificato”.
Nonostante sia evidente il mio bagaglio nozionistico intorno al mondo del pallone, di calcio non se ne sa mai abbastanza. Questo dogma andrebbe inserito nella costituzione, in modo che non accada più che sprovveduti come Jolanda Occhipinti e Giuliano Paganini si facciano rapire in prossimità del campionato europeo di pallone e sperino nell'interessamento di qualcheduno.
Fortunatamente una ridda di giornalisti, opinionisti, commentatori e coadiuvanti del commentatore, lavorano come un sol uomo affinché io conosca perfettamente le inclinazioni sessuali di Ronaldo, sebbene io non abbia ancora ben chiare le mie.
I commentatori sarebbero anche bravi, se non fossero ogni volta affiancati da un tizio che, masticando una grossa patata, arzigogola di tecnica e di tattica gettando ombre sulla differenza tra i due termini. Certo non ci sono più i Nicolò Carosio. D'accordo, quando c'era Carosio non c'era nemmeno la televisione e coglierlo in fallo non era semplice. A parte i suoi famosi “rete...quasi” e il “che vuole quel negraccio” esclamato all'indirizzo di un guardalinee etiope che annullò con dolo due gol all'Italia, si racconta di una leggendaria radiocronaca di un Italia Scozia durante la quale Carosio infiammò gli animi e le speranze degli italiani per poi mortificarle senza pietà, descrivendo una sgroppata sulla destra del nostro centromediano metodista: “si invola palla al piede Gabetto, Gabetto, Gabetto – fibrillante pausa – RETE! - timida pausa – Ha segnato Mortensen”.
Anche i giornalisti sportivi sono cambiati. Sono passati dal porre domande al dire delle cose. Se un cronista si muove per intervistare qualcuno si presuppone che ciò che questo qualcuno ha da dire possa interessare gli attenti lettori di gazzette sportive. E invece no, il protagonista è il giornalista, che si palesa al personaggio, gli snocciola un'analisi tecnico tattica studiata tutta la notte che mai, sottolineo mai, termina con quel famoso uncino rovesciato, arma storica del giornalismo e al termine del suo panegirico, schiaffa un microfono in bocca al malcapitato di turno. Lo sventurato, spiazzato dalla propria incompetenza, riesce solo a dire cose del tipo “noi giochiamo una partita alla volta” o “rigore è se arbitro dà”. Poi sarà lo stesso intervistatore a riprendere lo sportivo per non aver dimostrato sufficiente accordo con la sua disamina, frutto di anni di discussioni con Cerutti Gino (detto il drago) giù al bar sport. Il buon giornalista lamenterà anche una certa ingessatura (soprattutto da parte di Cannavaro) e la scarsa fantasia nelle risposte.
Già, la fantasia. Se oggi l'Olanda viene sconfitta, i rumeni si toglieranno lo sfizio di mandare a casa gli italiani in un pacchetto (sicurezza) postale. Questo accadrebbe, a sentire i giornalisti, in base a calcoli che avrebbero fatto iscrivere Fibonacci all'ISEF e non perché la nazionale ha giocato come me al torneo interparrocchiale (e non ho nemmeno vinto). Questo pericolo lo corre anche la Francia, ma non so che cosa ci sia scritto sulle testate francesi, visto che Zidane non gioca.
Data la situazione, qualche erede morale di Brera conia non senza una certa boria la seguente frase: “l'Olanda ha la possibilità di far fuori in un colpo solo i campioni del mondo e i vicecampioni”. Per qualche ragione che mi sfugge come sfuggiva Pasinato sulla destra, questo miracolo dialettico merita un posto tra cogito ergo sum e scemo chi legge. In una enfasi ricorsiva, assisto al lavoro di un giornalista che intervista altri giornalisti. Ormai l'oggetto del loro lavoro è divenuto superfluo. Bastano loro. Il bravo cronista chiede un parere a tutti i suoi colleghi e ognuno di loro, giurin giuretta nessuno escluso, risponde “bla bla bla, l'olanda ha la possibilità di far fuori in un colpo solo i campioni del mondo e i vicecampioni, bla bla bla”. Nessuno ha un'opinione differente, ma soprattutto nessuno ha altre parole a disposizione. Tutti pronunciano questo scorcio di letteratura ammiccando allo spettatore, come a dire “sentito che figata? È mia”. Cambio canale, provo alla Rai, lì entrano per concorso (anche se spesso concorso in associazione mafiosa) avranno sicuramente una retorica più sexy. Avevo ragione. L'opinionista sportivo di riferimento chiosa “cicicipipipi.. l'olanda ha la possibilità di far fuori in un sol boccone i campioni del mondo e i vicecampioni cicicpipipi”. Mica cazzi.
Al di là dell'estro grafologico ho provato a pensare a quello che dicono, visto che loro non lo fanno, e mi sono posto alcune domande, visto che loro non lo fanno.

Domanda numero A: qualcuno si ricorda che la Romania ha giocato due partite contro l'Olanda nelle qualificazioni vincendone una e pareggiando l'altra? È quindi possibile che anche in caso di partita vera, sia la Romania a farci fuori e non l'Olanda.

Domanda numero B: che interesse avrebbe l'Olanda a non ritrovare Francia o Italia alle semifinali? Se ho capito bene, mentre cambiavo canale durante le pubblicità di Barbie prigioniera del sogno, gli arancioni hanno rifilato tre pappine (li so anche io i termini tecnici tattici) all'Italia e quattro alla Francia. Immagino se la stiano facendo sotto al pensiero di doversi giocare l'accesso in finale contro una di queste due squadre.

Domanda numero C: ma a chi fuffolo interessa un servizio del telegiornale in cui un giornalista intervista altri giornalisti? È come se io entrassi in sala operatoria per un triplo bypass e dicessi “l'aorta la incido io se non le dispiace” e mi lasciassi degli oggetti nella cavità toracica, giusto per rendere completamente inutile la presenza dei chirurghi. Potrei lasciarci un microfono tanto, si sa, al cuor non si domanda.

Io non mi intendo di calcio, anche se sono italiano. Diciamo che ho più confidenza col sodio, ma ho la sensazione che questo allenatore non arriverà a Natale. Il che è un peccato visto che Donadoni.

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giovedì 22 maggio 2008

LOST ...ronzo


Quando cerchi qualcuno o qualcosa per molto tempo, finisci per trovare te stesso, ma non è infrequente (doppia negazione manzoniana, tiè) che tu possa trovare te steso. Io ho perso molte cose ultimamente.
Ho perso l'orientamento e, inventandomi una radice etimologica, l'ho cercato verso est. Solo che a forza di spingerti ad est, in una realtà curva, ci si ritrova inesorabilmente ad ovest del punto di partenza. Il che è geograficamente seccante: tanto tempo sprecato a spingersi.
Ho perso lo smalto di una volta e l'ho cercato con le unghie e con i denti. Quelli maggiormente interessati.
Ho perso vigore e mi sono allungato fino a Torino per cercarlo. Pare che lì è facile che ti diano vigore. Ma si sa, vigore è, quando arbitro fischia. Anche questa ricerca è stata infruttuosa. Nel senso che non ho trovato nemmeno Torino. Un diavolo di città e viceversa. Però ci sono arrivato vicino e non è una cosa simpatica. Torino vicino. Fisiologica prossimità.
Ho perso fiducia. Ma non quella che avevo io. Ho perso quella degli altri. Anche questa non è una cosa carina. Un tizio, chessò la mia banca per esempio, ha una fiducia, viene da me e mi dice “me la tieni un attimo?”. In un momento di difficoltà mi scivola dalla saccoccia e scoppia una cambogia. La mia banca è diffidente.
Che poi quando la banca mi presta i soldi mi sorride con tutte le sue filiali e mi fa sentire amato, degno di fiducia. Di fido. Mi fido.
Poi mi mette una ipoteca sulla casa, sulla macchina, sul cane e su qualsiasi cosa preziosa io possa trovare per strada. Per un controvalore complessivo 10 volte superiore ai soldi che mi ha prestato. Avrei voluto chiedere alla banca che cosa avrebbe fatto se non si fosse fidata, ma il rischio che potesse rispondere mi ha fatto desistere. Resistere. Esistere.
Ho perso tempo e quello lo puoi anche ritrovare, ma non è proprio lo stesso che hai perso. Magari gli somiglia, ma non è lui. Il tempo difetta di tempismo. A differenza dei tempi, questi, che abbondano di teppismo.
Ho perso le parole, eppure ce le aveva Ligabue lì un attimo fa. E senza le parole non è facile cosare il coso. È disarmante non riuscire ad intessere locuzioni degne del plateale auditorio. Ci si sente così piccoli ed inutili quando si ascoltano frasi che regalano emozioni indimenticabili. Frasi come “Studio Aperto finisce qui”. Per lambire questi livelli di dialettica emozionale devo ritrovare le parole di cui ora sono privo. Provo.
Financo Andrea (Spaggio) s'è perso, s'è perso e non sa tornare.
Insomma ultimamente tendo a smarrire. Prova ne è, il gruppo di persone che mi segue fischiettando vago. Sfruttando un impietoso participio, potrei definirmi un perdente o, per dirla con De Andrè, una donna piuttosto distratta. Sì non sono una donna, ma non è che posso cambiare i testi di De Andrè.
Un'operazione di recupero però l'ho completata con successo. Ho cercato a lungo e alla fine era lì, proprio lì, da nessuna parte. Il mio blog.
Se ne stava appoggiato a un dolore, con l'espressione da ringhiera di traghetto, un po' rapita, un po' ebete.


