giovedì 27 settembre 2007

L'arbitro non fa il monaco


Internet è il male e io non sono la curia. Se lo fossi farei un esorcismo, ma dato che sono uno zero posso al limite fare un esorcino. Internet incarna (o insilicia), digerisce e rutta l'essenza stessa del male. Tutti i cosiddetti media, dove secondo i latini sta la virtù, inquisiscono il nuovo anticristo. Un pedofilo adesca minorenni on line? Internet alimenta la violenza verso i bambini. Tuo marito passa le notti nelle chat facendosi chiamare la fata fallata? Internet crea focolai di indecisione sessuale e attenta alla quiete dei focolari domestici. Due bulletti percuotono un disabile con un tecnigrafo, si riprendono col telefonino e mettono il filmato in rete? Internet fomenta la prepotenza e la discriminazione nelle scuole, ma peggio ancora, fa fessi i giornalisti che l'hanno sbattuto in prima pagina con la fretta che ha impedito loro di capire che era tutta una bufala. Il disabile era abile, i bulli non bullivano e persino il tecnigrafo era un goniometro.
Internet è talmente il male che non mi spiego come mai questi mezzi di informazione lo usino, alla bisogna, per dimostrare che in Cina vige (non è che non conosca i congiuntivi è che viga non mi pare carino) l'assenza di libertà perché la rete è interdetta. L'assenza del male pregiudica la libertà. Potrei scriverne un saggio, ma anche no.
Il fatto che in questo momento voi siate (siate è un congiuntivo più sexy di viga, per quanto possa apparire speculare della realtà) di fronte a un monitor zeppo di pixel immosaicati a comporre ciò che ho scritto, dimostra che anche io appartengo al male. E per questo dovrei punirmi. Dal silicio al cilicio.

Sapete che cosa sta succedendo in Birmania? Se lo sapete è grazie al male. Grazie a internet. In Birmania accade una rivolta pacifica dai lineamenti gandhiani, contro una giunta militare che si impone con la forza da 45 anni. Succede che dopo migliaia di civili innocenti (soprattutto studenti) repressi nel sangue, una piccola donna, che in quanto giovane, intelligente e appunto donna, non può accedere ai palchi della considerazione globale, mette insieme un partito, ottiene elezioni democratiche e prende l'80% dei consensi. Visti i risultati non proprio esaltanti per il Consiglio di Restaurazione per la Legge e l'Ordine, l'esercito assume la seguente posizione politica “ah allora no, non vale, a monte”. La giunta militare arresta la giovane donna, che in pochi conoscono perché ha un nome acrobatico e per le caratteristiche che ho testé enumerato, la lascia marcire per un discreto numero di anni in galera e si riprende il potere per abbandono contumace dell'avversario.
Succede che Aung San Suu Kyi perde la libertà e vince un premio. Nobel. Per la pace. Anche questo è poco noto. Qui da noi fa più notizia la candidatura al Nobel per la letteratura di un comico per aver letto un libro che, sarà pure divino, ma dopo un po'...
Succede anche che la comunità mussulmana si schieri con i monaci in pacifica rivolta, ma questa è una notizia che confonde e in più è una bella notizia, quindi niente telegiornale!
Succede che la Birmania è un piccolo paese stretto tra due colossi planetari come India e Cina e che le ingerenze internazionali fanno pensare alle risorse di petrolio, gas naturali, oppio e pietre preziose. Un po' anche alla pastorizia e ai legumi, ma soprattutto al petrolio e ai gas naturali. E come in tutti i paesi ricchi di risorse preziose, la gente muore di fame.
Tutto questo lo sapete voi come lo so io. Ma tutti insieme appassionatamente dobbiamo ringraziare la gente comune e internet. In Birmania non vengono concessi visti a giornalisti e se vengono concessi fanno vedere loro le coltivazioni di legumi e un po' di pastorizia, ma non tanta. I filmati, le foto, le notizie ci giungono da studenti che riprendono gli avvenimenti con il cellulare e li fanno rimbalzare tra blog ed email. Proprio come il liceale provolone che infila le mani in pantaloni docenti. Come l'alunno di satana che frantuma il crocifisso salendo in cattedra.

