mercoledì 11 aprile 2007

L'ultimo stadio


Ohibò, ma lei ha vaste macchie rosse sulla camicia e sui pantaloni… Se la sente di rispondere a qualche domanda?
Certo, non vede che sto in piedi? Ho ricevuto due coltellate e un proiettile di striscio, ma le ferite non sono profonde. Siamo nel 2010, esistono gli antibiotici, sa?
Allora grazie di aver accettato l’intervista, davvero. È stato così difficile avvicinarla: l’uomo che si fa chiamare “subcomandante Anubi”, noto anche come “Er Napalm”, capo dei Seeds of Riot ed eroe leggendario delle tifoserie…
Suvvia, non esageriamo. Trovarmi non è difficile, a meno di non voler essere certi di trovarmi vivo! Scherzo, naturalmente. Qui scherziamo un po’ tutti quanti. Col fuoco, intendo.
Può dirlo forte. Oggi le vittime sono state quasi il 45% di quelli che hanno varcato i cancelli! E poi i feriti, più o meno gravi… Sa che gli incolumi sono meno del 10% dei paganti?
Sì, lo so. Dove crede che sia stato finora? Immagino che nessuno s’aspettasse qualcosa di diverso, no? Se la decisione fosse stata presa qualche anno fa, ora non saremmo a questo punto. Voglio dire: magari negli stadi si giocherebbero già le partite in santa pace, col pubblico che se ne sta al suo posto, senza bisogno di transenne, di muri divisori e di polizia, insomma, una cosa normale.
Quindi secondo lei non bisognava aspettare il 2010 per legalizzare la violenza negli stadi…
Esatto. Era un provvedimento da attuare già negli anni ’90 del secolo scorso, se non addirittura prima. Sugli spalti ho esordito poco più che adolescente ma ho imparato presto a combattere, a respingere le cariche delle tifoserie avversarie, a lanciare pietre contro i celerini, a passare i cancelli armato come si deve. Ho vent’anni di militanza sulle spalle. Quando nel 2007 si parlò di vietare gli striscioni con la scusa dei contenuti offensivi e del rischio di incendi, mi è venuto da piangere. Per un momento ho pensato che fosse finita, che non sarei più venuto allo stadio. E in effetti per un po’ è stato così: con la mia brigata ci siamo specializzati nel provocare incidenti nelle aree esterne, nei parcheggi, ovunque. Soprattutto in occasione delle partite a porte chiuse. Una volta siamo riusciti a procurarci un mortaio e a sparare un colpo dentro lo Stadio Olimpico di Roma: eravamo appostati sui Monti della Farnesina, fuori dalla cintura dei presidi di sicurezza.
L’attentato del 2008! Ah, c’era di mezzo lei? Avete aperto una buca profonda tre metri nell’area di rigore. Per miracolo non ci furono vittime. Ma dove compraste il mortaio?
Ci fu un baratto con un tizio dei servizi segreti. Gli rivelammo i nomi di chi maneggiava i fondi neri destinati a finanziare le tifoserie organizzate per far saltare alcune partite chiave, e così rovinare i rapporti con gli sponsor e mettere in crisi la nostra società. Noi scoperchiammo l’inferno e il barbafinta fece materializzare l’artiglieria. Nel pacchetto c’era anche un autoblindo con cannone e lanciamissili.
Avete un autoblindo? Ma è illegale! E dove lo tenete, parcheggiato in giardino?
Sia gentile, eviti battute da mentecatto. Sino a ieri era illegale anche quello che abbiamo fatto oggi. Il veicolo si trova in un garage pubblico di proprietà di una delle finanziarie da cui riceviamo sovvenzioni occulte in cambio di piccoli favori. È celato da una parete di cartongesso.
Ma un'arma del genere, un mezzo da guerra, non è in contrasto con il primo emendamento della “Guerriglia topograficamente circoscritta” per cui vi siete battuti? Quando avete ottenuto la legalizzazione della violenza negli stadi, il patto con il Governo prevedeva che si potessero introdurre soltanto armi da taglio, bastoni, esplosivi in modica quantità…
