Il Time è un settimanale conosciuto in tutto il mondo. Io non conosco nessuno che ne abbia letto una sola pagina, ma per qualche motivo al di fuori delle mie corde è sufficiente arrotolarselo nella cavità ascellare per diventare fico di soprassalto. Non sto qui a dirvi gli sbalorditivi effetti sul vostro fascino nel caso in cui dovessero sorprendervi a leggerlo. Io ho fatto di più, sono finito in copertina, come uomo dell’anno. Di questo anno. E se nei prossimi 11 giorni non salta fuori qualcuno più uomo dell’anno di me, il titolo me lo porto a casa e me lo tengo. Altro che pallone d’oro.
Non vi ho detto che il Time è americano. Lo si può dedurre dal nome. Si chiama Time, mica panorama o espresso, che significa “tempo”, ma anche “volta” il che dà un senso di eternità, ma insieme ti suggerisce come sfogliarlo.
Sarò sincero: non sono solo io l’uomo dell’anno. Secondo il Time l’uomo dell’anno è un sacco di gente. “Tutte le persone che hanno partecipato all’esplosione della democrazia digitale” per la precisione. Essendo io uno dei 100 milioni di blogger che infestano (nel senso che ne fanno una festa) internet, mi ritengo un centomilionesimo di uomo dell’anno. Una sua cellula diciamo. Posso affermare che sto studiando da uomo dell’anno. Tra un paio di lustri potrei essere il suo scafoide.
Che una testata giornalistica, invece di premiare Zidane, abbia riconosciuto un merito a una comunità che ha messo alle strette il mondo dell’informazione come mai prima, è fatto degno di gridolini di piacere. Meno piacevole è stato scoprire con chi, io e i 99milioni e rotti, abbiamo dovuto misurarci prima di vincere la copertina più famosa del mondo dopo quella di Playboy.
Uno dei contendenti era Hu Jintao che non è l’ala destra del Perugia, ma il presidente della Cina, paese dove gli utilizzatori di internet sono considerati untori del male, il concetto di lavoro è fermo alla costruzione delle piramidi (ovviamente copiate da quelle egizie) e la pena di morte è una forma di indirizzamento educativo, una sorta di metodo Montessori del Chatai.
Altro temibile aspirante al titolo era Kim Jong-Il a capo di una nazione – la Corea del Nord – afflitta da una grave crisi di vocazione dei barbieri. Questo spettinato personaggio ha preso a cuore l’esplosiva situazione degli equilibri geopolitici e ha costruito delle enormi fionde con cui lanciare testate nucleari verso l’occidente (che nel suo caso diventa più comodo a oriente). L’idolatrato capo di stato, ha pensato bene di eseguire esperimenti atomici che devasteranno il territorio coreano per millenni per il nobile intento di proteggere il suo paese. Da chi? Da altre nazioni che fanno altri esperimenti. La guerra fredda ha questa comoda caratteristica: le bombe non hai bisogno di tirarle al nemico, ognuno si fa esplodere le proprie in casa e poi gonfia il petto come un tacchino imbizzarrito.
La lista dei candidati comprendeva anche il buon Mahmoud Ahmadinejad, capo di stato iraniano. Questo era davvero un osso duro in quanto a notorietà. Lo dimostra il fatto che tutti abbiano imparato a pronunciare il suo nome senza sputare un premolare. Per certi versi è assimilabile al precedente personaggio (ricorderete il loro famoso carteggio), ma da lui si distingue per la fattura dell’acconciatura e per le iniziative culturali davvero degne di nota. Non ultima, l’organizzazione di una conferenza internazionale volta a dimostrare che le 6 milioni di vittime della shoa godono, in realtà, di ottima salute e vivono in una località segreta protetti da un organizzazione gestita da Elvis Presley. Degna di plauso anche l’iniziativa di costruire centrali nucleari per alimentare le macchine che estraggono il petrolio.
A questo punto ho smesso di consultare l’elenco dei candidati e ho capito perché ho vinto io che sono solo un misero misantropo. Ho capito anche che l’uomo dell’anno non è un titolo di merito, ma una sorta di “chi ha fatto più caciara”. Altrimenti sarebbe come veder consegnare a Callisto Tanzi il premio di imprenditore dell’anno.
A questo punto ammetto di sentirmi meno fico per essere finito su un centomilionesimo di copertina del Time e a deprimermi ulteriormente ci pensa la motivazione che correda la nomination: “se voi scegliete un individuo dovete giustificare come questa persona ha influenzato milioni di altre persone. Ma scegliendo milioni di persone, come è accaduto quest’anno, non ci obbliga ad alcuna giustificazione”. Insomma non solo vince chi fa più cagnara, ma quest’anno non c’avevano nemmeno tanta voglia di star lì a ragionarci troppo. Forse erano in ritardo coi regali di Natale. Bella soddisfazione.
Faccio una proposta. Perché non premiare il basso profilo dell’anno. La persona che meno ha influenzato i propri simili, di cui non si avverte nemmeno l’esistenza. Che non è mai finito su un giornale o ospite a qualche quarto d’ora di celebrità. Io potrei candidarmi ancora: l’altro giorno ho incontrato il tizio che vive di fianco a me da 8 anni e parlando di varie inutilità mi ha chiesto “ma lei dove abita?”.