Quindi per adesso il cilicio lo ripongo e i motivi sono tanti. Potrei dire cose scontante come che i giornali decidono che cosa mettere sotto i nostri occhi, mentre in internet la ricerca e la selezione sono un privilegio, anzi sono le nostre peculiarità: il bookmark ci rappresenta. Potrei anche dire che nel giudicare internet non bisognerebbe confondere il mezzo con il messaggio. Ma preferisco essere contento di cose meno banali. Del fatto che nell'epoca dell'ateo è bello e religioso è pernicioso, siano un gruppo di monaci a sacrificarsi per il bene di un popolo. Del fatto che è la gente comune, con pochi e rudimentali mezzi, che riesce a portare una questione così importante, fino alle stanze dell'ONU, dove, per l'ennesimo ribaltamento della realtà, forse stanno seguendo la Champions League. E che per realizzare tutto questo si stia usando quel giocattolo demoniaco e solforoso a cui siete connessi ora. E chissà se il Darfur, munito di connessione ADSL, non sarebbe più nell'immaginario popolare una marca di caramelle per cavalli golosi e delfini curiosi, ma il teatro di uno dei più spaventosi massacri che la storia ricordi.
Nel mio ultimo pezzo ho scritto che gli italiani non sono molto meglio di ciò che giudicano. Il mio intento era il solito: cominciare con il lavoro su se stessi e la propria prossimità, perché giudicare tutto uno schifo, i politici tutti ladri, la chiesa tutta marcia, i mussulmani tutti terroristi e gli interisti tutti sfigati, non è già di per sé un atteggiamento produttivo. Se questi movimenti poi provengono da un popolo di sei milioni di spettatori di miss Italia, di gente in fila al processo di Cogne e di convinti anticlericali che fanno di una squadra di calcio una fede, allora il panorama assume contorni ancora più inquietanti.
Ad oggi sono 800 i monaci innocenti finiti in carcere per aver manifestato pacificamente contro l'oppressione militare. Non che io mi vesta da bonzo e mi cosparga di benzina sulla pubblica piazza, ma quel piccolo paese, quella piccola donna, stanno dando una lezione importante al mondo intero e noi, i politici, i giornalisti, stiamo tutti rischiando di farla passare per una nota di folclore, prima di occuparci del prossimo mercoledì di coppa.
Sia chiaro, io non sono contro il disimpegno. Il disimpegno però è un'arte e va eretto a sistema, non giustificato con dei “tanto è tutto uno schifo” da salone di barbiere. In pratica il disimpegnato non può giudicare e si deve anche un po' vantare con gli amici di questo divieto. Altrimenti andiamo tutti allo stadio a sputarci da un anello all'altro e viga la FIFA!

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giovedì 20 settembre 2007

Vespa volant, cripta manent (morire di sonno a Porta a Porta)


Solitamente (io e pochissimi giornalisti di fama planetaria cominciamo un pezzo con un avverbio) guardare Porta a Porta mi apporta un importante impronta di disordine nell'apparato digerente. Vedere la puntata con il Presidente del Consiglio però, era per me una questione di principio. Infatti ho avuto un principio di gastrite.
Nel bellissimo studio della Rai, disseminato di enormi televisori al plasma in cui è possibile vedere quello che ti succede davanti agli occhi (qualcuno indaghi sulla partecipazione di mediaworld nel cda Rai) c'era un plastico di Romano Prodi che, per quanto di plastico trattavasi, non era decisamente esplosivo.
Il conduttore ha una marcia in più, perché è special, e incalzava il Presidente con una fila di domande che, se proprio non lo inchiodavano, mettevano in croce il Romano, ribaltando le sacre scritture.

“Presidente, è realmente auspicabile una riduzione delle tasse?”
“Caro Vespa, manteniamo la calma, io ragiono con molta calma e sto portando avanti proficue discussioni con il mio mortadellaro di fiducia”
“Presidente e l'ICI?”
“Sulla mortadella?”
“Ma no, sugli immobili”
“Ah noi non vogliamo fare passi affrettati, noi siamo solidi, ben piantati per terra... immobili”
“Quindi pagate l'ICI?”
“Dottor Vespa, bisogna muoversi adagio adagio, non ho ancora finito di formare una commissione parlamentare per rispondere alla sua prima domanda. Ci vuole della calma”
“Almeno sulle pensioni ci dica qualcosa”
“Sì certo, le pensioni riteniamo di sì, ma potrebbe anche essere no, noi intanto stiamo fermi, comunque penso di sì”
“Ma sì che cosa??”