Lei sta dimenticando le armi da fuoco a breve gittata e i liquidi infiammabili, che sono i più utili. Quanto all’autoblindo, non abbiamo intenzione di usarlo allo stadio ma è bene che si sappia in giro che esiste. Lo scriva, mi raccomando.
Non crede che la violenza legalizzata possa mietere vittime innocenti?
Qualsiasi vittima è innocente, soprattutto nel momento in cui viene strumentalizzata dai mass media per avvalorare qualche tesi delle vostre. Noi abbiamo fatto i conti con la realtà: l’autorità costituita non riusciva più ad arginare i disordini e questo rappresentava un costo per la comunità. Abbiamo proposto l’annullamento algebrico: niente polizia dentro gli stadi, tifoserie provviste d’armamenti regolamentati, severi controlli all’ingresso perché possano accedere esclusivamente spettatori maggiorenni in grado di intendere e di volere.
Quest’ultimo concetto non ci sembra del tutto appropriato…
Forse non lo è, ma si tratta di intendere e di volere solo il proprio futuro immediato, cioè la giornata di scontri. Il resto non conta, e forse non conterà mai più. E poi è questione di tempo: tre o quattro giornate così e le domeniche allo stadio torneranno a essere sereni momenti d’aggregazione per tutta la famiglia, come quand’ero bambino.
Ci riassuma rapidamente la giornata di oggi, che molti considerano l’alba di una nuova era per il calcio.
Niente di speciale: i controlli ai cancelli sono stati più rapidi che in passato. Poche perquisizioni, uno sguardo ai documenti, una firma sulla liberatoria precompilata via web e via. I posti all’interno non erano assegnati, e ci siamo sistemati secondo accordi pregressi tra i club. I primi colpi di arma da fuoco sono stati esplosi prima che entrassero in campo gli atleti, e questo mi è dispiaciuto perché la partita è stata abortita a tavolino. Ma almeno le squadre sono ancora intatte, non è perito nessun calciatore e questo è un gran vantaggio economico e d’immagine. L’invasione di campo è stata immediata, noi abbiamo usato inizialmente pistole e fucili da caccia, poi le granate e i lanciafiamme. L’attacco si è risolto in quaranta minuti scarsi, i superstiti sono fuggiti verso le uscite unidirezionali di salvazione che portavano direttamente agli ospedali da campo allestiti dai volontari. Abbiamo subito pochissime perdite, agli ospiti è andata peggio: non avevano strategie, mentre noi contiamo il 10% dei membri che sono ex militari e la regia era affidata a loro.
Movimenti umanitari, associazioni cattoliche e noti pensatori ambientalisti sono insorti contro il destino dei corpi delle vittime: l’intesa commerciale che i club hanno siglato con istituti di ricerca scientifica e università di tutto il mondo è stata definita criminale. Se la sente di sostenere il contrario?
Chi prende parte alle giornate calcistiche in regime di violenza legalizzata sottoscrive una liberatoria. È informato di quale potrebbe essere il suo destino. Anche lei, buon uomo, che vivacchia in una grande città e respira PM10 per undici mesi l’anno ha preso atto di quali doni potrebbe riservarle la sorte. Non vedo cosa abbia a che fare il crimine, con questo.
Io credo che la civiltà sia una patina molto sottile, come la doratura di un orologio da poco, che poi con l’acqua o semplicemente col tempo o alla prima grattata contro un muro va via e lascia vedere cosa c’è sotto: il grigio e il freddo dell’acciaio”. Sa dirmi chi ha espresso questo concetto?
Non è difficile: uno scrittore, Tullio Avoledo, nel romanzo “Mare di Bering”.
Touché. Non avrei immaginato che un ultrà potesse avere passione per la lettura, che la cultura potesse imbibire anche un individuo come lei…
Mi faccia capire, ma lei è venuto a intervistarmi o a farmi la morale con i suoi pregiudizi? Cosa crede, di essere al Grande Fratello 10? Ma si vergogni! E ora per cortesia si tolga dai coglioni, ché devo farmi medicare.

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