lunedì 10 dicembre 2007

Fette di San Daniele stagionato


A quanto pare sono stato profeta in blog. La settima scorsa ho espresso il mio disappunto per il cattivo gusto e per l'inutile volgarità da spogliatoio maschile di Luttazzi. Ho rischiato perché i paladini della libertà non accettano che a qualcuno non piaccia Luttazzi. Ti deve piacere altrimenti sei contro la libertà. Mentre rimuginavo su questo concetto venendoci per nulla a capo è accaduto l'ennesimo dramma, l'ennesimo atto liberticida: Luttazzi non può fare quello che vuole!
Ormai è chiaro: Luttazzi ce l'ha con i cattolici perché perdono tempo a venerare un Dio inconsistente quando potrebbero dimostrarsi più ragionevoli venerando lui. La megalomania del comico è paragonabile solo alla sua furbizia. Quando anni fa si fece salvare la carriera da Berlusconi era ormai alla frutta. Aveva finito tutte le battute (quelle di Woody Allen intendo) ed era costretto a sembrare trasgressivo mostrando merda in diretta TV. Grazie al cielo arrivò l'editto bulgaro e il buon Daniele, dopo aver messo in piedi una pantomima vittimistica degna di greche tregende, inanellò una serie di “tutto esaurito” in teatro con uno spettacolo composto di due ore di insulti a Berlusconi. Non due ore di satira, due ore di insulti. Intanto procedeva il suo cammino verso la beatificazione.
Tornato al catodico grazie a La7, emittente talmente libera che non si fa problemi a trasmettere un'intervista di Daria Bignardi a Fabio Volo ripresa da 17 telecamere per contenere i rispettivi ego, il comico si fa notare per la squisitezza della sua ironia. Il punto più alto della sua espressione picaresca lo raggiunge con la fine (non finissima, ma fine) immagine di Ferrara su cui Berlusconi e Dell'Utri pisciano in allegria mentre Previti gli caga in bocca. Questa ossessione scatologica deve avere qualcosa a che fare con quella che Freud chiamava “fase anale”. Inspiegabilmente questa perla di poesia lo rende il primo caso di censura dell'intera storia di La7.
Luttazzi è di nuovo alla frutta. Ha finito le parolacce disponibili, nonostante un corso di bestemmia comparata tenuto nelle campagne venete, ed ora cerca il nuovo dittatore di cui sentirsi vittima. Berlusconi non è più il male assoluto. Chi può quindi prendere il suo posto? Ovviamente la Chiesa. In un'intervista a Repubblica, Luttazzi dichiara che il vero motivo del suo licenziamento è una sua critica all'enciclica “spe salvi” di Benedetto XVI e non gli insulti a Ferrara. In questo modo si garantisce un futuro di libri e spettacoli teatrali impostati sul “sono vittima dei poteri occulti della Chiesa” cavalcando l'anticlericalismo che oggi fa molto aperitivo.
Ma di questa critica non v'è traccia nella memoria di alcuno e l'enciclica l'ha letta solo Paolo Mieli. Nell'intervista Luttazzi si scaglia inspiegabilmente contro Ferrara. Inspiegabilmente visto che ha affermato che non è Ferrara la causa del suo allontanamento. Facendo questo non manca di autoparagonarsi ai grandi della satira, da Ruzante a Dario Fo senza ritegno né un minimo di autocritica. Afferma anche che purtroppo la gente non arriva a capire la vera ironia (cioè la sua). Io ci posso anche stare. Mettiamo che la sua sia satira e che per assurdo faccia persino ridere, ma se la gente non la capisce il problema, da un mero punto di vista matematico, è suo non delle persone. Se vuole comunicare alle masse bisogna che elabori un sistema che arrivi a tutti o almeno ai più. Altrimenti si dovrebbe accontentare dei suoi teatri, del suo blog, della sua nicchia insomma. Come fanno tantissimi altri grandi artisti, non compresi dal popolo bue e che si accontentano dei pochi eletti che li stimano con devozione. O dobbiamo per forza tutti capire e ridere a ogni suo piè sospinto altrimenti siamo dei cerebroesenti fascisti?
Da tutta questa situazione ne deriva la solita scena madre. Se in Italia esistono milioni di disoccupati è un buono spunto per insultare Berlusconi o chi per lui, se il disoccupato è Luttazzi allora siamo in presenza di fascismo (Luttazzi ha definito “cilena” l'interruzione del suo programma) e tutti, compresi i disoccupati di cui sopra, si devono mobilitare per salvarlo e glorificarlo.
Deriva anche, tipicamente, che la censura verso il comico è sintomo della presenza di un regime ignorante e oscurantista, da cui però si riesce ad ottenere vantaggi economici e di immagine, mentre i poveracci bannati dal suo democraticissimo blog perché in aperta e civile critica con lui, sono semplicemente l'esercizio del far tacere degli stupidi stolti.
Qui non siamo in Cile. Qui si può dire praticamente qualsiasi cosa e ce ne accorgiamo stupefatti ogni giorno. Allora basta con questi furbi vittimismi. Se un artista, un giornalista, uno scrittore, si mette in gioco deve giocare. Se non vuole stare ai soliti schemi è giusto che rischi ed è già un privilegio per pochissimi, di questi tempi, avere l'occasione e le spalle coperte per rischiare. E se si rischia si deve essere consapevoli delle possibili conseguenze e avere un minimo di dignità per affrontarle e non piangere come un'aquila. Come hanno fatto tutti i grandi, visto che lui si ritiene tale.
Spero che questi stagionati mezzucci d'avanspettacolo non ingannino più nessuno e che qualcuno cominci a togliersi le fette di prosciutto dagli occhi e capisca chi ha davvero motivo per lamentarsi in un paese come il nostro. Un paese in cui le persone non possono scegliere il modo in cui curarsi, non possono scegliere chi li governerà e nemmeno se vivere o no. In situazione così drammatiche stiamo ad alzare gli scudi contro i nemici della libertà perchè uno non può dire in televisione che Previti caga in bocca a Ferrara. Guardiamoci un po' intorno e insolentiamoci per le cose importanti.

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giovedì 6 dicembre 2007

Le sorelle Grammatica


Un'altra giornata fuori da me stesso è finita e mi accingo a rientrare a casa, con l'espressione inconfondibile che ha uno quando si accinge. Salgo le scale pensando che “salire le scale” è un po' come “dormire un letto” e di fronte all'uscio capisco che la transitività dei verbi è qualcosa di invidiabile. Anche io vorrei essere transitivo. Vorrei poter crumanare qualcosa. Invece sono solo transitorio.
Infilo la chiave e apro la simpatica porta. Simpatica porta è un complimento oggetto. Prima di me entra luce a sufficienza per vedere che dentro è buio. Questa frase invece è un anacoluto. O un sicomoro, non mi ricordo mai. Uno ce l'ho in giardino, l'altro è quando non ci pigli con i soggetti e non si capisce chi faccia che cosa.
In fondo alla stanza due puntini luminosi e minacciosi mi fissano. Potrebbe essere il mio gatto o i led di standby della mia accroccaglia elettronica. Led è una parola straniera (quindi probabilmente trattasi di luci allo xeno), ma usata in italiano perde le regole della lingua madre. Quindi dico i led, non i leds. Se no dovrei anche dire i Leds Zeppelin.
Premo l'interruttore della luce che era proprio dove la mia mano si ricordava e di colpo smette di interrompere (l'interruttore non la mano). La stanza fa uscire il buio. Credo sia andato di là. Tutto tranquillo: “niente – penso – anche oggi ho dimenticato di lasciare il gas aperto”. Scopro anche che cos'erano quei due puntini luminosi. Era il mio gatto in standby. Faccio meccanicamente i gesti che accompagnano ogni rientro. Mi sfilo la giacca e la ripongo ordinatamente sul divano. Vicino alla padella per le piadine. Innaffio l'anacoluto e punto il telecomando verso la televisione, il cui schermo nero per un attimo riflette l'immagine di un tizio che mi somiglia molto e che mi punta un telecomando. Io però sono più veloce di lui e lo cambio prima che lui cambi me. Credo.
Il tizio è cambiato. Ora è la pubblicità di una bevanda che mette le ali. Deve avere in qualche modo a che fare con degli assorbenti e con quella pazza incosciente che in quei giorni si lancia con il paracadute. Certo lei sta tranquilla perché se succede qualcosa ha l'assorbente con le ali, ma se ha un incidente i soccorritori non capiscono se sia ferita o se sia proprio nel periodo in cui il flusso è più copioso.
Nella pubblicità si vedono quattro Re Magi recare doni al Bambinello. Il Magio (o il mago? Forse il magho) di troppo è munito di lattine di Red Bull. Avrebbero anche potuto farle portare al terzo, tanto nessuno ha ancora capito che cosa sia la mirra. Io lo so, ne ho una dozzina di lattine in casa.
Capire la grammatica delle cose è importante come capire le cose della grammatica. È importante sapere perché “qual è” si scriva senza apostrofo anche se il correttore di word non lo segnala. O capire che “eco” è femminile anche senza conoscere la mitologia, perché una cosa che ha sempre l'ultima parola non può che essere femminile. Perché a volte un dettaglio può stravolgere un significato oltre ad uccidere una poesia. Per esempio nelle domeniche messaline della mia infanzia (nel senso che andavo a messa non che mi prostituivo), mi ero convinto che rispondendo alla formula di congedo “andate in pace”, la gente dicesse “andiamo grazie a Dio”, condividendo la mia noia di ragazzino spiritualmente limitato. Ammetto di aver reso poca grazia.
Quello che ho capito è che la Red Bull è una bevanda che ti permette di vivere le due ore successive all'ingerimento, con un'energia e una vitalità che ti ricordano i 24 dicembre di quando Babbo Natale esisteva ancora. So anche almeno 2 leggi della termodinamica e un emendamento sull'entropia. Abbastanza per capire che da qualche parte nella tua vita vivrai morto per due ore o, al limite, rantolante per quattro.
A qualcuno però l'esegesi commerciale della Bibbia è andata di traverso e ha voluto far cessare questo carosello di blasfemie. La cosa, come al solito, ha fatto cadere il mezzo sigaro di mano a molti intellettuali. Io che non fumo e intellegisco poco più del mio gatto (solo quando è in standby) mi chiedo invece perché i pubblicitari della Red Bull non abbiano raffigurato una lattina del loro elisir nel centro della Kaaba. Forse per paura di ritrovarsela infilata in un posto dove le ali non servono. Nella mia alatissima ingenuità mi chiedo anche perché quelli col sigaro pendulo, non abbiano proferito parola quando il popolo bue e asinello ha chiesto la condanna a morte per una insegnante rea di aver chiamato un orsacchiotto Mohamed. Forse per paura di ritrovarselo infilato dove di miele proprio non v'è traccia se non digerito.
Io una volta ho conosciuto un Mohamed. Mangiava prosciutto fingendo di credere che fosse insalata rossa e beveva superalcolici di nascosto anche se non capivo da chi. Così mi è venuto da pensare che per quanto l'uomo mantenga una prosopopea superiore a quella di un peluche, il pupazzetto in questione ha sicuramente offeso la religione meno del mio amico Mohamed. Eppure nessuno ha chiesto la condanna a morte per chi l'ha chiamato così.
Che la censurabilità di un evento sia in proporzione consona al numero di schiaffoni che si rischiano è fatto ben noto ormai da tempo, sebbene si fatichi molto ad ammetterlo. Questa legge di natura umana non vale solo per la religione. Recentemente (principiare con un avverbio è consentito ma spocchioso quasi quanto usare il verbo principiare) uno spot che vede protagonista Buffon ha suscitato una ridda di polemiche. Io pensavo a causa del fatto che utilizzare uno con l'espressione comunicativa di un barbagianni fosse un affronto mediatico. Invece il problema risiedeva nel fatto che il buon Gigi appare abbarbicato su di una impalcatura indossando sì il caschetto protettivo, ma privo dell'imbracatura di sicurezza che lo salverebbe dal precipitare in situazioni terra terra e con la tomaia delle calzature non a norma (adoro il lemma tomaia, sa di nativo americano).
Nessun risentimento invece per Daniele Luttazzi che, in seconda serata, parla affabilmente di una donna che ricambia l'affetto del proprio cane donandogli sollazzo con quella che Eco chiamerebbe fellazione danese (o “al danese”), usando però termini alla cazzo di cane.
Buffon è uno che si sa dove va a parare. Non è un intellettuale e vende Fiat (probabilmente è anche un rapporto di causa ed effetto), quindi non può essere trasgressivo. Daniele Luttazzi invece dice non esserlo (un intellettuale non una Fiat) per sembrarlo e vende se stesso. Quindi nessuno gli dice niente per non apparire poco intelligente o Berlusconi. Io che lo sono (Berlusconi) dico tranquillamente che Luttazzi è uno che ha preso tutte le battute di Woody Allen e le ha infarcite di cazzofigatetteculo, ottenendo l'ottimo risultato di farsi ascoltare da quelli che capiscono le battute di Woody Allen e da tutti gli altri che ridono solo sentendo uno che dice cazzofigatetteculo in televisione.
Resto qui. Seduto sul mio divano, vicino alla padella e alla giacca e, non per dare giudizi affrettati, ma preferivo quello che mi puntava il telecomando. Oh questa è una preterizione: quando cioè si dice di non voler fare una cosa ma, indirettamente la si fa. Spesso è seguita da un'allegoria. Per esempio: non voglio dire che sei uno stronzo, ma galleggi con una certa scioltezza. In questo caso si intravede sullo sfondo anche un sillogismo, ma qui si sconfina nella grammatica spinta. Roba da seconda serata.
Una cosa l'ho capita: la grammatica e la vita sono sorelle. Tu te ne stai lì bello tranquillo, senza pretese, senza dare fastidio e tutto d'un tratto ti parte un congiuntivo talmente insolente da far finire tutta l'accademia della crusca in un pappone per bovini, e ti accorgi che erano tutti lì pronti ad indicarti col dito. Questo è un pleonasmo in quanto “col dito” è un dettaglio inutile, come in “uscire fuori” o “salire su”, “pensare con la testa” invece va bene perché è dimostrato che si può pensare con parti del corpo alternative. Forse è per questo che Luttazzi le nomina sempre.
Mentre tutti ti mettono alla berlina (se sei solo, altrimenti alla station wagon) ti accorgi che c'è uno, nemmeno troppo lontano da te, che parla che non si capisce niente e tutti lo acclamano e si annuiscono intorno. Vuoi per paura, vuoi per gloria di prossimità.
La gente sono tutti matti. Siccome io sono io (tautologia da pezzente) questo è uno strafalcione, ma fossi figo, sarebbe una costruzione ad sensum.

