Nella vita possono accadere cose terribili. Che uno si dice “ma perché santa cacca?”, ma le cose succedono lo stesso. Io lo so perché, ma non lo posso dire. Terribile vero?
Per esempio puoi essere un giovane uomo spinto da una spoglia casa nel tunnel dell'arredamento e, in preda al demone delle deliziose tendine, puoi finire intrappolato nell'area bimbi dell'ikea. Oppure puoi essere un quadrupede che trova una tangenziale tra se e l'odore che lo attira e finisce a farne parte (della tangenziale non dell'odore). Puoi essere uno che ha visto qualcosa che non doveva vedere o un parente di uno che ha fatto qualcosa che non doveva fare. Puoi essere un operaio della Sapiem nel delta del Niger o un'anguilla nel delta del Po. Oppure un giornalista che invece di scegliere se pubblicare o meno delle foto oscene di un uomo anziano, ha il problema di evitare bombe a frammentazione e terroristi rapitori. O peggio un tranquillo bambino terzomondiale in lotta contro la malnutrizione, che viene rapito da una pop star americana e costretto a passare l'adolescenza da mcdonald in lotta contro i trigliceridi.
Quando si è in difficoltà (nel senso di sopravvivenza non di non riuscire ad aprire il barattolo dei sottaceti) si è portati a fare alcune amare considerazioni. All'inizio interviene la non accettazione (sarebbe il rifiuto ma parlare negando gli opposti fa più saggista), il pensiero che se anche quella situazione ce la siamo andati a cercare, sarebbe stato più corretto per l'equilibrio cosmico che fosse successa a un altro. Spesso in questa fase si fa un elenco mentale di nomi da proporre. Poi si pensa a come uscirne e in particolare a chi può darci una mano. A tal proposito conta molto quello che si è stati prima di trovarsi in difficoltà. Questo determina la reazione al nostro disagio tra la gente che può pericolosamente oscillare tra il “poverino” e il “ti sta bene, crepa!”. Gli amici sono importanti, ma sono anche molto meno di quello che si pensa. Il più delle volte non saranno sufficienti per portare il feretro (a meno che non ci si faccia cremare), anche se da morti il parco amici si infoltisce considerevolmente e tutti ti inviterebbero finalmente ad uscire con loro se solo non ci fosse quell'inconveniente dell'essere un cadavere.
Quanto vale la nostra vita per gli altri lo si scopre in presenza di un'alta probabilità di perderla. Come il valore di tutte le cose del resto (tranne le obbligazioni al portatore). Ma è un valore che non ci appartiene. Non è che possiamo andare dal pizzicagnolo e dire “senta c'è un tizio che mi insegue con una pistola, mi incarta due etti di fave?”. È un valore che appartiene agli altri: un indice composto da fattori incidentali e fatali.
Parrà strano, ma in realtà ciò che si è fatto in vita conta relativamente (anzi, spesso meno si è conosciuti e meglio è). L'interesse della collettività è molto orientato alla sciagura più che allo sciagurato. Il sesso e l'età invece hanno un'incidenza rilevante (non sentirete mai dire “nel disastro hanno perso la vita anche 3 pensionati”). I canali comunicativi che si hanno a disposizione sono spesso la chiave del successo. Un giornalista occidentale nelle mani dei talebani può far mobilitare il capo del governo che può arrivare fino a rimandare il suo pisolino all'intervento di Follini delle 15. Gli operai della Sapiem in mano ai ribelli del delta del Niger possono sperare in un intervento di Enrico Lucci. Un minatore Uzbeko... be' la prossima volta fai il nobel per la medicina invece di ficcarti sotto terra (che già di per sé è un gesto malaugurante).
Chi ha denunciato mafiosi, usurai, terroristi, sacrificando la propria esistenza per la società e la giustizia riceve una pacca sulle spalle (meglio una telefonata, si sa mai) e il pensiero unanime della collettività riassumibile in “quello all'anagrafe è scritto a matita”. Una ragazza perseguitata da un maniaco può solo sentire un imbarazzato appuntato dire “mi spiace signorina, finché non le fa qualcosa non possiamo intervenire, poi abbiamo tutti gli uomini allo stadio ad impedire ai tifosi di dire negro a un calciatore”. Quando poi si ripresenta con un'accetta fra le scapole “bene signorina, ci lasci recuperare quattro turisti annoiati dallo Yemen e siamo da lei... signorina? Signorinaaa?”.
