giovedì 13 settembre 2007

La partita della vita: da Socrates a Socrate


È un anno che noi non vedremo mai, almeno non senza aver trovato dove si compilano i moduli per la reincarnazione. È un tempo lontano nel futuro e l'uomo sopravvive, nonostante l'uomo. Sopravvive, ma non serve più a un granché. A onor dell'abbastanza vero, va detto che un'evoluzione c'è stata e anche di una certa consistenza. Gli atleti corrono i 100 metri a una velocità tale che le olimpiadi le trasmettono direttamente in slow motion o si avvertirebbe solo un venticello caldo e sudaticcio (ah i televisori sono multisensoriali). Gli astisti saltano muniti di paracadute e sui giavellotti viaggiano degli agenti in borghese per motivi di sicurezza.
Anche la tecnologia ha esplorato l'insondabile e quella fastidiosa malattia chiamata “morte” è stata quasi completamente debellata, se si esclude l'inossidabile tradizione millenaria di spararsi a vicenda. Pratica che comunque non è più considerata reato grave, ma allo stesso livello dell'abigeato ed è perseguibile solo se la vittima sporge denuncia. Altrimenti splafona nel comma “controllo demografico”. Non che ce ne sia un gran bisogno: le persone non si riproducono, un po' perché i bambini si ostinano ad essere troppo piccoli e un po' perché il sesso è ormai considerato un atteggiamento da bulletti di periferia.
Nell'epoca in cui per tutte le domande è stata accesa una risposta, nessuno sa ancora un accidenti sull'esistenza e il suo senso intrinseco. La filosofia nelle scuole ha lentamente assunto il ruolo che ha per noi l'ora di ginnastica: si spia nell'anima delle compagne di classe più procaci e ci si colpisce con delle clavette per sperimentare il concetto di felicità come cessazione del dolore. Per questo motivo una commissione di saggi che s'aggira per un peripato dotato di tapis roulant, decide di scoprire il senso della vita scomodando i maggiori esponenti del pensiero che la storia ricordi e mettendoli a confronto tra loro... in una partita di calcio. Il progetto viene messo in pratica grazie alle tecniche di ingegneria genetica che permettono di clonare Socrate (già con la barba) da un capoverso de I dialoghi di Platone.
I giocatori sono schierati sul campo di gioco, al centro dello stadio Fabrizio Corona di Potenza. Arbitra, in giacchetta cremisi, Dio in persona, nonostante le vibrate proteste della mezz'ala F.W.Nietzsche, il quale sostiene che un morto non sia in grado di esercitare il libero arbitrio. Dio lo ammonisce verbalmente e, già che c'è, gli rifila un attacco di dermatite seborroica. Guardalinee il Figlio e lo Spirito Santo. Quarto uomo Collina, anche se al Figlio la collina evoca ricordi antipatici.
La partita è da subito aspra e fallosa, motivo per cui il centrocampista S.Freud convince il terzino avversario della sua latente omosessualità. Il terzino chiederà poi il cambio per andare a uccidere la madre (di Freud).
Tutto d'un tratto A. Einstein, un impiegato tedesco del catasto svizzero, parte in contropiede sulla fascia: giunto a metà campo ha un'illuminazione sulla curvatura dello spazio e del tempo ed inventa Holly e Benji, un documentario scientifico sulla dilatazione di un traversone dalla destra e sui campi di calcio a schiena d'asino. Sulla trequarti sgancia un pallone d'oro a J.P.Sartre che ha la possibilità di battere a rete a colpo sicuro. Il fantasista francese però, valuta che passare in vantaggio stabilirebbe un disequilibrio mondiale prodromo di sentimenti di rivalsa e conflitti disumani e appoggia a un compagno con un angosciante esterno sinistro. L'allenatore scaglia in aria una borraccia di assenzio ed esclama “che palle l'esistenzialismo”.
Il primo tempo si chiude, senza troppe emozioni ma con diverse anime lacerate, dopo un interminabile recupero dovuto al fatto che H. Kung, teologo ebreo, ha conversato a lungo con l'arbitro pretendendo spiegazioni che Dio si è rifiutato di concedere. Da segnalare solo un'azione in cui Mosè, ricevuta palla spalle alla porta, ha il problema di girarsi. Intimorito dal venire trasformato in una statua di sale grosso, smista all'indietro al sopraggiungente Zenone che esplode una legnata sbalorditiva che, paradossalmente, non raggiungerà mai la porta.
Comincia il secondo tempo, sempre più agonistico e anche agnostico, del resto, la filosofia non è uno sport per signorine e nonostante Agostino con i suoi parastinchi di santo, dopo aver dimostrato l'esistenza dell'arbitro, predichi l'amore spirituale, la partita diventa sempre più una questione di carpenteria metafisica.
A. Schopenhauer, lanciato nella sua rappresentazione della fascia destra, viene atterrato barbaramente da un libero dionisiaco che ne gode con sfacciataggine. Steso a terra, la punta tedesca si rende conto come il desiderio provochi tensione interiore. Nello specifico il desiderio di un massaggiatore e di percuotere il libero con il Vecchio Testamento. Ricevute le attenzioni della spugnetta ontologica, Schopenhauer scopre che la felicità è cessazione della sofferenza e che, come spiegherà molto meglio Califano, tutto il resto è noia.
Sul pallone, per battere la punizione divina, si porta S. Kierkegaard esclamando “batto io, sono come Maradona”. Il danese (filosofo non canide) realizza (un concetto non un gol) che desiderare essere qualcun altro è la malattia mortale e spira. Si prepara quindi un positivista che grazie al metodo scientifico può affrontare tutte le sfere della conoscenza, quindi anche il pallone. Calcola traiettorie impercettibili e codici di geometrie esistenziali e calcia con la spocchia di un oxfordiano represso.
L'inglese non aveva fatto i conti con il portiere Socrate (senza s finale, quello è un chirurgo) che, sapendo di non saper parare, fa capire dove vuole andare a parare e para di fronte allo sbigottimento di Anassagora, che è suo amico ma mica lo capisce tanto bene.
Socrate afferra la sua borraccia e prima di bere ne offre ai compagni che si scherniscono:

“No grazie Socry, non ho proprio sete”
“Ma come sei tutto sudato, hai la bocca disidratata dalla retorica scolastica, dai non essere empio”
“No no davvero, bevi tu io ho un po' di ritenzione, grazie comunque”

L'azione si capovolge e un nichilista punta dritto verso la porta avversaria. Il centromediano metodista epicureo si propone sulla sinistra:

Epicureo: “passa passa che voglio provare a fare gol”
Nichilista. “NO!”

Giunto al limite dell'area il nichilista non si esime dal non evitare di tirare nella direzione opposta a quella dove non c'è la porta avversaria, creando una leggera confusione tra le fila antagoniste, per quanto esse non esistano anzichenò. Il portiere, un barbiere inglese di nome Ockham (titolare del salone "Rado chi non lo fa da sé"), blocca il pallone con fare da portinaio e estraendo un rasoio esclama:

“Ah regazzì, mo te lo taglio sto pallone” con un vago accento di Cambridge.

Ockham rimette in gioco servendo Schopenhauer che, pensando ad uno scambio, ritorna il pallone al portiere. L'inglese era però distratto dal dubbio di non aver considerato tutte le possibili soluzioni tattiche facendola un po' troppo semplice e non vede il pallone che gli rotola di fianco finendo in rete. Schopenhauer, di nuovo preda del dolore argomenta che quell'autogol esiste nel suo mondo di volontà e rappresentazione e solo lì agisce con tutta la sua ignominia. Decide quindi di togliersi la vita facendo suo un sacramento dello stoicismo che trovava molto sexy, annullando di fatto l'esistenza stessa di quell'autogol. Il tedesco però, spinto anche dal desiderio di far insolentire Seneca, non valuta il fatto che con quel gesto anche tutto ciò che stava esperendo esparisce, rendendo vano il progetto di ricerca di un senso della vita che prevalga sugli altri.
Solo l'arbitro rimane, che in un eccesso di iconoclastia, si sfila la maschera mostrando il volto di Luciano Moggi.
Le cronache sono frammentarie, ma qualcuno giura di aver sentito il quarto uomo esibirsi in una pletora di bestemmie.

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12 commenti:

Anonimo ha detto...

ciao,bello questo post secondo me un pò stile stefano benni e spero che per te sia un complimento.

cruman ha detto...

se è riferito allo stile è senz'altro un complimento anche se qui tra benni allen e compagnia bella mi piacerebbe che qualcuno identificasse uno stile mio! gnè gnè!

Franca ha detto...

Collina ringrazia di essere stato inserito tra uomini di cotanta levatura.
A parte Moggi alla fine...

cruman ha detto...

più che altro di cotenna levigata!

prega collina da parte mia (nel senso digli prego)

Anonimo ha detto...

Questo post è strepitoso!
In mezzo a questo bastimento di informazioni più o meno comprensibili per una 'gnurante come me, una cosa mi è chiara, ed è che c'è chi nasce con la palla in mano e chi deve rincorrerla per tutti i suoi giorni senza mai poter vestire la maglia da titolare, c' è chi può permettersi di prenderla a calci e chi invece se la ritrova tra i piedi senza sapere cosa farne rischiando di calciarla nel fosso più profondo. Sono arrivata alla conclusione che la cosa importante è di non smettere di giocare finchè si ha abbastanza fiato per farlo e cercare di dare sempre e comunque il meglio di sè in ogni campo, sia che si giochi in casa che fuori. Ah...ho anche capito che il mio odio verso Eulero ha qualcosa in comune con lo Spaggio...saltuariamente si ripropone. Cruman, complimenti per il palleggio tra concetti e ironia, i tuoi 90 minuti li stai giocando in grande stile ;o)

cruman ha detto...

grazie essenza, sembravi quasi sandro piccinini!!

Anonimo ha detto...

Eheheh "...brivido" ;o)

Anonimo ha detto...

ops ero io quella del commento su hillman però avevo dimenticato il nome...

Anonimo ha detto...

E finita la partita, nell'"ureteria" collettiva, è intervenuto Solone che ha intimato a tutti gli utenti: "non abbandonate la posizione senza prima avergli dato uno scorlone*)"
*)Traduzione libera dal greco antico = robusta scrollata.

cruman ha detto...

caropippo!
dove fuffolo eri finito???

Anonimo ha detto...

In attesa di quello eterno, mi sono concesso un pò di super riposo temporaneo.
Sono semplicemente tornato a quello normale
Cin cin ! caro Cruman (non so se mi spiego) e una stretta di mano.

cruman ha detto...

il super riposo di super pippo?

ti spieghi a stento ma sono felice che risei.