Internet è talmente il male che non mi spiego come mai questi mezzi di informazione lo usino, alla bisogna, per dimostrare che in Cina vige (non è che non conosca i congiuntivi è che viga non mi pare carino) l'assenza di libertà perché la rete è interdetta. L'assenza del male pregiudica la libertà. Potrei scriverne un saggio, ma anche no.
Il fatto che in questo momento voi siate (siate è un congiuntivo più sexy di viga, per quanto possa apparire speculare della realtà) di fronte a un monitor zeppo di pixel immosaicati a comporre ciò che ho scritto, dimostra che anche io appartengo al male. E per questo dovrei punirmi. Dal silicio al cilicio.
Sapete che cosa sta succedendo in Birmania? Se lo sapete è grazie al male. Grazie a internet. In Birmania accade una rivolta pacifica dai lineamenti gandhiani, contro una giunta militare che si impone con la forza da 45 anni. Succede che dopo migliaia di civili innocenti (soprattutto studenti) repressi nel sangue, una piccola donna, che in quanto giovane, intelligente e appunto donna, non può accedere ai palchi della considerazione globale, mette insieme un partito, ottiene elezioni democratiche e prende l'80% dei consensi. Visti i risultati non proprio esaltanti per il Consiglio di Restaurazione per la Legge e l'Ordine, l'esercito assume la seguente posizione politica “ah allora no, non vale, a monte”. La giunta militare arresta la giovane donna, che in pochi conoscono perché ha un nome acrobatico e per le caratteristiche che ho testé enumerato, la lascia marcire per un discreto numero di anni in galera e si riprende il potere per abbandono contumace dell'avversario.
Succede che Aung San Suu Kyi perde la libertà e vince un premio. Nobel. Per la pace. Anche questo è poco noto. Qui da noi fa più notizia la candidatura al Nobel per la letteratura di un comico per aver letto un libro che, sarà pure divino, ma dopo un po'...
Succede anche che la comunità mussulmana si schieri con i monaci in pacifica rivolta, ma questa è una notizia che confonde e in più è una bella notizia, quindi niente telegiornale!
Succede che la Birmania è un piccolo paese stretto tra due colossi planetari come India e Cina e che le ingerenze internazionali fanno pensare alle risorse di petrolio, gas naturali, oppio e pietre preziose. Un po' anche alla pastorizia e ai legumi, ma soprattutto al petrolio e ai gas naturali. E come in tutti i paesi ricchi di risorse preziose, la gente muore di fame.
Tutto questo lo sapete voi come lo so io. Ma tutti insieme appassionatamente dobbiamo ringraziare la gente comune e internet. In Birmania non vengono concessi visti a giornalisti e se vengono concessi fanno vedere loro le coltivazioni di legumi e un po' di pastorizia, ma non tanta. I filmati, le foto, le notizie ci giungono da studenti che riprendono gli avvenimenti con il cellulare e li fanno rimbalzare tra blog ed email. Proprio come il liceale provolone che infila le mani in pantaloni docenti. Come l'alunno di satana che frantuma il crocifisso salendo in cattedra.
Quindi per adesso il cilicio lo ripongo e i motivi sono tanti. Potrei dire cose scontante come che i giornali decidono che cosa mettere sotto i nostri occhi, mentre in internet la ricerca e la selezione sono un privilegio, anzi sono le nostre peculiarità: il bookmark ci rappresenta. Potrei anche dire che nel giudicare internet non bisognerebbe confondere il mezzo con il messaggio. Ma preferisco essere contento di cose meno banali. Del fatto che nell'epoca dell'ateo è bello e religioso è pernicioso, siano un gruppo di monaci a sacrificarsi per il bene di un popolo. Del fatto che è la gente comune, con pochi e rudimentali mezzi, che riesce a portare una questione così importante, fino alle stanze dell'ONU, dove, per l'ennesimo ribaltamento della realtà, forse stanno seguendo la Champions League. E che per realizzare tutto questo si stia usando quel giocattolo demoniaco e solforoso a cui siete connessi ora. E chissà se il Darfur, munito di connessione ADSL, non sarebbe più nell'immaginario popolare una marca di caramelle per cavalli golosi e delfini curiosi, ma il teatro di uno dei più spaventosi massacri che la storia ricordi.
Nel mio ultimo pezzo ho scritto che gli italiani non sono molto meglio di ciò che giudicano. Il mio intento era il solito: cominciare con il lavoro su se stessi e la propria prossimità, perché giudicare tutto uno schifo, i politici tutti ladri, la chiesa tutta marcia, i mussulmani tutti terroristi e gli interisti tutti sfigati, non è già di per sé un atteggiamento produttivo. Se questi movimenti poi provengono da un popolo di sei milioni di spettatori di miss Italia, di gente in fila al processo di Cogne e di convinti anticlericali che fanno di una squadra di calcio una fede, allora il panorama assume contorni ancora più inquietanti.
Ad oggi sono 800 i monaci innocenti finiti in carcere per aver manifestato pacificamente contro l'oppressione militare. Non che io mi vesta da bonzo e mi cosparga di benzina sulla pubblica piazza, ma quel piccolo paese, quella piccola donna, stanno dando una lezione importante al mondo intero e noi, i politici, i giornalisti, stiamo tutti rischiando di farla passare per una nota di folclore, prima di occuparci del prossimo mercoledì di coppa.
Sia chiaro, io non sono contro il disimpegno. Il disimpegno però è un'arte e va eretto a sistema, non giustificato con dei “tanto è tutto uno schifo” da salone di barbiere. In pratica il disimpegnato non può giudicare e si deve anche un po' vantare con gli amici di questo divieto. Altrimenti andiamo tutti allo stadio a sputarci da un anello all'altro e viga la FIFA!
Technorati Tags: Birmania, Myanmar