venerdì 6 ottobre 2006

Il nome della cosa



Un lontano giorno della nostra vita, ci siamo resi conto che quella strana parola urlata dalla mamma mentre cerchiamo di attraversare carponi la tangenziale, è il nostro nome. Io, per onor del vero, l’ho imparato a scuola, durante l’appello. Prima pensavo che il mio nome fosse testa rotonda.
La parola che ci nomina, nella moderna società, ha svariate valenze e utilità, non ultima quella di non sentirsi chiamare “ehi tu” o riferire a noi con “chiedilo a quello”. Non voglio riscaldarvi la minestra dei nomi bizzarri e delle patologie psicotiche che muovono certi genitori all’etichettatura della propria prole (e vi assicuro che due paroline avrei ben ragione di spenderle). Mi interessa, anzichenò, il rapporto che le persone hanno con il proprio nome e con quello delle persone che le circondano.
I nomi vivono una loro esistenza, proprio come chi li porta. Da giovanissimi, sono pazzi, spensierati, mutano forma senza preavviso e fatichi a tenere il loro ritmo. Si adattano alla presenza fisica, all’assonanza con altre parole o all’omonimia con personaggi famosi. Per esempio, se ti chiami Franco e il tuo stomaco, in armonia con l’universo, tende ad espandersi, è facile che verrai nominato cicciofranco. In età adolescenziale i nomi si storpiano, si contraggono, si ipsilonizzano: non è inconsueto imbattersi in una giovane combriccola e al momento delle presentazioni sentire un appello del tipo bubi, bobby, pucci, stefy, fiffy, chicca…e finire a guardarsi intorno nel timore di veder spuntare il grande puffo, un pokemon e magilla il gorilla.
In età adulta, i nomi hanno destini contrastanti. Qualcuno si riappropria dell’identità originale, anche se a fatica. Ho assistito a matrimoni durante i quali, in risposta alla fatidica domanda “vuoi tu Roberto prendere in moglie la qui presente Federica?”, il promesso sposo ha risposto “CHI????”, tanta era l’abitudine a chiamarla chiccha. Purtroppo, molti nomi sono destinati a decadere. Alcuni in favore di importanti etichette che esigono la compagnia del cognome, visto che Dott. Mimmo o On. Gigi, non suonano melodiosi. Altri lasciano il posto a pseudonimi che ti si attaccano addosso come un testimone di geova. Alcuni esempi.
Ci sono ancora zone d’Italia dove è usanza appellare un ragazzo con il nome del padre, sebbene lui sia in possesso di uno ad uso privato. Abitudine che, come un quadro di Escher, si arrampica su se stessa, non chiarendo se il nome del padre sia in realtà quello del nonno e così via.
In ambienti socialmente veraci, è molto comune identificare le persone con caratteristiche salienti o inclinazioni caratteriali tipo er pagnotta (che è buono come il pane), er greco (dal profilo ellenico o dall’amore per le olive) o cesareo (perché non l’ha vista nemmeno quando è nato).
Ma la vera rivoluzione nominale è quella dei nick. Identità virtuale che ognuno di noi si può scegliere, per comunicare via internet o in altre realtà bislacche. In questo meccanismo perverso e anche un po’ pervertito, si collocano alcune metodologie di autodefinizione.
Il fantasioso. Dopo aver passato 12 minuti davanti alla richiesta “inserisci il tuo nickname”, il fantasioso finisce per scrivere Stefano, chiamandosi in realtà Stefano. In un extrasistole creativa, può arrivare a digitare Stefano76, dando indicazioni sul suo periodo di concepimento. Alcuni sbadati preferiscono scrivere Stefano30, rendendo necessario un adattamento cronologico ad intervalli piuttosto regolari. Tra un po’ di tempo però questo sistema creerà notevole confusione. Nel 2060, scrivere Stefano35 lascerà spazio a ragionevoli dubbi, cosa che ora, grazie al privilegio di vivere a cavallo di due millenni (e non solo di due secoli come Napoleone, tiè!), non può accadere.
Lo schizoide. Larghissima categoria di persone afflitta da quella che Kierkegaard definiva malattia mortale: il voler essere qualcun altro (Crepet la chiama illudersi come un pollo). Questi soggetti si presentano semplicemente con il nome di qualche loro modello di vita o quello che pensano possa essere modello di qualche modella in giro per le chat. La rete abbonda di Dylan Dog, Brad Pitt, John Holmes e Capitan America. Questa tecnica ha anche risvolti molto raffinati come Barney Panofsky, Gary Oldman o Michele Cucuzza. Un mio amico, dannato genio, giovane talentuoso con una pompa cardiaca difettosa, ha creato la sua identità di il Giovane Holter, ma certe finezze cadono nel fango come bruschette ai porci, ottenendo in cambio una serie di saccenti “guarda che hai sbagliato a scrivere”.
L’espressivo. Altro esemplare molto diffuso. Racchiude in poche sillabe ciò che desidera comunicare. Ha diverse sottocategorie: emozionale (cucciolodolce, bastardoailati, tristesolo ecc.), fisico (belbiondino, palestratomoro, 30duricm ecc.), metafisico (raggiodiluna, pensierocaldo, sognoumidiccio, ricordovago ecc.) e infine i posizionatori sociali. Quelli che si collocano in qualche categoria per far capire vagamente che cosa cercano e da chi vogliono essere cercati. Per esempio medicocurioso, managerricco, lesbicanouomini, gaypugliese (ribattezzato poi in lecce omo), padronesevero, schiavosconsiderato, insegnanteprecario ecc.ecc.
Sarebbe bello poter sceglierci un titolo che ben ci rappresenti o che semplicemente ci piaccia più di quell’Esculapio che tanto desiderava il nonno. In Italia la procedura per cambiare nome è impervia e raramente se ne vede la fine. Bisogna essere proprio in condizioni disperate: se ti chiami prendetemi a calci, è possibile che dopo qualche anno di circuiti burocratici, il tuo nome verrà modificato in prendetemi a carci (e sei pure di Roma), perché solitamente cambiano una sola lettera.
Una mia amica ha un coniglio. Pensava fosse una coniglia, così l’ha chiamata Flora. Dopo averla vista montare con piglio deciso, altre coniglie, ha intuito di essersi sbagliata. Io le ho suggerito di nobilizzare il suo nome in De Flora, rendendo così giustizia alla sua virilità. A volte l’abito fa il monaco, ma non viceversa o sarebbe un santo sarto, come Versace.

