Ricordate il momento in cui avete realizzato che un giorno sareste morti? Quando è successo? L’istante esatto della vostra infanzia in cui questa consapevolezza si è accomodata nelle viscere del vostro organismo per non abbandonarvi più dandovi a volte coraggio a volte paura; travestendosi un giorno da fede un giorno da speranza. Quell’istante dovrebbe essere il big bang del terrore, il ground zero di una prospettiva folle, di un orizzonte di cui si perde il senso. Eppure… io non me lo ricordo. Come è possibile? E’ possibile che la morte sia con noi sin da prima della nascita? E questo può significare che la morte coincida con la nascita?
Certo è che negli ultimi tempi si sente parlare più del tristo mietitore che di Al Bano (che anch’esso, a suo modo, è un triste mietitore in quel di Cellino). I climatologi giurano che tra pochi anni faremo windsurf sulle Dolomiti e le nostre oasi ecologiche diventeranno delle vere oasi, con le palme e i cammelli. Ci toccasse di sopravvivere a questo, nel 2036, una meteora riporterà sulla terra i dinosauri e non ci sarà Bruce Willis a salvarci. Forse però di tutte queste vicende non faremo in tempo a scoprire se sono merito del governo attuale o del precedente. Gli scenari atomici del secolo scorso si sono spostati verso oriente, ma sono, se è possibile, più stupidi e pericolosi dei precedenti e come disse un impiegato del catasto tedesco “non so con che armi si combatterà la terza guerra mondiale, ma la quarta si combatterà coi sassi”.
La morte ha una vita lunghissima. La nostra memoria ne è succube e l’immaginazione sorella. Di molti personaggi storici ricordiamo la loro fine, ma quasi nulla di ciò che hanno fatto. Pensate ad Abele, Socrate, Cleopatra, Napoleone la cui spoglia stette. E per molti altri ha significato l’accesso alle pagine memorabili, un accesso che, vivendo, non si sarebbero meritati.
Archetipi attuali di ciò che consideriamo fine e speriamo inizio sono senza dubbio Welby e Hussein. L’uno alla ricerca di una morte che non gli si voleva concedere e l’altro intento a sfuggire a quella che gli si è voluta imporre. Questi destini uniti dall’epilogo e dalla quantità di parole usate per seppellirli, hanno simboleggiato il paradosso tragico che avvolge l’illusione di porsi razionalmente davanti a qualcosa di cui nulla conosciamo e che spaventa per ciò che non è. Ci si è interrogati sull’eticità di decidere la propria fine. L’uomo lo ha sempre fatto. Ci si può lasciar morire anche senza spararsi un colpo in testa, ci si può immolare per qualcosa in cui si crede o per salvare qualcuno. Salvo D’Acquisto decise di sacrificarsi per la vita di suoi simili, come Gesù si lasciò uccidere per l’uomo, come Socrate per un ideale. E Welby divenuto un caso perché impossibilitato a suicidarsi (altrimenti sarebbe passato inosservato) ha espresso il lato più tragico di questo paradosso. La sua vita ha assunto per tutti noi un significato speciale, unico. Mentre per lui non ne aveva più alcuno. Per molta gente il senso della sua vita è stata la possibilità di porvi fine. La morte come senso della vita. Per Welby la fine giustifica il mezzo.
Saddam è finito vittima della cultura di cui faceva parte ed era anche artefice. Quella cultura che certi intellettuali continuavano a dirci di rispettare e qualcuno più intellettuale degli altri arrivava anche a dirci di guardarla come ben più evoluta della nostra. Una cultura che ha continuato a “giustiziare” nel quasi silenzio generale. Silenzio rotto dal cappio stretto al collo di uno dei più “giustiziabili” di cui si è avuta notizia. Lasciamo decidere agli iracheni, si è detto. Rispettiamo la loro cultura. Ora il risultato non piace a nessuno. Nemmeno agli intellettuali transrispettosi.
Qualcuno dice che tenerlo in vita avrebbe dato il la a nuove Beslan nel tentativo di liberarlo, qualcuno voleva solo vendetta. In questo caso, pare, il fine giustifica i mezzi.