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venerdì 30 novembre 2007

Se citofonando...


Bzzzzzzzz. Il citofono della Camera dei Deputati trilla sul banco dell'onorevole Bertinotti. Immediatamente mezzo emiciclo si fruga in preda ad un attacco di tuca tuca alla ricerca del telefonino per potersi dare un tono dissimulando noia e fastidio nell'essere disturbati sul posto di lavoro. L'altra metà era già al telefono.
“Ma dove cacchio è? Chi ha messo una copia di Transpartitismo tra i miei giornali? Onorevole Luxuria le ho già detto che il fiscal drag non c'entra nulla con le drag queen. Ma dov'è sto citofono, ah eccolo. Sì, chi è?”
“Sono Lama
“Luciano?”
“No Dalai
“Ma porc... quand'è che facciamo installare un videocitofono qui? Ehmm guardi signor Dalai, mi spiace ma mi prende in un momento imbarazzante. Sono in pigiama”
“Alla Camera?”
“Scusi le ci va in giro per strada in pigiama, io non posso stare in Camera?”
“Senta avrei bisogno di essere ricevuto e comunicare con il suo Governo”
“Guardi non è proprio possibile, siamo pieni pieni fino a Settembre. Sono già iscritti a parlare Luxuria, Benigni, Bruno Vespa e tutti i Ris di Parma. Se vuole può lasciare un messaggio giù alla portinaia”
“Ma io sono un Nobel per la pace”
“Capirai, l'ha preso pure Al Gore
“In effetti. Però Fidel Castro l'avete ricevuto e l'avete pure applaudito mentre vi dava lezioni di democrazia. Uno che ha fatto rinchiudere e perseguitare i suoi oppositori politici.”
“Ma quella era solo propaganda. Castro è un'icona della rivoluzione e poi ci ha portato dei sigari che non le sto a dire. Lei che ci ha portato? Un'alpaca tibetana?”
“Ma lei non è un pacifista?”
“Antiamericano prego, quindi perlopiù pacifista”
“Ma Bush mi ha ricevuto con tutti i crismi e mi ha pure insignito di una medaglia d'oro, anche se non ho capito niente di quello che mi ha detto”
“Appunto, non vorrà mica che facciamo le stesse cose che fa Bush.”
“Ma così non ci capisco più niente. Porto messaggi di pace e Bush mi fa parlare e quelli di Rifondazione Comunista no. Mi oppongo alla speculazione commerciale in favore dei diritti dell'uomo e di valori più spirituali e Berlusconi mi riceve e Bertinotti no. Che cosa devo fare? Chi può concedermi udienza?”
“Ha provato con Bin Laden? I suoi video tirano più di quelli di Britney Spears in topless. Guardi non la sento bene fzzzz crrrr sto entrando in galleria fzzz la ricitofono io, addio fzzz....clik. Ma guarda te 'sto bonzo. Vuol farmi mettere contro la Cina alla vigilia delle olimpiadi. Poi io dove le compro le nike?”

Don, don, don. Al Vaticano il citofono ha un suono particolare e grazie ad una tecnologia divina, è l'unico citofono di Roma in cui non si sente Radio Maria.
“Chi è è è è è”
“Sono Dalai
“Guardi le nostre encicliche le pubblicano le Edizioni Paoline ine ine ine”
“Ma non quello di Baldini & Castoldi, il Dalai Lama
“Oh Santa Cacca, ma dove sono le guardie svizzere quando servono. Guardi non posso riceverla ora, sto aspettando la Pivetti e poi non riesco a trovare il mitra tra tra tra”
“Il mitra?”
“Ho detto il mitra? Volevo dire la mitra tra tra tra”
“Senta io devo portare un messaggio di pace, lei deve aiutarmi”
“La capisco ma si metta nei miei panni. Lei è della concorrenza enza enza enza”
“Enza? Eminenza (enza) non voglio mica venderle un abbonamento a Torre di Guardia, devo parlare di pace e credo sia un valore comune nelle nostre religioni.”
“Sì ma io devo rendere conto ai miei clien.. fedeli. Non posso mica presentarmi con un bonzo onzo unz unz”
“Rendere conto? Ma se avete concesso funerali religiosi a Augusto Pinochet!”
“Pino chi hi hi hi?”
Pinochet, le dice niente lo stadio di Santiago del Cile
“Guardi non mi intendo di calcio. Comunque non c'entra nulla, lui era morto. Facciamo così, le prometto che vengo al suo funerale ok? Ei ei ei?”
Benedetto mio, dovrebbe saperlo che io non muoio, trasmigro.”
“Come i rumeni meni meni meni?”
“Sì, in camper. Senta qualcuno dovrà pur ascoltarmi. Il mondo deve sapere.”
“Ma guardi, dia retta, al mondo non gliene frega niente. Comunque provi da Cruman n n n n n.”
“Che cos'è un Cruman?”
“Non lo conosce? È un blogger famosissimo, ora poi lavora anche a Radio Deejay. Ora mi scusi ma devo andare a pagare l'ICI CI CI CI CI”

Bzzzzz....bzzzzzz
“Ma che diamine è sto rumore?”
Bzzzz... bzzzzz....
“Che è sto coso? Pronto?”
“Ehm mi scusi l'ho disturbata?”
“No stavo passando l'aspirapolvere”
“Ah fa le pulizie?”
“Io no, la stavo passando alla donna delle pulizie”
“Mi scusi questa intrusione, sono il Dalai Lama
“Niente meno. Da dove chiama, da Hollywood? Mi saluti Gere
“No guardi, sono qui sotto, al citofono”
“Ho un citofono?”
“Sì, senta avrei un messaggio di pace da comunicare al genere umano, so che lei può giungere a un vasto pubblico”
“Più che vasto, devasto. Comunque io l'aiuterei volentieri. Il problema è che a me il genere umano fa venire le bolle. Provi qui dalla mia vicina, lei è più filantropa. Però non le dia l'impressione di essere troppo impegnato, la prenda un po' alla larga, perché il suo concetto di diritti umani si ferma alla convinzione che tutti dovrebbero avere delle deliziose tendine. Di questi tempi però è già una tappa evolutiva. Ora la devo lasciare perché la donna delle pulizie ha messo la spina nella 380 e ora sta cavalcando l'aspirapolvere come un mustang imbizzarrito. Mi ha già aspirato il futon. A proposito, ma il suo citofono è vodafone o tim?”
“Click”

Bzzzzz.it bzzzzz.it (alla sede di Repubblica sono molto orgogliosi del loro sito).
“Chi è?”
“Ehmm sono Gloria, ho lasciato la patente sul tavolo, accanto alla frutta”
Dalai Lama è lei?”
“Ma porc.. Sì sono io, posso rilasciare delle dichiarazioni?”
“Certo. Ha ammazzato qualcuno in qualche villetta?”
“Ehmm no”
“Stupri? Attivi o passivi”
“Niente”
“Ci sono sue foto in giro senza mutande sotto la tonaca?”
“Mi manca”
“Un filmino col cellulare?”
“Col citofono è uguale?”
“Ha almeno fatto una scalata finanziaria fraudolenta?”
“Secondo lei se avessi scalato qualcosa andrei in giro con uno straccio e delle infradito?”
“Sono di Jimmy Chou?”
“Chi?”
“Mi spiace guardi, abbiamo finito gli spazi con l'intervista alla manicure della Gregoracci. Un'esclusiva”

bzzzzzzzz
“Sìììììì?”
“C'è Gigi?”
“No.”
“E la..... ma andate tutti affanculo”

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venerdì 23 novembre 2007

Second Life, second me


Lo ammetto: a me piace scrivere le cose in faccia. Se so qualcosa la dico, senza peli sulla lingua. Non sono il tipo che si defila. Magari sono più il tipo che si depila, soprattutto la lingua.
Oggi però sono risoluto a parlare di qualcosa di cui ignoro i dettagli e financo le linee generali. Insomma pontificherò privo di una qualsivoglia base cognitiva. Il glottologo polacco Zagajosky definisce questa forma di comunicazione “che parli a fa'”. Ad ogni modo confido nel fatto che ognuno di voi, almeno una volta nella vita, sarà entrato in un bar o avrà seguito una tribuna politica e quindi non si troverà smarrito nell'ascoltare un tizio che si parla intorno con quel tono adenoidale tipico degli impastatori di vaniloqui.

