venerdì 17 novembre 2006

Un posto in libreria... o no?

È paradossale come il meno adatto di noi tre si trovi a scrivere per primo la recensione di un libro per il blog. Cruman è un vero cultore della carta e la divora letteralmente (non è una tarma, intendo nel senso che legge molto), e anche Postatore non è da meno seppur sia vero che con il suo mestiere si trova ad avere a che fare molto più spesso con la carta patinata dei periodici che con le copertine rigide. Dei tre, fatto sta, sono sicuramente l’unico che trovando in libreria l’ultimo libro di Fabio Volo ha avuto l’impulso di comprarlo e così provo a raccontarvi com’è andata.

Premesso che molti dei libri di casa mia, esclusi per ovvi motivi i tomi universitari, sono ancora vergini eccezion fatta per le prime pagine, ho affrontato la lettura di getto prima ancora che la copertina prendesse polvere. E questo, per il lettore bolso che sono, è già un successo. L’altra cosa che mi ha stupito, e che non mi succedeva da un sacco di tempo, è che son riuscito a leggerlo tutto d’un fiato, complice una domenica passata a sonnecchiare fino alle tre del pomeriggio con il conseguente strascico di insonnia che ne è seguito. E in quattro ore “Un posto nel mondo” era già finito.

Michele ha trent’anni e come tutti più o meno a quest’età si ritrova a fare i conti con la propria vita. Un lavoro che lo fa sentire in gabbia, le relazioni sentimentali che finiscono non appena si esaurisce l’entusiasmo iniziale e un amico fraterno che colto dalle medesime paure decide di mollare tutto e partire per ritrovare se stesso. Fin qui, a dire il vero, niente di nuovo: negli ultimi anni in tv e al cinema si è visto virtualmente di tutto sull’argomento, quasi il raccontare il disagio dei trentenni fosse il solo modo di fare numeri ai botteghini.

Logico, quindi, partire prevenuti e aspettarsi da chi è arrivato qualche anno dopo “sul pezzo” qualche spunto in più: come dire, se l’autore ha avuto più tempo per pensarci avrà tirato fuori pure qualcosa di originale, no? Più ci penso e più mi rendo conto che è stato probabilmente questo interrogativo a spingermi a divorare il libro, a cercare il colpo di scena o la svolta. Che invece non arriva mai, dato che per come è strutturato il racconto (che di fatto è una retrospettiva dei cinque anni precedenti raccontata dal protagonista mentre dalla sala di attesa di un ospedale aspetta che la sua compagna partorisca) l’unica sorpresa è scoprire che in cinque anni possono starci un viaggio, un figlio, una compagna ritrovata e un amico perduto. C’è tanta morale in questo racconto, ma è la stessa che tutto sommato puoi trovare anche nei film di cui si parlava sopra: che la vita ti rincoglionisce, che devi andare alla ricerca di te stesso o corri il rischio di essere meno importante del numero di serie del cartellino che timbri ogni mattina, che i figli spesso sono solo un collante per un rapporto sentimentale che da solo non si regge. Ma allora che c’è di nuovo, di non banale?

Quando ho appoggiato il libro sul comodino non mi è affatto venuta voglia di alzarmi (anche perché erano le tre del mattino passate… dove cavolo andavo?) e partire. Non mi è passato per la testa, nemmeno lontanamente, di preparare la valigia e lasciare un biglietto sul tavolo con su scritto “io ci provo, ciao”. Così mi son chiesto: son sbagliato io o forse questo racconto non è riuscito a cogliere nel segno? E dire che gli elementi ci sono tutti: il lieto fine (perché a dispetto di ciò che succede nel corso del racconto il protagonista afferma di aver trovato la propria felicità), la morale, un pizzico di filosofia e pure qualche episodio divertente. Mentre mi addormentavo mi sono pure dato una risposta (come Marzullo insegna…): quello che più mi ha deluso è stato notare che l’accento sia posto sul fatto che per trovare la felicità sia necessario dare un taglio con tutto. Mollare il lavoro, la famiglia, gli amici e dedicarsi solo a se stessi, sperando che qualche coincidenza arrivi a innescare un processo di cambiamento che altrimenti, nel proprio mondo, proprio non potrebbe avvenire.

È come se l’amor proprio, la volontà e la consapevolezza di voler cambiare ciò che non ci piace non siano sufficienti perché in fondo, senza una “scossa”, gli uomini sono troppo stupidi per capire se sono felici o no.

A mio parere la formula magica che Michele racconta non è così miracolosa. Ha un po’ il sapore di “meglio ricchi (dentro, ovviamente) e felici che poveri e tristi”, ma questo lo sanno tutti. Sarebbe stato più interessante se le perle filosofiche inserite nel racconto avessero fatto riflettere il lettore su come sia ben più difficile trovare la felicità in quel che la vita regala tutti i giorni, senza andarlo a cercare in un mondo completamente diverso e lontano. Perché anche per quello ci vuole un bel coraggio, altro che fare un biglietto aereo per Capo Verde. A me piacerebbe leggere un libro, o vedere un film, che mi faccia sognare raccontando di un mondo in cui le persone riescono, a volte, a non essere apatiche e insoddisfatte. E che soprattutto mi racconti, senza sminuirle o farle sembrare un semplice “accontentarsi”, le soddisfazioni che si possono cogliere quotidianamente. E questo indipendentemente dal fatto che io sia o no soddisfatto della mia vita: semplicemente per arricchirmi un po’, per capire tutti i punti di vista e poi a ragion veduta valutare di cosa ho bisogno per essere felice.

Detto ciò, quel che mi è rimasto dell’ultimo libro che ho letto è una soddisfazione pari a quella che mi resta dopo essermi sciroppato in fila quatto episodi del tuo telefilm preferito: un bel senso di leggerezza e la soddisfazione di essermi dedicato a un po’ di sano ozio. Forse Fabio Volo non si aspettava questo da me, ma io ve l’avevo detto che sono un lettore bolso.


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2 commenti:

Anonimo ha detto...

"Ci sarà un altro posto nel mondo, una strada che riparte da qui. Ci sarà un altro istante nel tempo, per vivere tutte le cose possibili" cantava Mario Venuti nell'ultimo Sanremo.
Credo che difficilmente un libro di Fabio Volo o un film da multisala ti possano essere d'aiuto. Mi sa che dovrai cercare tra qualcosa di più complicato (e non necessariamente palloso). Sempre ammesso che un libro o un film possano servire.

Anonimo ha detto...

Michele se ne va, ma poi ritorna. Proprio perchè è nella vita di tutti i giorni che si trova la felicità. Senza poi nemmeno nascondersi troppo. Già, perchè mica la si può accusare di nascondersi solo perchè non la si vede, la felicità.

Succede però che talvolta cambiare il punto d'osservazione aiuti a vedere meglio. Ma non è detto, non sempre accade. E proprio per questo il libro non contiene nessuna formula magica. Non contiene neppure alcun consiglio miracoloso, a mio avviso. Non interessa. Proprio perché la vita con la sua realizzazione è una valigia di esperienze personali e soggettive da scoprire e acquisire man mano che si cammina, non un manuale d'istruzioni all'uso. Solo che spesso si corre così veloce che la consapevolezza risulta tanto vicina quanto difficile da trattenere e portare in valigia con se stessi.

Spesso – troppo – si tende a dare per scontato un sorriso, si tende a banalizzare un abbraccio.
Quand’è l’ultima volta che hai detto alla tua migliore amica “ti voglio bene”? non rispondere, tanto c’è tempo…

:)