“Ti trovo bene” gli dissi, dissimulando emozioni e dissipando radicali liberi.
“Come mi hai trovato?”
“Bene, te l'ho appena detto”
“Vedo che alla fine hai ottenuto quell'attestato di simpatia perniciosa”
“Perché te ne sei andato? Che ti succede?”
“Niente” Rispose. Come solo le donne sanno dire di non avere niente.
“È colpa mia? Non ti piaceva quello che ti scrivevo?”
“No, no. Non sei tu, sono io” A questo punto non mi sarei stupito di scoprire, sotto il suo sguardo affranto, un paio di tette da prima serata.
“Dove sei stato tutto questo tempo?”
“Mah.. non ho fatto cose, non ho visto gente... a proposito, chi ha vinto lo scudetto?”
“L'Inter”
“Ah e le elezioni?”
“Il Milan”
“Con chi sta la Canalis?”
“Non con me. Di questo sono abbastanza certo. Credo con il Parma”
“Bene, direi che ora so tutto quello che è apparso sui giornali in questo mese. Grazie”
“Devi tornare, io ho bisogno di te”
“No, tu credi di aver bisogno di me, in realtà stai slatentizzando il tuo desiderio di essere qualcosa d'altro”
“Stai diventando donna o ti sei mangiato Crepet?”
“Non me la sento Cruman, davvero”
“È per gli accessi? Vuoi che mi metta a parlare di calcio e figa? Forse sei tu che vuoi essere qualcosa d'altro. Vuoi essere il blog di Fabio Volo? O quello di Grillo. Ti ci vedo proprio alla mercedes di migliaia di troll repressi e cafoni”
“Mercé, non mercedes”
“Che importanza vuoi che abbia la macchina adesso”
“Comunque non voglio essere un blog di successo e nemmeno un sito porno. Anche se un paio di zinne ogni tanto non è che mi infetterebbero con un virus”
“Se continui così tra un po' ci metto le tue”
“Spiritoso, non è che se uno dimostra un po' di sensibilità deve essere diventato signorina o Signorini
“Aspetta. Ho capito: è perché sei nero. Ti senti discriminato? Ma dai lo sai cosa si dice di voi neri”
“Se tiri fuori un altro luogo comune mi formatto. Anche se un giallo ocra....”
“Scordatelo”
“Ok”
“Allora che accidenti hai... ops scusa. Quale turbamento emozionale obnubila il tuo animo?”
“Fottiti. Lo sai benissimo che cos'ho”
“...sì lo so. Ti manca Postatore Sano
“....”
“Manca anche a me... quello sterco di animale”
“Mi dispiace”
“Farò il possibile, te lo prometto. Torni?”
“Ma sì dai”


Mentre ci allontanavamo mantenendo tra noi una distanza intermedia tra l'affetto e la paura di sembrare gay, pensavo a tutta questa situazione. Mi stupivo delle cose banali che mio malgrado mi riempivano la testa: non capisci quanto è importante una cosa finché bla bla bla, che alla fine si desidera più il desiderare che l'eccetera eccetera, che la lontananza è come il via discorrendo.
Ma soprattutto ero deciso e risoluto su due cose: non usare mai due sinonimi insieme e a sto fuffolo di blog non gli faccio più guardare Desperate Housewife.

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mercoledì 23 aprile 2008

Ippocrate e la mano santa


Ambientazione: il diversamente igienico talamo di un pigro Grande Fratello.
Personaggi principali: un ometto che stereotipizza il suo essere milanese con una cadenza a biscione e una aspirante alla professione medica che stereotipizza la sua napolità con so pazza 'e gelosia.
A margine: un Ordine dei Medici impettito, Ippocrate e una pugnetta.
I fatti: la dottoressa al Grande Fratello, segue il suo copione trash anni '70 prescrivendo e somministrando una terapia attuabile grazie alla cosiddetta “sega da chirurgo”. Il signor Ordine dei Medici si insolentisce, pretende da Mediaset la videocassetta dell'accaduto, prende un rotolo di scottex, si siede sul divano, la osserva e decide di aprire un fascicolo o fasciare un testicolo, non è ben chiaro. A questo punto il signor Ordine scomoda Ippocrate che stava strigliando il cavallo e gli fa giurare che la dottoressa non è degna di chiamarsi tale.
Critica: lungi da me l'idea di difendere un partecipante del Grande Fratello, devo però fare due sincere considerazioni. Considerazione sincera numero A: l'universo maschile riconosce all'unanimità per alzata di mano (perlopiù sinistra), i benefici psicofisici dell'onanismo sia esso passivo che attivo a patto di non eccedere nelle dosi pena il transgenderismo per consunzione. Riconosce anche come pure leggende, la condanna all'ipovedenza (detta anche maledizione di Moshe Dayan) e la cacciata dal paradiso per dispersione di semenze. Visto e considerato che nessuno è in grado di arrestare una polluzione notturna, bisognerebbe meglio concentrarsi sulla dispersione di scemenze.
Considerazione sincera numero B: provo una certa invidia (questo sì, peccato romano) se penso che la mia dottoressa, bene che mi vada, mi prescrive due supposte e non si infila certo nel mio letto per praticare l'operazione.
Per questi due fattori ho deciso di stilare un bugiardino per la gentile dottoressa (quella con una certa manualità, non la mia) in modo da avere buoni argomenti da opporre ai suoi detrattori. Per fare ciò utilizzerò proprio il giuramento di Ippocrate che le è stato così spocchiosamente sbattuto sul muso, riferendomi ad alcuni precetti sia dell'antico giuramento che del nuovo.
Nell'antico si legge “non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale”. Sebbene sia di uso corrente la locuzione “ammazzarsi di seghe”, non risulta ancora nell'antologia clinica, un caso di morte riconducibile al diletto narcisistico. Che nulla ha a che vedere con la rigidità da rigor mortis.
“Non opererò coloro che soffrono del male della pietra”. Con tale nome venivano identificati i calcoli vescicali (spesso confusi con la prostata) rimossi da ex norcini, infilando due dita nell'ano del paziente e praticando manovre che mi disturbano la seduta solo a pensarle. Ora non sappiamo se la dottoressa abbia applicato queste tecniche contestualmente alla somministrazione della terapia, ma dalla scioltezza di movimenti dimostrata dal baldo milanese la mattina seguente, è presumibile che si sia astenuta dal farlo.
“In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati”. La casa c'era, il malato anche (sfido chiunque a dire che fosse sano) e il sollievo senza alcun dubbio.
Dal nuovo giuramento: “curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità condizione sociale e ideologia politica”. Anche questo precetto è stato rispettato in pieno visto che ella, napoletana, si è presa cura del polentone, probabilmente leghista, senza frapporre questioni di etnia.
“Astenermi dall'"accanimento" diagnostico e terapeutico”. La dottoressa si è limitata ad una somministrazione ben sapendo che la terapia può dare assuefazione e persistenza di espressione ebete.
Le si contesterà invero una sorta di violazione dell'integrità morale della categoria medica. E qui chiamo a raccolta voi pazienti (e) lettrici che avete conosciuto l'imbarazzante mondo di freddi strumenti e mani ispezionanti. A quante di voi è successo di dover subire indagini eccessivamente accurate? Quante sono state fatte spogliare nude per un mal di testa? Quante, vinte dalla paura del male, sono finite in mani morbose? E quante si sono tenute il dubbio e la vergogna?
Alcuni esempi. Visita medico sportiva, entra una avvenente donzella che viene fatta spogliare nuda (per chi non fosse sportivo, non è affatto necessario), immediatamente dopo entra esemplare di amica non baciata da veneree doti:


“Cosa mi devo togliere?”
“Niente”
“Ma nemmeno la sciarpa e il cappotto?”
“No no, si infili in tasca questi elettrodi”


La ragazza estiticamente biasimabile esce e viene a sapere dall'avvenente amica di come è andata la sua visita e rientra dal medico:


“Adesso lei fa tirare fuori le tette anche a me o la denuncio”


Oppure. Mammografia, giovane donna procace e preoccupata entra non facendo caso a vaghi cenni che le sfrecciano intorno. Casualmente, durante l'esame, un numero impressionante di uomini entra nella stanza simulando indifferenza con le scuse più diverse:


Altro medico con mani insanguinate “avete visto un'arteria femorale”
Infermiere “è passato di qui uno sfigmomanometro?”
Patologo “ho lasciato qui un cadavere per caso?”
Inserviente “scusate devo vuotare i cestini”


A riprova di questo potrei portare le ricerche fatte su google. Vi stupirebbe il numero impressionante di frasi di questo genere “mi hanno fatto spogliare nuda alla visita”. Questo ovviamente non significa che tutti i medici siano maiali che approfittano della condizione di grande vulnerabilità che ha un malato, ma sicuramente significa che non è sufficiente essere un medico per certificarsi come persona seria e rispettosa. Dimostra che leggere frasi scritte da un tizio 2400 anni fa, non sancisce in alcun modo la propria rettitudine morale. Così come compilare un modulo sugli aerei per gli USA in cui si dichiara di non essere un terrorista stupratore ha una valenza più folcloristica che etica.