L'argomento in questione è “Second Life”, un mondo virtuale di cui so talmente poco che la mia massima espressione descrittiva giungerebbe a stento a “è un coso dove la gente cosano”.
Nonostante la mia ignoranza nel settore presenti profonde lacune, voglio lanciare una sfida agli amanti della vita alternativa (nel senso di alternativa a quella vera) e provare ad affastellare ipotesi su questo circolo virtuale pur non sapendo nemmeno da dove si entra.
Second life, come suggerisce la targhetta sulla porta, è un mondo virtuale in cui chiunque può entrare, scegliersi una nuova identità e fare tutto ciò che vuole. Possiamo quindi arguire che lo stimolo a crearsi una nuova vita derivi dal non ritenere sufficiente la prima o odiarla al punto da desiderarne una nuova nuova. Sorvoliamo sulle implicazioni filosofiche di un simile approccio, anche perché lo stesso Kierkegaard, che definì “la malattia mortale” il desiderare essere qualcun altro, in tarda età confessò che avrebbe tanto voluto essere Fabrizio Corona. E morse.
La prima cosa che mi si inerpica sulla corteccia cerebrale è il fatto che il tuo personaggio virtuale, accrocchiato con tutte le risorse possibili e imbellettato con i pixel più sexy della rete, tenderà inesorabilmente a somigliarti in modo imbarazzante e farà anche quel fastidioso rumore con la bocca mentre mangia. Se questa mia affermazione vi sbalordisce, osservate con maggiore attenzione il vostro cane.
Se applichiamo questa semplice ipotesi all'intero second world, possiamo agilmente allungarci verso considerazioni sociali ben poco distanti dal mondo in cui realmente ci troviamo. I personaggi virtuali tenderanno a crearsi una posizione e nell'operarsi in tal guisa, saranno inclini ad usare le più battute scorciatoie: il mercimonio dei corpi bidimensionali, che avrebbe fatto la gioia di Habbot e tutta flatlandia, e la sopraffazione tramite violenza.
Mi figuro persino che il vil denaro muoverà masse verso attività redditizie e che la speculazione edilizia sarà l'unico piano regolatore esistente. Presumibilmente gli ambienti considerati più cool saranno popolati da gruppi chiusi: un sistema di caste che ricorda molto la struttura sociale indiana e l'assegnazione dei tavoli al Billionaire. I privilegiati, che si sono guadagnati il tavolo vicino alle cubiste (che nel mondo bidimensionale si chiamano quadriste), si sono meritati il posto al sole con talmente tante ore di navigazione che potrebbero conseguire il grado di vice commodoro d'ufficio. In tutto questo tempo si sono dimostrati cinici, decisi, potenti e hanno saputo inserire nel proprio gergo acronimi talmente sinuosi da poter tranquillamente non significare nulla.
Questi oligarchi della second bella life, guarderanno con sdegno i nuovi arrivati. Li disprezzano al punto di pensare che tutto il mondo virtuale avrebbe dovuto chiudere dopo il loro ingresso. A patto che il neofita in questione non sia appetibile sessualmente. In questo particolarissimo caso, lo sgamato virtuale indaga sulla corrispondenza fisica tra il personaggio immaginario e la sua creatrice (mi permetto il lusso di immaginare l'esistenza di un esiguo numero di avatar femminili sovrappeso e con i denti a pianoforte), ma soprattutto sulla disponibilità ad essere coperta nella realtà almeno quanto l'immagine virtuale lascia velatamente intuire con discreti richiami all'erotismo (stivali inguinali, frusta e tette 1024x768). Questa contaminazione tra virtuale e reale è in qualche modo vista come un'erosione dei pilastri stessi che sostengono l'idea del mondo alternativo. Ma le maglie della rete sono larghe e il popolo dei figli di Onan (la cui miopia è accentuata dalle radiazioni del monitor) accetta di buon grado la possibilità di attraversare un varco tra i due mondi nella speranza di attraversarne poi uno più concreto.
Fin qui sono andato sul sicuro, ma ora esagero. Un mondo creato dai computer non può che essere espressione delle menti positiviste, votate alla scienza, al progresso e anche un po' ai varchi. Eppure qualche cosa mi dice che nemmeno second life potrà fare a meno di religioni vecchie e nuove, di adepti, dogmi e riti. Probabilmente numerose sette (numerose, non sette) professeranno i culti più bizzarri ed eserciteranno i privilegi sociali derivanti dalla ricerca dell'ignoto, finanche in un mondo finito. Chissà se sono consapevoli delle ingombranti ripercussioni teologiche di questa situazione. L'esistenza di queste professioni in second life, dimostra che non c'è bisogno di avere un'anima per confidare nella religione e, in questo caso, nemmeno un corpo.

Se tutto quello che ho provato ad immaginare è inattendibile, prometto che mi creerò un avatar e lo metterò da qualche parte esposto al pubblico ludibrio virtuale. Ma se in qualche modo la mia dissertazione è verosimile si dovrà ammettere che poter essere ciò che si vuole e fare ciò che si sente in un mondo in cui anche tutti gli altri hanno la stessa opportunità, non è molto diverso da un mondo in cui tutti possono essere solo quello che sono e fare ciò che i limiti umani e sociali impongono.
Pensandoci un po' (ma non molto), si può evincere che essere anarchici ha una sua potenzialità umana solo se il mondo in cui ci si muove rimane regolamentato. Ma la deduzione più immediata è che ci deve essere un modo meno noioso per rimorchiare.

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martedì 13 novembre 2007

A Chuck Norris non sarebbe successo


Eppure ogni giorno in televisione passano film insegui spara e nel tempo libero tromba. Possibile che un poliziotto non sappia tenere in mano una pistola? In “arma letale” il protagonista corre salta impenna e va a manetta, tenendo una SB92 carica e con il carrello aperto. Roba da gente giusta, mica pizza e fichi.
Non ci sono discussioni, un agente che non riesce a correre senza sparacchiarsi intorno è meglio che vada a debeccare i polli. Qualcuno magari dovrebbe anche spiegare come è finito in mano a un uomo dotato di diversa perizia, un oggetto in grado di offendere e provocare danni accessori tipo la morte. Non che a questo punto serva a qualcosa.
Che l'uomo non sia una miscela di buon senso, efficienza e precisione non è un fatto da dimostrare. Una pistola in mano ad una persona in grado di commettere errori è come la patente di guida in mano a chi non sa sincronizzare i propri gesti nemmeno per impostare l'ora sul videoregistratore. O come un bisturi in mano a un medico che ha superato esami imbrogliando, ha ottenuto il lavoro conoscendo e opera come se stesse farcendo un tacchino, asportando reni sbagliati e lasciando al loro posto strumenti da sala operatoria, garze e un anestesista che era scivolato su un intestino tenue. Che l'uomo abbia ancora qualche piccola tappa evolutiva da raggiungere lo dimostra anche il fatto che due gruppi di esemplari maschi, distinti da colori tribali, si incrocino casualmente e comincino a percuotersi con delle clave. Come due cani al parco che si azzuffano perché a uno non piace l'odore dell'altro. Per qualche profondo tecnicismo sociologico, a qualcuno è concesso essere stupido, ad altri no. Io, munito di limitata capacità cognitiva, riesco a concepire la possibilità che un poliziotto possa essere incapace, stupido o che semplicemente, una volta nella vita, possa commettere un imperdonabile errore. Ma gruppi di persone che nel XXI secolo e con il pianeta appeso a un ramoscello affacciato sull'abisso, si smontino di legnate in nome di una squadra di calcio, creano nei miei sistemi analitici quella che gli psichiatri definiscono fanghiglia percettiva.
È ovvio che se commette un errore un cardiochirurgo, una persona muore. Se commette un errore uno sventrasardine, una sardina vive. Ma fare il cardiochirurgo o il poliziotto non rende una persona infallibile e a volte non la salva nemmeno dalla stupidità. In definitiva, nonostante percepiscano stipendi contrapposti per numero di zeri, possono essere incapaci in egual misura e provocare danni equipollenti.

Ora sono qui ad assistere alla rivolta dei gladiatori e, testardo come una scimmia, mi ostino a cercare di capire. È solo vendetta o rabbia? Anche questi sentimenti fanno parte dell'uomo, della sua natura. Forse però sono distribuiti in modo disomogeneo perché mi manca ancora di vedere orde di dializzati assaltare ospedali in cui regna la malasanità o pedoni dare alle fiamme le motorizzazioni civili che hanno rilasciato la patente a tossici, avvinazzati e inetti che per logica sequenzialità di causa ed effetto e per il destino farabutto, si sono trasformati in assassini.
Ma forse non si tratta di vendetta. Forse si vuole cambiare radicalmente le cose. In questo caso tutto l'interesse di cui sono capace è rivolto a capire come.
Un'ipotesi potrebbe essere quella di eliminare le forze dell'ordine. Compresa la stradale, quella che viene a tirarmi fuori dalle lamiere di una macchina in cui sono incastrato grazie a un tizio che ha deciso di leggere la gazzetta durante una manovra di sorpasso, facendo spostare altri complici di omicidi che ritengono di avere incombenze tali da rendere adatta a loro la corsia di emergenza. In questo caso vorrei sapere se è prevista una nuova serie di procedure da seguire per i deboli e gli indifesi nel caso in cui si trovassero ad affrontare uno molto più feroce o una situazione perigliosa.
Oppure se varrà la legge della giungla con annessa riforma darwiniana che renderà lecita la sopravvivenza solo a chi mena più forte.
Un'alternativa potrebbe essere quella di rilasciare una sorta di nulla osta per i tifosi di calcio. Niente regole, controlli o leggi. Insomma il calcio città aperta. Diritto acquisito con la forza, probabilmente poco democratico, ma in fondo, perché no. Anche in considerazione del fatto che, quando viene ucciso un poliziotto, non è che esca fuori uno a dire “sono stato io scusate, non volevo, mi è partito accidentalmente un lavandino mentre correvo, non mi ero accorto fosse carico”.
Un'ultima possibilità potrebbe essere quella di avere delle forze dell'ordine composte tutte di Will Smith, Bruce Willis e Chuck Norris. Gente che non sbaglia mai, che sa sempre cosa fare, sa come farlo e se avanza un po' di tempo, salva questo mondo e quell'altro.
Seriamente, se qualcuno fosse a conoscenza delle richieste dei rivoltosi, gli sarei grato se potesse illustrarmele, perché i giornali non fanno che parlare di bollettini di guerra e di come salvare il calcio. Quel calcio in cui un attaccante dimostra grandissima sensibilità non esultando a seguito di un gol realizzato alla sua ex squadra, ma che salta, grida e gioisce in una giornata come quella di domenica scorsa.