Frattanto nello studio si diffonde un sordido ronzio “zzzzzzz” probabilmente riconducibile alla presenza di Vespa. Quando Prodi, in merito alle discussioni interne alla maggioranza dichiara “abbassiamo i toni”, l'assistente di studio che aveva appena terminato di sostituire metà del pubblico con dei cartonati a causa di un'epidemia di narcolessia, viene meno, si sostituisce anch'esso con un pupazzo e va a dormire in camerino... o a Camerino... o con Camerino.
Non sono sicuro, ma credo di essermi assopito anche io. In un collegamento esterno onirico mi è parso di vedere Gabriele Paolini con un microfono in mano che veniva interrotto da dei giornalisti. Tutti con un preservativo... indossato. Mi ero addormentato di soprassalto, per fortuna.
A questo punto il conduttore sfodera l'argomento Grillo facendo svegliare d'un tratto tutti i cartonati e Prodi (lo so al secondo è difficile credere). Tema spinoso e controverso. Se qualcuno con dei grilli per la testa, ascolta Grillo, preme il grilletto e ammazza qualcuno. Lo ha detto Mazza. Ammazza. Ma pare sia più probabile che qualche pazzo faccia il mazzo a Mazza.
Ormai sono rassegnato a sentire un'altra risposta soporifera e inconcludente del Presidente e sprimaccio il cuscino del divano. Non è per sfiducia nella dialettica di Prodi, ma visto il tenore della trasmissione (che per solidarietà è anch'esso morto), ho dedotto che un pisolino avrebbe dato un taglio più funzionale alla mia serata. Ma ecco il Prodi che non ti aspetti, quello che dice cose sensate, cose, diomiperdoni, intelligenti. Ho dovuto rinnegare ciò che avevo dedotto. Dedotto e abbandonato.
Il Presidente approccia il discorso “liste civiche grillesche” gettando qualche dubbio sull'utilità della manovra e sulla necessaria politicizzazione del movimento. Incredibilmente si sbilancia, prende una posizione e per di più scomoda, antipatica. Finirà per piacermi.
Dice che gli italiani non sono tanto meglio dei politici, che siamo un popolo di furbi e non vede perché mandare altri nelle stanze del potere debba corrispondere necessariamente ad un cambiamento di rotta. E non aveva nemmeno un auricolare con Boncompagni che gli suggeriva le battute, giuro.
Non ci voleva un genio, infatti l'ha detto Prodi. Basta guardarsi intorno, tutti “sanno come funzionano le cose”, tutti fanno ciò che le maglie della legalità o del mancato controllo, consentono per ottenere vantaggi personali. In qualsiasi ambito, a qualsiasi livello. Uno dei tanti esempi: i test per l'accesso alle facoltà di medicina. Siamo furbi e non sappiamo nemmeno fare i furbi. In tutta Italia solo in un posto gli studenti sono riusciti a ottenere punteggi altissimi, rispondendo a domande tipo “qual è il motto dell'Unione Europea” e sapendo se “gli scienziati Redi e Hooke sono vissuti nello stesso periodo”. Nemmeno la discrezione della decenza. E gli stessi studenti non erano affatto pentiti: sostenevano che tutti fanno così e tutti lo farebbero se messi in condizioni di farlo. Queste sono le persone nelle cui mani metteremo le nostre frattaglie. Esattamente come la nostra vita sociale è nelle mani dei politici.
Quindi forse prima di cacciare e sostituire sarebbe il caso di modificare la cultura e la struttura. Perché è proprio difficile pensare che i nuovi arrivati non approfitteranno degli straordinari privilegi che la vita amministrativa e politica concedono. Visto che modificare la cultura è un processo o tremendamente lento o, come è successo in Cina, rapido ma con l'irritante dettaglio di 18 milioni di morti, cominciamo almeno a lavorare sulle strutture. Trasformiamo il “lavoro” di politico, rendendolo appetibile a chi crede nella cosa pubblica e non ai cacciatori di denaro e potere. A quel punto i furfanti se ne andranno da soli, senza bisogno di cacciarli. Grillo è stato una manna dal cielo perché ha avuto la possibilità, la posizione e la bravura per tirare fuori anche il marcio degli angoli nascosti, aprendo gli occhi anche a chi proprio non ne voleva sapere di guardare. Ora però è più difficile guidare questa potente macchina e qualche svolta sbagliata di troppo, si finisce in mezzo a un ingorgo spaventoso. A una tangenziale politica intasata (i politici amano le tangenziali).
Del resto io, come Prodi (ussignur), non penso che i politici siano ladri e i cittadini brava gente. Non ho molta fiducia in questi movimenti sempre pronti a seguire un capopopolo appena sputa su qualcuno. Sono le stesse persone che mentre “il sistema” inventava un modo per finanziare i partiti più che in qualsiasi altro stato del pianeta, in barba al referendum che ha scatenato l'acclamazione popolare, guardavano tutti in direzione di Cogne. Perché in fondo, stavano talmente bene che trovare gli stimoli per capire, meditare e agire non era affatto facile.
Farne una questione di “persone” è un errore e un'operazione troppo complicata. Bisogna agire sui metodi e se si può, sulla cultura.
Ora però cambio, guardo l'isola dei famosi... mi si è addormentato il cuscino.

