Con quello comunemente noto come lo sport nazionale, ho un rapporto invidiabile. A pallone ho giocato un sacco di volte, tipo dieci o venti, forse, da bambino specialmente, finanche da adolescente. Poi, per avventura, ho escogitato strumenti d’affermazione sociale alternativi e ho smesso.
Nello svolgersi della mia romanzesca esistenza ho assistito anche a numerose partite d’un certo rilievo, fra le quali me ne sono rimaste impresse ben quattro: una bizzarra tenzone Roma-Liverpool del 1984, quando per poco non s’intese male un mio amico romanista (ovviamente non nel senso di “studioso dell’antica civiltà romana”); l’incontro “San Giovanni Rotondo contro un’altra squadra” (così disse, al microfono, il commentatore) in un campeggio di Vieste nel 1985, che finì in tafferuglio; ospite con secondi fini a casa di amiche, una partita dell’Italia ai mondiali che doveva essere il ’90 o giù di lì, tediosa al punto che m’offrii di andare ad acquistare 4 birre a mie spese sebbene non ci avessi una lira in tasca, e giunto dal birraio trovai anche lì un tubo catodico pieno di ometti che correvano avanti e indietro e la cassiera sotto ipnosi, tanto che quasi quasi le volevo fregare le 4 birre, però non ce ne fu bisogno perché il birraio confusissimo mi disse “te le regalo perché assomigli a tacconi!” (un calciatore del momento, mi si disse poi) e io uscendo chiesi “e chi è ‘sto tacconi?” e poco manca che gli devo rendere le 4 birre così allungai il passo; e poi infine un’altra partita mondiale dell’Italia in tempi più recenti, di cui rimembro soltanto che era giugno-luglio, c’era caldo, si cenava colle finestre aperte “così si può fumare” e ‘sto televisore con gli ometti a correre avanti e indietro, e io c’ero finito in mezzo per le solite ragioni di fidanzate, tessuto sociale, mal controllata cortigianeria eccetera, e tutti gridavano aléalé e ogni poco qualcuno mi chiedeva “ma davvero non te ne frega niente?” (no, niente) e fra gli invitati c’era addirittura un cane grande grande, un terranova sdraiato fra il tavolo e il divano che emetteva peti sbalorditivi ma neanche il miasma poté distogliere dalla partita quel piccolo pubblico condannato all’anaerobiosi.
Queste le 4 partite che ricordo. Magari ne avrò vista anche qualcuna di più, ma non mi ha scalfito nemmeno mezzo neurone. Cosa posso farci? Il calcio mi procura un’uggia tale che, ogni volta che tento di concentrarmi su un incontro, rischio di essere fisicamente sopraffatto dalla mia sacca scrotale. Magari non è colpa mia, ma degli atleti che giuocano in modo stucchevole.
Eppure, nonostante tutto, sono talmente permeato di calcio che ci ho i calcoli, no, cioè, ne sono talmente permeato da poter ostentare opinionismo: posso dichiararmi ferito dal recente scandalo che ha interessato il calcio italico e la giuvèntus, posso descrivermi persuaso del fatto che a pallone si gioca in undici però ci sono anche alcuni in panchina, solitamente col culo storto. Mi compiaccio dell’esistenza dei fuorigioco, dei guardalinee, dei pali, delle reti, dei l’arbitri (lo so che si scrive dell’arbitri, stupido), mi crogiolo al pensiero che alcuni ex calciatori, da grandi, allenano le squadre. So anche chi mettere in campo al momento giusto, proprio come fanno i migliori mister (lo vedi? So pure “mister”!): per esempio il calciatore nella foto qui sopra mica l’ho scelto a caso, ma perché somiglia a un mio caro amico che ama il calcio per cui in questo periodo ci vediamo meno.
In questo periodo ci sono i mondiali di calcio in Germania. L’ho saputo l’altra sera. Come quantità questi mondiali sono ancora pochi, ma so che aumenteranno col passare dei giorni e mi auguro che l’effetto di trascinamento sulle masse divenga sempre più eccessivo, e con ciò cresca il numero dei seguaci disposti a starsene dentro casa o nei posti col maxischermo a guardare la partita e a soffrire e strillare a causa di eventi che non possono assolutamente controllare.