Anche a me piacerebbe un mondo in cui non ci fosse bisogno di pistole e gente in divisa che le impugna. Ma mi piacerebbe anche un mondo in cui la sopraffazione, la prepotenza e il testosterone non fossero alla base dei sistemi sociali e politici e lo sputo la più riconosciuta forma di educazione.
In contemporanea con MenteCritica

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giovedì 8 novembre 2007

LaMenteVola


Ci sono troppo cose da fare, in un arco di tempo teso e puntato verso di te. Devi essere svelto per agire in un breve lasso di tempo, devi essere l'asso del tempo. Non è impossibile, se non consideri troppo le conseguenze e soprattutto se non perdi tempo a pensare che è impossibile. Quello che grippa i miei meccanismi è invero un'altra questione: perché ho così tante cose da fare? Non dico che passerei la mia esistenza con le mani nella dispensa e i piedi davanti a un camino di pile, ma in qualche modo vorrei arrestare questa escalation di incombenze. Fai meno cose, direte voi. Tutti laureati eh?
Non si può fare meno cose, si può solo riposare meno: fare meno pausa e diventare intrattabili. All'inizio agisci con moderazione e con moderazione ti viene chiesto di fare un po' di più. Tu già che hai un po' di tempo libero e un extragettito di energia dato dalla crisi dell'onanismo, aumenti volentieri il livello di impegno. A un certo punto ti accorgi di essere fuori budget, che hai splafonato di un buon 700% dai tuoi bilanci preventivi e che forse è il caso di ridurre gli impieghi. Non si può. Questo processo è privo di reversione. Se dai, nessuno accetterà mai che tu smetta di farlo o che tu riduca il flusso attivo. Quindi puoi solo smettere di dare a te stesso, perché probabilmente sarai l'unico che non se ne lamenterà.

Volevo scrivere un pezzo sull'assenteismo nella pubblica amministrazione. Sul fatto che un'azienda privata cerca di sopravvivere lavorando anche i notturni festivi di malattia in ferie, mentre l'azienda stato in condizioni di posto assicurato e di impossibilità (teorica) di fallire, ha un livello di produttività infimo. Eppure se parli con qualsiasi dipendente statale ti dice che lavora nelle miniere di Golconda con un salario terzomondistico.
Pensando ciò, mi sono venuti in mente i Radiohead (un gruppo musicale di cui so più o meno come di meccanica olistica). Questi giovani alimentatori di iPod hanno messo on line il loro nuovo disco, a disposizione di tutti, con la formula “pagalo quanto te pare”. Il 62% degli scaricatori di posto (nel senso di sito) ha elargito la rutilante cifra di O sterline. Eppure senti dire in ogni dove che è giusto comprare i cd pirateschi perché i prezzi degli originali sono troppo alti. A sentire quelli più avvertiti, la contrattazione magrebbina è una controfluttuazione di marketing. Mica un furto.
Ponderando in tal guisa, sono andato a pranzo. In uno di quei ristoranti di aggregazione o più semplicemente uno di quei posti con i tavolini ammassati per ottimizzare il meccanismo di apertura del registratore di cassa. Nel tavolo adeso al mio c'era una coppia in crisi. Cioè lui era sicuramente in crisi perché letteralmente tramortito da una raffica di parole provenienti dalla relativa. Io non volevo ascoltare, anzi facevo di tutto per distrarmi, ma eravamo talmente contigui che il fittissimo soliloquio ad alta frequenza della donzella, mi ha gratinato i maccheroni. Penso grazie ad una specie di effetto microonde.
La litania, solo saltuariamente rotta da alcuni tentativi di intromissione da parte del deprecabile tapino che però mai si elevavano oltre il “perso cucchiaio pappa”, era cadenzata da alcuni refrain ben modulati e usati come rafforzativi dei passaggi meno intensi. Quelli che parevano avere maggiore influsso sul quel cratere d'uomo erano piangere disperata, soffro, te ne accorgerai, tua madre, puttaniere. A volte, quando si sentiva attaccata, in un impeto di rivalsa del soggetto che ha voluto come marito dichiarandolo di fronte a testimoni, riusciva ad utilizzare tutti quei ritornelli in una stessa frase, provocando devastanti effetti retorici e un leggero sisma sussultorio avvertibile ai piani alti. Comunque in tutta la conversazione, l'unità carbonio di sesso maschile non è riuscita ad articolare argomentazioni più efficaci di “calcetto con gli amici”. La sua disfatta è arrivata nel momento in cui, in preda ad un marasma kafkiano ha replicato alla parola “compromessi” con “lo so bene, l'ha detto anche Berlusconi – compro Messi - ma il Barcellona non vuole venderlo”.
Alla fine io ho preso un caffè, loro un avvocato.

Anche loro erano scontenti. Anche loro volevano di più.
Non che ci sia qualcosa di male nel volere di più, ma se le persone pretendessero da sé stessi la metà di quello che pretendono dagli altri, il mondo sarebbe un posto in cui io potrei pranzare in santa pace.
A parte la diffusa confusione riguardo ciò che è dovuto e ciò che si deve, non capisco come il lamentarsi di quanto non si ha possa in qualche modo sortire effetti migliori dell'emettere gridolini goduriosi per la dotazione di cui si dispone.

“Sono depressa”
“Sei una bella donna”
“Mmmmsì, ma ho sposato un culo che spunta dal frigorifero”
“Sei perfettamente in salute”
“Ma mio figlio non sa costruire una proposizione se non include il nome di una squadra di calcio”
“Sei intelligente e hai qualcuno che ti vuole bene”
“Sai a che servirà quando avrò il culo basso”
“Hai una casa e la stabilità economica”
“Il mio capo è antipatico”
“Raggiungi l'orgasmo senza dover chiamare i caschi blu dell'ONU”
“Ma a me piace un mio collega. È così tenebroso, non questo divano che russa”
“Puoi decidere ciò che vuoi della tua vita, hai le risorse per farlo”
“Mmmmmi annoio”
“Fottiti”
“Mmmmnon mi va”

Io so scrivere. Probabilmente è l'unica qualità che ho. Le maggiori case editrici del mondo mi tengono in considerazione un'ottava meno del loro dentista e valuterebbero l'idea di pubblicare un mio pezzo solo se la prossima apocalisse scegliesse me come superstite, ma io sono così felice di saper scrivere che correrei nudo lungo un ponte di Calatrava.

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giovedì 25 ottobre 2007

I neugroni


Nel dinamico duo Doyleiano, Watson era quello stupido. Infatti Holmes continuava a ripetergli che avrebbe fatto bene a finire almeno la scuola elementare. Questo Watson di cui vi parlo invece è uno con tutti i neuroni con la laurea. Prova ne è che si è beccato un Nobel per la medicina, anche se ultimamente pare che l'Accademia Reale di Stoccolma assegni gli ambiti premi tramite un drammatico sorteggione in sala mensa. Il dottor Watson il Nobel deve averlo preso in testa, perché snocciola perle di saggezza come se piovesse. Dopo l'idea di permettere l'aborto nel caso in cui un ipotetico test possa rilevare la potenziale omosessualità del feto e l'iperbole di eugenetica che l'ha portato a sperare in una tecnologia che possa rendere tutte le donne belle, ha infine dichiarato che i neri sono meno intelligenti dei bianchi.
Io so solo che questo è tipo bizzarro assai. Anche perché a me che tutte le donne siano belle non interessa. Tanto non ho il giardino. Delle sue ricerche non so nulla. Magari ha realmente dimostrato che certe razze hanno meno connessioni sinaptiche di altre, come i pigmei sono più bassi e i watussi più alti, ma quello che mi incuriosisce, come mia usanza, sono le reazioni della gente.
In un mondo in cui conta la fisicità, la prepotenza e la forza bruta è curioso come la gente si insolentisca a sentirsi dire di essere meno intelligente di qualcuno. Chiariamo non sto facendo un discorso di razze ma di pura filosofia di comunicazione: se qualcuno scoprisse veramente una minore attività neuronale in una qualche razza, potrebbe dirlo? No, d'accordo non è carino. Si può invece dire che, per esempio proprio i neri, siano più forti, più veloci, più resistenti e perdipiù con doti sessuali asinine. Senza contare la musica nel sangue e l'abbronzatura.
Le doti fisiche sono indubbie. I neri, a parità di massa, hanno più fibre muscolari e meno grasso. In pratica sono più densi. Per questo i campioni di nuoto neri sono rarissimi: perché hanno un peso specifico più alto. È indubbia anche la preponderanza pubica. Anche se qualcuno “si difende” dicendo che ce l'abbiamo tutti uguale solo che gli orientali e i caucasici ne hanno una parte maggiore all'interno. Non che mi faccia felice sapere di avere una grossa parte di pene all'interno. A me no almeno.
Ovviamente non sono qui a sostenere che una razza sia meno intelligente di un'altra anche perché l'intelligenza è parametrizzata dall'uomo stesso, quindi niente di “pragmaticamente determinante”. La cosa curiosa è l'impossibilità di dire certe cose e la facilità con cui se ne dicono altre. Per esempio non si può dire che una popolazione è civilmente arretrata anche se l'espressione culturale più in voga è lo sputo. Un'altra cosa curiosa è che tutti ci tengono molto alla loro intelligenza (anche se è incidentale che qualcuno lo sia meno di altri), ma non c'è la stessa cura nel dimostrare di averla. Molta gente, come il nostro buon Postatore, ne è portatrice sana: ce l'ha ma non gli fa niente. E soprattutto non c'è lo stesso accanimento del sostenere il fatto di essere brave persone, di buon senso per esempio. Si usano tranquillamente i luoghi comuni di italiani mafiosi, francesi nazionalisti, tedeschi crucchi, ebrei avari e interisti sfigati. Ma se parli di intelligenza succede una cambogia di indignazioni. A me per esempio Calderoli sembra meno intelligente di Andreotti, lo posso dire? E forse questo esempio dimostra che l'intelligenza o la mancanza di essa nulla hanno a che vedere con l'essere una brava persona.
Io conosco un sacco di gente che non saprebbe risolvere un'equazione di primo grado a cui affiderei tranquillamente la chiave di accensione del mio polmone d'acciaio.
Ricordo quando l'Islam delle infibulazioni, delle mani mozzate, delle lapidazioni era osteggiato da tutti i movimenti intellettuali e soprattutto femministi. Poi un giorno Berlusconi disse che questa cultura era meno evoluta della nostra e si gridò allo scandalo. È vero non c'è un gap evolutivo spaventoso. Negli anni settanta le BR facevano i filmati con i prigionieri uguali identici a quelli che fanno ora i terroristi islamici e, allo stesso modo, condannavano a morte. Però se tutti questi movimenti umanitari si battevano per i diritti civili qualcosa di poco civile doveva pur accadere. La cosa assurda è che la gente si indigna di più per delle parole di indisposizione che per dei clitoridi mutilati. Che spesso qualche intellettuale trova sexy definire cultura.
Io nell'acqua galleggio grazie alle cellule adipose, ce l'ho piccolo, sono stonato, ballo come un orso ubriaco, corro come una lumaca zoppa e sono emaciato al punto giusto per guardare i fiori dalla parte del gambo... posso almeno dire di avere 164 di QI? Se no come mi riproduco?