La sorte decide se sarai un tetraplegico che sogna di non svegliarsi più nel suo materasso antipiaghe o se sarai un assassino. Se sarai un assassino fortunato e multiplo, potrai anche diventare un conquistatore o un dittatore sanguinario.
A volte penso che anche le persone convinte che esista un aldilà e anche le più ottimiste, che pensano che l’aldilà esista e non ci sia l’euro, siano comunque convinte che quaggiù, in qualche modo ci si stia meglio. Non mi spiego altrimenti come mai il morire per volontà di un altro uomo, sia considerato comunque più terribile che non morire per volontà di un altro uomo.
Sorte e morte. Quale ci rende davvero uguali e quale diversi?
Nel frattempo, cercando di giudicare ciò che non conosciamo, finiamo per somigliarci tutti. Tutti noi che almeno una volta abbiamo pensato di qualcuno che non meritasse di vivere. Accettando come nostro questo pensiero e rifiutando nel contempo l’ipotesi di applicare questa valutazione di merito.
Certo è che negli ultimi tempi si sente parlare più del tristo mietitore che di Al Bano (che anch’esso, a suo modo, è un triste mietitore in quel di Cellino). I climatologi giurano che tra pochi anni faremo windsurf sulle Dolomiti e le nostre oasi ecologiche diventeranno delle vere oasi, con le palme e i cammelli. Ci toccasse di sopravvivere a questo, nel 2036, una meteora riporterà sulla terra i dinosauri e non ci sarà Bruce Willis a salvarci. Forse però di tutte queste vicende non faremo in tempo a scoprire se sono merito del governo attuale o del precedente. Gli scenari atomici del secolo scorso si sono spostati verso oriente, ma sono, se è possibile, più stupidi e pericolosi dei precedenti e come disse un impiegato del catasto tedesco “non so con che armi si combatterà la terza guerra mondiale, ma la quarta si combatterà coi sassi”.
La morte ha una vita lunghissima. La nostra memoria ne è succube e l’immaginazione sorella. Di molti personaggi storici ricordiamo la loro fine, ma quasi nulla di ciò che hanno fatto. Pensate ad Abele, Socrate, Cleopatra, Napoleone la cui spoglia stette. E per molti altri ha significato l’accesso alle pagine memorabili, un accesso che, vivendo, non si sarebbero meritati.
Archetipi attuali di ciò che consideriamo fine e speriamo inizio sono senza dubbio Welby e Hussein. L’uno alla ricerca di una morte che non gli si voleva concedere e l’altro intento a sfuggire a quella che gli si è voluta imporre. Questi destini uniti dall’epilogo e dalla quantità di parole usate per seppellirli, hanno simboleggiato il paradosso tragico che avvolge l’illusione di porsi razionalmente davanti a qualcosa di cui nulla conosciamo e che spaventa per ciò che non è. Ci si è interrogati sull’eticità di decidere la propria fine. L’uomo lo ha sempre fatto. Ci si può lasciar morire anche senza spararsi un colpo in testa, ci si può immolare per qualcosa in cui si crede o per salvare qualcuno. Salvo D’Acquisto decise di sacrificarsi per la vita di suoi simili, come Gesù si lasciò uccidere per l’uomo, come Socrate per un ideale. E Welby divenuto un caso perché impossibilitato a suicidarsi (altrimenti sarebbe passato inosservato) ha espresso il lato più tragico di questo paradosso. La sua vita ha assunto per tutti noi un significato speciale, unico. Mentre per lui non ne aveva più alcuno. Per molta gente il senso della sua vita è stata la possibilità di porvi fine. La morte come senso della vita. Per Welby la fine giustifica il mezzo.
Saddam è finito vittima della cultura di cui faceva parte ed era anche artefice. Quella cultura che certi intellettuali continuavano a dirci di rispettare e qualcuno più intellettuale degli altri arrivava anche a dirci di guardarla come ben più evoluta della nostra. Una cultura che ha continuato a “giustiziare” nel quasi silenzio generale. Silenzio rotto dal cappio stretto al collo di uno dei più “giustiziabili” di cui si è avuta notizia. Lasciamo decidere agli iracheni, si è detto. Rispettiamo la loro cultura. Ora il risultato non piace a nessuno. Nemmeno agli intellettuali transrispettosi.