Queste cose accadono ovunque, ogni giorno e non vedo alzate di scudi da nessuna parte. Nemmeno dal signor Ordine che, tra le altre cose, conosce e accetta un sistema di baronato che è una piaga sociale non indifferente.
La Dottoressa Lina Carcuro probabilmente non diventerà un nuovo Barnard e nemmeno Madre Teresa di Calcutta, ma le si dovrà pur rendere atto che quello che ha fatto lo ha consapevolmente fatto di fronte a tutti e non di nascosto, protetta da muri, sistemi e sovrastrutture psicologiche.
Si potrebbe anche aprire, invece di un fascicolo, una disquisizione filosofica sul perché fare una cosa che fanno tutti è normale, ma se si sa che la fai è immorale.
Dottore' non mi sento mica tanto bene.

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martedì 15 aprile 2008

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E facemmo delle lugubri urne, governo. Certe notti, coi bar che son chiusi, sono poetico come un'alba su Bagnoli. Ha vinto quello lì, non l'altro ed ora ucciderà una capra o qualsiasi altra cosa faccia per celebrare il successo. Che poi è uguale, almeno a me sembra uguale, dico a quell'altro non alla capra. Che ha vinto quello, per ora, lo ha detto uno che va fuori dai seggi a chiedere di dire quello che la gente ha espresso nascondendosi in una cabina non più telefonica, però tutti gli credono, sebbene abbia l'affidabilità di un oroscopo coi dadi. Non tanto perché non si impegni o non sia bravo, anzi è capacino. Non è colpa sua se per quarant'anni alla domanda “ha votato DC?” ha visto gli elettori rotolare per le scale reggendosi la panza, per poi ritrovarsi con lo scudo crociato in vetta alle classifiche dei partiti più fighi. La democrazia (quella vera, non quella cristiana), tra le tante controindicazioni annovera il privilegio di non perdere mai. Anche quell'altro, quello condannato dalle percentuali (non dai tribunali), non dice di aver perso, dice che è il primo partito in Italia con a capo uno che si chiama Walter. Ma non è di elezioni che voglio parlare in questo giorno in cui si deve parlare di elezioni. Voglio parlare della legge fondamentale della democrazia: tutti siamo uguali. Fra noi, non a una cosa in particolare. Questo dovrebbe rendere meno amaro il pensiero che Rita Borsellino, al senato, ha trovato chiuso, mentre Cuffaro è entrato offrendo paste e mani all'interno. Tanto siamo tutti uguali no? Sia chiaro, essere la sorella di un uomo eccezionale non fa di nessuno una persona eccezionale, guardate Caino e Abele. Però purtroppo essere Cuffaro ha sicuramente i suoi genotipi a corredo.
L'uomo vive in maniera contrastata l'uguaglianza che la democrazia gli impone. A me persino la vaga somiglianza fa venire le bolle, ma questa è un'altra storia che merita di non essere raccontata. Ognuno di noi ha nella propria struttura mentale, nella funzione stessa dei propri sensi, un sistema di valutazione che rende ogni cosa diversa dall'altra. È abbastanza semplice rendersene conto ascoltando un virtuosismo di Tartini e immediatamente dopo la Iervolino che canta Napule mille colori. Ma non sempre è così facile capire perché una cosa, un essere vivente, sia, percettivamente (non esiste questo avverbio, ma è uguale... a quelli che esistono) diverso da un altro.
Se c'è un delfino in difficoltà si mobilita mezzo mondo, se un toporagno è sull'orlo del suicidio a causa delle continue crisi di identità, bene che gli vada qualcuno lo schiaccia nella sua toporagnatela. Nessuno lo dice, ma tutti sono convinti che un delfino meriti più attenzione di un toporagno. Ne cala che un musetto simpatico e qualche comparsata hollywoodiana delimitino il confine tra la vita e la morte. D'accordo, il delfino è più intelligente, più evoluto, almeno secondo noi. Perché magari il toporagno possiede la telepatia, la transustanziazione, il teletrasporto e conosce personalmente il sindaco di Vetralla. Ma se muore un delfino, raccapriccio, se muore un toporagno, la prossima volta cerchi di avere una connotazione più chiara. Essere meno intelligente, meno evoluto non dovrebbe essere un buon motivo per non meritare attenzione. E il fatto che Bush guidi il paese più potente del mondo, dimostra questa mia tesi.
Tornando alla razza umana si trovano altre misteriose disequazioni. A parte qualche raro (e spesso ingiustificato) caso di complesso di inferiorità, le persone si pongono generalmente nel confronto con il prossimo, basandosi sul presupposto del “sei un idiota” e non provate a negarlo: pensate ai precedenti partner del vostro consorte o alla gente in macchina la domenica. Inoltre il sistema democratico consente la libera competizione, vale a dire la ufficializzazione della diversità qualitativa (basata su valori imposti) tra le persone. Il desiderio di primeggiare in questa tenzone qualitativa che solitamente dà accesso a privilegi, macchine veloci e donne di malaffare, scatena comportamenti spesso antidemocratici. Questo non succede, per esempio, nell'ambito dell'intelligenza: tutti sono convinti di averne abbastanza.
Eppure la cultura sociale spinge da un lato sì, a darsi un tono, ma dall'altro a darsi un toner, per fotocopiarsi. Non a caso è la cultura che ha portato alla clonazione. Tutti desiderano essere come qualcun altro, di avere i suoi privilegi e questo non è un dettaglio irrilevante perché significa che solo loro vogliono essere così, perché se lo fossero tutti, quelli che prima erano privilegi diventerebbero normalità, quindi indesiderabile. Kierkegaard chiamava questa “la malattia mortale”, sebbene Barnard insistesse nell'affermare che la miocardiopatia dilatativa era “la malattia mortale”.
Guardiamo quello che facciamo con i nostri figli... vabbe' i vostri io non mi riproduco per decenza.
Siamo contenti quando i nostri bambini sembrano già grandi a un'età in cui sarebbe acconcio essere piccoli. Che ometto, che signorina...che palle. I bambini si vestono, si atteggiano, si muovono come degli adulti. Come degli adulti deficienti però. I maschietti sembrano delle rockstar nane, giocano a calcio e scimmiottando i comportamenti dei grandi, simulando falli, chiudendo piccoli arbitri negli sgabuzzini ed entrando in campo con i capelli unti. Le bambine sembrano delle veline riassunte, hanno le zinne accennate ma fanno le dive (cit). Vengono educati alla modellizzazione per poi ritrovarsi a cercare la propria personalità nel cesso di qualche discoteca, aspettando un genitore rassegnato che li venga a prendere.

Papà - “Perché hai le pupille così dilatate?”
Figlia - “Ehmm perché nel locale è buio... e tu?”
Papà - “Mi sono fatto una canna mentre aspettavo”

Non c'è uguaglianza nella vita e nemmeno nella morte, non me ne vogliano Totò e la sua livella. Se vieni stuprata e uccisa nella periferia di qualche città periferica, è normale... è uguale. Se muori in un incidente nel Ciad, si mobilita il ministero, i telegiornali (in ordine inverso) e un popolo di telespettatori commossi. Noi abbiamo sempre avuto questa fissazione per le cose straniere, anche per la morte straniera. Qualche privilegiato nella morte ce l'abbiamo anche qui, devo ammetterlo, ma ci vuole una villetta, i RIS di Parma, l'avvocato Taormina e il plastico di una uguale morbosità.
Insomma siamo uguali, non vorremmo esserlo ma lo pretendiamo. Sembra un discorso di Veltroni. L'uomo, la democrazia, la politica. Probabilmente sono cose nate da tre fonti diverse. Che ora, se esistono, ridono dentro un bar.
Siamo all'alba di una nuova legislatura. Non credo che il buon giorno si veda dal mattino, altrimenti la mia vita sessuale sarebbe molto più soddisfacente. Ma tanto... è uguale.

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martedì 8 aprile 2008

(Mi) Candido ovvero l'ottimismo


Il giornalista di riferimento del quotidianoimpegnato sale le scale con la consueta espressione di chi sopporta il peso di sapere ciò che la gente ignora e non poterlo dire. Dietro quello sguardo infingardo si cela il sollievo di non poterlo fare, perché non saprebbe come mettere insieme il tutto o semplicemente non ne avrebbe il coraggio. Quello che è certo è che non sa che cosa significhi infingardo sebbene l'abbia usato sgarbatamente nei suoi occhielli d'assalto.
Vorrebbe che quelle scale non finissero mai. La voglia di giungere a destinazione per intervistare la blogstar lanciata in politica, non gli è mai nemmeno passata vicino. Ma è il suo sporco lavoro ed è meglio che lo faccia lui, visti i benefit e l'assicurazione che copre le spese odontoiatriche. Come d'incanto smette di sperare nell'infinitezza scaligera. La sua carriera ha visto qualche anno di grandi aspirazioni e decenni per realizzarle nel tabacco. Quindi non ha il fiato per salire più di quanto facciano i suoi trigliceridi da scrivania. “Internet non dovrebbe arrivare così in alto – pensa – almeno non senza ascensore”. Grazie al cielo tutto ha una fine o un fine, dipende dal genere.