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giovedì 18 ottobre 2007

Ho cinque cerchi alla testa


08/08/08 è la data di inizio delle olimpiadi cinesi. Cioè non una copia che costa meno, proprio quelle genuine. Fatte a mano. Che costano tantissimo. È stato scelto l'otto agosto duemilaotto perché non ha nemmeno una erre.
Io sono uno sportivo e so che cosa significa sudare come un tricheco inseguito per anni e anni per sentire di non essere la penisola di un divano e per avere una qualche coppetta che, in vecchiaia, potrò mostrare a mio nipote, ma soprattutto sbattergliela in testa quando torna alle 4 dalla discoteca “pillole di balordoni”. Per questo motivo non me la sento di boicottare questa manifestazione. Per gli atleti. Non tanto per i grandi campioni, ma per quei manovali dello sport che remano, pattinano, baseballano, maratonano e compagnia bella riuscendo a malapena ad arrivare a fine mese e che si dopano con pane e mozzarella, che costano più dell'eritropoietina di bufala. Sportivi che vedono nelle olimpiadi l'unica risposta all'erotema socratico “chi me l'ha fatto fa'?”.
Gente che, tutti i giorni, dopo 6 ore di lavoro e 4 di allenamento, pensa che sarebbe stato più facile fare uno sport più remunerativo, tipo l'amico di un motociclista o il farmacista della juve.
Quindi viva le olimpiadi. Ho avuto anche modo di rallegrarmi di alcuni provvedimenti presi dal governo cinese in risposta ai dubbi e alle polemiche sollevati da quella piccola parte del pianeta che loro chiamano “lesto del mondo”. Giacché mi trovo a parlarne vi enumero le interessanti iniziative elaborate a seguito del puntiglioso accanimento di Amnesty International (sono tutte rigorosamente vere):

Enumero 1: istituito il “giorno della fila”, per insegnare alla sgarbata popolazione a rispettare l'ordine e il prossimo.
Enumero 2: lanciata una durissima campagna antisputi: gli irriverenti abitanti avvezzi a liberarsi dell'eccesso di produzione ghiandolare attraverso eiezione propulsiva, sono stati persuasi con ogni mezzo a desistere da tale tradizione. L'ufficio per il Civismo di Pechino ha registrato un calo della frequenza degli sputi dall'8,4% del 2005 al 4,9% di quest'anno (giurin giuretta è vero!). In caso di perniciosa insistenza degli sputatori è in cantiere l'ipotesi estrema di far divenire questa usanza, disciplina olimpica (questo non è vero, spero).
Enumero 3: multe salate previste per i tassisti che saranno colti con la loro vettura maleodorante o, colmo di violazione degli umani diritti, con i capelli non lavati.
Enumero 4: gli abitanti di Pechino sono stati gentilmente invitati ad imparare qualche frase in inglese (idioma usato da una minoranza della popolazione mondiale) oltre alle ben note “vuoi un paio di nike?” e “se parli con il Dalai Lama ti friggo e ti servo a tranci”.
Enumero 5: degli elegantissimi muri sono stati eretti per coprire la vista dei quartieri dei malnati. Incidentalmente qualcuno dei diversamente abbienti è rimasto cementato nell'operazione estetica che, per inciso, è costata una cifra che sarebbe stata sufficiente a rendere digenti gli indigenti.
Enumero 6: i supermercati sono stati forniti con 50.000 cocomeri cubici (non è un'unità di misura è un frutto) e sponsorizzati. L'operazione di ingegneria genetica agevola un ottimale stoccaggio della merce e predispone il consumatore a giocare a dadi prima di mangiare.

Vi sentirete in sintonia con me nell'affermare che qualcosa si è fatto. Certo rimangono ancora fuori da questa pletora di iniziative, tappa dell'evoluzione del vivere civile, alcuni marginali dettagli talmente trascurabili da non destare la minima preoccupazione.
Il meteo per esempio è un problema incipiente per le manifestazioni sportive, ma gli scienziati cinesi hanno già sperimentato un cannone al cianuro impoverito che spazza via le nuvole lasciando solo un coreografico (cioè disegnato da un coreano) fungo atomico. Non che questo risolva il problema perché, nuvole o no, la cappa di smog che copre Pechino lascia intravedere il cielo circa cinquanta giorni l'anno. Tanto che le gare di giavellotto si svolgeranno al chiuso perché l'attrezzo rischia di infilzarsi nell'aria. Invece le lunghe gare di resistenza, come la maratona, la marcia o il ciclismo, verranno probabilmente trasferite in una località limitrofa più arieggiata: Vetralla.
Sempre riguardo l'inquinamento sussistono ancora due questioni di ordine normativo: la prima riguarda le gare di fondo di nuoto (nel senso di lunghe non a fondo) il cui regolamento non fa menzione alcuna sulla possibilità di correre sul pelo dell'acqua (visto che l'unico che ci riusciva l'hanno messo in croce per altri motivi) e questo vuoto legislativo andrà colmato visto che, grazie a una patina di petrolio e catrame, vedremo molti nuotatori con le scarpette chiodate.
L'altra questione riguarda le analisi antidoping che, grazie all'acqua di rubinetto e ad una leggerissima adulterazione dei cibi, risulteranno tutte talmente sballate da confondersi con le analisi delle acque di scolo di una centrale termonucleare.
Anche l'inezia dei diritti umani è vicina ad una soluzione dignitosa. I siti olimpici sono stati costruiti sopra ai quartieri e sulle scuole dei cinesi che si ostinano ad essere poveri e quindi a non abitare in centro (a volte senza nemmeno svegliarli) risolvendo due problemi in un colpo solo. I bambini (che santa cacca hanno sempre la faccia tosta di sopravvivere a tutto) sfrattati dalle loro scuole e dai loro quartieri, sono stati sistemati in centri di accoglienza dove vengono tenuti allegri da catene di montaggio di gadget olimpici.
Il problema libertà di stampa è stato accoppiato alla sicurezza e, come due piccioni, sono stati risolti con una fava di idea. Impegnare 20.000 poliziotti a tenere i dissidenti in carcere o comunque lontani dai giornalisti occidentali a costo di dare loro una vacanza premio. A Vetralla.
Sarà comunque un'olimpiade diversa. Il contesto storico renderà alcune manifestazioni particolarmente originali. A causa del traffico, che a Pechino ha la fluidità di uno sfasciacarrozze in cui sia esplosa una bomba a frammentazione, alcune piste di atletica sono state costruite direttamente sulle tangenziali e non sarà inconsueto trovare a metà rettilineo un semaforo a richiesta. La fossa olimpica (tiro a piattello) verrà ribattezzata in fossa comune olimpica e al posto degli inquinanti piattelli con polvere rivelatrice, verranno lanciati dissidenti politici, giornalisti e blogger. L'iniziativa è volta a dimostrare l'impegno del governo cinese nella riduzione delle pene di morte, confidando nel fatto che qualcuno sbaglierà bene mira ogni tanto.
Anche il regolamento olimpico sarà adattato alle circostanze geopolitiche. Ora, per esempio, il Cio prevede l'eliminazione dei corridori dopo due false partenze. A Pechino hanno voluto dimostrare di essere divenuti magnanimi e, al posto dell'eliminazione, la scorrettezza verrà punita con l'arresto. Questa iniziativa ha destato qualche perplessità persino tra i rappresentanti dei civili e democratici governi amici del colosso cinese, come il Myanmar e il Sudan (campioni interprovinciali di sterminio di fazioni concorrenti). I dubbi vertono sulla pistola dello starter che, essendo fedele ed economica copia di una vera pistola da starter, tende fare cilecca. È quindi probabile che il colpo di pistola verrà sostituito da un più affidabile “VIAAAAAAAAAAA” che però in cinese si dice “chanuolìnaniaomaotsetung”. Il vero problema è che per pronunciare la frase che significa “falsa partenza” ci vuole un tempo sufficiente a completare i 3000 siepi. E nemmeno in un buon tempo.
Ho il vago sospetto che saranno proprio olimpiadi cinesi.

