Facciamo due conti: in una importante libreria di una qualsiasi grande città italiana, possiamo tranquillamente trovare più di 100.000 titoli. Ora, consideriamo che un uomo medio (con un lavoro, una famiglia e i suoi bravi problemini quotidiani) riesca a leggere tre libri al mese (impresa già di per sé notevole) e che riesca a mantenere questa media per cinquant’anni: se ne deduce che in questo considerevole lasso di tempo arriverebbe ad un totale di 1.800 libri, esattamente l’1,8% di quelli contenuti nella suddetta libreria (che non può essere certo considerata il deposito dello scibile umano). Per completare il quadro si può aggiungere che per compiere la titanica opera di leggere i famosi 100.000 libri (diciamo per esempio in 60 anni) bisognerebbe “divorarne” circa 4 al giorno, attività per la quale la pazienza di un santo e la resistenza di un cavallo non sarebbero sufficienti.
Ma che bisogno c’è di leggere tanto?
Nessuno. Infatti questo non vuole essere uno dei soliti inviti alla lettura stile “andate in libreria che fa bene e previene la carie”, oppure “regalate un libro” che mi fa sempre pensare che in realtà la frase continui con “a quegli zucconi dei vostri amici così imparano qualcosa invece di stare sempre seduti in quel bar!”. Niente di tutto questo, anzi: spesso la mia passione morbosa per determinati libri mi spinge a provare “fastidio” nel vedere altri leggerli. Ricordate il libraio de L’ultima lacrima di Benni che vendeva libri solo se questi volevano essere letti dal cliente che li desiderava? Ecco, penso ci siano libri che non sono stati scritti per essere letti da tutti o, più in generale, che la lettura non sia uno sport per tutti, ma non in senso elitario, non credo che una persona sia migliore di un’altra solo perchè legge più libri. E’ un po’ come la musica: non è ben chiaro perché si avverta la tacita convinzione che chi apprezza la musica classica sia migliore (più “intelligente”?) di quanti non riescono a rimanere svegli sentendola.
Forse, qualcosa di elitario c’è (come in ogni altro aspetto della vita): un fanatico dell’operetta non considererà mai un patito dell’hip-hop un vero musicista, ma è un elitarismo circoscritto, contestualizzato. Non va male interpretato Emanuele Trevi quando dice “Non viene mai il sospetto che di libri se ne leggano troppi? [..] che vi sia troppa gente che va ai musei”, bisogna considerare il punto di vista di chi ritiene inutile costringere pessimi lettori a sorbirsi controvoglia uno Svevo piuttosto che un Ulisse di Joyce (giuro che un giorno riuscirò a finirlo), creando così una cultura (“libresca”) di secondo livello o comunque costruita, non genuina, oserei dire transgenica! Ciò che è bello pensare (sempre secondo Trevi) è che “Ci sarà sempre un ragazzo solitario capace di procurarsi un romanzo di Stevenson”.
Argomento interessante è invece quello della “selezione”. Avete mai pensato al modo in cui scegliete i libri che leggerete (o meglio che comprerete)? Io ho cominciato a rifletterci seriamente da quando mi sono reso conto, entrando in una libreria, che avrei acquisito in tutta la mia vita, solo il 2% del sapere contenuto in quel misero negozietto. Così ho inquadrato alcune tecniche di selezione inconsce (o stupide, è uguale) che utilizzo regolarmente convinto in realtà di effettuare una scelta ragionata e competente. Tecniche che ho scoperto essere molto diffuse tra i frequentatori di librerie, anche se con qualche variante tematica. La più immediata è senz’altro la selezione estetica: io per esempio mi accorgo di scartare a priori tutte quelle copertine coloratissime piene di disegni e con i titoli scritti a caratteri cubitali (stile molto diffuso tra gli “scrittori-fiume” americani). A seguire, troviamo la scelta da impatto sociale: molti comprano i libri più venduti al momento o di cui si parla di più (Costanzo docet), io di solito ho la reazione contraria. Diffido istintivamente (probabilmente a torto) dei libri d’esordio che vendono milioni di copie, soprattutto se si sente puzza di manovre editoriali: il vendutissimo La profezia di Celestino aveva sin dall’inizio suscitato il mio disinteresse, poi uscirono in poco tempo (sempre di Redfield) Guida alla