venerdì 2 marzo 2007

Parole sterminate


A volte mi perdo tra i miei pensieri il che la dice tutta sul mio senso dell'orientamento. Lo smarrimento interiore è comunque un passo evolutivo da non sottovalutare, considerato che c'è gente che compie traiettorie impercettibili (codici di geometrie esistenziali) per trovare se stessa e per poi potercisi perdere dentro. Alcuni arrivano persino ad andare in Danimarca in moto per poi non trovarsi e scoprire che è molto simile a Modena Sud. Mentre ero lì (tra i miei pensieri, non a Modena Sud) sono rimasto dieci minuti buoni a bearmi di una folgorazione: ho realizzato, per motivi di non facile definizione, che il nome Eugenio deriva dalla radice greca eu (bene, buono) e da gens (nascita) e quindi nomina ciò che è ben nato. Mi chiedo se i genitori di Eugenio Bennato (cantautore poco noto fratello di cantautore invece molto) abbiano consapevolmente chiamato il loro figlio semplicemente traducendo in greco il suo cognome. Sapranno di averlo chiamato Bennato Bennato?
Ricordate i Jalisse? Non importa tanto neanche loro si ricordano di voi. Magari però ricordate la loro canzone con cui hanno vinto un festival di sanremo e un buono “prendetemi in giro” valido per tutta la vita (del pianeta): fiumi di parole. Ecco per qualcuno le parole sono un fiume impetuoso su cui praticare rafting estremo, per altri un laghetto immobile e poco profondo, uguale a se stesso in ogni angolo. Di quelli che fanno pensare che, tirandoci un sasso dentro, vadano in mille pezzi come un vetro.
Se le parole potessero parlare creerebbero senz'altro un interessante fenomeno di ricorsività, ma sicuramente avrebbero una voce ambigua. Una loro sfumatura può cambiare il destino dell'umanità: un popolo sterminato può essere una moltitudine o ridotto a pochi superstiti, scegliendo tra aggettivo o verbo orfano di un complemento devastatore. E l'ambiguità degli uomini amplifica quella delle parole, semplicemente usandole senza troppa attenzione o con troppa ferocia.
Quando, per esempio, sento dire che un evento nefasto ha generato un certo numero di vittime e un numero maggiore di feriti, mi chiedo come mai i feriti non abbiano una dignità sufficiente a farli considerare vittime anch'essi. Perché vittima è una schifezza di parola per dire morto. Come ambiente è una schifezza di parola per dire natura, già opportunamente sottolineato da Postatore Sano.
E mi “dico” spesso che il matrimonio tra uomini deve avere caratteristiche genetiche a me ignote, se è vero come è vero che matrimonio ha qualcosa a che fare con la maternità.
Ci sono parole poi che vengono forzatamente rese qualcos'altro, qualcosa che non sono e poi si approfitta della loro nuova identità. Nomadi: nel dizionario divano-televisione televisione-divano indica un gruppo di persone dedite al parcheggio abusivo in roulotte e se prendi la coda di volpe posticcia vinci un altro giro. I più avvezzi ai lemmi di uso corrente possono arrivare a descrivere ulteriormente il termine con sfondi di bmw gialle e bambini furtaroli. Ma le caratteristiche socio culturali dei popoli dediti al nomadismo si sono perse sugli autoscontri.
Questa almeno è la spiegazione che mi sono dato quando ho appreso che il ministro Ferrero ritiene appropriato assegnare ai nomadi di Milano delle case di edilizia residenziale pubblica, perché le loro condizioni di vita nei campi omonimi non sono più accettabili (nemmeno quelle di chi ci vive limitrofo, a quanto pare). Quindi nomadi fermi. Come insegnava Umberto Eco nel corso di urbanistica tzigana alla facoltà di irrilevanza comparata.
Anche nel mio ameno paesello hanno costruito alloggi per ospitare gli zingari da tempo accampati ai margini del comune. E si sono anche lamentati: pare che le finiture non fossero molto curate e che risultasse difficoltoso agganciare i bilocali alle mercedes. Il mio vicino di casa che fa l'operaio turnista ha acceso un mutuo per pagare il mutuo della casa e se tutto va bene dovrebbe finire di versare interessi di interessi ricapitalizzati quando il discioglimento delle calotte polari avrà sommerso tutta la bassa padana con le sue balere estive. Purtroppo, essendo stanziale di nascita non ha diritto a una fissa dimora, una casa pubblica. Almeno secondo i gestori della cosa pubblica.
Tanto per rimanere nell'ambito istituzioni, mi piacerebbe anche sapere che fine abbia fatto il significato della parola abbonamento. La Rai sostiene che io sia abbonato al loro servizio pubblico. A parte che se è un servizio pubblico non vedo perché io mi ci debba abbonare, al limite pagherò un ticket. Ma visto che trattasi di tassa obbligatoria, non credo sia corretto (dal punto di vista “significato – significante”) parlarne come di un contratto liberamente stipulato tra me e una controparte. Io in televisione guardo solo Telemarket per godermi la piacevole sensazione di non comprare un De Pisis e questo mi obbliga a “abbonarmi” a un servizio che non uso.
Ma poniamo il caso che in un mondo perfetto il servizio televisivo pubblico renda davvero un servizio utile: io sarei ben contento di partecipare al suo sostentamento, con una “tassa” che è poi quella che spacciano per “abbonamento”. Che qualcosa venga evidentemente storpiato lo si desume dalla simpatia con cui gli spot televisivi ci ricordano di pagare l'abbonamento, in rapporto al terrorismo espresso in lettere minatorie inviate da esattori senza scrupoli che minacciano (in caso di mancato saldo del pizzotv) di mandarti a casa una squadra swat con l'ordine di rinchiuderti in un posto terribile tipo Frosinone bassa ed espropriare la tua casa... per darla a una famiglia di nomadi.
Non c'è peggior sordo, di chi non ci sente.

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2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bè, se a Modena sud posso trovarmi, il mio cammino è davvero breve!! Il problema è che spesso per trovare una ragione a quello che faccio contraddico quello che pensavo un attimo prima! Mi piace pensare di navigare quel fiume di parole con un kayak e goderne ogni sillaba, in questo blog si può fare, e anche per questo ci torno ogni giorno. Il post del Sano postatore ha dato sicuramente un' idea di cosa voglia dire "usare" le parole ad uno scopo, tu in ogni articolo doni a noi comuni mortali la voglia di carpirne il massimo significato. Grazie!!

PS: tanto per non conformarmi alla massa i "nomadi" per me restano la band capitanata dal compianto dall' Olio!!

Anonimo ha detto...

"Far cose con parole": questo, parafrasando il titolo di un giurista americano, potrebbe essere un sottotitolo per le tue escursioni tra le parole, anche fra quelle abusate e stinte dall'uso quotidiano: nel tuo blog non sembrano più insignificanti e rivelano nuove capacità e versatilità. E' poi un blog rilassante: insegna (anche a sorridere di se stessi)senza sollecitare ad aggiungere qualcosa, che sarebbe solo superfluo.
Max
P.S. Vedi che la carta stampata 'importante' (e pazienza se è Panorama) già si interessa di te?