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giovedì 11 ottobre 2007

Piccoli danni crescono


Il sopraggiungere della vecchiaia si fa precedere da alcuni sintomi rivelatori. È una legge di natura a cui non si può sfuggire e non mi si venga a dire che ad Andreotti non succede. Andreotti non esiste: è una maschera, come il gabibbo. Dentro c'è Elvis Presley. Comunque i sintomi principali sono il calo della vista, dell'udito, della memoria e un altro che ora non ricordo. L'avevo scritto qui ma non riesco a leggere.... eh? Comeeee?? Ah sì: il parlar male dei giovani. 'Sti debosciati.
D'accordo è possibile che io mi sia allontanato da qualche tempo dalla mia pubertà, ma il fatto che quando andavo a scuola io non si insegnasse ancora storia, non mi sembra un buon motivo per considerarmi un vecchio deneuronizzato. Ammetto che tessere lodi a mosaico per gli odierni virgulti non è la mia attività preferita, ma anche Lenin riteneva un errore dar loro troppi riconoscimenti e infatti loro non lo riconoscono nemmeno in fotografia.
Poi mi capita di leggere che in Nuova Zelanda è scoppiata la mania di andare a scuola in pantofole. Troppo giusto penso io. Bella raga!! Un gesto di protesta simbolico che non riga il parquet. Mi sbagliavo. La moda è scoppiata il giorno in cui un certo Snoop Dogg si è presentato a un'intervista in moffolette. E da quel momento, via le costosissime calzature marca americana, fattura cinese e fattura a tre cifre, per le quali si è pensato di accelerare la procedura babbomorto, e tutti in giro come in un enorme gerontocomio. Snoop Dogg è un rapper americano di quelli che innalzano il loro grido di protesta, il loro impatto destabilizzante dal cuore del loro disagio esistenziale. Quel disagio che non si può non condividere guardandoli percorrere su una Bentley color vomito, il vialetto della loro villa a Miami mentre quattro groopies contorsioniste mettono in ridicolo il sacro testo del kamasutra. Snoop deriva dal soprannome che la di lui mammina gli aveva affibbiato a causa della somiglianza con Snoopy, ma ancora oggi il solo “era una notte buia e tempestosa” creato dal bracchetto di Shultz, vale più di tutte le canzoni unz unz incise dal rapper. Il suo più grande contributo sociale è stata l'invenzione di uno slang in cui a tutte le parole viene aggiunto il suffisso “-izzle” (tipo for sure diventa for shizzle e demente diventa dementizzle). Non scherza niente quest'uomo.
Insomma questi giovincelli che in nome della loro ribelle originalità rinnegano i padri, si mettono a pecoroni per essere tutti come un tizio che un giorno era talmente fatto da confondere le scarpe di Prada con le pantofole di Louis Vuitton. E si sono anche battuti. Alla fine l'hanno spuntata: i presidi hanno dovuto accettarli in classe così o le aule sarebbero rimaste vuote. Quando si dice una causa per cui vale la pena di combattere. Altro che sessantotto.
Aveva ragione Flaiano: i giovani hanno il coraggio delle opinioni altrui.
Guardare con sfiducia le nuove generazioni non è segno dei tempi. Già Orazio prevedeva un futuro cambogiano se provava a guardarlo proiettato sui giovani. Sarà per questo che con Clarabella non ha avuto figli. Mica perché lui è un cavallo e lei una mucca.
Però poi i piccoli crescono, solo che io non vedo la differenza. Mi ritrovo sempre in mezzo a trentennibarraquarantenni che parlano usando come punteggiatura l'intera toponomastica erotica, oltre a diverse rivisitazioni agiografiche. A furia di cazzofiga si rischia di avere un orgasmo a metà discorso.
Non di rado (e non mi rado) mi capita di assistere a colloqui di lavoro durante i quali neolaureati in camiciona rosa (iddio benedica la donna che ha detto che bisogna essere veri uomini per indossare qualcosa di rosa senza sembrare dei titanici idioti), si propongono farcendo i loro discorsi con “bon, ok, dai allora buona così”. Tanto che ho temuto spesso di essere invitato per un'ape in samba!
Lo so che passerò per anziano, ma sono stato giovane anche io. Per un breve istante. Il problema è che ho avuto la sfortuna di accorgermene subito. Ero giovane da poco e buttando l'occhio giovane in uno specchio troppo riflessivo ho esclamato “uh! Un giovane”. E quando te ne accorgi è finita: sei già vecchio.
Comprendo anche i conflitti generazionali, dovuti per la gran parte al fatto che ad ogni sfornata di nuove leve, i figli hanno quasi sempre a buon mercato ciò che i genitori hanno conquistato lasciando brandelli di pelle attaccati al filo spinato della vita. E questo non viene un filo stimato.
Ma forse accade anche il contrario. Che i genitori hanno avuto tutto e i figli vorrebbero un po' di indigenza, tanto per crescere con un po' di palle, visto che il finto povero è passato di moda da vent'anni. Magari a casa Dogg funziona così con il figlio di Snoop:

F: “Papà posso uscire con le scarpe oggi che le pantofole sul ghiaino non sono comodissime?”
S: “Papà? Ehi fifty hai sentito? Il nano che mi gira per casa è mio figlio”
F: “Senti papà, posso...”
S: “Sì certo fratello!”
F: “Sono figlio unico papà, ma ancora non ti ho chiesto che cosa”
S: “Bella fratello, sei nel giusto! Le cose bisogna conquistarsele, devi essere uomo”
F: “Come quando ti ho chiesto se potevo comprarmi il motorino con i soldi guadagnati accompagnando i ciechi e tu mi ha regalato un ducati 999 con la mappatura da pista?”
S: “Sì, bella fratello, ma come parli? Io voi giovani non vi capto”
F: “Papà ho 13 anni dovresti cercare di capirmi”
S: “E io ti capisco bro! E cerco di aiutarti nelle tue piccole battaglie quotidiane”
F: “È per questo che mi hai regalato un Uzi 9 millimetri con proiettili parabellum, un sacchetto di cocaina purissima e una carta di credito platino per fare le strisce?”
S: “Dammi il cinque fratello!! Hai visto per caso figliemo?”

Da ragazzino le uniche pantofole che vedevo erano quelle con cui mia madre mi menava. Questo succedeva quando nei paraggi non c'era una padella. Ma io non ce l'ho con lei, anzi, la ringrazio per questo e soprattutto di non aver mai calzato zoccoli.

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giovedì 4 ottobre 2007

L'uovo del Tenente Colombo



La vita è un gran brutta bestia. Un noto andrologo soleva dire che nessun organo sessuale maschile è duro come la vita. E quel “soleva” zoppo di una elle in qualche modo descrive l'impotenza che si avverte quando di notte ci si sveglia in preda al panico e a un inutile fenomeno idraulico. Questo almeno succede agli uomini. Alle donne può invero accadere di svegliarsi in preda a un idraulico fenomeno.
E la vita è dura per tutti. Per un operaio che stringe i bulloni alla Breda e porta avanti le sue rivendicazioni contro i potenti sindacalisti. Lo so, una volta si lottava contro i padroni, ma ora sono dei poveracci anche quelli e non è che si può stare sempre a sindacare. Per una casalinga che manda a scuola i figli equipaggiati come i navy seals e se li vede tornare pesti e con il prezioso balaustrone piantato in una mano. Per una coppia di giovani sposi che cerca di accendere un mutuo, se non fosse che solo le pratiche costano come un figlio scemo e sono quindi costretti a rinunciare ad averne uno (di mutuo non di figlio scemo), per affittare un appartamento in un'enclave marocchina di periferia.
Ma non pensiate sia facile per chi ha messo il porco all'ombra (antico adagio sumero). Per chi mette a letto le sue tedesche (automobili) e compra ai figli il diario che suona e firma le note da solo.
Le loro villette sono prese d'assalto da orde di criminali, provenienti da tutto il mondo, isole comprese, perché in Italia, a sentire gli stessi criminali, si rischia poco: esci di casa (regalata dal comune), chiedi a un vigile dove trovare dell'eroina, ti droghi, entri nella casa che hai tenuto d'occhio per giorni, massacri i villici, se è mattina presto approfitti anche del fenomeno idraulico per violentare, rubi, scappi, ti fai arrestare, poca galera, foglio di via con cui ti soffi il naso appena uscito grazie ad avvocati che sanno come sfruttare lo stato comatoso in cui versa la giustizia italiana e ricominci dal punto uno. È vero che a volte la tolleranza si presta agli approfittatori, ma non confondiamo la tolleranza con il chissenefrega.
A seguire i mezzi di informazione sembra addirittura che tutto succeda nelle villette. E solo nelle villette del nord. Di periferia. Perché l'omicidio di Milano, il giallo di Roma non suonano bene, non sono mnemonicamente evocativi. Novi Ligure, Cogne, Parma (Casalbaroncolo), Garlasco, lo schema è sempre lo stesso: una o due famiglie benestanti, una villetta in periferia, un omicidio all'apparenza assurdo e una persona che sin dall'inizio viene messa sotto torchio, con un tappeto musicale appositamente preparato da Studio Aperto. Se ci pensate bene... è la trama di tutte le puntate del tenente Colombo.
Funziona. Funziona con la precisione di un cioccolato svizzero. È l'uovo di colombo. Di cioccolato (e visto che Colombo è sbarcato su un'isola è in pratica l'uovo di pasqua). Basta mettere gli ingredienti giusti e si può vivere di rendita per molti anni, nella speranza che l'assassino non venga fuori e nella certezza che la macchina della giustizia manterrà i tempi televisivi.
Lo so che essere ammazzati a Scampia non vale. Che a nessuno interessa chi ha ucciso Fortugno: fai il politico a Reggio Calabria, qualche schioppettata è normale. So che se un tredicenne viene assassinato a Enna non arrivano certo i RIS di Parma, ma due carabinieri stanchi di sopravvivere alla mafia e a uno stipendio che fa ridere i mafiosi. Uno dei due magari scivola sulle macchie di sangue e l'altro se trova una sigaretta accesa sul luogo del delitto se la fuma pure.
Insomma come funzionano le cose lo abbiamo capito tutti. Sappiamo che un giallo merita attenzione se avviene in una casa abbastanza grande da poterci fare un plastico a Porta a Porta (la prossima settimana ci sarà ospite la porta asportata dai Ris nella villetta di Garlasco), sappiamo che il lavoro dell'avvocato Taormina e dei RIS in parte dipende da quanto un caso occupa i giornali. Sapendo tutto questo non voglio certo fare il moralizzatore da speaker corner, ma non vorrei nemmeno essere trattato come lo scemo rimasto senza villaggio. Questi per la stampa sono dei gialli. Avvincenti (anche se un po' schematici), intricati, interessanti quanto volete, ma solo dei gialli e vince chi li romanza meglio, chi ha più elementi, chi rimesta di più nel torbido.
Allora non mi stropicciate l'anima con i “la povera Chiara” e il “papà Paolo” o il “piccolo Samy” parlandomi delle loro speranze, i loro sogni infranti. Primo perché non ne sapete niente, secondo perché non ve ne frega niente e terzo perché non sono amici vostri e dovreste parlarne come dei giornalisti non come dei vicini di casa.
Altrimenti qualcuno mi deve spiegare perché non è povero Francesco Ferreri o Stefano Gonnella o Matteo Nadalini e un interminabile elenco di morti indegni di una musichetta strappalacrime a Studio Aperto, con il relativo elenco di assassini indegni di essere cercati con l'aiuto e i consigli di una nazione intera.
Sono dei gialli, solo dei gialli. Non è un fatto di interesse sociale. Che cosa cambia al popolo di spettatori sapere un giorno che la signora Franzoni ha ucciso il proprio figlio? O che un ragazzo di Garlasco ha ucciso la propria fidanzata? Niente. Se non poter dire al bar “io l'avevo detto subito”.
Eppure di Cogne si parla da 5 anni. Roba da far invidia all'attentato dell'11 settembre.
Giorni addietro (oh che bello giorni addietro) sono rientrato nel target di Studio Aperto. Non pensate male, loro non sono più scemi di me. La tecnica è quella di essere talmente oltre ogni limite di decenza che anche le persone decenti sono costrette a guardarlo per vedere fino a che punto di indecenza possono arrivare (è un sistema inventato dagli americani, mica pizza e fichi).
Insomma ho incidentalmente assistito in diretta alla scarcerazione del ragazzo indiziato a Garlasco. La giornalista ne ha fatto la telecronaca in un modo talmente partecipativo che mi aspettavo da un momento all'altro di sentire “traversone dalla destra, TOTTI...non va!”.
Dopo ha descritto il fitto mistero attorno alla destinazione del ragazzo. Mistero che ha tentato di diradare ipotizzando che si fosse rintanato in casa del suo avvocato, dove forse, parole testuali “sta addirittura brindando”.
Non so voi, ma io sono arrivato a un livello di nausea tale che non solo sospetto di essere incinto, ma ormai non riesco più a provare dispiacere per la morte assurda di una persona, perché sono troppo occupato a provare disgusto per questa ignobile baracconata e per tutti i suoi partecipanti, spettatori compresi.
Cruman aveva dei sogni... musica melensa... sfumare... tette di velina coperta da calciatore. Meteo.