Un altro fattore ad alto peso specifico è la spettacolarità del dramma. Uno tsunami genera un'onda planetaria di solidarietà, mentre il solito genocidio nel Darfur genera un'onda di “dove?”. Anche riducendo la portata della sciagura il risultato non cambia. Il piccolo Alfredino incastrato nel pozzo artesiano fece mobilitare Pertini, ma decine di bambini leucemici in attesa di trapianto vivono anch'essi incastrati in un tunnel con poche persone, però, a fare il tifo per loro. Riduciamo ancora di più i termini: un gattino bloccato su un albero spinge improvvisati tarzan ad atti di eroismo, mentre un riccio investito spinge a controllare la coppa dell'olio. Questo mi fa pensare che più persone guardano nella direzione del fattaccio, più risorse si spendono per risolverlo.
Sono ovviamente contento della liberazione di Mastrogiacomo. Non come sua moglie, ma mi fa piacere. Del resto non so quanto la moglie di Mastrogiacomo sarebbe contenta se la mia amica trovasse i soldi per l'operazione che le serve per salvarsi la vita. Sono contento e arrabbiato quando penso a quante persone si possono salvare con lo stesso meccanismo che ha salvato il giornalista di Repubblica. Sono ancora più arrabbiato pensando che in realtà questo non è possibile a livello pratico. Quindi sono costretto a pensare che esista un imperscrutabile sistema di selezione che potrebbe essere basato su un fantozziano sorteggione in sala mensa o una forma di borgesiana lotteria di Babilonia (per quelle strane persone che quando c'è un film di fantozzi preferiscono leggere un libro), che assegna alla tua vita un valore e lo rende oggettivo anche per chi, magari, conoscendoti avvertirebbe solo lo stimolo a sputarti in faccia. Questa forma di selezione disegna un quadro molto realistico della società occidentale, un quadro che nessuno vuole guardare. E questo fa veramente incazzare.
Per esempio puoi essere un giovane uomo spinto da una spoglia casa nel tunnel dell'arredamento e, in preda al demone delle deliziose tendine, puoi finire intrappolato nell'area bimbi dell'ikea. Oppure puoi essere un quadrupede che trova una tangenziale tra se e l'odore che lo attira e finisce a farne parte (della tangenziale non dell'odore). Puoi essere uno che ha visto qualcosa che non doveva vedere o un parente di uno che ha fatto qualcosa che non doveva fare. Puoi essere un operaio della Sapiem nel delta del Niger o un'anguilla nel delta del Po. Oppure un giornalista che invece di scegliere se pubblicare o meno delle foto oscene di un uomo anziano, ha il problema di evitare bombe a frammentazione e terroristi rapitori. O peggio un tranquillo bambino terzomondiale in lotta contro la malnutrizione, che viene rapito da una pop star americana e costretto a passare l'adolescenza da mcdonald in lotta contro i trigliceridi.
Quando si è in difficoltà (nel senso di sopravvivenza non di non riuscire ad aprire il barattolo dei sottaceti) si è portati a fare alcune amare considerazioni. All'inizio interviene la non accettazione (sarebbe il rifiuto ma parlare negando gli opposti fa più saggista), il pensiero che se anche quella situazione ce la siamo andati a cercare, sarebbe stato più corretto per l'equilibrio cosmico che fosse successa a un altro. Spesso in questa fase si fa un elenco mentale di nomi da proporre. Poi si pensa a come uscirne e in particolare a chi può darci una mano. A tal proposito conta molto quello che si è stati prima di trovarsi in difficoltà. Questo determina la reazione al nostro disagio tra la gente che può pericolosamente oscillare tra il “poverino” e il “ti sta bene, crepa!”. Gli amici sono importanti, ma sono anche molto meno di quello che si pensa. Il più delle volte non saranno sufficienti per portare il feretro (a meno che non ci si faccia cremare), anche se da morti il parco amici si infoltisce considerevolmente e tutti ti inviterebbero finalmente ad uscire con loro se solo non ci fosse quell'inconveniente dell'essere un cadavere.
Quanto vale la nostra vita per gli altri lo si scopre in presenza di un'alta probabilità di perderla. Come il valore di tutte le cose del resto (tranne le obbligazioni al portatore). Ma è un valore che non ci appartiene. Non è che possiamo andare dal pizzicagnolo e dire “senta c'è un tizio che mi insegue con una pistola, mi incarta due etti di fave?”. È un valore che appartiene agli altri: un indice composto da fattori incidentali e fatali.