profezia di Celestino, La decima illuminazione, Guida alla decima illuminazione e alla comparsa del Diario della profezia di Celestino, si sommò al disinteesse qualche pallido sospetto. Sì perché, io non nego che uno sconosciuto (al mondo letterario) possa scrivere un libro stupendo (come ha fatto per esempio Paolo Maurensig), ma questa insistenza mi è parsa un po’ un battere il ferro finché è caldo. E’ come se Umberto Eco avesse fatto seguire a Il nome della rosa un “Il cognome della margherita” (stat margherita pristina nomine….). Però La profezia di Celestino alla fine l’ho comprato, ma ho anche La prozia di Celestino (seguito del Fagiano Jonathan Livingston, manifesto contro la New Age), perché un’altra regola che sono spinto a seguire è quella secondo la quale, tra gli scaffali delle mie librerie, debba regnare una sorta di par condicio. Così tengo vicini De Felice e Hobsbawn, Hofstadter e Gurdjieff, Freud e Jung, la Bibbia e il Corano, l’Uomo Ragno e Capitan America. Tra l’altro questa tecnica è molto utile per difendersi dai “radiologi della cultura”, quelli che invitate a casa e per prima cosa vi scrutano la libreria come il medico scruta i vostri esami del sangue e cominciano ad inquadrarvi mentalmente: “dunque .… positivista …. junghiano …. erotomane”; andateglielo a spiegare poi che Il delta di Venere ve l’ha regalato un vostro amico pensando si trattasse di un testo di astronomia. Dopodiché vi guardano con aria inquisitoria e formulano la fatidica domanda “ma li hai letti tutti?”. Appena i vostri neuroni avranno rinunciato a tentare invano la strada della telecinesi per far piombare sulla testa del vostro amico il trofeo che tanto sudore vi è costato all’ultimo torneo di curling, un sorriso colpevole tenterà di nascondere la vostra risposta negativa. Questa è forse una delle cose che i “non lettori” capiscono con più difficoltà: non è stupido comprare libri che rimarranno intonsi nelle librerie di casa per anni (io ho libri che non ho mai letto in edizioni diverse, perché non avendoli letti mi dimenticavo di averli), perché spesso leggere un libro è tanto affascinante quanto l’idea di farlo.
Ci sono, infine altre tecniche di selezione meno raffinate ma molto pratiche: scegliere in base allo spessore, nel caso si debba chiudere un buco nella libreria; oppure in base a quello che il libro stesso promette (diventare ricchi, belli, magri, in pace con sé stessi, con gli altri, vincere lo stress, vincere a scacchi, rendere inoffensiva la suocera ecc.) o più semplicemente in base al rapporto prezzo - numero di pagine. Ma la tecnica più in voga tra i topi di libreria è senza dubbio il “sesto senso libresco”: “ha letto il mio libro?”, chiese uno scrittore a Emilio Cecchi “Non l’ho letto, ma non mi piace”, fu la risposta. Questo sesto senso difensivo, in un mondo che ci sommerge di informazioni, è secondo La Capria, “cultura”. E, sempre secondo La Capria, a volte può capitare anche di difendersi da capolavori, dal loro “contagio”: Ungaretti, a chi gli chiese un parere sulle poesie di Montale rispose “Non posso leggerle, se no mi sciupo”.
Ma che bisogno c’è di leggere tanto?
Nessuno. Infatti questo non vuole essere uno dei soliti inviti alla lettura stile “andate in libreria che fa bene e previene la carie”, oppure “regalate un libro” che mi fa sempre pensare che in realtà la frase continui con “a quegli zucconi dei vostri amici così imparano qualcosa invece di stare sempre seduti in quel bar!”. Niente di tutto questo, anzi: spesso la mia passione morbosa per determinati libri mi spinge a provare “fastidio” nel vedere altri leggerli. Ricordate il libraio de L’ultima lacrima di Benni che vendeva libri solo se questi volevano essere letti dal cliente che li desiderava? Ecco, penso ci siano libri che non sono stati scritti per essere letti da tutti o, più in generale, che la lettura non sia uno sport per tutti, ma non in senso elitario, non credo che una persona sia migliore di un’altra solo perchè legge più libri. E’ un po’ come la musica: non è ben chiaro perché si avverta la tacita convinzione che chi apprezza la musica classica sia migliore (più “intelligente”?) di quanti non riescono a rimanere svegli sentendola.