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giovedì 27 settembre 2007

L'arbitro non fa il monaco


Internet è il male e io non sono la curia. Se lo fossi farei un esorcismo, ma dato che sono uno zero posso al limite fare un esorcino. Internet incarna (o insilicia), digerisce e rutta l'essenza stessa del male. Tutti i cosiddetti media, dove secondo i latini sta la virtù, inquisiscono il nuovo anticristo. Un pedofilo adesca minorenni on line? Internet alimenta la violenza verso i bambini. Tuo marito passa le notti nelle chat facendosi chiamare la fata fallata? Internet crea focolai di indecisione sessuale e attenta alla quiete dei focolari domestici. Due bulletti percuotono un disabile con un tecnigrafo, si riprendono col telefonino e mettono il filmato in rete? Internet fomenta la prepotenza e la discriminazione nelle scuole, ma peggio ancora, fa fessi i giornalisti che l'hanno sbattuto in prima pagina con la fretta che ha impedito loro di capire che era tutta una bufala. Il disabile era abile, i bulli non bullivano e persino il tecnigrafo era un goniometro.
Internet è talmente il male che non mi spiego come mai questi mezzi di informazione lo usino, alla bisogna, per dimostrare che in Cina vige (non è che non conosca i congiuntivi è che viga non mi pare carino) l'assenza di libertà perché la rete è interdetta. L'assenza del male pregiudica la libertà. Potrei scriverne un saggio, ma anche no.
Il fatto che in questo momento voi siate (siate è un congiuntivo più sexy di viga, per quanto possa apparire speculare della realtà) di fronte a un monitor zeppo di pixel immosaicati a comporre ciò che ho scritto, dimostra che anche io appartengo al male. E per questo dovrei punirmi. Dal silicio al cilicio.

Sapete che cosa sta succedendo in Birmania? Se lo sapete è grazie al male. Grazie a internet. In Birmania accade una rivolta pacifica dai lineamenti gandhiani, contro una giunta militare che si impone con la forza da 45 anni. Succede che dopo migliaia di civili innocenti (soprattutto studenti) repressi nel sangue, una piccola donna, che in quanto giovane, intelligente e appunto donna, non può accedere ai palchi della considerazione globale, mette insieme un partito, ottiene elezioni democratiche e prende l'80% dei consensi. Visti i risultati non proprio esaltanti per il Consiglio di Restaurazione per la Legge e l'Ordine, l'esercito assume la seguente posizione politica “ah allora no, non vale, a monte”. La giunta militare arresta la giovane donna, che in pochi conoscono perché ha un nome acrobatico e per le caratteristiche che ho testé enumerato, la lascia marcire per un discreto numero di anni in galera e si riprende il potere per abbandono contumace dell'avversario.
Succede che Aung San Suu Kyi perde la libertà e vince un premio. Nobel. Per la pace. Anche questo è poco noto. Qui da noi fa più notizia la candidatura al Nobel per la letteratura di un comico per aver letto un libro che, sarà pure divino, ma dopo un po'...
Succede anche che la comunità mussulmana si schieri con i monaci in pacifica rivolta, ma questa è una notizia che confonde e in più è una bella notizia, quindi niente telegiornale!
Succede che la Birmania è un piccolo paese stretto tra due colossi planetari come India e Cina e che le ingerenze internazionali fanno pensare alle risorse di petrolio, gas naturali, oppio e pietre preziose. Un po' anche alla pastorizia e ai legumi, ma soprattutto al petrolio e ai gas naturali. E come in tutti i paesi ricchi di risorse preziose, la gente muore di fame.
Tutto questo lo sapete voi come lo so io. Ma tutti insieme appassionatamente dobbiamo ringraziare la gente comune e internet. In Birmania non vengono concessi visti a giornalisti e se vengono concessi fanno vedere loro le coltivazioni di legumi e un po' di pastorizia, ma non tanta. I filmati, le foto, le notizie ci giungono da studenti che riprendono gli avvenimenti con il cellulare e li fanno rimbalzare tra blog ed email. Proprio come il liceale provolone che infila le mani in pantaloni docenti. Come l'alunno di satana che frantuma il crocifisso salendo in cattedra.

Quindi per adesso il cilicio lo ripongo e i motivi sono tanti. Potrei dire cose scontante come che i giornali decidono che cosa mettere sotto i nostri occhi, mentre in internet la ricerca e la selezione sono un privilegio, anzi sono le nostre peculiarità: il bookmark ci rappresenta. Potrei anche dire che nel giudicare internet non bisognerebbe confondere il mezzo con il messaggio. Ma preferisco essere contento di cose meno banali. Del fatto che nell'epoca dell'ateo è bello e religioso è pernicioso, siano un gruppo di monaci a sacrificarsi per il bene di un popolo. Del fatto che è la gente comune, con pochi e rudimentali mezzi, che riesce a portare una questione così importante, fino alle stanze dell'ONU, dove, per l'ennesimo ribaltamento della realtà, forse stanno seguendo la Champions League. E che per realizzare tutto questo si stia usando quel giocattolo demoniaco e solforoso a cui siete connessi ora. E chissà se il Darfur, munito di connessione ADSL, non sarebbe più nell'immaginario popolare una marca di caramelle per cavalli golosi e delfini curiosi, ma il teatro di uno dei più spaventosi massacri che la storia ricordi.
Nel mio ultimo pezzo ho scritto che gli italiani non sono molto meglio di ciò che giudicano. Il mio intento era il solito: cominciare con il lavoro su se stessi e la propria prossimità, perché giudicare tutto uno schifo, i politici tutti ladri, la chiesa tutta marcia, i mussulmani tutti terroristi e gli interisti tutti sfigati, non è già di per sé un atteggiamento produttivo. Se questi movimenti poi provengono da un popolo di sei milioni di spettatori di miss Italia, di gente in fila al processo di Cogne e di convinti anticlericali che fanno di una squadra di calcio una fede, allora il panorama assume contorni ancora più inquietanti.
Ad oggi sono 800 i monaci innocenti finiti in carcere per aver manifestato pacificamente contro l'oppressione militare. Non che io mi vesta da bonzo e mi cosparga di benzina sulla pubblica piazza, ma quel piccolo paese, quella piccola donna, stanno dando una lezione importante al mondo intero e noi, i politici, i giornalisti, stiamo tutti rischiando di farla passare per una nota di folclore, prima di occuparci del prossimo mercoledì di coppa.
Sia chiaro, io non sono contro il disimpegno. Il disimpegno però è un'arte e va eretto a sistema, non giustificato con dei “tanto è tutto uno schifo” da salone di barbiere. In pratica il disimpegnato non può giudicare e si deve anche un po' vantare con gli amici di questo divieto. Altrimenti andiamo tutti allo stadio a sputarci da un anello all'altro e viga la FIFA!

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giovedì 20 settembre 2007

Vespa volant, cripta manent (morire di sonno a Porta a Porta)


Solitamente (io e pochissimi giornalisti di fama planetaria cominciamo un pezzo con un avverbio) guardare Porta a Porta mi apporta un importante impronta di disordine nell'apparato digerente. Vedere la puntata con il Presidente del Consiglio però, era per me una questione di principio. Infatti ho avuto un principio di gastrite.
Nel bellissimo studio della Rai, disseminato di enormi televisori al plasma in cui è possibile vedere quello che ti succede davanti agli occhi (qualcuno indaghi sulla partecipazione di mediaworld nel cda Rai) c'era un plastico di Romano Prodi che, per quanto di plastico trattavasi, non era decisamente esplosivo.
Il conduttore ha una marcia in più, perché è special, e incalzava il Presidente con una fila di domande che, se proprio non lo inchiodavano, mettevano in croce il Romano, ribaltando le sacre scritture.

“Presidente, è realmente auspicabile una riduzione delle tasse?”
“Caro Vespa, manteniamo la calma, io ragiono con molta calma e sto portando avanti proficue discussioni con il mio mortadellaro di fiducia”
“Presidente e l'ICI?”
“Sulla mortadella?”
“Ma no, sugli immobili”
“Ah noi non vogliamo fare passi affrettati, noi siamo solidi, ben piantati per terra... immobili”
“Quindi pagate l'ICI?”
“Dottor Vespa, bisogna muoversi adagio adagio, non ho ancora finito di formare una commissione parlamentare per rispondere alla sua prima domanda. Ci vuole della calma”
“Almeno sulle pensioni ci dica qualcosa”
“Sì certo, le pensioni riteniamo di sì, ma potrebbe anche essere no, noi intanto stiamo fermi, comunque penso di sì”
“Ma sì che cosa??”