“Così lei ha deciso di candidarsi alle prossime politiche. Che cosa le fa pensare di meritare un posto in parlamento?”
“Sono un blogger molto conosciuto, ho meno di 45 anni, mi intendo di nuove tecnologie e sono avvezzo al confronto e al problem solving”
“Un blogger eh?”
“Certo, sa che cos'è?”
“Sì, almeno credo. Un'attività collaterale, tipo organizzare combattimenti di cani o ingerire ovuli e passare la frontiera. Giusto?”
“Il suo sarcasmo è fuori luogo. So che scriverà male di me. Voi ci temete”
“Per quanto riguarda il programma?”
Firefox naturalmente.”
“No intendo la piattaforma programmatica.”
“Ah, Wordpress.”
“Ok non importa, è comunque meglio di quella degli altri candidati. Quindi è importante che al governo ci siano persone giovani?”
“Sì esatto, sotto i 45 anni”
“Lei quanti anni ha?”
“43”
“Quindi tra due anni se ne andrebbe?”
“Non sono così ingenuo da cadere nelle sue trappole da bracconiere”
“Non era una trappola, era solo algebra”
“Lei non ci metterà in mezzo. Ormai siete solo degli imbrattacarte di regime, repressi nei vostri ideali, costretti a fare brandelli delle cose più vere: la passione, la forza... la verità”
“Molto poetico”
“Si nasconda pure nel cinismo, ma non potete più nemmeno sfangarla con la qualità. Siete piatti, banali e ridondanti. Per voi la politica è Carla Bruni, lo sport è il girovita di Ronaldo, la cronaca è sangue e morbosità. Sparate titoli alla nitroglicerina e poi scrivete pezzi alla camomilla. Tutto per i soldi, per il potere.”
“Il suo ultimo post si intitola Ieri l'ho preso dietro e sono ancora arrossato quindi oggi lo prendo davanti
“Era un saggio sui danni dell'esposizione ai raggi solari”
“Un casuale inciampo linguistico quindi? E io che pensavo fosse per attirare cliccatori onanistici”
“Noi non abbiamo editori alle spalle, dobbiamo pur promuoverci.”
“Torniamo alla questione candidatura. Perché il fatto di essere un blogger dovrebbe costituire un fattore di merito?”
“Internet è il futuro. Chi governerà deve conoscere come funziona il più grande sistema di aggregazione delle nuove generazioni. Deve considerarlo. E chi meglio di uno dei blogger più seguiti della rete.”
“Certo. Però ho qualche dubbio. Se togliamo chi naviga in cerca di stimoli per disperdere il seme, chi lo fa per esprimere, rubando, il proprio dissenso verso le case discografiche ladre e chi chatta (schifo di parola per descrivere da dove dgt?, meladai?), non credo che questa comunità di blogger possa dirsi una moltitudine e, di conseguenza, non vedo perché dovrebbe avere più credito, chessò, dell'associazione italiana cuochi e sommelier. A casa mia poi l'adsl non arriva nemmeno se le mando una bomboniera. Le bollette, quelle invece arrivano a frotte.”
“Questa è la tipica mentalità italiana. Arriviamo sempre dopo, affrontiamo i problemi quando ormai i tuoi sono scappati.”
“I miei?”
“Sì i tuoi buoi. Presto internet sarà il mezzo assoluto e noi sapremo solo giocarci, se alle persone come me non verrà dato lo spazio che meritano.”
“Ancora non ho capito che garanzie dia questo fatto di essere blogger. Chi mi dice che lei non sia come gli altri, che non faccia cose classiche da politico come abbandonare gli amici in difficoltà e poi fregiarsi del loro ricordo una volta che saranno troppo morti per giudicarvi?”
“Ora sta esagerando. Il suo è un canto del nigno. Siete vecchi. Niente è così vecchio come il giornale di oggi. Noi diamo un senso ai fatti, voi non fate che metterli in fila. La gente preferisce leggere noi perché non riesce più a leggere un giornale con incredulità. Noi siamo vivi, presenti e originali.”
“Cigno”
“Prego?”
“Canto del cigno non nigno.”
“Ho sbagliato a digitare.”
“E comunque, originali voi? Partite con due cose sincere e poi passate il tempo a copiare nell'ansia di essere dimenticati dai contatori di accessi.”
“Noi copiamo? Ma che faccia tosta. I giornali sono i bordelli del pensiero.”
“Questa è di Balzac.”
“Fate gli allarmisti. È l'unico modo che avete per rendervi interessanti.”
“Questo l'ha detto Schopenhauer.”
“Mmmm... Siete sfamati dagli oziosi, gli ignoranti, invidi e tristi?”
Alfieri.”
“Lei è in gamba lo sa?”
“Grazie”
“Scriverebbe un pezzo per il mio blog?”
“Piuttosto mi chiudo una mano in un tostapane”
“Ha già in mente per chi votare?”
“Certo, ho una famiglia da mantenere io”
“Nel senso che crede in chi voterà o chi voterà crede in lei?”
“Senta, io non ce l'ho con lei. Apprezzo quasi l'1% di voi blogger e apprezzo quasi l'1% di noi giornalisti (e tra questi io non ci sono). Riconosco anche, ad alcuni ottimi analisti e intrattenitori virtuali, il merito di aver ridimensionato la nostra professione, troppo occupata a scriversi addosso, a disprezzare chi non legge ciò che scriviamo e compatire chi lo fa, per non compatire il nostro lavoro. Ma tra voi e noi c'è una sola, determinante differenza. E non c'entra l'avere o meno un editore burattinaio, l'essere moderni, liberi o aperti al confronto.”
“E cosa allora?”
“Il blogger è fondamentalmente un pigro. È internet che vi da dei vantaggi, non siete voi ad averne in quanto blogger e la sua campagna elettorale lo dimostra. Avete più margine di manovra degli altri, non perché siete più liberi, ma perché in Italia la rete è vista come un'enorme Playstation. Noi mettiamo le mani nella merda, voi vi limitate a dire che puzza.”
“E voi perché non lo dite?”
“Perché a forza di starci dentro non la senti più. E perché la stampa libera può essere buona o cattiva, ma senza libertà può essere solo cattiva”
“Questa è di Camus
“Touchè”
“No no è Camus sono sicuro. E comunque non sono un pigro”
“Me lo dimostri”
“Non mi va... Magari ci faccio un post”

Il giornalista impegnato ripercorre le scale. Scendendo si percepisce meglio la gravità delle cose. Si rende conto che, per l'ennesima volta, ha voluto dimostrare invece che capire e questo, per un giornalista, significa essere alle prime armi o averlo fatto per troppo tempo. Sa che nel suo giudizio, che era bello e pronto già prima di arrivare, c'è un po' di invidia, ma anche questo fa parte delle tante cose che fortunatamente non può dire.

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lunedì 31 marzo 2008

Stato pietoso


Ogni italiano si porta dietro una croce, ma non crediate, compagni di sventura, che apporla su un simbolo vi liberi del suo peso. Per che Stato andremo a votare? Forse uno stato di facciata. Di sicuro l’ennesima facciata la prenderemo noi rimanendo nel consueto stato pietoso.
Cerchiamo di fare un volo radente sui misteri che avvolgono le più grandi vergogne dell’Italia del dopoguerra.
Tralasciando alcuni scudetti della Juve, comincerei con l’eponimo della cultura nostrana nel mondo: la mafia (fortunatamente ci si rende merito anche per altre cose, come gli spaghetti e il mandolino, ma io non so suonare né uno né l’altro). La mafia ha creato un modello di potere basato sull’intimidazione e radicato in profondità nel territorio come una pro loco. Cosa nostra è arrivata a compiere atti di una violenza inaudita, di portata nazionale ed oltre, rimanendo, perlomeno nella sua struttura di base, a lungo indisturbata. Salvatore Riina, detto Totò u Curtu, fu arrestato dopo 25 anni di scalmanata latitanza, di fronte a casa sua. La cronaca racconta che questa operazione fu portata a termine dal Capitano “Ultimo” e il suo vice “Arciere” ora sotto inchiesta per una sedia Luigi XVI (ma anche questa potrebbe essere la tessera di un mosaico). Viene da pensare che lo Stato si sia dimostrato poco efficiente o discretamente lento. Oppure viene da dar retta a qualche pentito che sostiene che molte delle azioni eclatanti della mafia non si sarebbero potute portare a termine senza la collusione con presunti poteri interni allo Stato. Teniamo a mente queste ipotesi e proseguiamo.