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giovedì 13 settembre 2007

La partita della vita: da Socrates a Socrate


È un anno che noi non vedremo mai, almeno non senza aver trovato dove si compilano i moduli per la reincarnazione. È un tempo lontano nel futuro e l'uomo sopravvive, nonostante l'uomo. Sopravvive, ma non serve più a un granché. A onor dell'abbastanza vero, va detto che un'evoluzione c'è stata e anche di una certa consistenza. Gli atleti corrono i 100 metri a una velocità tale che le olimpiadi le trasmettono direttamente in slow motion o si avvertirebbe solo un venticello caldo e sudaticcio (ah i televisori sono multisensoriali). Gli astisti saltano muniti di paracadute e sui giavellotti viaggiano degli agenti in borghese per motivi di sicurezza.
Anche la tecnologia ha esplorato l'insondabile e quella fastidiosa malattia chiamata “morte” è stata quasi completamente debellata, se si esclude l'inossidabile tradizione millenaria di spararsi a vicenda. Pratica che comunque non è più considerata reato grave, ma allo stesso livello dell'abigeato ed è perseguibile solo se la vittima sporge denuncia. Altrimenti splafona nel comma “controllo demografico”. Non che ce ne sia un gran bisogno: le persone non si riproducono, un po' perché i bambini si ostinano ad essere troppo piccoli e un po' perché il sesso è ormai considerato un atteggiamento da bulletti di periferia.
Nell'epoca in cui per tutte le domande è stata accesa una risposta, nessuno sa ancora un accidenti sull'esistenza e il suo senso intrinseco. La filosofia nelle scuole ha lentamente assunto il ruolo che ha per noi l'ora di ginnastica: si spia nell'anima delle compagne di classe più procaci e ci si colpisce con delle clavette per sperimentare il concetto di felicità come cessazione del dolore. Per questo motivo una commissione di saggi che s'aggira per un peripato dotato di tapis roulant, decide di scoprire il senso della vita scomodando i maggiori esponenti del pensiero che la storia ricordi e mettendoli a confronto tra loro... in una partita di calcio. Il progetto viene messo in pratica grazie alle tecniche di ingegneria genetica che permettono di clonare Socrate (già con la barba) da un capoverso de I dialoghi di Platone.
I giocatori sono schierati sul campo di gioco, al centro dello stadio Fabrizio Corona di Potenza. Arbitra, in giacchetta cremisi, Dio in persona, nonostante le vibrate proteste della mezz'ala F.W.Nietzsche, il quale sostiene che un morto non sia in grado di esercitare il libero arbitrio. Dio lo ammonisce verbalmente e, già che c'è, gli rifila un attacco di dermatite seborroica. Guardalinee il Figlio e lo Spirito Santo. Quarto uomo Collina, anche se al Figlio la collina evoca ricordi antipatici.
La partita è da subito aspra e fallosa, motivo per cui il centrocampista S.Freud convince il terzino avversario della sua latente omosessualità. Il terzino chiederà poi il cambio per andare a uccidere la madre (di Freud).
Tutto d'un tratto A. Einstein, un impiegato tedesco del catasto svizzero, parte in contropiede sulla fascia: giunto a metà campo ha un'illuminazione sulla curvatura dello spazio e del tempo ed inventa Holly e Benji, un documentario scientifico sulla dilatazione di un traversone dalla destra e sui campi di calcio a schiena d'asino. Sulla trequarti sgancia un pallone d'oro a J.P.Sartre che ha la possibilità di battere a rete a colpo sicuro. Il fantasista francese però, valuta che passare in vantaggio stabilirebbe un disequilibrio mondiale prodromo di sentimenti di rivalsa e conflitti disumani e appoggia a un compagno con un angosciante esterno sinistro. L'allenatore scaglia in aria una borraccia di assenzio ed esclama “che palle l'esistenzialismo”.
Il primo tempo si chiude, senza troppe emozioni ma con diverse anime lacerate, dopo un interminabile recupero dovuto al fatto che H. Kung, teologo ebreo, ha conversato a lungo con l'arbitro pretendendo spiegazioni che Dio si è rifiutato di concedere. Da segnalare solo un'azione in cui Mosè, ricevuta palla spalle alla porta, ha il problema di girarsi. Intimorito dal venire trasformato in una statua di sale grosso, smista all'indietro al sopraggiungente Zenone che esplode una legnata sbalorditiva che, paradossalmente, non raggiungerà mai la porta.
Comincia il secondo tempo, sempre più agonistico e anche agnostico, del resto, la filosofia non è uno sport per signorine e nonostante Agostino con i suoi parastinchi di santo, dopo aver dimostrato l'esistenza dell'arbitro, predichi l'amore spirituale, la partita diventa sempre più una questione di carpenteria metafisica.
A. Schopenhauer, lanciato nella sua rappresentazione della fascia destra, viene atterrato barbaramente da un libero dionisiaco che ne gode con sfacciataggine. Steso a terra, la punta tedesca si rende conto come il desiderio provochi tensione interiore. Nello specifico il desiderio di un massaggiatore e di percuotere il libero con il Vecchio Testamento. Ricevute le attenzioni della spugnetta ontologica, Schopenhauer scopre che la felicità è cessazione della sofferenza e che, come spiegherà molto meglio Califano, tutto il resto è noia.
Sul pallone, per battere la punizione divina, si porta S. Kierkegaard esclamando “batto io, sono come Maradona”. Il danese (filosofo non canide) realizza (un concetto non un gol) che desiderare essere qualcun altro è la malattia mortale e spira. Si prepara quindi un positivista che grazie al metodo scientifico può affrontare tutte le sfere della conoscenza, quindi anche il pallone. Calcola traiettorie impercettibili e codici di geometrie esistenziali e calcia con la spocchia di un oxfordiano represso.
L'inglese non aveva fatto i conti con il portiere Socrate (senza s finale, quello è un chirurgo) che, sapendo di non saper parare, fa capire dove vuole andare a parare e para di fronte allo sbigottimento di Anassagora, che è suo amico ma mica lo capisce tanto bene.
Socrate afferra la sua borraccia e prima di bere ne offre ai compagni che si scherniscono:

“No grazie Socry, non ho proprio sete”
“Ma come sei tutto sudato, hai la bocca disidratata dalla retorica scolastica, dai non essere empio”
“No no davvero, bevi tu io ho un po' di ritenzione, grazie comunque”

L'azione si capovolge e un nichilista punta dritto verso la porta avversaria. Il centromediano metodista epicureo si propone sulla sinistra:

Epicureo: “passa passa che voglio provare a fare gol”
Nichilista. “NO!”

Giunto al limite dell'area il nichilista non si esime dal non evitare di tirare nella direzione opposta a quella dove non c'è la porta avversaria, creando una leggera confusione tra le fila antagoniste, per quanto esse non esistano anzichenò. Il portiere, un barbiere inglese di nome Ockham (titolare del salone "Rado chi non lo fa da sé"), blocca il pallone con fare da portinaio e estraendo un rasoio esclama:

“Ah regazzì, mo te lo taglio sto pallone” con un vago accento di Cambridge.

Ockham rimette in gioco servendo Schopenhauer che, pensando ad uno scambio, ritorna il pallone al portiere. L'inglese era però distratto dal dubbio di non aver considerato tutte le possibili soluzioni tattiche facendola un po' troppo semplice e non vede il pallone che gli rotola di fianco finendo in rete. Schopenhauer, di nuovo preda del dolore argomenta che quell'autogol esiste nel suo mondo di volontà e rappresentazione e solo lì agisce con tutta la sua ignominia. Decide quindi di togliersi la vita facendo suo un sacramento dello stoicismo che trovava molto sexy, annullando di fatto l'esistenza stessa di quell'autogol. Il tedesco però, spinto anche dal desiderio di far insolentire Seneca, non valuta il fatto che con quel gesto anche tutto ciò che stava esperendo esparisce, rendendo vano il progetto di ricerca di un senso della vita che prevalga sugli altri.
Solo l'arbitro rimane, che in un eccesso di iconoclastia, si sfila la maschera mostrando il volto di Luciano Moggi.
Le cronache sono frammentarie, ma qualcuno giura di aver sentito il quarto uomo esibirsi in una pletora di bestemmie.