Qualcuno dice che tenerlo in vita avrebbe dato il la a nuove Beslan nel tentativo di liberarlo, qualcuno voleva solo vendetta. In questo caso, pare, il fine giustifica i mezzi.
La sorte decide se sarai un tetraplegico che sogna di non svegliarsi più nel suo materasso antipiaghe o se sarai un assassino. Se sarai un assassino fortunato e multiplo, potrai anche diventare un conquistatore o un dittatore sanguinario.
A volte penso che anche le persone convinte che esista un aldilà e anche le più ottimiste, che pensano che l’aldilà esista e non ci sia l’euro, siano comunque convinte che quaggiù, in qualche modo ci si stia meglio. Non mi spiego altrimenti come mai il morire per volontà di un altro uomo, sia considerato comunque più terribile che non morire per volontà di un altro uomo.
Sorte e morte. Quale ci rende davvero uguali e quale diversi?
Nel frattempo, cercando di giudicare ciò che non conosciamo, finiamo per somigliarci tutti. Tutti noi che almeno una volta abbiamo pensato di qualcuno che non meritasse di vivere. Accettando come nostro questo pensiero e rifiutando nel contempo l’ipotesi di applicare questa valutazione di merito.
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19 commenti:
La morte sopravvive alla vita, nei ricordi di chi non sa e/o non vuole dimenticare, in quella memoria che tu definisci succube ma che talvolta può essere pure artefice. Credo dipenda dall'importanza che si vuole dare al succo della memoria, sempre versato in quel bicchiere mezzo pieno. O mezzo vuoto. Dipende. Appunto.
E se per nascita si intende il momento in cui gli occhi vedono la luce allora la risposta è sì, la morte è con noi anche prima della nascita, quando il feto cessa di crescere e prendere forma per malattie o infezioni. Altre volte sono ragioni sconosciute a generare la morte prima della nascita, oppure aborti spontanei.
O aborti che invece tanto spontanei non lo sono.
La morte e la vita passeggiano a braccetto spesso inosservate, ma l'uomo vuole sempre lasciare la sua impronta. L'impronta della GIUSTIZIA o del senso di essa. Come si faccia a dire se è GIUSTO morire o sacrificarsi o immolarsi o suicidarsi, o ancor più come si faccia a dirlo per altri, io davvero non lo so. Non lo capisco.
Viene spessp inculcato il senso del rispetto verso il prossimo attraverso l'impegno a non giudicare mai, e poi ci si accanisce a sancire la "giustezza" o la giustizia della morte, quel qualcosa di cui nulla conosciamo - come tu hai per me correttamente scritto - e che spaventa non solo per ciò che non è, ma anche - o forse ancor più - proprio per quel nulla che conosciamo.
Sorte e morte. Quale ci rende davvero uguali e quale diversi? - tu chiedi. Forse la risposta è una terza opzione: la vita, l'unico vero dono gratutito che esista.
Ma lascio ai posteri l'ardua sentenza.
sei sicura che sia gratuito?
"Ricordate il momento in cui avete realizzato che un giorno sareste morti? Quando è successo?" Io ricordo esattamente quel momento, avevo 11 anni e non ho provato paura, così come non ne provo oggi al pensiero della fine(?)della mia esistenza. Quello che temo è il come, in fondo ciò che segue nessuno è ancora tornato a raccontarcelo."E’ possibile che la morte sia con noi sin da prima della nascita? E questo può significare che la morte coincida con la nascita?" Penso che nascita e morte siano un unico concetto chiamato vita, ma sono termini coniati dagli adulti, quindi come è possibile che possano avere un senso o venir realizzati prima di maturare una minima forma di coscienza?. "Sorte e morte. Quale ci rende davvero uguali e quale diversi?" Credo che a renderci diversi sia solo il percorso interiore che ognuno di noi fa (ma anche no) durante l'arco della propria esistenza. Per quanto riguarda la dicotomia etica della vita ritengo che ognuno dovrebbe poter essere libero di decidere in che momento scrivere la parola fine alla propria, ma non a quella altrui.