Terrorismo di estrema destra. Si è reso colpevole di stragi inumane di innocenti a volte quasi senza ragione e probabilmente degli attentati più sconvolgenti della storia dell’Italia repubblicana. Anche qui è possibile imputare gravi colpe allo Stato che ha abbandonato i suoi uomini e dimenticato colpevoli e mandanti, oppure si può ascoltare le mille teorie di relazioni con paesi stranieri, massonerie, servizi deviati e politica. Per inciso: avete notato che quando si definisce la parte malata dei servizi segreti si dice sempre servizi deviati, mentre quando di parla di collusioni all’interno della politica si dice semplicemente rapporti con la politica? Chiuso l’inciso. Teniamo in caldo anche queste ipotesi.

Brigate Rosse. Ovviamente si deve parlare del caso Moro (anche perché molti italiani pensano sia l’unica cosa accaduta nel nostro paese). La mollezza e la colpevole distrazione dimostrata dalle istituzioni va, anche qui, addebitata a deficienze strutturali o, come sostengono i parenti delle vittime della strage di via Fani, a un qualcosa di interno o superiore allo Stato che ha fortemente voluto la morte dello statista, strumentalmente indicato come il misterioso Antilope Kobbler? E accantoniamo anche questo.
Varie ed eventuali. La Uno bianca, la banda della Magliana, i casi Sindona, Calvi, Alpi, Ustica e via discorrendo, tutti sviluppatisi attraverso depistaggi e/o errori grossolani e regolarmente conclusi con le domande in numero soverchiante rispetto alle risposte. Cercando di mettere insieme i pezzi finora accantonati e scartando soluzioni intermedie, le ipotesi dominanti sono due.
Ipotesi numero A: uno Stato (inteso come istituzioni) debole, molle e unicamente votato al mantenimento di se stesso.
Ipotesi numero B: la presenza di poteri occulti all’interno o al di sopra dello Stato che utilizzano forze eversive per i propri scopi.
Ma quali forze? E quali poteri occulti? E soprattutto quali scopi? Per farla proprio alla risiko è pressapoco così: da una parte mafia, terrorismo e movimenti eversivi, dall’altra (secondo i complottisti) servizi deviati (italiani e non), politici corrotti, massoneria e addirittura Vaticano. Analizziamo le due parti del dittico.
Tra i cattivi armati spicca subito una differenza: mafia ed eversione di destra sono sempre stati attratti dal potere e nemmeno i soldi gli puzzavano. Le Brigate Rosse erano decisamente più invasate sugli ideali, non cercavano il potere, ma lo combattevano colpendo non a caso per destabilizzare, ma quelli che loro consideravano nemici del proletariato. Non è detto però, che i loro obiettivi potessero coincidere con quelli di altri meno idealisti e più orientati alla carta moneta.
Tra i cattivi occulti (quelli che nei film fumano in controluce e hanno un aspetto viscido per intenderci) si deve distinguere tra gentiluomini disposti a strangolare la madre con la parannanza per macchine veloci e donne di malaffare e gruppi di gentiluomini che perseguono un progetto comune per se stessi e per il paese, convinti che proporlo preventivamente agli italiani sia una perdita di tempo o possa provocare ingenti sassaiole. Questi movimenti “massonici” ritengono corretto gestire all’insaputa del popolo bue, questioni non alla nostra portata e, già che ci sono, si tolgono lo sfizio di far passare per ieratica qualche sana trombatina.
Tutte queste forze esistono e sopravvivono grazie alla paura e all’indifferenza. Alcune di queste realizzano il proprio potere attraverso clamorosi bluff. Ci sono i morti che testimoniano l’esistenza dei primi e sentenze che descrivono i secondi. Ma quasi mai ci si è spinti più in là di qualche sentenza di facciata per cercare di andare oltre e smantellare i sistemi di potere. Anche qui c’è da chiedersi se un oltre esista davvero e, in questo caso, se qualcosa impedisca di scoperchiare pentole o se gli stessi scoperchiatori si rendano conto che una cambogia di tale portata non sortirebbe benefici, ma danni peggiori dei mali.
Forse l’esempio lampante è tangentopoli. Allora si è voluto scalare la montagna di letame, fino in cima. Peccato che siamo rotolati a valle con una velocità smodata. Allora per che cosa andremo a votare? Per uno Stato molle e autoalimentate o per uno Stato succube di poteri occulti? Il vero dramma è che una risposta definitiva non l’avremo mai e ci dovremo accontentare dell’arteriosclerosi senile di Cossiga. Anche quando uno straccio di Primo Ministro dimostrasse un corredo testicolare e decidesse di mettere mano ai documenti coperti da segreto di Stato, scopriremmo che in tutti questi anni non sono stati poi così coperti.
D’altro canto non ha nemmeno molto senso confidare nelle urne primo perché le facce sono sempre quelle (anche perché fanno tutti il lifting), secondo perché le urne lasceranno intatte le strutture “esecutive”: i vertici burocratici, amministrativi, militari e dei servizi, oltre alle intoccabili lobby di potere che si fanno un baffo ricciolo dei suddetti e di noi popolino bovino. Allora diventa inutile scegliere anche tra queste ipotesi e necessario aprire nuove strade che abbiano principi diversi e destinazioni prossime alla decenza. Io qualche ricetta ce l’ho, ma per ora vi lascio elaborare il conflitto (interiore, non a fuoco).

