Era una mattina zeppa di un sole scottarello. Con la mia motoretta, bordeggiavo a mezzo gas, lungo la nuovissima super strada delle lamiere contorte nell’intento umile di smettere di esistere nel luogo di partenza e cominciare a farlo in quello di arrivo. Convinto, come si è sempre in questi casi, che il secondo arrecherà vantaggi che il primo non poteva permettersi. Ci volle poco a capire che l’opzione smettere di esistere in ogni dove, faceva capolino dalle buche nel nuovissimo asfalto pluriappaltato. La segnaletica orizzontale mancava all’appello, rendendo la strada, una sorta di lunghissimo autoscontro. In effetti è plausibile che le righe per terra, per un errore di fornitura, fossero state tracciate in grigio bitume, ma essendo sprovvisto delle lenti a scansione di frequenza, non ho potuto appurare la cosa. Due lingue di guardrail modello scimitarra malese, scintillavano minacciose, mentre automobilisti patentati al cepu e camionisti in viaggio dalla seconda guerra punica, mi davano la giusta prospettiva del valore della vita.
A costellare questo monumento all’inefficienza, una serie spaventosa di sistemi di rilevamento della velocità assemblati grazie a schemi rinvenuti sull’astronave aliena custodita nell’area 51 di Gratosoglio. Uno di questi velox è in grado di calcolare la velocità di un mezzo dal livello di contrazione dei glutei del conducente. Ma quel semaforo che da 6 anni fa luci a intermittenza invece di diventare rosso, ancora non sono riusciti a ripararlo.
Una pattuglia di vigili armati di pistola laser e smolecolatore di patenti, mi ferma immediatamente dopo un segnale di limite 20. Io una volta ho provato ad andare a 20 all’ora. Sono caduto. Poi ho fatto un corso di trial e ora riesco a scendere fino a 11. Quel giorno io il limite lo stavo rispettando, ma uno Scania 12 assi (triplo poker), passandomi a un pelo di petto di camionista, mi ha risucchiato nella turbolenza, trascinandomi mio malgrado a velocità smodata. Con il solito gioviale atteggiamento da rettrice di istituto correttivo per minori, il tutore dell’ordine motorio mi eleva contravvenzione punticida. Nell’atto orgasmico di consegnarmi il verbale insanguinato, il vigile che in quanto tale è attento, nota nel cupolino del mio mezzo, un televisore LCD 12 pollici. Acceso. Dopo avermi chiesto che cosa stesse facendo l’inter, l’integerrimo agente, agisce andando su tutte le furie e minacciandomi di arresto, rischiando di suo, il cardiaco. Io, senza fare una piega (infatti ero fermo), estraggo da uno scomparto della tuta di pelle, una sudaticcia copia della gazzetta ufficiale e mostro all’omino in divisa, la legge n.1235 del 15 dicembre 1967 (e successivi aggiustamenti), grazie alla quale, compreso nel bollo di circolazione della mia motoretta, io paghi un canone di abbonamento autoradio e televisione alla RAI (nota azienda a conduzione familiare). Faccio quindi notare che trovo assurdo essere obbligato a pagare un canone per un servizio che la legge mi impedisce di utilizzare. E, vieppiù, mi chiedo se questo dazio sia compreso anche in altri balzelli, per tutelare la RAI da quelli che, la domenica, girano a piedi con una radiolina a guisa di estensione del padiglione auricolare.
Il solerte e affatto impreparato vigile, sguaina dalla custodia della pistola laser, l’articolo 17, comma 8, della legge 449 del 27 dicembre 1997, che così recita: “Sono soppressi il canone di abbonamento all'autoradio-televisione e la tassa di concessione governativa concernente l'abbonamento di cui alla legge 15 dicembre 1967, n. 1235”. Dannato urbano, hai vinto anche stavolta.