Forse, qualcosa di elitario c’è (come in ogni altro aspetto della vita): un fanatico dell’operetta non considererà mai un patito dell’hip-hop un vero musicista, ma è un elitarismo circoscritto, contestualizzato. Non va male interpretato Emanuele Trevi quando dice “Non viene mai il sospetto che di libri se ne leggano troppi? [..] che vi sia troppa gente che va ai musei”, bisogna considerare il punto di vista di chi ritiene inutile costringere pessimi lettori a sorbirsi controvoglia uno Svevo piuttosto che un Ulisse di Joyce (giuro che un giorno riuscirò a finirlo), creando così una cultura (“libresca”) di secondo livello o comunque costruita, non genuina, oserei dire transgenica! Ciò che è bello pensare (sempre secondo Trevi) è che “Ci sarà sempre un ragazzo solitario capace di procurarsi un romanzo di Stevenson”.
Argomento interessante è invece quello della “selezione”. Avete mai pensato al modo in cui scegliete i libri che leggerete (o meglio che comprerete)? Io ho cominciato a rifletterci seriamente da quando mi sono reso conto, entrando in una libreria, che avrei acquisito in tutta la mia vita, solo il 2% del sapere contenuto in quel misero negozietto. Così ho inquadrato alcune tecniche di selezione inconsce (o stupide, è uguale) che utilizzo regolarmente convinto in realtà di effettuare una scelta ragionata e competente. Tecniche che ho scoperto essere molto diffuse tra i frequentatori di librerie, anche se con qualche variante tematica. La più immediata è senz’altro la selezione estetica: io per esempio mi accorgo di scartare a priori tutte quelle copertine coloratissime piene di disegni e con i titoli scritti a caratteri cubitali (stile molto diffuso tra gli “scrittori-fiume” americani). A seguire, troviamo la scelta da impatto sociale: molti comprano i libri più venduti al momento o di cui si parla di più (Costanzo docet), io di solito ho la reazione contraria. Diffido istintivamente (probabilmente a torto) dei libri d’esordio che vendono milioni di copie, soprattutto se si sente puzza di manovre editoriali: il vendutissimo La profezia di Celestino aveva sin dall’inizio suscitato il mio disinteresse, poi uscirono in poco tempo (sempre di Redfield) Guida alla profezia di Celestino, La decima illuminazione, Guida alla decima illuminazione e alla comparsa del Diario della profezia di Celestino, si sommò al disinteesse qualche pallido sospetto. Sì perché, io non nego che uno sconosciuto (al mondo letterario) possa scrivere un libro stupendo (come ha fatto per esempio Paolo Maurensig), ma questa insistenza mi è parsa un po’ un battere il ferro finché è caldo. E’ come se Umberto Eco avesse fatto seguire a Il nome della rosa un “Il cognome della margherita” (stat margherita pristina nomine….). Però La profezia di Celestino alla fine l’ho comprato, ma ho anche La prozia di Celestino (seguito del Fagiano Jonathan Livingston, manifesto contro la New Age), perché un’altra regola che sono spinto a seguire è quella secondo la quale, tra gli scaffali delle mie librerie, debba regnare una sorta di par condicio. Così tengo vicini De Felice e Hobsbawn, Hofstadter e Gurdjieff, Freud e Jung, la Bibbia e il Corano, l’Uomo Ragno e Capitan America. Tra l’altro questa tecnica è molto utile per difendersi dai “radiologi della cultura”, quelli che invitate a casa e per prima cosa vi scrutano la libreria come il medico scruta i vostri esami del sangue e cominciano ad inquadrarvi mentalmente: “dunque .… positivista …. junghiano …. erotomane”; andateglielo a spiegare poi che Il delta di Venere ve l’ha regalato un vostro amico pensando si trattasse di un testo di astronomia. Dopodiché vi guardano con aria inquisitoria e formulano la fatidica domanda “ma li hai letti tutti?”. Appena i vostri neuroni avranno rinunciato a tentare invano la strada della telecinesi per far piombare sulla testa del vostro amico il trofeo che tanto sudore vi è costato all’ultimo torneo di curling, un sorriso colpevole tenterà di nascondere la vostra risposta negativa. Questa è forse una delle cose che i “non lettori” capiscono con più difficoltà: non è stupido comprare libri che rimarranno intonsi nelle librerie di casa per anni (io ho libri che non ho mai letto in edizioni diverse, perché non avendoli letti mi dimenticavo di averli), perché spesso leggere un libro è tanto affascinante quanto l’idea di farlo.