In contemporanea con MenteCritica

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giovedì 13 marzo 2008

In barba alla vita


Quando la vita ti strapazza come una frittatina (s'ode il rumore di certe uova, recitava Bergonzoni), devi saper reagire. E io sollo. È inutile armarsi fino ai denti, specie se in gioventù non hai curato a dovere l'igiene orale. È inutile scrutare le stelle con un approccio ascetico: siamo soli nell'universo. Anche se camminando di buona lena in direzione opposta all'espansione del cosmo, dovremmo raggiungerne il centro e lì, qualche negozio aperto dovrebbe esserci. È inutile piangere sul latte versato, anche se sei parzialmente stremato. Io ho fatto l'unica cosa sensata: mi sono fatto crescere la barba. Non una barbetta da aperitivo, una seria, da profeta. In patria.
Ciumbia, direte voi. Ma non sottovalutate le implicazioni reazionarie nascoste dietro un volto ad alta concentrazione pilifera.
Lasciarsi crescere la barba dà un senso di realizzazione, di distacco dal livello terreno. Da tutte quelle cose che sono normalmente favorite dall'avere un bel visino pulito. Si acquista anche una identificazione nebbiosa: non sei più il parente di qualcuno (“sai il cugino di quella con le tette panoramiche?”) o quello che svolge una specifica attività (“hai presente lo sventrasardine?”), ma diventi un serafico e ineffabile “quello con la barba”.
Il posizionamento sociale è determinante. Se vi trovaste nudi in una spiaggia nudisti vi sentireste a vostro agio e dovreste preoccuparvi solo di non giocare a racchettoni, ma se vi trovaste nudi durante una lezione di catechismo non sareste proprio sciolti e probabilmente dovreste preoccuparvi del prete. Ecco io ho un barbone selvaggio dove di solito fioriscono pizzetti o facce glabre. E la mia forza è ostentare sicumera pur non avendo alcun motivo per indossare tale corredo pilifero: non sono vecchio, non sono grasso, non ho una faccia che necessiti occultamento (non più di altre insomma), non sono un frate e non guido una slitta trainata da renne. Tutto questo confonde e inquieta.
Oltre al benessere interiore, questo vantaggio sociale porta incredibili benefici perché quando la vita si accanisce su di te, aggiunge a disgrazie personalizzate, l'imbattersi in persone talmente negative che imbattersi in una motrice di un camion sortirebbe danni di minore entità. D'accordo, forse sto esagerando. Diciamo che se Gurdjieff fosse venuto in giro con me, il suo libro “inconti con uomini straordinari” avrebbe contenuto molti meno capitoli. E così passo dalla persona che mi dichiara la sua stima, intendendo però che ha fatto una stima di quanto le posso servire, alla persona che, come una scimmia, non molla un ramo se non può attaccarsi ad un altro e mi dice che forse non lo so ma pure questo è amore. E poi la persona che trova affascinante il mio modo così particolare di essere un disadattato cosmico, però è convinta, per insondabili questioni gnè gnè, che io sia me stesso con tutti gli altri ma con lei sia proprio quella cosa lì che ha sempre voluto. E allora non va bene, ma, sempre per questioni gnè gnè, non è mai non va bene ciao, ma sempre non va bene crepa. Per fortuna incontro anche persone che vogliono il mio bene. Ma io non glielo lascio portare via.
Grazie al cielo (dicehillman) ci sono delle pause. Antonella, giù al ristorante Ferrovie Nord (se vi ci fermate dovete pagare a meno che non abbiate degli alberghi sopra), mi prepara sempre ottime portate e io la ringrazio di avermele portate. Anche se poi capita di mangiare di fianco a un tizio che ci tiene ad onorare le sue origini (in senso darwiniano) e affronta la pietanza come se fosse un consanguineo bisognoso di ablazione di parassiti. Mastica in modo talmente primordiale che a metà pranzo fa irruzione un documentarista di Discovery Channel. Oppure il baldo giovane che intrattiene i commensali con i resoconti di scorribande discotecare, specificando la qualità dei locali in base alla percentuale di successo copulatorio. Perché, cito testualmente, “io sono così: se esco devo colpire”. La disponibilità delle femmine ad essere colpite fa di loro “ragazze simpatiche” e del locale “un posto fico”, mentre la reticenza trasforma le donzelle in “mignotte”, ribaltando così il mio ingenuo concetto di mercimonio uterino. O più semplicemente ti capita quello che ti fissa da quando hai messo piede nella sala e che osserva ogni piatto che ti accingi a gustare come se dovesse giudicarti da quello che mangi. Io capisco che la sua vita è un disastro, visto che trova così interessanti i miei pizzoccheri, ma un paio di volte non ho resistito e ho chiesto se volesse vedere anche quando uscivano.
Ebbene signori, i miei due centimetri di barba creano uno scudo energetico che Spack se lo sogna (non Kathrine, quello con le orecchie). Perché la gente preferisce non interagire se sospetta che da un momento all'altro tu possa tirare una cordicella che spunta dal giaccone urlando Allah è un grande. Perché quando, per esempio, capiti in una tenzone stradale con un uomo vessato dalla moglie e dal capoufficio, quindi non disposto ad essere civile solo perché provieni da destra, un aspetto inquietante può risparmiarti un duello a colpi di cric e l'uomo medio si limita a mostrare il relativo dito. Se poi provvedi a coprirti il capo con una cuffia (non da piscina se no si perde l'effetto) e ad indossare un paio di guanti senza dita (i guanti non tu), è facile che tu possa rimediare un “mi scusi” anche se sei passato col rosso, su un dosso, in curva, con la nebbia, esplorandoti le cavità nasali. Perché spesso le persone, per quanto arroganti e votate a mantenersi almeno uno spazio in cui spadroneggiare, tendono a perseguire la linea della limitazione del danno.
Non fermatevi alle apparenze. Non mi giudicate male solo perché dormo appeso per i piedi avvolto in un bozzolo formato dalle mie ali. Io so apprezzare anche le cose che non condivido, almeno nella misura in cui mi faranno essere meno triste quando sarò morto. Ognuno è fatto a modo suo e si difende a modo suo. Chi con l'aggressività, chi con la fuga, chi con una roncola da mietitore. Io ho una faccia pelosa. Il che, oltre ai suddetti vantaggi, è una sorta di nulla osta per atteggiamenti sociali che non sarebbero ben accetti se provenienti da un viso curato. Come per esempio rispondere a un insolente con quel canto ecumenico che è il rutto di piloro.
Purtroppo ci sono anche degli svantaggi. Se ti metti un maglioncino con la zip, puoi stare certo che un pelo si incastrerà nella lampo e al primo movimento della testa sperimenterai come una cosa così piccola e insulsa come un pelo, possa generare un dolore talmente intenso da far agognare la morte. In più se siete donne dovrete superare anche qualche forma preconcetta di giudizio.
È chiaro che dovrete anche sentirvi ripetere in continuazione da tutti i vostri conoscenti la frase “ma 'sta barba? Quando te la tagli?”. Ma da questo tipo di piaghe non c'è modo di immunizzarsi. Come al ritorno dalla ferie: “finite le vacanze eh?” (no, sono tornato da Haiti perché avevo dimenticato i monboot in ufficio, ma ora riparto). O giunto nel luogo di vacanza: “quando sei arrivato?... Quando te ne vai?”. O quando qualcuno ti vede con una giacca di pelle con scritto sopra Ducati, degli stivali con gli slider e un casco in mano e... “sei venuto in moto?” (no, in tram, ma quel manovratore è un pazzo criminale). Ahimè la mia folta barba non può fare niente contro la mollosità della comunicazione umana, ben rappresentata dal mefitico e solforoso re dell'inferno dei rapporti sociali:

“che hai?”
“niente”

Be' ora anche voi avrete la barba. Non mi ringraziate.

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giovedì 6 marzo 2008

Cosa si può fare con una teiera e una radice di peyote


Ludwig Feuerbach era un filosofo dell'800, quindi tedesco. In Germania, in quegli anni, si pensava tantissimo, poi, nel novecento ci fu una maggiore propensione all'agire. Così come, nell'antichità erano i greci a chiacchierare fino allo spasmo faringeo. Poi però presero ad esercitare un democratico copulare promiscuo, sempre con maggiore enfasi, che li portò lentamente verso il declino della civiltà e la vittoria agli europei del 2004. Questo potrebbe far pensare che l'eccessiva elucubrazione porti a conseguenze nefaste, ma non voglio ragionarci su troppo. Del resto nell'antica Grecia non c'erano i televisori e passare la serata a guardare un filosofo non doveva essere divertentissimo.
Il buon Ludwig, dicevo, prese a studiare teologia, poi però si imbatté in Hegel che lo convinse che la religione non era altro che una blatta della società e decise di abbandonare Teo e dedicarsi alla filosofia. Certo se avesse incontrato Hermann Knauss magari si sarebbe iscritto a ginecologia e avrebbe avuto una vita meno cupa, ma tant'è. Nonostante questo, Feuerbach continuò ad occuparsi di religione, per tutta la vita, grazie al fatto che la fabbrica di porcellane della moglie gli permetteva di procacciarsi il cibo senza dover realizzare la propria esistenza nella nemesi stessa della filosofia: il lavoro. Sì perché Ludwig non riusciva nemmeno a parlare in pubblico perché il sudore gli faceva scivolare i fogli di mano e soprattutto a causa di una discussione con un suo studente davanti al personale non docente da cui non seppe riprendersi:

F: “L'uomo è finito nello spazio e nel tempo e così qualsiasi sua filosofia o religione non può definirsi assoluta o determinata in quanto basata su presupposti che il tempo modificherà o cancellerà”
S: “Quindi anche questa sua teoria non può dirsi assoluta”
F: “Esatto, vede che seguire i miei corsi le fa bene”
I bidelli si annuiscono intorno.
S: “Quindi, se la sua teoria non è assoluta, è possibile che un pensiero, una scienza, sia un giorno definitiva al di là del tempo e dello spazio”
Bidelli: “Oooooooh”

Feuerbach, che non era certo uno sprovveduto, salvò la situazione buttandola sul relativismo, rete di salvataggio di qualsiasi discussione, dalla zuffa da stadio alla tesi di laurea. Esempio di argomentazione relativista: "Secondo me è così". Esempio di argomentazione oggettivista "Sei un coglione". Purtroppo, il fatto di non riuscire ad articolare la sua difesa senza somigliare a Woody Allen decretò la sua sconfitta morale, amplificata dalla perdita del rispetto da parte degli addetti alla carbonaia. Per soprammercato giunse inesorabile la rottura con il suo mentore, Hegel, dovuta ufficialmente ad un contrasto sul concetto di infinito, ma voci ben informate riportano una barzelletta messa in giro da Hegel sulla moglie di Feuerbach con un gioco di parole basato sul termine “porcellana”.

F: “Mi spiace ma hai commesso un errore: è dal finito che discende l'infinito, non il contrario”
H: “Hai finito?”
F: “No, il font garamont rende le tue disquisizioni sul panteismo oltremodo ridicole”
H: “La tua barba è un insulto all'estetica shilleriana