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giovedì 6 settembre 2007

L'importanza di un bel taglio degli occhi


Talvolta ricordo di avere una cucina e, quando capita, amo passarvi del tempo stupendomi di possedere pentolame sconosciuto e inseguendo cibarie con stampigliata sopra la data di scadenza seguita dall'acronimo A.C.
Una sera particolarmente illuminata dall'estro culinario, mi stavo scaldando una piadina con un cuore di strutto... il mio. In nome dell'ecologia e del costo esorbitante delle lavastoviglie, consumavo il mio pasto frugale con l'ausilio di stoviglie riciclabili e cercando di distogliere l'attenzione dai miei trigliceridi ipertrofici con la visione di un programma televisivo croce e delizia di chiunque ambisca a definirsi intellettuale: blob di Ghezzi (Enrico non Dori) e Giusti.
Ghezzi parla fuori sincro. Vale a dire che le immagini lo ritraggono mentre dice qualcosa, ma l'audio riporta un altro discorso. Di solito sono entrambi incomprensibili, ma questo, nell'immaginario collettivo del pubblico sgamato, significa che il buon Enrico è uno veramente sexy e provare ad obiettare che sarebbe un gesto delicato rendere chiaro un concetto ogni tanto, equivale a dimostrare le enormi lacune intellettive di cui disponiamo. Indi per cui è generalmente consigliato accompagnare un silenzio annuente a delle espressioni di profonda ammirazione.
Un giorno forse capirò quali meccanismi mettere in moto onde evitare che i miei discorsi incomprensibili vengano apostrofati con frasi del tipo “quale sottofamiglia di peyote ti sei fumato?”.
Non che la critica disdegni il mio lavoro, anche se il fatto che la gran parte delle recensioni orbiti attorno all'espressione “inutile babbeo”, mi crei, a volte, uno sconforto che in qualche modo traduco in stimoli.
Tornando al mio pasto frugale e al blob delle 20 mi duole raccontarvi di uno spiacevole evento. Nel turbinio di immagini e parole, reso sensato dai due autori, è apparsa come una roncolata al buio, l'agghiacciante sequenza di un rasoio che tagliava per lungo il bulbo oculare di una persona. Immediatamente dopo ho potuto constatare come la mia masticazione difetti di accuratezza: praticamente la piadina, appena all'imbocco del canale digestivo, mi si è riproposta sul piatto ancora ben riconoscibile nei suoi ingredienti principi. Dopo essermi stropicciato gli occhi per il raccapriccio per circa 22 ore consecutive, tanto che ora vedo costantemente un alone che ricorda vagamente i lineamenti di Wladyzlaw Zmuda (centrocampista polacco degli anni 80), ho deciso di scrivere una lettera di protesta a Ghezzi:


“Illustrissimo signor Enrico, nonostante io mi accinga a vibrare una sentita rimostranza nei Suoi confronti, mi preme premettere la mia infinita stima per il Suo lavoro. Io come Lei rimpiango i bei tempi andati scanditi da orinali messi sotto i letti per la notte e un film di Eisenstein sulla rivoluzione. Sono altrettanto disgustato dal fatto che ora sotto i letti si trovino solo collezioni di Playboy e alla televisione immagini tecnotroniche e pornofile. L'ho sempre sostenuta nelle conversazioni più articolate con il tizio in libertà vigilata che mi pulisce la piscina, che La trova filologicamente inopportuno, finanche quella volta che bollò Il lungo silenzio (piano sequenza di 205 minuti girato in un campo di grano senza un dialogo e senza nemmeno un intervallo per le toffolette) come 'spudoratamente di cassetta'. Però questa volta, con la faccia sotto i Vostri piedi (e potete anche muovervi), mi permetto un umile contrappunto. Quella sequenza del rasoio e dell'occhio, che mi esento dal descrivere causa recente nutrizione, buttata lì in barba al Moige senza nemmeno prepararmi psicologicamente (per esempio ascoltando per un'oretta delle unghie che raspano su una lavagna), mi ha sconvolto oltre la possibile comprensione del Suo voler colpire dritto nello stomaco lo spettatore, mostrandogli, per colmo, persino il suo contenuto.
Non è certo colpa Sua se il vigile garante decreta ostracismi per mezze tette a mezza notte e poi consente la trasmissione di ablazioni oculari a tradimento nell'ora del desco. E forse il Suo intento era proprio sottolineare l'inutilità di un garante o, a scelta, la necessità di uno che garantisca per esso.
Non saprei come descriverLe il mio scuotimento interiore (cioè delle interiora). Forse dovrei chiamarla e sottoporLa all'improvviso all'ascolto del suono di un palloncino sprimacciato, oppure potrei farmi trovare nel Suo bagno intento a flagelarmi la carne tra le dita dei piedi con un foglio di carta di taglio. Così forse capirebbe. La invito comunque a visitare il blog da cui Le scrivo e, per culmine di benevolenza, anche ad abbozzare una risposta. Mi troverà sicuramente qui, anche perché a pensare all'immagine dei piedi che ho poc'anzi descritto, ho perduto la facoltà deambulatoria.
Suo servo, lo Cruman.”