Costoro, esclusi dalla mia vita sociale (loro penseranno la stessa cosa di me, e il mio spirito se ne pasce), mi condanneranno alla soave emarginazione alla quale costantemente aspiro. In queste tiepide serate da asociale disadattato, andrò al cinema spettando in sale semivuote, uscirò con fidanzate e mogli di tifosi senza dovermi nascondere nei motel come al solito, andrò a fare le gare clandestine con la motocicletta avvampando l’asfalto disabitato, chiamerò l’ascensore per andare a fare un giro all’ottavo piano e lo troverò sempre libero. Hai presente quei sublimi B-movie col protagonista sopravvissuto a una catastrofe planetaria che torna nella sua città e la trova deserta, e alla fine però qualcuno incontra, e allora si sente come se stesse nascendo per la seconda volta e si fa strada in lui l’ipotesi che possa essere quella buona? Ecco, mi sentirò un po’ così.
È per questo complesso di motivi che sarò triste davanti ai caroselli delle auto di quando l’Italia vince, agli ossessi colle bandiere tricolori che viaggiano appesi con la natica fuori dal finestrino urlando aléalé, ai panzoni colla maglia azzurra comprata in autogrill che zompano festanti per le vie, alle femmine tifose che fanno come i tifosi maschi e anche questo dev’essere perché c’è stato il sessantotto.
Sarò triste in quanto consapevole del fatto che prima o poi la magia finirà e il mondo tornerà quello di prima, con meno calcio, quindi a rischio d’osteoporosi.
Nello svolgersi della mia romanzesca esistenza ho assistito anche a numerose partite d’un certo rilievo, fra le quali me ne sono rimaste impresse ben quattro: una bizzarra tenzone Roma-Liverpool del 1984, quando per poco non s’intese male un mio amico romanista (ovviamente non nel senso di “studioso dell’antica civiltà romana”); l’incontro “San Giovanni Rotondo contro un’altra squadra” (così disse, al microfono, il commentatore) in un campeggio di Vieste nel 1985, che finì in tafferuglio; ospite con secondi fini a casa di amiche, una partita dell’Italia ai mondiali che doveva essere il ’90 o giù di lì, tediosa al punto che m’offrii di andare ad acquistare 4 birre a mie spese sebbene non ci avessi una lira in tasca, e giunto dal birraio trovai anche lì un tubo catodico pieno di ometti che correvano avanti e indietro e la cassiera sotto ipnosi, tanto che quasi quasi le volevo fregare le 4 birre, però non ce ne fu bisogno perché il birraio confusissimo mi disse “te le regalo perché assomigli a tacconi!” (un calciatore del momento, mi si disse poi) e io uscendo chiesi “e chi è ‘sto tacconi?” e poco manca che gli devo rendere le 4 birre così allungai il passo; e poi infine un’altra partita mondiale dell’Italia in tempi più recenti, di cui rimembro soltanto che era giugno-luglio, c’era caldo, si cenava colle finestre aperte “così si può fumare” e ‘sto televisore con gli ometti a correre avanti e indietro, e io c’ero finito in mezzo per le solite ragioni di fidanzate, tessuto sociale, mal controllata cortigianeria eccetera, e tutti gridavano aléalé e ogni poco qualcuno mi chiedeva “ma davvero non te ne frega niente?” (no, niente) e fra gli invitati c’era addirittura un cane grande grande, un terranova sdraiato fra il tavolo e il divano che emetteva peti sbalorditivi ma neanche il miasma poté distogliere dalla partita quel piccolo pubblico condannato all’anaerobiosi.
Queste le 4 partite che ricordo. Magari ne avrò vista anche qualcuna di più, ma non mi ha scalfito nemmeno mezzo neurone. Cosa posso farci? Il calcio mi procura un’uggia tale che, ogni volta che tento di concentrarmi su un incontro, rischio di essere fisicamente sopraffatto dalla mia sacca scrotale. Magari non è colpa mia, ma degli atleti che giuocano in modo stucchevole.