Parrà strano, ma in realtà ciò che si è fatto in vita conta relativamente (anzi, spesso meno si è conosciuti e meglio è). L'interesse della collettività è molto orientato alla sciagura più che allo sciagurato. Il sesso e l'età invece hanno un'incidenza rilevante (non sentirete mai dire “nel disastro hanno perso la vita anche 3 pensionati”). I canali comunicativi che si hanno a disposizione sono spesso la chiave del successo. Un giornalista occidentale nelle mani dei talebani può far mobilitare il capo del governo che può arrivare fino a rimandare il suo pisolino all'intervento di Follini delle 15. Gli operai della Sapiem in mano ai ribelli del delta del Niger possono sperare in un intervento di Enrico Lucci. Un minatore Uzbeko... be' la prossima volta fai il nobel per la medicina invece di ficcarti sotto terra (che già di per sé è un gesto malaugurante).
Chi ha denunciato mafiosi, usurai, terroristi, sacrificando la propria esistenza per la società e la giustizia riceve una pacca sulle spalle (meglio una telefonata, si sa mai) e il pensiero unanime della collettività riassumibile in “quello all'anagrafe è scritto a matita”. Una ragazza perseguitata da un maniaco può solo sentire un imbarazzato appuntato dire “mi spiace signorina, finché non le fa qualcosa non possiamo intervenire, poi abbiamo tutti gli uomini allo stadio ad impedire ai tifosi di dire negro a un calciatore”. Quando poi si ripresenta con un'accetta fra le scapole “bene signorina, ci lasci recuperare quattro turisti annoiati dallo Yemen e siamo da lei... signorina? Signorinaaa?”.
Un altro fattore ad alto peso specifico è la spettacolarità del dramma. Uno tsunami genera un'onda planetaria di solidarietà, mentre il solito genocidio nel Darfur genera un'onda di “dove?”. Anche riducendo la portata della sciagura il risultato non cambia. Il piccolo Alfredino incastrato nel pozzo artesiano fece mobilitare Pertini, ma decine di bambini leucemici in attesa di trapianto vivono anch'essi incastrati in un tunnel con poche persone, però, a fare il tifo per loro. Riduciamo ancora di più i termini: un gattino bloccato su un albero spinge improvvisati tarzan ad atti di eroismo, mentre un riccio investito spinge a controllare la coppa dell'olio. Questo mi fa pensare che più persone guardano nella direzione del fattaccio, più risorse si spendono per risolverlo.
Sono ovviamente contento della liberazione di Mastrogiacomo. Non come sua moglie, ma mi fa piacere. Del resto non so quanto la moglie di Mastrogiacomo sarebbe contenta se la mia amica trovasse i soldi per l'operazione che le serve per salvarsi la vita. Sono contento e arrabbiato quando penso a quante persone si possono salvare con lo stesso meccanismo che ha salvato il giornalista di Repubblica. Sono ancora più arrabbiato pensando che in realtà questo non è possibile a livello pratico. Quindi sono costretto a pensare che esista un imperscrutabile sistema di selezione che potrebbe essere basato su un fantozziano sorteggione in sala mensa o una forma di borgesiana lotteria di Babilonia (per quelle strane persone che quando c'è un film di fantozzi preferiscono leggere un libro), che assegna alla tua vita un valore e lo rende oggettivo anche per chi, magari, conoscendoti avvertirebbe solo lo stimolo a sputarti in faccia. Questa forma di selezione disegna un quadro molto realistico della società occidentale, un quadro che nessuno vuole guardare. E questo fa veramente incazzare.
Technorati Tags: Mastrogiacomo, Valore della vita
20 commenti:
Che la vita sia per ognuno di noi un grande sorteggione, mi sembra evidente (o qualcuno in occidente pensa veramente di essersi meritato di nascere in un luogo senza problemi di sopravvivenza anzichè in qualche villaggio africano?).
Forse proprio per non accettare questa realtà cerchiamo illusioni per credere di non essere soli in balìa del sorteggione (religione, amicizia, carriera, ecc.) e per dare un senso alla cosa.
Beato chi la trova. O crede di trovarla.
No io intendevo dire che sembra un sorteggione il fatto di avere o meno una certa quantità di solidarietà dalle persone in un momento molto difficile. Però se vai a guardare bene un meccanismo c'è solo che siccome è brutto nessuno ne parla.
Non credo sia una forma di selezione. Credo piuttosto sia politica, nell'aspetto più becero e allo stesso tempo più vero. Condito con una buona forma di paraculismo. Sempre di politica si parla.
Non sempre caro Bisio, secondo me in questi meccanismi intervengono pulsioni umane basate su sensi di colpa, paure e anche un certo esibizionismo. Voglio dire nel caso del gattino la politica non c'entra....spero.
