lunedì 17 luglio 2006

Mi sento libero, ma presto starò meglio


Io mento è il paradosso linguistico più breve che esista. Lo so bene perché all’esame di logica il mio professore non gradì la mia arguta obiezione che rivendicava la maggiore brevità di io naso. Esistono proposizioni che nascondono insidiosi trabocchetti, non solo logici, ma anche filosofici e spesso grammaticali. Per esempio io sono libero è una frase capace di smuovere le fondamenta stesse dell’esistenza, a meno che i vostri genitori non vi abbiano battezzato con l’aggettivo in questione. Libero è una parola strana ed esigente. Mica come tutte le altre, chessò, palafreniere per esempio. Libero non può mai terminare una frase, mentre palafreniere sì. Libero è un concetto negativo: esprime cioè l’assenza di qualcosa. Uno libero di parlare non ha qualcuno che lo faccia tacere, uno libero di muoversi non ha ostacoli o impedimenti, nel calcio il libero non ha un avversario da marcare, nella pallavolo il libero non attacca, un maschio libero non ha una partner, un cesso libero non ha una persona all’interno, come del resto una donna libera e compagnia cantando. Quindi la parola libero dovrebbe essere sempre seguita dalla descrizione delle cose di cui può fare a meno, altrimenti perde significato, invece palafreniere, dove lo metti lo metti, sempre palafreniere è.
Ma andiamo con ordine. Alcuni quesiti filosofici (significa senza risposta sensata): la libertà necessita di esistenza? Si può essere liberi senza esistere? In fondo potremmo essere tutti il sogno di qualcuno, sospetto insinuato da Borges e dai Propaganda. O, peggio ancora, potrebbe esistere solo quel ciccione del mio vicino di casa. E se fossimo solo un pensiero, saremmo un libero pensiero? Se è così ne cala che l’attributo libero non richiede una reale concretezza e nemmeno una polizza infortuni.
Essere liberi prevede l’esercizio di codesta libertà? Se sì, bisogna chiedersi se esista il libero arbitrio. Secondo Moggi no, ma Paparesta ha espresso riserve in merito. L’annosa questione del libero arbitrio ha aperto una lunga zuffa dialettica tra i suoi sostenitori e i deterministi. I primi postulano la possibilità di prendere una decisione nella libertà di indifferenza che, oltre a permetterti di fischiettare nell’esercizio di tale funzione, non ti lega a vincoli di necessità con le cause e le conseguenze della scelta fatta. I deterministi, non avendo troppo tempo da perdere, sostengono di rinfaccio, che puoi chiacchierare e arrovellarti quanto ti pare tanto la scelta che farai è già scritta, il che è seccante se hai passato 45 minuti davanti all’armadio per decidere cosa mettere (viene da chiedersi però quale entità si sia presa la briga di scrivere che cosa ti saresti messo e soprattutto come faccia ad avere un tale cattivo gusto).
Questa allegra tenzone si è risolta con l’istituzione di un accapigliamento ancor più caotico tra i deterministi compatibilisti, in accordo con i libertaristi compatibilisti, e gli incompatibilisti delle due fazioni. La cosa sembra molto complessa, ma testimonianze attendibili riferiscono di Hobbes, Spinoza, e Kant al pub il filosofo spettinato, mentre ebbri di birra, ridevano degli studenti che sottolineano parti dei loro libri, sentenziando giusto a margine, scritte dalla governante cilena.
Indipendentemente dal suo effettivo significato, la libertà appare comunque come qualcosa di limitato, come tutto ha un limite nella realtà che concepiamo (a parte la noia generata da un programma della Palombelli). Anche nelle condizioni più favorevoli, infatti, la nostra libertà è limitata da ciò che realmente siamo in grado di mettere in pratica. Io posso sentirmi libero di volare, ma se mi lancio dal tetto di casa mia, punterò miseramente verso il centro della terra per ragioni newtoniane che non sono state messe a conoscenza del mio libero entusiasmo volereccio. Per dovere di precisione e con buona pace della concisione, la parola libertà andrebbe quindi sempre sostituita da un elenco ragionato di cose che ci è concesso fare dai nostri limiti, dalla società, dal contesto in cui ci troviamo. Se le libertà in questione fossero in quantità opulenta, si può scegliere (essendo libertaristi o deterministi compatibilisti) di compilare un elenco di limiti considerando tutto il resto fattibile.
Sarà per questo che in barba alle libertà politiche, sociali e culturali, nelle filosofie orientali il concetto di libertà è sempre collegato al distacco dalle cose terrene, un distacco che libera davvero da ogni limite. Concetto difficile da mantenere in testa: è come pensare per più di 3 secondi all’infinità dell’universo senza cadere per terra in preda ad attacchi epilettici. A questo dovrebbe portare il nirvana buddista o la liberazione dal samsara indiano (che sarebbe quello che ci costringe a reincarnarci per aver fatto delle marachelle nella vita precedente o perché si è lasciato il latte sul fuoco).
In definitiva, dagli antichi greci ad oggi, la libertà è stata definita in molti modi: coincidente con la necessità (mentre quella degli altri è prepotenza), con i diritti politici, con la felicità, la consapevolezza e via discorrendo. Come si fa a capire dove c’è libertà? Non è per niente facile. Molto più semplice capire dove c’è un palafreniere. Perché la libertà è una sensazione. Ci si sente liberi se i limiti imposti non ci vanno stretti. La ricerca della libertà è il tentativo di allargare il proprio spazio di manovra, abbattendo limiti che avvertiamo come soffocanti. Ne discende che qui c’è libertà significa qui potete fare questo (vedi elenco), ma potrei descrivere lo stesso luogo dicendo qui non c’è libertà perché non si può fare quello (vedi elenco B). In pratica io sono libero se mi accontento dello spazio di manovra concessomi.
Insomma la libertà è una cosa stupenda per cui combattere, ma una volta acquisita è una gran brutta gatta da pelare. Va gestita, controllata, organizzata (rischiando così di somigliare più a un palafreniere che a una libertà) e più cose ci è consentito fare, più farloccate possiamo combinare. Insomma per essere liberi occorre saggezza, forza, spirito…è un po’ come un prestito in banca, ce l’hai se non ne hai bisogno.
Qualcuno ha detto “Mio dio, sono libero. Liberatemi della libertà”

Technorati Tags: ,

5 commenti:

Anonimo ha detto...

leggere un post così interessante è un ottimo modo per iniziare la settimana... ed essere riuscito a non perdermi nei meandri filosofici è già un bel risultato... unico appunto sul concetto di infinito, ci sarebbe da discuterne, ma tempo dovrei ripassare 3 o 4 libroni di matematica prima...

Anonimo ha detto...

mi sa che è (congiuntivo) più semplice la vita del palafreniere !

Anonimo ha detto...

errata corrige:
leggere un post così interessante è un ottimo modo per iniziare la settimana... ed essere riuscita a non perdermi nei meandri filosofici è già un bel risultato... certo, non so se mi lusinga sentirmi libera come un vespasiano non occupato... ma se il romano imperatore non si offese, non sarò io di certo a fare la difficile....

Anonimo ha detto...

A parte la difficoltà di leggere caratteri bianchi su sfondo nero, ho letto tutto.
Arte difficile quella di trattare con leggerezza argomenti profondi.
E' la maniera che preferisco e pochi ci riescono.
Bisogna avere le idee molto chiare per farlo.
Complimenti, dunque, e buona serata...:)

cruman ha detto...

Hai ragione, anche perchè io non sopporto i tipi pesanti....comunque non è nero è grigio topo :)

mercì

cruman