Eppure, nonostante tutto, sono talmente permeato di calcio che ci ho i calcoli, no, cioè, ne sono talmente permeato da poter ostentare opinionismo: posso dichiararmi ferito dal recente scandalo che ha interessato il calcio italico e la giuvèntus, posso descrivermi persuaso del fatto che a pallone si gioca in undici però ci sono anche alcuni in panchina, solitamente col culo storto. Mi compiaccio dell’esistenza dei fuorigioco, dei guardalinee, dei pali, delle reti, dei l’arbitri (lo so che si scrive dell’arbitri, stupido), mi crogiolo al pensiero che alcuni ex calciatori, da grandi, allenano le squadre. So anche chi mettere in campo al momento giusto, proprio come fanno i migliori mister (lo vedi? So pure “mister”!): per esempio il calciatore nella foto qui sopra mica l’ho scelto a caso, ma perché somiglia a un mio caro amico che ama il calcio per cui in questo periodo ci vediamo meno.
In questo periodo ci sono i mondiali di calcio in Germania. L’ho saputo l’altra sera. Come quantità questi mondiali sono ancora pochi, ma so che aumenteranno col passare dei giorni e mi auguro che l’effetto di trascinamento sulle masse divenga sempre più eccessivo, e con ciò cresca il numero dei seguaci disposti a starsene dentro casa o nei posti col maxischermo a guardare la partita e a soffrire e strillare a causa di eventi che non possono assolutamente controllare.
Costoro, esclusi dalla mia vita sociale (loro penseranno la stessa cosa di me, e il mio spirito se ne pasce), mi condanneranno alla soave emarginazione alla quale costantemente aspiro. In queste tiepide serate da asociale disadattato, andrò al cinema spettando in sale semivuote, uscirò con fidanzate e mogli di tifosi senza dovermi nascondere nei motel come al solito, andrò a fare le gare clandestine con la motocicletta avvampando l’asfalto disabitato, chiamerò l’ascensore per andare a fare un giro all’ottavo piano e lo troverò sempre libero. Hai presente quei sublimi B-movie col protagonista sopravvissuto a una catastrofe planetaria che torna nella sua città e la trova deserta, e alla fine però qualcuno incontra, e allora si sente come se stesse nascendo per la seconda volta e si fa strada in lui l’ipotesi che possa essere quella buona? Ecco, mi sentirò un po’ così.
È per questo complesso di motivi che sarò triste davanti ai caroselli delle auto di quando l’Italia vince, agli ossessi colle bandiere tricolori che viaggiano appesi con la natica fuori dal finestrino urlando aléalé, ai panzoni colla maglia azzurra comprata in autogrill che zompano festanti per le vie, alle femmine tifose che fanno come i tifosi maschi e anche questo dev’essere perché c’è stato il sessantotto.
Sarò triste in quanto consapevole del fatto che prima o poi la magia finirà e il mondo tornerà quello di prima, con meno calcio, quindi a rischio d’osteoporosi.
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5 commenti:
Grandissimo postatore...(sano è ancora da dimostrare...mi offro per dimostrazione gratuita...:-).
Se capiti capitando da queste parti forse possiamo organizzare qualcosa (però dove abito non ha un ottavo piano...:-()
Grazie per la comprensione, mi sento ancor più sano (gratuitamente sano, direi).
No problem se non c'è l'ottavo: possiamo sempre adottare un piano d'emergenza... ;-)
Aspetto il piano d'emergenza...:-)
Ma non è che Cruman s'ingelosisce...?
aspetta che ci penso....no!
io non sono geloso e se avessi una donna te lo confermerebbe....anche se avessi un uomo.
Aspetta che ci penso... No!
Cruman non è geloso e se avesse una donna te lo confermerebbe (la donna, mica Cruman, che hai capito?). Neanche se avesse un uomo sarebbe geloso, però sarebbe omo, cosa che non è (chiedere al pizzaiuolo per controprova), dunque l'ipotesi tende a zero.
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