Voglio diventare una bambina giornalista intrappolata su un albero nel centro di Kabul, bisognosa di affetto e con una sindrome di diabete 2 conclamato.
Successo assicurato?
Eh no chris, poi se esageri cominci a stare sul cazzo oppure a far pensare "eh va be' ma allora si vede che proprio te lo meriti"
Oltre a ciò che hai evidenziato, a me fa incazzare che quasi tutti quelli che leggeranno il tuo articolo saranno d'accordo con quanto affermi, a conti fatti però quanti tra questi, nell' ultimo anno hanno espresso la loro solidarietà coi fatti e non solo a parole? Mi auguro di venire spudoratamente smentita da chiunque passi da qui!
eh lo so, è come quando dici che in autostrada è pieno di cretini che guidano in mezzo alla strada e tutti annuiscono e ti fanno gomitino. Poi ti chiedi dove sono nascosti tutti quei cretini perchè pare che in giro non ce ne sia nemmeno uno!
Forse penso male ma non sarà che, in mancanza d'altro, le vicissitudini di una bambina giornalista (o giornalista bambina) bloccata su un albero guardata a vista da Talibani ululanti offra un consistente incentivo all'aumento della tiratura del proprio giornale ?
L'acqua in Nepal è un problema serio,ma anche in Sicilia non stanno proprio bene.
Ci sono Tg (vedi Studio Aperto) che fanno del sensazionalismo,dello scandalo e della sciagura la prima fonte di informazioni: potrebbe essere una buona risorsa per capire cosa e come evitare trasmissioni del genere.
TV a parte,credi che anche la Rete abbia queste dinamiche ? Almeno per ora credo proprio di no.
no non le ha, ma in Italia la rete è un po' come il tg di telelombardia, non lo vede nessuno. I giornali online sono come (se non peggio) di quelli on paper, per il resto un blogger figo figo avrà si e no qualche migliaio di lettori, cioè circa un millesimo della popolazione. Per quello che può contare.
Devo pensare, quindi, che l'interprete di Mastrogiacomo abbia avuto in sorte il biglietto secondo estratto? Probabilmente è così, ma ti forzo nell'arguta riflessione. A parità di baccano e di altri fattori, conta anche essere il nobile reporter d'assalto di Repubblica invece di un povero pirla che l'inglese l'ha anche dovuto studiare. L'austista è fuori concorso. A lui non hanno neanche dato il tempo di mettere la mano nell'urna, eccetto quella cineraria. La sua.
Mthrandir
Difficile riuscire ad aiutare tutti in un mondo pieno di sofferenza, semplicemente sarebbe bello poter avere almeno solo un pensiero di riguardo per chi ha necessità (non di una borsa nuova ma di un cuore o un fegato o una milza o della possibilità di esprimersi senza essere massacrati di botte).
Non possiamo fare molto nel nostro piccolo, se non cercare di alzarci al mattino e pensare che la vita è una e vale la pena di sorriderle...ed aiutare chici circonda a fare altrettanto, con un euro, una pacca sulle spalle, un bacio.
Buona serata Elizabeth
Al di là del fatto che la mia era solo un'analisi sociologica di alcuni meccanismi umani e non una critica a chi non si preoccupa degli altri, io uso un sistema semplice, mi preoccupo della prossimità, di dove posso arrivare, fosse anche una o due persone. Se tutti facessero così ci sarebbero meno casi eclatanti per cui mobilitarsi.
Se impari da un mezzo di comunicazione che un gattino è stato eroicamente salvato da tarzan della giungla urbana allora significa che la politica è arrivata pure lì. Significa che qualche testata giornalistica o televisiva o radiofonica ha avuto bisogno di qualche forzato sensazionalismo per riempire dei servizi. Pena, la gavetta nelle fornaci dismesse (già, perchè ora fa notizia pure essere mandati a fare le pulizie, da quando c'è finita la cenerentola nera naomi cambell!). In fondo hai sottolineato anche tu, nel post "Chi ha paura dei blogger", le dinamiche "meschine" che regolano la mission aziendale e il core business di tali mass media per non essere sbattuti ai necrologi.
Non c'è bisogno di vestirla, la politica, di PRODI MASSIMI che con FINI VESPAsiani, e non è detto che MENTANo, si scontrano con BERLUSCONI che hanno tanto AMATO per poi rimanerci DI PIETRO. FASSI NOn foste per viver come TURChi... Dio BONINO! E so che concordi con me. :)
Per questo dico che c'è sempre un forma di politica che regola questi sensazionalismi eclatanti, che purtroppo temo sopravvivrebbero pure se, come auspichi tu in un mondo utopico, tutti si preoccupassero della prossimità, fossero anche una o due persone da aiutare.C'è bisogno di creare tanto rumore intorno alle "cose pubbliche" per poi poterle amministrare, per rendere cioè lecito l'utilizzo della parola POLITICA.