Con la marmitta tra le gambe, me ne torno al punto di partenza, apro un scomparto della dispensa di casa mia ed estraggo il faldone con i decreti legge dell’ultimo decennio. Non per sfiducia ma per sacrosanto scornamento. La legge esiste davvero, ma proseguendo la lettura, scopro che il vigile aveva spudoratamente omesso un dettaglio piuttosto rilevante: “A compensazione del mancato introito è assicurata al concessionario del servizio pubblico radiotelevisivo una quota pari a lire 210 miliardi annui”. Lo rileggo e con un gesto di matura signorilità, lo mastico e lo ingoio con un po’ di salsa rosa. Mi hanno tolto il canone dal bollo e, per fare pari, danno alla RAI 210 miliardi l’anno!! Chi glieli da? Chi ha fatto la legge? No. Il vigile? No. Chi paga le tasse, quindi anche io. Con un termine tecnico, tipico dell’amministrazione pubblica, questo flusso invisibile di denaro dalle nostre tasche a quelle di non si sa chi, viene definito presa per il culo.
Andando a pagare la multa per superamento del limite di velocità, passo da media world a comprare un plasma 42 pollici da montare sull’apecar.
Al dipendente dell’amministrazione pubblica, faccio sommessamente notare che l’accrocchio infernale che ha rilevato la mia velocità, non è adeguatamente verificato e tarato come da relativa norma europea (anche perché in Italia non esistono centri autorizzati per queste operazioni). Il gentile addetto alle relazioni con il pubblico, mi rende partecipe del fatto che nel nostro paese, in risposta a questa norma europea, invece di allestire centri autorizzati, si è pensato bene (anzi meglio) di fare un bel decreto per stabilire che i sistemi di rilevazione vanno sì tarati e verificati, ma solo quelli atti alla misurazione di spazio e di tempo. Caro vecchio italian style, fare leggi nuove per fregare quelle vecchie. Un po’ lo stesso sistema ecologico di spostare i limiti di tolleranza dell’inquinamento per non far scattare le misure di emergenza.
Ma qualcosa non quadra. Faccio altresì rispettosamente notare che una vecchissima e mai contraddetta, legge, stavolta della fisica e non dell’uomo, si ostina a sostenere che la velocità altro non è che spazio/tempo e che è quindi assurdo che le tarature si rendano necessarie per gli strumenti di misurazione di spazio e di tempo e non per quelli di velocità.
Quando, in risposta, lo statale mi ha chiesto in quale numero della gazzetta ufficiale avrebbe potuto trovare questa legge, ho pagato la mia multa, salutato e sono tornato a casa a vedermi, con occhi diversi, le bellissime ragazze di Pupe e Secchioni.
A costellare questo monumento all’inefficienza, una serie spaventosa di sistemi di rilevamento della velocità assemblati grazie a schemi rinvenuti sull’astronave aliena custodita nell’area 51 di Gratosoglio. Uno di questi velox è in grado di calcolare la velocità di un mezzo dal livello di contrazione dei glutei del conducente. Ma quel semaforo che da 6 anni fa luci a intermittenza invece di diventare rosso, ancora non sono riusciti a ripararlo.
Una pattuglia di vigili armati di pistola laser e smolecolatore di patenti, mi ferma immediatamente dopo un segnale di limite 20. Io una volta ho provato ad andare a 20 all’ora. Sono caduto. Poi ho fatto un corso di trial e ora riesco a scendere fino a 11. Quel giorno io il limite lo stavo rispettando, ma uno Scania 12 assi (triplo poker), passandomi a un pelo di petto di camionista, mi ha risucchiato nella turbolenza, trascinandomi mio malgrado a velocità smodata. Con il solito gioviale atteggiamento da rettrice di istituto correttivo per minori, il tutore dell’ordine motorio mi eleva contravvenzione punticida. Nell’atto orgasmico di consegnarmi il verbale insanguinato, il vigile che in quanto tale è attento, nota nel cupolino del mio mezzo, un televisore LCD 12 pollici. Acceso. Dopo avermi chiesto che cosa stesse facendo l’inter, l’integerrimo agente, agisce andando su tutte le furie e minacciandomi di arresto, rischiando di suo, il cardiaco. Io, senza fare una piega (infatti ero fermo), estraggo da uno scomparto della tuta di pelle, una sudaticcia copia della gazzetta ufficiale e mostro all’omino in divisa, la legge n.1235 del 15 dicembre 1967 (e successivi aggiustamenti), grazie alla quale, compreso nel bollo di circolazione della mia motoretta, io paghi un canone di abbonamento autoradio e televisione alla RAI (nota azienda a conduzione familiare). Faccio quindi notare che trovo assurdo essere obbligato a pagare un canone per un servizio che la legge mi impedisce di utilizzare. E, vieppiù, mi chiedo se questo dazio sia compreso anche in altri balzelli, per tutelare la RAI da quelli che, la domenica, girano a piedi con una radiolina a guisa di estensione del padiglione auricolare.
