In quella che a causa d’una serie di guasti cui le tecnologie locali non potevano porre rimedio sarebbe diventata la sua nuova casa, Cruman si trovò decentemente, anche perché nulla ricordava delle quattro lune del suo pianeta Cru, dei cerchi sui campi di grano, del cielo solcato dagli anelli d’asteroidi, delle notti che duravano una vita di farfalla, del lago radioattivo dove suo padre lo portò a pescare già pochissimi giorni dopo ch’era stato restituito. Non ricordava nulla perché poi erano subito partiti.
Dopo qualche stagione trascorsa sulla terra seduto sotto un portico a guardare i carri che passavano, Cruman sentì che il suo organismo stava raccogliendo un’energia sconosciuta: ormai aveva quasi 74 anni (ben portati), riusciva a fare lunghe camminate, addirittura ad andare a cavallo, e così iniziava a godersi davvero quello scorcio conclusivo del secolo diciannovesimo, nonostante qualche guerra e qualche razzia, che comunque non lo tangevano più di tanto perché allora i terrestri proteggevano gli esemplari anziani. Non si stupiva mai di nulla perché in fondo lui era nato imparato: per esempio aveva già nozione delle pesche-noci, ed era certo che prima o poi anche qualcun altro le avrebbe selezionate.
A un certo momento come niente fosse venne il Novecento, che lui andava già per i 60. Sentiva il fisico sempre più vigoroso, la mente lucidata a nuovo. Nei giorni di scirocco gli veniva di guardare le femmine terrestri come se c’entrasse qualcosa con loro. Per darsi un tono imparò a giocare alla pallacorda.
Davanti al portico passavano già da un po’ i cavalli a vapore e poi, più tardi, le carrozze infernali del signor Otto, però Cruman preferiva spostarsi col suo velocipede, oppure coi treni quando c’era della distanza da coprire. Gli piaceva molto viaggiare e appena poté acquistò una bussola. Aveva anche sentito che Oltremare un gruppo di persone aveva fondato la National Geographic Society, con lo scopo di diffondere la cultura del viaggiare, e questo gli parve molto strano, su un pianeta dove un mucchio di gente riesce a vivere bene sotto un portico. Lui però non si ricordava più d’aver visto la terra dall’alto, prima dell’incidente, e sapeva che se pure se ne fosse ricordato, sarebbero state immagini confuse perché all’epoca i suoi occhi erano ancora appannati.
Quando successe quel casino del ’15 non era ancora messo proprio bene, e quella fu una vera fortuna che gli consentì d’arrivare sulla cinquantina col sedere intatto: fu più o meno allora che cominciò a sentirsi al centro del mondo. Tuttavia quel centro doveva spostarlo di continuo perché intorno prima o poi se ne accorgevano: una volta, per esempio, successe che si fermò a vivere in un posto per un periodo di quattro raccolti e fu un tempo sufficiente perché i suoi capelli bianchi sparissero del tutto, e allora come al solito andò via. Ormai s’era abituato a non avere le fidanzate ma a incrociarle per un po’, e poi a inventarsi qualcosa. Viaggiando è facile inventarsi cose nuove, e nei periodi che non poteva viaggiare, Cruman la scampava leggendo i libri, che erano vite altrui, certe inventate, certe meno. Tutte buone scuse, comunque.
Quando successe quell’altro bordello nel ’41 la fortuna fece sì che non si trovasse a Occidente, ma in India, dove aveva sentito di un santone che possedeva la conoscenza per riparare l’astronave. Il problema furono i pezzi di ricambio: il santone disse che c’era da aspettare almeno centocinquant’anni, e poi andare in un posto che si sarebbe chiamato Taiwan. Cruman rispose che non sapeva se ce l’avrebbe fatta, per allora. Il santone disse che non si sa mai, che anche dove ora sorgeva la sua capanna una volta era tutta palude (e ci potevi costruire solo palafitte).
Forte dell’insegnamento, Cruman se ne andò negli Stati Uniti a godersi i suoi vent’anni, e fu lì che acquisì consapevolezza dell’esistenza delle cheerleaders, ma presto diventò troppo giovane anche per quelle e prima che andasse a finire male dovette darsi fretta per tornare nella Bassa, inverni nella nebbia ed estati polverose sotto le ruote della bicicletta nera.
Gli anni ruggenti del boom economico se li beccò da ragazzino, la rivoluzione sessuale che gli avrebbe fatto buon giuoco qualche decennio prima lo sorprese pressoché poppante, e nonostante la tenera età capì che al mondo non c’è giustizia e sperò che un Dio non esistesse (non per il suo bene, per il Suo).
Quando nel 1971 finalmente fu neonato, dentro di sé percepì imminente il punto dell’inversione e per colmo di sventura ebbe coscienza di possedere ancora/già un Q.I. pari a quello di un adulto che guida col retronebbia acceso in una limpida notte di luglio. Su quel pensiero si trovò nella posizione di non comprendere se fosse tanto o fosse poco e gli girarono i coglioncini, poi vide tutta quella luce e scoppiò a piangere.
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