In fondo...nulla siamo e nulla restiamo (tanto per sdrammatizzare un po')
Sì, ne sono sicura. A me non viene in mente null'altro che venga donato senza essere mai richiesto dal destinatario e senza possibilità di rifiuto.
E' tutto il resto che ha un prezzo, lo svolgimento della vita stessa, il suo trascorrere, perfino la morte. Tutto il resto ha un prezzo. Un enorme prezzo. A noi far sì che lo valga.
...E io pago! :)
siamo sicuri che una cosa che non puoi rifiutare e che un giorno dovrai restituire, si configuri come dono?
DONO: (dal lat. donum, stessa radice del verbo "dare") ciò che si dà ad altri volontariamente senza esigerne prezzo, ricompensa o restituzione.
Analizzando la definizione, io giuro che soldi non ne ho mai dati per la mia vita, di ricompense.. mhm.. oddio...che dire...beh,insomma, non posso farmi carico delle delusioni altrui! :D
Ammetto invece che non so se, una volta morta, dovrò rendere la mia vita a chi me l'ha donata... vero è che oggi la pratica del riciclo è molto trendy... dici dunque che sia un vuoto a rendere?!urka, devo cercare lo scontrino... :)
non hai risposto.
se per vita intendi QUESTA tua vita terrena, direi che la devi restituire eccome. Poi se ti reincarni in un opossum è un altro discorso. In più NON puoi rifiutarla. Ripeto: una cosa che sei costretto ad accettare e che poi devi restituire è un dono?
Solo perchè non si deve pagare niente?
Se la vita esiste solo per un bizzarro concatenarsi di reazioni chimiche, viene a mancare il donante, quindi non può essere un dono. Se la vita è il progetto di un ente superiore... be' è un suo progetto.
E poi questo dono a chi viene fatto? Se prima non c'ero e ora sì a chi è stata donata la mia vita? Non a me, io non c'ero. La dimostrazione di ciò sta in questo semplice concetto: se io non fossi nato, non ci sarebbe nessuno (soprattutto non ci sarei io) a poter dire "ehi, perchè a me niente dono?".
Non dimenticherò mai il sei gennaio di due anni fa, giorno in cui ho aperto un pacchetto e c'era dentro... un bellissimo sbrinavetri a mano con assemblato tanto di guanto in pile "orsetto" (così mi è stato detto) e con tanto di renna ricamata sopra... bello eh, ma proprio bello bello... Ma che piffero di regalo era??? Meglio allora lo snocciolaoliveapedali, che mi serve per gli aperitivi! Eppure era un dono che non potevo rifiutare.
Ora, io non credo che per dono si debba intendere tutto ciò che ha una carta regalo e un fiocchetto e che implica l'effetto sorpresa alla Povia "ohhhhhh".
La configurazione di "dono" credo nasca non dal ricevente ma dal mittente, da chi sceglie di dare qualcosa/qualcuno a qualcosa/qualcuno senza alcuna aspettativa di risarcimento o restituzione.
Che il mittente possa compiere una pessima scelta e che il ricevente possa essere altrettanto deluso è una possibilità che però non credo incida sulla configurazione di dono.
Se la vita esiste solo per un bizzarro concatenarsi di reazioni chimiche, allora c'è qualcuno che sceglie/partecipa alla disposizione degli elementi necessari alla realizzazione di queste reazioni chimiche, consapevole che sarà il prodotto di tale mescolanza a godere (anche lui :D ) del risultato di questo intruglio. Ecco dunque il donatore. Nel senso :)
Se la vita invece è il progetto di un ente superiore... beh è un suo progetto. E se è un suo dono è un suo dono. La chiamerà come preferisce (questi enti autonomi...). In ogni caso, tale progetto o dono viene destinato ad altrui, sempre senza attesa di ricompensa o restituzione, e la vita diventa tua solo nel momento successivo all'atto della donazione del dono stesso. O del progetto. Come preferisci.