Il solerte e affatto impreparato vigile, sguaina dalla custodia della pistola laser, l’articolo 17, comma 8, della legge 449 del 27 dicembre 1997, che così recita: “Sono soppressi il canone di abbonamento all'autoradio-televisione e la tassa di concessione governativa concernente l'abbonamento di cui alla legge 15 dicembre 1967, n. 1235”. Dannato urbano, hai vinto anche stavolta.
Con la marmitta tra le gambe, me ne torno al punto di partenza, apro un scomparto della dispensa di casa mia ed estraggo il faldone con i decreti legge dell’ultimo decennio. Non per sfiducia ma per sacrosanto scornamento. La legge esiste davvero, ma proseguendo la lettura, scopro che il vigile aveva spudoratamente omesso un dettaglio piuttosto rilevante: “A compensazione del mancato introito è assicurata al concessionario del servizio pubblico radiotelevisivo una quota pari a lire 210 miliardi annui”. Lo rileggo e con un gesto di matura signorilità, lo mastico e lo ingoio con un po’ di salsa rosa. Mi hanno tolto il canone dal bollo e, per fare pari, danno alla RAI 210 miliardi l’anno!! Chi glieli da? Chi ha fatto la legge? No. Il vigile? No. Chi paga le tasse, quindi anche io. Con un termine tecnico, tipico dell’amministrazione pubblica, questo flusso invisibile di denaro dalle nostre tasche a quelle di non si sa chi, viene definito presa per il culo.
Andando a pagare la multa per superamento del limite di velocità, passo da media world a comprare un plasma 42 pollici da montare sull’apecar.
Al dipendente dell’amministrazione pubblica, faccio sommessamente notare che l’accrocchio infernale che ha rilevato la mia velocità, non è adeguatamente verificato e tarato come da relativa norma europea (anche perché in Italia non esistono centri autorizzati per queste operazioni). Il gentile addetto alle relazioni con il pubblico, mi rende partecipe del fatto che nel nostro paese, in risposta a questa norma europea, invece di allestire centri autorizzati, si è pensato bene (anzi meglio) di fare un bel decreto per stabilire che i sistemi di rilevazione vanno sì tarati e verificati, ma solo quelli atti alla misurazione di spazio e di tempo. Caro vecchio italian style, fare leggi nuove per fregare quelle vecchie. Un po’ lo stesso sistema ecologico di spostare i limiti di tolleranza dell’inquinamento per non far scattare le misure di emergenza.
Ma qualcosa non quadra. Faccio altresì rispettosamente notare che una vecchissima e mai contraddetta, legge, stavolta della fisica e non dell’uomo, si ostina a sostenere che la velocità altro non è che spazio/tempo e che è quindi assurdo che le tarature si rendano necessarie per gli strumenti di misurazione di spazio e di tempo e non per quelli di velocità.
Quando, in risposta, lo statale mi ha chiesto in quale numero della gazzetta ufficiale avrebbe potuto trovare questa legge, ho pagato la mia multa, salutato e sono tornato a casa a vedermi, con occhi diversi, le bellissime ragazze di Pupe e Secchioni.
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1 commento:
Per neutralizzare i solerti tutori della'ordine stradale, dovresti essere,non un secchione, bensì una strepitosa bionda, allora saresti giustamente graziato perchè l'occhio, anche dei vigili, vuole la sua parte.
Sei nato, col cromosoma sbagliato, pagane il fio e non ribellarti al destino cinico e baro, altro che poker, scala reale.
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