Frattanto nello studio si diffonde un sordido ronzio “zzzzzzz” probabilmente riconducibile alla presenza di Vespa. Quando Prodi, in merito alle discussioni interne alla maggioranza dichiara “abbassiamo i toni”, l'assistente di studio che aveva appena terminato di sostituire metà del pubblico con dei cartonati a causa di un'epidemia di narcolessia, viene meno, si sostituisce anch'esso con un pupazzo e va a dormire in camerino... o a Camerino... o con Camerino.
Non sono sicuro, ma credo di essermi assopito anche io. In un collegamento esterno onirico mi è parso di vedere Gabriele Paolini con un microfono in mano che veniva interrotto da dei giornalisti. Tutti con un preservativo... indossato. Mi ero addormentato di soprassalto, per fortuna.
A questo punto il conduttore sfodera l'argomento Grillo facendo svegliare d'un tratto tutti i cartonati e Prodi (lo so al secondo è difficile credere). Tema spinoso e controverso. Se qualcuno con dei grilli per la testa, ascolta Grillo, preme il grilletto e ammazza qualcuno. Lo ha detto Mazza. Ammazza. Ma pare sia più probabile che qualche pazzo faccia il mazzo a Mazza.
Ormai sono rassegnato a sentire un'altra risposta soporifera e inconcludente del Presidente e sprimaccio il cuscino del divano. Non è per sfiducia nella dialettica di Prodi, ma visto il tenore della trasmissione (che per solidarietà è anch'esso morto), ho dedotto che un pisolino avrebbe dato un taglio più funzionale alla mia serata. Ma ecco il Prodi che non ti aspetti, quello che dice cose sensate, cose, diomiperdoni, intelligenti. Ho dovuto rinnegare ciò che avevo dedotto. Dedotto e abbandonato.
Il Presidente approccia il discorso “liste civiche grillesche” gettando qualche dubbio sull'utilità della manovra e sulla necessaria politicizzazione del movimento. Incredibilmente si sbilancia, prende una posizione e per di più scomoda, antipatica. Finirà per piacermi.
Dice che gli italiani non sono tanto meglio dei politici, che siamo un popolo di furbi e non vede perché mandare altri nelle stanze del potere debba corrispondere necessariamente ad un cambiamento di rotta. E non aveva nemmeno un auricolare con Boncompagni che gli suggeriva le battute, giuro.
Non ci voleva un genio, infatti l'ha detto Prodi. Basta guardarsi intorno, tutti “sanno come funzionano le cose”, tutti fanno ciò che le maglie della legalità o del mancato controllo, consentono per ottenere vantaggi personali. In qualsiasi ambito, a qualsiasi livello. Uno dei tanti esempi: i test per l'accesso alle facoltà di medicina. Siamo furbi e non sappiamo nemmeno fare i furbi. In tutta Italia solo in un posto gli studenti sono riusciti a ottenere punteggi altissimi, rispondendo a domande tipo “qual è il motto dell'Unione Europea” e sapendo se “gli scienziati Redi e Hooke sono vissuti nello stesso periodo”. Nemmeno la discrezione della decenza. E gli stessi studenti non erano affatto pentiti: sostenevano che tutti fanno così e tutti lo farebbero se messi in condizioni di farlo. Queste sono le persone nelle cui mani metteremo le nostre frattaglie. Esattamente come la nostra vita sociale è nelle mani dei politici.
Quindi forse prima di cacciare e sostituire sarebbe il caso di modificare la cultura e la struttura. Perché è proprio difficile pensare che i nuovi arrivati non approfitteranno degli straordinari privilegi che la vita amministrativa e politica concedono. Visto che modificare la cultura è un processo o tremendamente lento o, come è successo in Cina, rapido ma con l'irritante dettaglio di 18 milioni di morti, cominciamo almeno a lavorare sulle strutture. Trasformiamo il “lavoro” di politico, rendendolo appetibile a chi crede nella cosa pubblica e non ai cacciatori di denaro e potere. A quel punto i furfanti se ne andranno da soli, senza bisogno di cacciarli. Grillo è stato una manna dal cielo perché ha avuto la possibilità, la posizione e la bravura per tirare fuori anche il marcio degli angoli nascosti, aprendo gli occhi anche a chi proprio non ne voleva sapere di guardare. Ora però è più difficile guidare questa potente macchina e qualche svolta sbagliata di troppo, si finisce in mezzo a un ingorgo spaventoso. A una tangenziale politica intasata (i politici amano le tangenziali).
Del resto io, come Prodi (ussignur), non penso che i politici siano ladri e i cittadini brava gente. Non ho molta fiducia in questi movimenti sempre pronti a seguire un capopopolo appena sputa su qualcuno. Sono le stesse persone che mentre “il sistema” inventava un modo per finanziare i partiti più che in qualsiasi altro stato del pianeta, in barba al referendum che ha scatenato l'acclamazione popolare, guardavano tutti in direzione di Cogne. Perché in fondo, stavano talmente bene che trovare gli stimoli per capire, meditare e agire non era affatto facile.
Farne una questione di “persone” è un errore e un'operazione troppo complicata. Bisogna agire sui metodi e se si può, sulla cultura.
Ora però cambio, guardo l'isola dei famosi... mi si è addormentato il cuscino.

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giovedì 13 settembre 2007

La partita della vita: da Socrates a Socrate


È un anno che noi non vedremo mai, almeno non senza aver trovato dove si compilano i moduli per la reincarnazione. È un tempo lontano nel futuro e l'uomo sopravvive, nonostante l'uomo. Sopravvive, ma non serve più a un granché. A onor dell'abbastanza vero, va detto che un'evoluzione c'è stata e anche di una certa consistenza. Gli atleti corrono i 100 metri a una velocità tale che le olimpiadi le trasmettono direttamente in slow motion o si avvertirebbe solo un venticello caldo e sudaticcio (ah i televisori sono multisensoriali). Gli astisti saltano muniti di paracadute e sui giavellotti viaggiano degli agenti in borghese per motivi di sicurezza.
Anche la tecnologia ha esplorato l'insondabile e quella fastidiosa malattia chiamata “morte” è stata quasi completamente debellata, se si esclude l'inossidabile tradizione millenaria di spararsi a vicenda. Pratica che comunque non è più considerata reato grave, ma allo stesso livello dell'abigeato ed è perseguibile solo se la vittima sporge denuncia. Altrimenti splafona nel comma “controllo demografico”. Non che ce ne sia un gran bisogno: le persone non si riproducono, un po' perché i bambini si ostinano ad essere troppo piccoli e un po' perché il sesso è ormai considerato un atteggiamento da bulletti di periferia.
Nell'epoca in cui per tutte le domande è stata accesa una risposta, nessuno sa ancora un accidenti sull'esistenza e il suo senso intrinseco. La filosofia nelle scuole ha lentamente assunto il ruolo che ha per noi l'ora di ginnastica: si spia nell'anima delle compagne di classe più procaci e ci si colpisce con delle clavette per sperimentare il concetto di felicità come cessazione del dolore. Per questo motivo una commissione di saggi che s'aggira per un peripato dotato di tapis roulant, decide di scoprire il senso della vita scomodando i maggiori esponenti del pensiero che la storia ricordi e mettendoli a confronto tra loro... in una partita di calcio. Il progetto viene messo in pratica grazie alle tecniche di ingegneria genetica che permettono di clonare Socrate (già con la barba) da un capoverso de I dialoghi di Platone.
I giocatori sono schierati sul campo di gioco, al centro dello stadio Fabrizio Corona di Potenza. Arbitra, in giacchetta cremisi, Dio in persona, nonostante le vibrate proteste della mezz'ala F.W.Nietzsche, il quale sostiene che un morto non sia in grado di esercitare il libero arbitrio. Dio lo ammonisce verbalmente e, già che c'è, gli rifila un attacco di dermatite seborroica. Guardalinee il Figlio e lo Spirito Santo. Quarto uomo Collina, anche se al Figlio la collina evoca ricordi antipatici.
La partita è da subito aspra e fallosa, motivo per cui il centrocampista S.Freud convince il terzino avversario della sua latente omosessualità. Il terzino chiederà poi il cambio per andare a uccidere la madre (di Freud).
Tutto d'un tratto A. Einstein, un impiegato tedesco del catasto svizzero, parte in contropiede sulla fascia: giunto a metà campo ha un'illuminazione sulla curvatura dello spazio e del tempo ed inventa Holly e Benji, un documentario scientifico sulla dilatazione di un traversone dalla destra e sui campi di calcio a schiena d'asino. Sulla trequarti sgancia un pallone d'oro a J.P.Sartre che ha la possibilità di battere a rete a colpo sicuro. Il fantasista francese però, valuta che passare in vantaggio stabilirebbe un disequilibrio mondiale prodromo di sentimenti di rivalsa e conflitti disumani e appoggia a un compagno con un angosciante esterno sinistro. L'allenatore scaglia in aria una borraccia di assenzio ed esclama “che palle l'esistenzialismo”.
Il primo tempo si chiude, senza troppe emozioni ma con diverse anime lacerate, dopo un interminabile recupero dovuto al fatto che H. Kung, teologo ebreo, ha conversato a lungo con l'arbitro pretendendo spiegazioni che Dio si è rifiutato di concedere. Da segnalare solo un'azione in cui Mosè, ricevuta palla spalle alla porta, ha il problema di girarsi. Intimorito dal venire trasformato in una statua di sale grosso, smista all'indietro al sopraggiungente Zenone che esplode una legnata sbalorditiva che, paradossalmente, non raggiungerà mai la porta.
Comincia il secondo tempo, sempre più agonistico e anche agnostico, del resto, la filosofia non è uno sport per signorine e nonostante Agostino con i suoi parastinchi di santo, dopo aver dimostrato l'esistenza dell'arbitro, predichi l'amore spirituale, la partita diventa sempre più una questione di carpenteria metafisica.
A. Schopenhauer, lanciato nella sua rappresentazione della fascia destra, viene atterrato barbaramente da un libero dionisiaco che ne gode con sfacciataggine. Steso a terra, la punta tedesca si rende conto come il desiderio provochi tensione interiore. Nello specifico il desiderio di un massaggiatore e di percuotere il libero con il Vecchio Testamento. Ricevute le attenzioni della spugnetta ontologica, Schopenhauer scopre che la felicità è cessazione della sofferenza e che, come spiegherà molto meglio Califano, tutto il resto è noia.
Sul pallone, per battere la punizione divina, si porta S. Kierkegaard esclamando “batto io, sono come Maradona”. Il danese (filosofo non canide) realizza (un concetto non un gol) che desiderare essere qualcun altro è la malattia mortale e spira. Si prepara quindi un positivista che grazie al metodo scientifico può affrontare tutte le sfere della conoscenza, quindi anche il pallone. Calcola traiettorie impercettibili e codici di geometrie esistenziali e calcia con la spocchia di un oxfordiano represso.
L'inglese non aveva fatto i conti con il portiere Socrate (senza s finale, quello è un chirurgo) che, sapendo di non saper parare, fa capire dove vuole andare a parare e para di fronte allo sbigottimento di Anassagora, che è suo amico ma mica lo capisce tanto bene.
Socrate afferra la sua borraccia e prima di bere ne offre ai compagni che si scherniscono:

“No grazie Socry, non ho proprio sete”
“Ma come sei tutto sudato, hai la bocca disidratata dalla retorica scolastica, dai non essere empio”
“No no davvero, bevi tu io ho un po' di ritenzione, grazie comunque”

L'azione si capovolge e un nichilista punta dritto verso la porta avversaria. Il centromediano metodista epicureo si propone sulla sinistra:

Epicureo: “passa passa che voglio provare a fare gol”
Nichilista. “NO!”

Giunto al limite dell'area il nichilista non si esime dal non evitare di tirare nella direzione opposta a quella dove non c'è la porta avversaria, creando una leggera confusione tra le fila antagoniste, per quanto esse non esistano anzichenò. Il portiere, un barbiere inglese di nome Ockham (titolare del salone "Rado chi non lo fa da sé"), blocca il pallone con fare da portinaio e estraendo un rasoio esclama:

“Ah regazzì, mo te lo taglio sto pallone” con un vago accento di Cambridge.

Ockham rimette in gioco servendo Schopenhauer che, pensando ad uno scambio, ritorna il pallone al portiere. L'inglese era però distratto dal dubbio di non aver considerato tutte le possibili soluzioni tattiche facendola un po' troppo semplice e non vede il pallone che gli rotola di fianco finendo in rete. Schopenhauer, di nuovo preda del dolore argomenta che quell'autogol esiste nel suo mondo di volontà e rappresentazione e solo lì agisce con tutta la sua ignominia. Decide quindi di togliersi la vita facendo suo un sacramento dello stoicismo che trovava molto sexy, annullando di fatto l'esistenza stessa di quell'autogol. Il tedesco però, spinto anche dal desiderio di far insolentire Seneca, non valuta il fatto che con quel gesto anche tutto ciò che stava esperendo esparisce, rendendo vano il progetto di ricerca di un senso della vita che prevalga sugli altri.
Solo l'arbitro rimane, che in un eccesso di iconoclastia, si sfila la maschera mostrando il volto di Luciano Moggi.
Le cronache sono frammentarie, ma qualcuno giura di aver sentito il quarto uomo esibirsi in una pletora di bestemmie.

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