Consapevole poi che la definizione biologica di vita è una questione che ha generato secoli di discussioni scientifiche e diatribe filosofiche che tuttora non hanno portato a una risoluzione comunemente accettata, anche a causa delle implicazioni religiose e non scientifiche che ne conseguono, credo però non sia scorretto sostenere che la vita viene donata a una sostanza organica che diventa successivamente, appunto, viva, caratterizzata cioè dal ciclo della nascita, crescita, riproduzione e morte.
Ripeto, ammetto invece che non so se, una volta morta, dovrò rendere la mia vita a chi me l'ha donata... Però prometto che mi informo :)
io non mi sento benissimo, lo ammetto. Ma non ho capito se stiamo parlando l'uno con l'altro o per conto nostro.
Primo
Non ho ancora capito chi è il ricevente del dono!! Se io non esisto non posso ricevere un dono, se esisto, esisto già e quindi non mi viene donata l'esistenza.
Secondo
Io ho detto, se la vita è solo frutto di reazioni chimiche (leggasi, non c'è un grande architetto) allora chi è che dona?
Non puoi rispondere "se la vita è frutto di una reazione chimica allora c'è qualcuno che l'ha decisa". Questo rientra nella seconda ipotesi!
In pratica alla mia domanda "se non esistesse un creatore?" hai risposto "se non esistesse significa che esiste un creatore che l'ha deciso". Mi perplimo. Molto.
Terzo
Il terginonricordo cosa, puoi decidere di non usarlo, di buttarlo o sminuzzarlo. La tua vita no. Già solo il fatto che comunque qualsiasi tua decisione è direttamente correlata al fatto che tu possa prenderla (e cioè che esisti) dimostra come il fatto stesso che esisti è una sorta di imposizione o casualità in cui non hai alcuna voce in capitolo. E non puoi rifiutarla perchè per rifiutarla hai bisogno di esistere e questo è un paradosso.
Non ho mai detto che un dono è una cosa impacchettata che ci sorprende.
Quarto
Mi sembra un po' troppo facile dire "progetto dono, chiamalo come vuoi". Un progetto è un progetto un dono è un dono. Se tu fai parte all'insaputa di un mio progetto io ti sto in qualche modo "usando". Se invece ricevi da me una scatola di cioccolatini perchè quello che voglio è solo farti dono disinteressatamente di qualcosa, allora quello è un dono. Sono due cose diverse, direi quasi opposte. "Chiamala come vuoi" mi sembra molto acrobatico.
Quinto
Che cosa significa "non so se va restituita". Io parlo di questa vita terrena.
Molte religioni dicono che solo dio può decidere quando "riprendersi" la vita che ti ha donato. Comunque è un dato di fatto che non puoi tenertela. Nessuno c'è mai riuscito. Io ci sto provando. Per ora tutto bene.
Esiste anche il mio sbrinavetri manuale però per fortuna non vive!La vita viene donata ad un essere organico esistente e non (ancora) vivente.
Se non esiste un creatore esiste una reazione chimica; se esiste una reazione chimica esistono dei reagenti, i quali non decidono al posto del creatore ma purtuttavia sono parte attiva di questa reazione chimica. Donano la loro opera a favore di un prodotto finale che usufruirà di questa mescolanza di fattori chimici, prendendo - appunto - vita.
Tu non hai mai detto che un dono è una cosa impacchettata che ci sorprende, vero, e io non ti ho mai attribuito tale affermazione. Sono stata solo io ad usare questa litote per convincermi - ahimè invano - che se un dono è solo qualcosa con pacchetto&effettosorpresa la prossima volta magari scappo prima di riceverlo!
Di fatto, comunque, il donare è un'azione compiuta dal soggetto e subita dal "complemento oggetto". Le implicazioni correlate al ricevente di un qualunque dono non credo interferiscano con la configurazione della definizione di dono stesso. Ti viene fatto un dono: tu non sei parte attiva dell'atto di configurazione del donare, sei solo il destinatario.
Progetto e dono sono due concetti diversi, vero. Ed io sono stata troppo superficiale e sintetica nella loro connessione. Quello che io penso è che se esiste un ente supremo lui abbia sì in mente un progetto per ogni vita, ma per attuare tale progetto è necessario che prenda forma una vita che lo realizzi (o almeno ci provi). E per questo viene donata la vita ad esseri organici (altrimenti inanimati) ai quali viene attribuito (e non donato)un progetto.