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4 commenti:

Anonimo ha detto...

Devo dire che mi è andata bene, sono stata solo ipsilonata, probabilmente se i miei genitori avessero festeggiato con alcol la vigilia di Natale, e avessero accettato il consiglio dell' ostetrica di chiamarmi Natalina, ora mi ritroverei con un stoppaccioso "Naty" e chiunque si sentirebbe in diritto di chiedermi quanti o dove?!?
PS: Nel nick ho per forza dovuto aggiungere un numero che mi rappresentasse o me ne appioppava uno a caso il sistema, ed è un sistema antipatico ti assicuro ;-)
PS del PS:Il tuo nick come è nato?

Anonimo ha detto...

epsilonato?!
io rientro nel novero dei fantasiosi...
già... il tuo nick come è nato? :-)

Anonimo ha detto...

Il nick è incosciamente una rappresentazione di ciò che vuoi cominicare. Il nick esprime il carattere e l'inclinazione personale.
Vanno forte filosofi e personaggi storici.
Ma c'è anche una profusione di anonimi, questi sono interessanti, materiale per Crepet che potrebbe spiegare questa compulsiva voglia di nascondersi.

Anonimo ha detto...

....non vuoi proprio rispondere alla mia domanda???
Dai Cruman che ti costa?
Comunque complimenti per il post, riesci sempre a distinguerti anche tra i professionisti ;-)