Le cronache del tempo non sono chiare, ma pare che Feuerbach assoldò un filosofo albanese per commettere atti di vandalismo nella consapevolezza di Hegel.
Feuerbach abbandonò l'idea di diventare un filosofo di grido e sposare una modella italiana e si dedicò allo studio. Continuò a sostenere le funzioni terrene della religione, negandone caratteristiche divine e trascendenti. Sostenne che l'evoluzione naturale di una religione è la negazione di dio e l'affermazione della consapevolezza umana. Arrivò persino a postulare che una religione ben strutturata ha effetti assimilabili a quelli di una melanzana alla parmigiana e che quindi identificarsi in ciò che si crede è un po' come essere ciò che si mangia. O che si crede di mangiare.
Fece spazzatura di tutte le dimostrazioni ontologiche, a posteriori, a casaccio, dell'esistenza di dio e dell'uomo formulando il sensualismo: il dolore che si prova chiudendosi una mano, opportunamente raffreddata, in una portiera è sufficiente a dimostrare in toto la nostra esistenza e anche a maledirla.
Fatto sta che oggi le sue teorie sulla religione andrebbero rispolverate, sebbene egli stesso ebbe qualche tentennamento mistico sul finire della sua vita, ma si sa, su un aereo in panne non c'è nemmeno un ateo. Perché mai come oggi il significato di religione ha assunto la morfologia di una pappetta informe e limacciosa. Da un lato serve a un gruppo di scrittori, intellettuali, registi e compagnia cantando, per inventare, screditare, riabilitare teorie sensazionali a fronte di cachet sbalorditivi e dall'altro consente agli atei di affermare l'inferiorità intellettuale dei religiosi dimostrata dall'esorbitante numero di fesserie che si fanno in nome di dio. Come se in nome del denaro e del triangolo sotto i bermuda si facessero cose intelligenti. Io credo. Credo in chi disse che una società di atei inventerebbe subito una religione (credo Balzac o Tom Cruise, non ricordo).
Degli allegri modi in cui viene utilizzata e descritta la religione avevo parlato qui. L'ultima trovata è di un “ricercatore” israeliano che sulla rivista di filosofia “Time and mind” applica le sue nozioni di psicologia cognitiva per dimostrare che Mosè, quando ricevette le tavole della legge, era strafatto di mescalina. L'abuso di allucinogeni da parte del profeta lo portò a chiacchierare con un cespuglio perennemente in fiamme e successivamente i relatori delle sacre scritture si arrangiarono alla meglio dovendo tradurre in aramaico frasi come “cioè che storia, Sefora passami due toffolette”. È quindi probabile che i comandamenti, frutto di viaggi mescalinici, non fossero esattamente quelli tramandati dalla Bibbia. Forse c'erano anche un undicesimo “falla girare” e un dodicesimo “che c'hai n'euro?”.
È evidente che qualche intellettuale trova più utile tutto questo di una fede.
Ricordo che un giorno pensai che se una religione professa la pace e l'armonia tra gli uomini fa già molto di più di quello che ci si può aspettare da un vicino di casa e, per questa ragione, per quanto mi riguarda i suoi fedeli possono anche adorare un'enorme teiera. A quanto pare ho lo stesso pusher di Mosè perché esiste veramente un simile culto. Ne ho avuto notizia grazie all'arresto di una discepola, condannata a due anni da un tribunale islamico per apostasia. Perché quando si parla di fede se ne parla sempre per conflitti, per trarne profitto o per farsene beffe. Certo ammetto di essermi chiesto se le funzioni del culto della teiera si svolgono alle cinque e se c'è stato uno scisma tra la chiesa del latte e quella dello zucchero, ma solo perché sono invidioso e perché la mia congrega della cuccuma è fallita a causa di nervosismi intestini.
Fermandomi all'interno dei confini terreni, non condivido la religiosità se è dipendenza da un bisogno di colmare vuoti personali invece di espressione consapevole della propria interiorità.
D'altro canto, guardandomi intorno, la religione è l'unica cosa rimasta che dia all'uomo un senso di inadeguatezza, in un mondo in cui quasi tutti si relazionano con presupposti di superiorità e alla parola dio, hanno aggiunto un apostrofo.

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domenica 24 febbraio 2008

Sollecito di pagamento


Raffaele Sollecito è rinchiuso in un carcere di massima sicurezza. Per il momento l’unica cosa accertata a suo carico è il fatto che fumasse erba come un altoforno di Bagnoli, acquistata con la cartina di credito di papà (l’erba non Bagnoli). Frattanto Mamma Maria Franzoni, riconosciuta colpevole di aver ucciso suo figlio in una di quelle mattine un po’ così, in cui ti svegli che già ti girano, è a casa ad allevare bambini di riserva che si svegliano all’alba e quatti quatti si defilano come giovani amanti e si allungano solinghi fino a scuola, tra le rassicuranti cure di qualche maestro fisicamente affettuoso. L’Italia della giustizia un tanto al chilo è un teatro dell’assurdo. Colpa dei giudici? Probabilmente no. Dei media? Po’ esse. Degli avvocati? Mppfffffhhh.
Sicuramente gli italiani hanno la memoria corta se non si tratta di far riemergere un rigore non dato per intervento scortese su Frustalupi lanciato a rete come un tonno. E mentre impalerebbero un arbitro al pennone più alto della telecom, ostentano indulgenza per terroristi e affini. Nelle università si rimbalza l’alemanno pontefice perché non rispetta la scienza e si concedono pulpiti e palpiti ad assassini e sovversivi, perché non rispettare la scienza è oscurantista, non rispettare la vita fa molto guerriero.
Passa silente, di contro, lo sdegno di Benedetta Tobagi, figlia di Walter, giornalista del Corriere della Sera, assassinato da un commando di 4 brigatisti armati che, in un eroico agguato, riescono ad avere la meglio su un uomo solo, munito di lettera 22. E non erano figli di quattro turnisti della Breda, ma della borghesia bene di Milano. Il più samurai bene dei quattro riesce persino a sparargli un colpo di grazia mentre il giornalista è a terra ormai esangue. E sangue ce n’era molto.
Benedetta viene a sapere che in un teatro di Roma va in scena un’opera di Erri de Luca: “Chisciotte e gli invincibili” sul tema emozionale dei combattenti irriducibili, degli idealisti, degli ultimi samurai insomma. Viene anche a sapere che, invitato alla prima, è Vittorio Antonini, già capo della colonna romana delle BR, condannato per il sequestro Dozier nel 1985 e già a spasso per la capitale oltre che assunto dal vagamente attuale governo come consulente. Benedetta Tobagi chiama la direzione del teatro e chiede se è vero che l’ex brigatista, mai pentito, rappresenterà questo ideale di guerriero alla faccia delle vittime indifese e dei loro cari. “Speriamo proprio di sì” è la risposta che riceve.
Uno che invece non è abbastanza sexy per teatri e tv è Cristoforo Piancone. Ex brigatista condannato all’ergastolo per aver dimostrato sprezzo del pericolo sparando alle spalle e finendo con un colpo alla nuca il maresciallo Rosario Berardi. Questo portatore di Cristo (Cristoforo), fedele alla linea, è stato recentemente arrestato, per una rapina in banca, durante la quale ha tentato di sparare ai carabinieri (certe attitudini hanno caratteristiche endemiche, ma a volte si inceppano). Era in semilibertà.
Ma gli eroi non hanno colore. Saltando dall’altra parte dell’estremismo sovversivo, patologia oggi curata con il viagra, ne troviamo di altrettanto coraggiosi e quindi perdonabili. Pierluigi Concutelli è stato condannato a tre ergastoli per una serie di omicidi, alcuni dei quali commessi così, come se uno vi tagliasse la strada e voi optaste per la gola. Nel 1976, insieme ad altri eroi di ordine nuovo, aspetta sotto casa un uomo di stato, un uomo di valori: il giudice Occorsio. Lo aspettano armati di mitra e lo massacrano, nonostante Occorsio avesse dalla sua un altissimo senso del dovere e la pietà di risparmiare ad una possibile scorta, di finire sotto i colpi di coraggiosi pensatori con ideali calibro nove. Concutelli finisce in carcere ma quando uno è eroe dentro non può fare a meno di gesti moralmente spettacolari. Così nel 1985 decide che è cosa degna, strangolare a mani nude due suoi “colleghi” (Buzzi e Palladino) accusati di essere delatori. Questo figlio degli ideali, a cui non ha mai rinunciato, è anch’egli, a spasso. Ma non a spasso in qualche eremo lontano da noi vili, no. Partecipa a trasmissioni televisive, pubblica libri ed è invitato a presentazioni culturali, durante le quali dice la sua sugli anni di piombo.
Il mio punto di vista di non idealista è che la sua l’abbia già detta sparando alle spalle di uomini disarmati. Ora secondo me dovrebbe tacere finché anche le controparti potranno ribattere ai suoi argomenti e siccome si trovano tutte in ambasce a causa di un’intossicazione da piombo nota come saturnismo, dovrebbe tacere per un bel pezzo.
Io spero che chi concede spazio a questi eroi non si renda conto delle conseguenze. Spero non pensi alla totale mancanza di rispetto per i morti e per chi sopravvive senza. Mi auguro non sappia che questi personaggi, che mai hanno abiurato le loro fedi, sono tuttora dei pericoli effettivi. Perché la guerra al terrorismo non è finita, perché muoiono i Biagi e i D’antona, perché l’estrema destra è attiva e si ispira ai suoi simboli degli anni della follia, simboli che stanno innalzando per poter avere lo stesso effetto sull’audience. Le conseguenze di tutto questo a qualcuno dovranno essere imputate, qualcuno dovrà pagare gli esorbitanti debiti umani lasciati dopo aver goduto e approfittato. Ma responsabilità e imputati sono termini scivolati via dai nostri vocabolari.
Io posso anche essere felicetto se D’Elia, dopo aver emesso e concorso ad eseguire condanne a morte, firmi la moratoria contro la pena capitale dalla sua bella sedia fornitagli sempre dal diversamente attuale governo. Non oso nemmeno chiedere di paragonare il tempo dedicato alle vittime innocenti con quello dedicato ai legamenti di Ronaldo, ma qualcuno dovrebbe capire che se vogliamo mantenere un minimo di contraddittorio non si può far parlare personaggi i cui detrattori presentano evidenti segni di decomposizione.
E la colpa è di tutti. I politici che vanno a braccetto con i terroristi e scrivono emendamenti in loro favore come se piovesse e solo 5 dico 5 per le loro vittime. Dei giudici che aprono celle di assassini mai pentiti con tanti ergastoli da preoccupare un highlander. Dei giornalisti che riabilitano come un Cristo Pantocratore. Degli editori di libri, tv e teatro che danno un valore al rispetto, ma in euro.
Tutto questo è importante, ma magari ne riparliamo dopo le 800 mila moviole della frattura del calciatore brasiliano, perché il ribrezzo vende e vende meglio se esposto.