Se parliamo di vita terrena, l'unica cosa che a oggi io so è che quando morirò mi spegnerò. La mia vita terrena cesserà di essere attiva. Come una candela che smette di bruciare: la fiamma muore, non va da nessun'altra parte.
Altro non so.
Ma se la rendo vale la regola soddisfatti o rimborsati? ;)
Allora ricominciamo da capo.
Un dono è un qualcosa CONSAPEVOLMENTE dato a qualcun altro DISINTERESSATAMENTE cioè senza un ritorno di interessi o richiesta di restituzione! OK? D'accordo su questo?
Bene
Mi riservo di studiare a fondo il tuo assunto secondo il quale il tuo sbrinavetri non sia vivente. Davvero non capisco che cosa c'entri. Lo sbrinavetri lo puoi rifiutare (anche se chi te l'ha donato non ti parla più per tutta la vita), la vita no. E lo sbrinavetri non è di per sè un dono è solo uno sbrinavetri. Quindi non è che la sua esistenza dimostri l'esistenza dei doni.
Se è vero ciò che abbiamo stabilito come essere un dono, nessuna reazione chimica può fare doni. Perchè non ha la consapevolezza di fare un gesto disinteressato. Secondo la tua logica OGNI cosa che esiste al mondo è un dono. Qui stai confondendo DONO con un semplicissimo rapporto di causa e effetto. MANCA la consapevolezza del gesto, che fa di uno sbrinavetri un dono.
Il tuo continuo mescolare progetto e dono poi è alquanto fumoso. Io ho un progetto e per realizzarlo devo donare la vita...mmmm e qui cade uno dei pilastri del concetto di dono (scritto prima in maiuscolo perchè anche da te sottolineato) ill DISINTERESSE. Se io il dono lo faccio per realizzare il mio progetto nnon è più un dono disinteressato ergo non è più un dono. Questo l'hai detto tu e a meno che non vuoi ribatterti da sola non vedo come tu possa contestarlo.
Inoltre alla stessa stregua se io ho in mente di creare una razza di girarughe (metà giraffa metà tartarughe) metto in piedi un centro di studi biologici genetici e progetto in laboratorio questa specie. Il mio progetto ha successo... ora che la mia prima tartaruga che ha il collo talmente lungo da non poter farlo rientrare nella corazza, pensi che le ho "fatto dono" della vita, mi sembra davvero difficile.
Ma un vegetariano può sperare nella reincarnazione?
ecco quello che ha appena commentato per esempio è uno che il dono l'aveva restituito ma non l'hanno voluto indietro, così ogni tanto...riciccia.
Dopo questa serie di profonde riflessioni una sola domanda mi rimane: cosa diavolo è un litote ?
un litote non saprei... forse un animale mitologico con il corpo do leone e la testa di leone (di un altro leone).
La litote invece non è la femmina del succitato animale ma una figura retorica. Una brutta figura retorica per la precisione.
Insoma "non è una bellezza"
cruman
p.s.
ma da dove l'hai tirata fuori?
La litote mi si è configurata adynando allegorie e allitterazioni in un non troppo elegante chiasmo dall'umido climax.. dici che sia davvero una brutta figura o è solo retorica?
E poi io non ho capito una cosa: ma quindi la tua giraruga non è contenta?
Perchè mi chiedi se è contenta? Vive perchè fa parte di un mio progetto...se è contenta di questo allora la sua vita è un dono altrimenti no?
Quindi una nuova definizione di dono: ciò che ci rende felici ricevere.
A questo punto, tornando sul serio, chi non è contento di vivere può togliersi la vita perchè, non essendo contento, non è un dono che rifiuta. Nuove strade si aprono...
ora vado, mi è arrivato un pezzo di postatore e sono tutto agitato.
La contentezza della tua giraruga era solo una mia curiosità, niente a vedere coi doni, tantomeno con quello della vita.
Ma ora dai vita al pezzo di postatore sano e diamo un nuovo taglio ai commenti :)
ciao ciao
"Quando morirò andrò in paradiso, perché l'inferno l'ho già vissuto quaggiù."
Jim Morrison
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