Non per insistere nel percorrere la strada del nichilismo, ma l’assenza non ha mai fatto danno (quindi non è l’uomo del danno) e di questi tempi è una qualità mica da ridere. Il prossimo anno voglio sulla copertina del Time la faccia di uno che generi un sincrono coro unanime di “e questo chi cazzo è?”.
Non vi ho detto che il Time è americano. Lo si può dedurre dal nome. Si chiama Time, mica panorama o espresso, che significa “tempo”, ma anche “volta” il che dà un senso di eternità, ma insieme ti suggerisce come sfogliarlo.
Sarò sincero: non sono solo io l’uomo dell’anno. Secondo il Time l’uomo dell’anno è un sacco di gente. “Tutte le persone che hanno partecipato all’esplosione della democrazia digitale” per la precisione. Essendo io uno dei 100 milioni di blogger che infestano (nel senso che ne fanno una festa) internet, mi ritengo un centomilionesimo di uomo dell’anno. Una sua cellula diciamo. Posso affermare che sto studiando da uomo dell’anno. Tra un paio di lustri potrei essere il suo scafoide.
Che una testata giornalistica, invece di premiare Zidane, abbia riconosciuto un merito a una comunità che ha messo alle strette il mondo dell’informazione come mai prima, è fatto degno di gridolini di piacere. Meno piacevole è stato scoprire con chi, io e i 99milioni e rotti, abbiamo dovuto misurarci prima di vincere la copertina più famosa del mondo dopo quella di Playboy.
Uno dei contendenti era Hu Jintao che non è l’ala destra del Perugia, ma il presidente della Cina, paese dove gli utilizzatori di internet sono considerati untori del male, il concetto di lavoro è fermo alla costruzione delle piramidi (ovviamente copiate da quelle egizie) e la pena di morte è una forma di indirizzamento educativo, una sorta di metodo Montessori del Chatai.
Altro temibile aspirante al titolo era Kim Jong-Il a capo di una nazione – la Corea del Nord – afflitta da una grave crisi di vocazione dei barbieri. Questo spettinato personaggio ha preso a cuore l’esplosiva situazione degli equilibri geopolitici e ha costruito delle enormi fionde con cui lanciare testate nucleari verso l’occidente (che nel suo caso diventa più comodo a oriente). L’idolatrato capo di stato, ha pensato bene di eseguire esperimenti atomici che devasteranno il territorio coreano per millenni per il nobile intento di proteggere il suo paese. Da chi? Da altre nazioni che fanno altri esperimenti. La guerra fredda ha questa comoda caratteristica: le bombe non hai bisogno di tirarle al nemico, ognuno si fa esplodere le proprie in casa e poi gonfia il petto come un tacchino imbizzarrito.
La lista dei candidati comprendeva anche il buon Mahmoud Ahmadinejad, capo di stato iraniano. Questo era davvero un osso duro in quanto a notorietà. Lo dimostra il fatto che tutti abbiano imparato a pronunciare il suo nome senza sputare un premolare. Per certi versi è assimilabile al precedente personaggio (ricorderete il loro famoso carteggio), ma da lui si distingue per la fattura dell’acconciatura e per le iniziative culturali davvero degne di nota. Non ultima, l’organizzazione di una conferenza internazionale volta a dimostrare che le 6 milioni di vittime della shoa godono, in realtà, di ottima salute e vivono in una località segreta protetti da un organizzazione gestita da Elvis Presley. Degna di plauso anche l’iniziativa di costruire centrali nucleari per alimentare le macchine che estraggono il petrolio.
A questo punto ho smesso di consultare l’elenco dei candidati e ho capito perché ho vinto io che sono solo un misero misantropo. Ho capito anche che l’uomo dell’anno non è un titolo di merito, ma una sorta di “chi ha fatto più caciara”. Altrimenti sarebbe come veder consegnare a Callisto Tanzi il premio di imprenditore dell’anno.
A questo punto ammetto di sentirmi meno fico per essere finito su un centomilionesimo di copertina del Time e a deprimermi ulteriormente ci pensa la motivazione che correda la nomination: “se voi scegliete un individuo dovete giustificare come questa persona ha influenzato milioni di altre persone. Ma scegliendo milioni di persone, come è accaduto quest’anno, non ci obbliga ad alcuna giustificazione”. Insomma non solo vince chi fa più cagnara, ma quest’anno non c’avevano nemmeno tanta voglia di star lì a ragionarci troppo. Forse erano in ritardo coi regali di Natale. Bella soddisfazione.
Faccio una proposta. Perché non premiare il basso profilo dell’anno. La persona che meno ha influenzato i propri simili, di cui non si avverte nemmeno l’esistenza. Che non è mai finito su un giornale o ospite a qualche quarto d’ora di celebrità. Io potrei candidarmi ancora: l’altro giorno ho incontrato il tizio che vive di fianco a me da 8 anni e parlando di varie inutilità mi ha chiesto “ma lei dove abita?”.
Non per insistere nel percorrere la strada del nichilismo, ma l’assenza non ha mai fatto danno (quindi non è l’uomo del danno) e di questi tempi è una qualità mica da ridere. Il prossimo anno voglio sulla copertina del Time la faccia di uno che generi un sincrono coro unanime di “e questo chi cazzo è?”.
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1 commento:
I motivi per sentirti fico non hai certo necessità di andarli a cercare sul Time...è sufficiente che ti guardi dentro.
Complimenti ancora per quello che scrivi e per come lo fai :o)
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