Continuo a pensare che la cosa più triste, invece, sia quanto affermi nel post, cioè che "Quanto vale la nostra vita per gli altri lo si scopre in presenza di un'alta probabilità di perderla. Come il valore di tutte le cose del resto (tranne le obbligazioni al portatore). Ma è un valore che non ci appartiene." Questa è una grandissima povertà, che mi spaventa. Che mi fa incazzare.
Trovo tristissimo pensare che non ci si debba rendere conto del valore di un essere umano, dell'affetto gratuito e non richiesto di chi ci sta accanto spesso silenziosamente, finchè un allarme qualunque cattura la nostra attenzione.
C'è chi muore di tumore, di malattia, di depressione, nascondendosi tra un pantalone troppo largo e un sorriso di convenienza, quando il vuoto silente da dentro lo ha dilaniato nell'animo e nello stomaco. Ma ci sono sempre troppi rumori intorno a noi che ci distraggono, troppi (ipocriti) egoismi, troppi ritmi frenetici per cui poter dire: eccheccacchio, non ho tempo ma ci sentiamo presto... tu però urla forte!
E intanto un abbraccio negato, un sorriso mancato, sono delitti di coscienza messi a tacere dal qualunquismo sempre più degenerante.
E per questo, per ricordarsi di chi amiamo e di chi ci ama, non serve davvero alcun fatto eclatante.
C'è davvero troppo rumore in giro. Per nulla.
Non per interferire, ma esistono anche le vie di mezzo tra un fegato, un cuore e una pacca sulla spalla....a volte ciò che per noi è banale, come una spesa quotidiana al supermercato, vale quanto un organo sano per una famiglia in difficoltà....e ce ne sono tante....troppe, di famiglie in queste condizioni!!
Scusa l' invadenza Cruman, ma questo post mi ha punta nel vivo!
io non so che meccanismo porti la gente a interessarsi di un caso e ignorarne altri,forse la normalità di chi fa un lavoro comune non suscita solidarietà perchè ci piace l'immagine del reporter d'assalto che non scende a compromessi e aiuta anche i bambini oppure delle volontarie che capiscono le ragioni dei loro rapitori,non come noi poverini pieni di rancore verso chi ci sorpassa in tangenziale.
penso sia umano cercare l'eccezionalità e celebrarla,chi ha si è mai infiammato per il padre di famiglia che da anni fa lo stesso modesto lavoro ?per gli ammalati e per chi soffre il discorso è ancora peggiore:semplicemente ci rifiutiamo di vederli,la malattia non esiste finchè non ci tocca.
sono d'accordo con te bisio, ma io stavo facendo un'analisi a monte del clamore. cioè non mi stavo chiedendo perchè i media si interessano al gattino salvato, ma perchè qualcuno si adopera per salvarlo. E quali condizioni lo portano a farlo e quali no. Per il resto mi adagio pigro sulle tue parole.
A monte dei clamori, allora, ci sono diverse persone che si adoperano per salvare gattini, o cmq per dare una mano più o meno sostanziosa a chi è in difficoltà, per il piacere di farlo, per il bisogno personale di farlo, per mestiere.. per tante ragioni, insomma,applicando meccanismi di selezione - allora sì - dettati molto più semplicemente da un principio di prossimità, fisica ed emotiva.
Ciò che però cattura l'attenzione della collettività di massa è - come scrivi tu - la sciagura piuttosto che lo sciagurato. Il clamore piuttosto che l'entità del fatto. Ecco allora che entra in gioco l'interesse politico: di gestire gli "scambi" nelle terre di guerra, di gestire gli "spazi" nelle testate dei mass media. E tu stesso scrivi "Questo mi fa pensare che più persone guardano nella direzione del fattaccio, più risorse si spendono per risolverlo."
L'interesse collettivo smosso dal clamore che smuove gli interessi politici che fanno clamore che attira l'interesse collettivo. Come un gatto che si morde la coda. Capisci ora perchè il salvarli fa successo? Chiedi a un riccio di mordersela, la coda... :)
ma in fondo... viviamo in un paese che ha un parlamento che promuove una legge contro la droga di cui fa uso (ricordiamo le iene e il 70% dei parlamentari risultati positivi alla cocaina... e alle iene...) e che promuove a portavoce unico del proprio governo un porco che và a travestiti.
a rega'...
Isatteo
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