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lunedì 18 febbraio 2008

Strategie perdenti


Non capisco perché l’uomo si impegni tanto ad elaborare sofisticati strumenti di tortura, non era sufficiente la pulizia dei denti? Tale forma di sadica sevizia, inventata dal dentista di Torquemada, ha comunque i suoi utili risvolti. Per esempio ti crea nella cavità orale quella sensazione di correnti aeree e, da non sottovalutare, alimenta un’irrefrenabile impulso ad insinuare la lingua in anfratti inesplorati, uscendone talmente martoriata da ritrovarsi a parlare come Jovanotti, ma privo di molte più consonanti (e lo fo che non fono il folo). Ci si può anche scordare di pronunciare la parola “apocatastasi” senza innaffiare gli astanti di succhi ghiandolari.
Mentre mi sottoponevo a questa periodica espiazione dei peccati attraverso il dolore, tentavo di distrarmi, nella misura in cui è possibile distrarsi con una assistente di sedia infilata nelle bocca fino all’avambraccio. La mia fissità oculare, tipica della sofferenza e del cretinismo delle valli, indugiava su un telefono, appoggiato in parte, triste ed emarginato forse perché unico strumento non votato all’offesa in quella saletta.
Nella mia fuga mentale dall’atrofia mascellare ho cominciato un ardito parallelismo tra l’antitartaro e l’antitrust e tra me e la Telecom. Immagino che anche quest’ultima farebbe volentieri a meno di una certa pulizia, ma in qualche modo si rende conto che è necessaria.
Premessa cognitiva. L’antitrust è un organo di controllo del mercato che funziona pressappoco così: se vendi a un prezzo troppo basso ti multa per concorrenza sleale, se vendi a un prezzo troppo alto ti multa per abuso di monopolio, se vendi allo stesso prezzo degli altri ti multa per accordi di cartello.
La Telecom però è furba, mica me. Usa il filo intermentale per evitare di sdraiarsi sulla sedia dell’antitrust, tra sudarelle e gridolini soffocati. Per esempio ha recentemente scorporato dall’azienda, previa anestesia locale, la struttura che gestisce le tecnologie del network in modo da rapportarsi a tutti i clienti fornitori di servizi di connessione e di fonia, allo stesso modo, Telecom stessa compresa. Esprimendomi più per stracci: se Telecom e Tiscali ti offrono lo stesso servizio in concorrenza, non è molto “libero mercato” il fatto che Tiscali abbia bisogno di Telecom per offrirtelo. Quindi si crea una nuova struttura, che nasce da Telecom, che fornisce i mezzi sia a Telecom che a Tiscali per poter vendere i loro servizi a noi. Sticazzi. Uno poi si chiede perché esista la Bocconi. Per sfornare quelli che fanno queste pensate. Poi qualcun altro, che magari ha fatto l’ITIS a San Donato Milanese, si chiede come verrà poi gestito l’ovvio monopolio di questa nuova struttura. Potrebbe anche avere qualche dubbio sul fatto che in realtà questo non è un vero e proprio scorporo. Hanno semplicemente dato un nome esotico al settore tecnologia e investimenti: Open Access. E passa la paura. Come se io avessi un dente cariato e dicessi al mio dentista che non è da curare, è un Open Tooth. Cosa che in effetti è. Però io ho fatto l’ITIS quindi i miei dubbi non valgono.
Io non sono un concorrente di Telecom, non ho il physique du role nemmeno per fare il concorrente a Passaparola. Però utilizzo le risorse di questa fantomatica Open Acces e non è che disegni traiettorie ardite correndo nudo per la felicità. La Telecom ha il più alto numero di denunce depositate presso le associazioni di consumatori. Eggrazie, direte voi, ha anche il più alto numero di clienti. Non ci avevate pensato? Male, perché sarebbe stata un'ottima osservazione.
Ad ogni modo, l'antitrust una visita di controllo alla Telecom l'ha fatta e gli ha prescritto il divieto di cessare quelle utenze che non hanno pagato le bollette astronomiche frutto di truffe, in qualche modo agevolate da Telecom stessa. Funziona così: tu ti connetti a internet per i soliti motivi perversi, vai sul sito di Mastella, ti prendi un virus (per la precisione un dialer), che ti fa credere di essere connesso con il tuo provider di fiducia, invece rimbalza la chiamata su un numero a tariffazione astronomica o a una connessione satellitare. Infatti il satellite spia che vogliono abbattere, non è un pericolo per la terra, sono le associazioni di consumatori che stanno cercando di tirarlo giù perché è quello che smista le chiamate. In che modo Telecom agevola queste truffe? Modo numero A: consentendo a società dalla dubbia ragione sociale, di fornire servizi che nessuno richiede scientemente e dalle evidenti caratteristiche gabbatorie. Modo numero B: lasciando attivi gli accessi a questi servizi attraverso le utenze private, fino a richiesta di dismissione. Il fatto che la gente non sappia nemmeno dell'esistenza di questi meccanismi spiega la nascita di queste società truffaldine e quindi fa funzionare il modo numero A. Per rapportare questo concetto alla vita reale, sarebbe come se vostra moglie vi dicesse di aver comprato una pelliccia con i vostri soldi, visto che non avete mai fatto specifica richiesta di non acquistare pellame di valore. Per soprammercato, non sapevate di avere una moglie.
Modo numero C:

Utente: “Buongiorno, mi scusi mi sono ritrovato sulla bolletta 2500 euri per una chiamata nella Guinea Antartica”
Telecom: “E allora?”
Utente: “Be' a parte che la Guinea Antartica non esiste, ma io non ho mai fatto questa chiamata”
Telecom: “Noi non rispondiamo del mancato upgrade di release di spyware e antidialer, su connessioni pear to pear”
Utente: “......(forse ho chiamato per sbaglio Telecom Serbia)... what?”
Telecom: “Cazzi suoi”
Utente: “Ah ok”

Ora sta arrivando il wi-max. Non è uno scooterone, ma il nuovissimo sistema (presente nei paesi civilizzati da circa 2 decenni), per collegarsi al sito di Mastella da qualsiasi luogo vi troviate, un tram, una cabina elettorale o in Guinea Antartica. C'è un'asta in corso per aggiudicarsi l'appalto di questa tecnologia e Telecom, che sta facendo rilanci di 20 centesimi di euro alla volta (tanto per mantenere il suo stile slow food), sostiene di essere l'unica azienda in grado di attuare questa rivoluzione tecnologica. Ora, è vero che la sedia di un dentista non è il luogo acconcio per farsi prendere dall'ottimismo, ma io un po' preoccupato ammetto di esserlo. Grazie a Telecom le connessioni veloci e sicure (presenti nei paesi civilizzati dal medioevo) sono ancora un sogno per molta gente. Adducendo una serie di scuse bibliche, alcune addirittura ritrovate sulla stele di Rosetta, la Telecom lascia una buona fetta di popolazione senza un servizio indispensabile come l'ADSL. È incredibile l'indifferenza verso drammi umani quali il dover aspettare minuti interi prima di vedere la foto di Mastella o non riuscire a piratare il film dei Simpson in tempi ragionevoli. Un mio amico, non io eh, un mio amico, ha scaricato un film porno con la sua connessione analogica che è talmente lenta che quando ha aperto il video si è ritrovato degli anziani che facevano sesso.
Riassumendo. L'infrastruttura si basa ancora su tecnologia Savoia Marchetti 1915 (quella per gli utenti, perché quella per le intercettazioni è la stessa di Star Trek), l'assistenza agli utenti è affidata a precari giustamente imbufaliti e le procedure burocratiche sono ispirate ai progetti di costruzione della torre di Babele. Per la precisione a un concetto di flusso di lavoro gestito da semafori. Il flusso di lavoro è una serie di procedure inventata dagli analisti più avvertiti, per ottimizzare la realizzazione di un prodotto o di un servizio attraverso tutti i suoi passaggi. Quello dei semafori è solo una delle molte filosofie in questo campo, che però hanno tutte tre caratteristiche comuni: nessuna delle parti del processo di produzione ha una vaga idea di che cosa sia il flusso di lavoro, se una di queste parti si gratta il culo invece di starnutire tutto il flusso finisce a carte e quarantotto e seguire pedissequamente il flusso di lavoro aumenta del 300% i tempi di realizzazione. Unico vantaggio: se qualcosa si blocca o funziona male, l'azienda sa con chi prendersela. Però sarà uno raccomandato quindi fa niente tanto paga il consumatore.
In queste condizioni Telecom vuole gestire il wi-max su scala nazionale. Un po' come se il mio dentista, non riuscendo a curare una semplice carie, mi proponesse un intervento di bypass coronarico.

“Era tanto che non facevi la pulizia dei denti vero?”
“Sì in effetti sì”
“L'avevo intuito. Senti il tartaro te l'ho messo in un sacco, magari se devi fare dei lavori di ristrutturazione in casa può tornarti utile”

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