Non ci crederete, ma il sommo mi ha risposto. Ho ricevuto una sua missiva, solo che Ghezzi oltre a parlare, scrive anche fuori sincro: nella lettera ci sono scritte delle parole, ma se la leggete vi comunica tutt'altro. Ve la riporto qui in sincrono:


“Caro diversamente intelligente, ho letto a stento la sua cordiale lettera, perché da qualche giorno tento di scacciare un alone che ho negli occhi. Leave me alone. Sono incerti del mestiere, ma grazie al cielo posso godere del supporto umano di Marco Giusti, che ha letto per me la sua missiva, anche se fatico a capire quello che dice il mio collega: per qualche strano difetto congenito il suo labiale corrisponde perfettamente a ciò che dice, capirà che non è affatto facile interpretarlo.
Ho avuto il piacere di dedicare uno scorcio del mio tempo al suo blog ed ho capito molte cose. Ho capito (grazie alle sue fotografie) il dramma di chi, come lei, è stato scelto dalla natura per consentire alle genti di apprezzare il bello (a questo serve la bruttezza) e mi è doluto anche verificare come la sua bassa scolarizzazione le impedisca di notare la differenza tra Kubrik e Fracchia contro Dracula. Detto questo, mi sembra superfluo sprecare altro tempo, che sarebbe meglio impiegato analizzando le implicazioni animiste nel lavoro di un emergente regista azteco morto di Red Bull, per darle una qualsiasi spiegazione del mio lavoro che, ovviamente, le risulterebbe noiosa come un titolo di un film della Wertmuller. Del resto, può forse chiedere a Dio di spiegarle la Creazione o perché Essa comprende Frosinone?
Con umana pietà, E.G. (epuntogpunto)
P.S.
Se la trovo nel mio bagno la faccio impiccare con la pellicola di The fast and the furious, ai ripetitori di Mediaset.”