Ci sono, infine altre tecniche di selezione meno raffinate ma molto pratiche: scegliere in base allo spessore, nel caso si debba chiudere un buco nella libreria; oppure in base a quello che il libro stesso promette (diventare ricchi, belli, magri, in pace con sé stessi, con gli altri, vincere lo stress, vincere a scacchi, rendere inoffensiva la suocera ecc.) o più semplicemente in base al rapporto prezzo - numero di pagine. Ma la tecnica più in voga tra i topi di libreria è senza dubbio il “sesto senso libresco”: “ha letto il mio libro?”, chiese uno scrittore a Emilio Cecchi “Non l’ho letto, ma non mi piace”, fu la risposta. Questo sesto senso difensivo, in un mondo che ci sommerge di informazioni, è secondo La Capria, “cultura”. E, sempre secondo La Capria, a volte può capitare anche di difendersi da capolavori, dal loro “contagio”: Ungaretti, a chi gli chiese un parere sulle poesie di Montale rispose “Non posso leggerle, se no mi sciupo”.
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1 commento:
ciao,l'argomento libri mi ha preso moltissimo dato ke io sono stata una d quelle persone ke ha letto fino all'alba,ke ha letto sull'autobus sbagliando fermata tutti i giorni e ke è arrivata al punto d non voler uscire d casa perchè il libro sarebbe andato avanti senza d me...
Devo dire che concordo con te sui criteri dellsa scelta dei libri,specialmente nell'evitare i titoli grandi e colorati,io però ho avuto una rara fortuna:alle superiori ho avuto una prof ke stimavo molto e ke era appassionata d libri e aveva la capacità d trasmetterti questa passione (sempre ke uno non fosse un completo analfabeta o una bestia);aveva una cultura profonda e sconfinata e amava quello ke t insegnava:i libri ke mi ha consigliato lei me li ricordo tutti,non ce n'è uno ke non mi abbia colpito.
Holden dice ke un libro è bello se quando l'hai finito t vien voglia d chiamare l'autore al telefono e parlarne e a me è successo spesso,ma,visto che ami le citazioni,Guareschi ha detto ke la cultura è una porcheria perchè t amareggia oltre la vita, anche la morte e, se hai un problema,ne puoi parlare meglio al bar.
Circa è quello d cui trattavi tu,e io son d'accordo, a me la lettura non ha migliorato la vita,ho cercato nei libri la soluzione ai miei numerosi problemi,ma ho solo pegiorato la situazione,ho perso il contatto con la realtà e passato troppo tempo in solitudine.
Paradossalmente ho trovato un pò d tranquillità quando non la cercavo più e senza l'aiuto dei libri,anzi in quei periodi smettevo completamente d leggere e stavo proprio bene.
Nonostante questo,mi capita d andare in casa d conoscenti e inorridire perchè non posseggono nemmeno un libro,recentemente un'amica mi ha detto candidamente d non aver mai letto un libro in vita sua perchè non ha tempo da perdere.
Da quel momento l'ho guardata sotto un'altra luce e ho dato una spiegazione a molti suoi comportamenti,la sua eterna allegria forse non dipende dal buon carattere.
Essere un lettore accanito non t fa diventare migliore o intelligente,ognuno poi ha un suo modo d recepire ciò ke legge.
Mi è capitato d incontrare persone ke leggono molto,ma sono ugualmente vuote e superficiali,ma ,nonostante tutto,non posso fare a meno d diffidare d chi non ha mai letto in vita sua,è una forma d razzismo,ma è più forte d me.
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