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lunedì 3 settembre 2007

Tutti in peti sul divano


Quando sento parlare la TV che parla di TV e i giornali che parlano dei personaggi che si vedono in TV, ho lo stimolo a far sì che questo blog parli di questo blog, ponendosi a buon diritto fra i mass-media di primo livello, quelli che si parlano addosso: qualche giorno fa lo Cruman ha fabbricato il post che trovate scrollando questa videata verso il basso. Ha preso spunto da uno scritto di un tifoso apparso (tanto lo scritto, quanto il tifoso) su una rivista di motorette. Dal pezzo incriminato, o meglio indiscriminato, emerge che il tifoso è contento se nelle gare mondiali di motorette vince Valentino Rossi e per converso se ne ha a male se invece, come accade spesso quest’anno, la spunta Casey Stoner. I tifosi di motorette sono persone che – stando a quanto si afferma in TV – si alzano in piedi sul divano (azione antigienica e pericolosa, dato che i piedi affondano nei cuscini compromettendo l’equilibrio del temerario telespettatore) durante i duelli fra i loro beniamini.
Quando sento parlare di tifo, comunque, non mi viene mai da pensare alle motorette, bensì al calcio. Pur non soffrendo di tifo, nella mia vita mi è capitato di entrare in contatto con persone che ne sono affette: pensate che una volta, in tempi di campionati mondiali di pallone, verso le otto di sera incontrai un mio vicino di casa – un assicuratore di mezza età con la panza di prammatica – abbigliato come un giuocatore della nazionale e con un televisore sotto il braccio. Andava a seguire la partita in giardino assieme ad alcuni suoi simili. Comunque nel mio quartiere vi sono molti ammalati di tifo, anche se si vestono meglio dell’assicuratore. Ad esempio c’è un giovine che per seguire tutti gli incontri di pallone che il buon dio fa svolgere in terra s’è abbonato alla pay TV, e in conseguenza di ciò lo si sente spesso strepitare la parola “goal” col tono di voce di un suino che sta per essere scannato. Episodi come quelli appena elencati mi aiutano a orientarmi più a favore delle motorette che del calcio.
Quando sento parlare di motorette mi rendo conto di saperne poco o nulla, se non che devi mettere le marce col piede invece che con la mano come in automobile, e se viaggi forte forte devi fare le curve grattando l’asfalto col ginocchio come se stessi scendendo dalla motoretta, solo che non scendi, resti in sella. Perciò non do giudizi su come guidano Rossi e Stoner, sebbene mi sia chiaro che Rossi è italiano e suo padre faceva il pilota, mentre Stoner è australiano e credo che suo padre gestisca un caseyficio. Nonostante risultino geograficamente agli antipodi, Vale e Casey hanno in comune l’eccezionale abilità nel condurre mezzi meccanici progettati da persone altrettanto abili per altri versi, ed è inutile urlare e sgolarsi nella convinzione che con ciò costoro facciano meglio il loro mestiere. Ieri ho seguito in TV il GP di Misano Adriatico e ho riflettuto proprio su quest’aspetto. Sono loro che perdono o vincono, e sono soltanto loro ad avere titolo per dire “abbiamo vinto” o “abbiamo perso”. Non tutti noi che siamo stravaccati sul divano come i risibili interpreti dello spot di alice, i quali se invece di parlare si sfidassero in una tonante battaglia batteriologica da salotto risulterebbero molto più credibili e naturali.
Quando sento parlare di batteri penso a quelli che generano il tifo. Sono di ceppi diversi e perciò la malattia si trasmette e si sviluppa con modalità differenti. Riconoscerla non è semplicissimo a causa della varietà dei sintomi: ipertermia, cefalea, brividi, eruzioni cutanee, dolori articolari, tosse, vomito, ipertensione arteriosa, disturbi del sistema sensoriale, delirio, intorpidimento cerebrale. Insomma, il rischio è che uno che si ubriaca per bene mostri i sintomi del tifo e viceversa. La vera figata è che la parola “tifo” deriva un po’ dal latino “týphus”, che significa vapore, e un po’ dal greco (antico) “týphos”, che invece vuol dire proprio vapore; sempre in greco c’è pure un verbo, “týphein”, che significa bruciare, mandare in fumo o generare vapore e quindi, in metafora, offuscare i sensi. Nell’antichità il tifo faceva vittime ovunque, mentre oggi resta un problema del terzo mondo, quella parte del pianeta per la quale nessuno tifa. Nel primo mondo, invece, ce la vediamo col tifo metaforico e coi suoi danni a cose e persone (tipico il caso dello Cruman, danneggiato nello spirito dal tifoso che elzevireggia di motorette). In alcuni sport il tifo è una specie di tassa da pagare.
Quando sento parlare di tasse penso a Valentino Rossi che nel GP di Misano Adriatico ha fuso la motoretta e così ha bruciato le carte buone che aveva. In nome del mezzo gaudio gli hanno tenuto compagnia Pedrosa e Hayden, il primo atterrato e l’altro costretto ad andare fuori pista da un De Puniet sbandato. Di sicuro è andata meglio a Melandri, quarto malgrado gli acciacchi di una brutta caduta nelle prove, ed è andata giusta a Stoner, che era il pilota più veloce in sella alla moto più veloce e quindi ha vinto. Sono cose che capitano, nelle gare. Tutto il resto, a partire dai fuorigiri mediasettici sino alle dietrologie che troveranno inchiostro da bruciare al posto della benzina, sono discettazioni di tifosi che si interrogano se è più giusto inneggiare a un pilota italiano su una moto giapponese oppure a una moto italiana sotto il culo di un pilota australiano, favoleggiano di un team da sogno con la moto italiana in mano al pilota italiano, e all’atto pratico fanno compagnia agli inetti amici di alice che emettono peti sul divano.

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