sabato 18 marzo 2006

MIG (Men In Gray)


Lavorando in una multinazionale, capita spesso di entrare a contatto con personaggi di varia natura. Una specie umana che merita sicuramente qualche considerazione è quella dei consulenti, categoria assai discussa (e sulla quale girano quasi più barzellette che sugli ingegneri, con l’aggravante che le categorie molto spesso si sovrappongono) e molto spesso bistrattata.
Quello che mi piacerebbe fare è indicarvi pochi ma buoni elementi distintivi, che vi mettano in condizione di riconoscere a quale livello della “piramide” è collocato il signore vestito di scuro che siede a fianco della vostra scrivania…

Lo junior (o assistant): è il novellino della situazione. Solitamente arriva in azienda in branco, ed è riconoscibile a prima vista per la giovane età (è sempre un neolaureato) e per l’abito scuro o troppo largo o troppo stretto, segno evidente della sua scarsa attitudine a questo tipo di abbigliamento. Lo junior macina codice (o redige slide) per ore senza mai fermarsi, ligio al dovere e speranzoso che il lavoro gli offra presto una grande opportunità. Non accantona, comunque, l’idea di andare a fare il fornaio per potersi finalmente dimenticare dei dannati diagrammi di Gant. Vista la scarsa anzianità aziendale e l’appartenenza a una casta evidentemente disagiata, il suo strumento di lavoro è un portatile vecchio di 5-6 anni, tramandato da un collega passato a miglior posizione subito prima della sua assunzione. Il cellulare è talmente “modello base” da far sospettare che sia stato rubato per strada a un bimbo di 6 anni e gli sia stato dato in dotazione previa epurazione del ciondolo luminoso di Winnie the Pooh.
Visto lo scarso “inserimento” sociale e la giovine età lo junior vive male nell’azienda in cui si trova a lavorare: viene solitamente maltrattato anche dall’ultimo dei galoppini, non dispone ancora di biglietti da visita e non trova mai uno straccio di anima pia disposta a offrirgli un caffè. Ovviamente non parla mai e altrettanto ovviamente scompare – senza che nessuno se ne accorga – con la stesso preavviso con cui è comparso mesi prima.

Il senior: è la figura più diffusa. Arriva in azienda all’alba e passa la maggior parte del tempo a rincorrere sfuggevoli responsabili di funzione sempre troppo impegnati per dargli retta. Il suo elemento distintivo è il biglietto da visita, distribuito senza economia a ogni personaggio con cui entra in contatto, e la residenza ad almeno 400 km dal luogo di lavoro, distanza che copre quotidianamente da pendolare. Avendo superato le forche caudine dell’anzianità aziendale media (che solitamente si aggira sui tre mesi) dispone di un’auto aziendale e di un telefonino che suona costantemente ma al quale non risponde quasi mai durante l’orario di lavoro. In ragione di ciò passa solitamente l’intera pausa pranzo ri-telefonando a rotazione a tutte le persone che lo hanno cercato. Il senior è sempre molto ambizioso ma porta sempre stampata sul viso un’espressione di stanchezza mista disillusione. Vede raramente la fine di un progetto, dato che una volta finito il lavoro sporco viene sostituito da colleghi di casta superiore (mai visti prima nè da lui nè dall’azienda che ha commissionato il progetto) pronti a prendersi i meriti (qualora ce ne siano) del lavoro svolto.

Il project manager: il profilo più alto dei consulenti appartenenti al genere umano. Il project manager si presenta a bordo di una berlina di grossa cilindrata, dalla quale estrae sempre due borse di pelle umana (una per gli attrezzi da lavoro, l’altra per il necessaire e gli effetti personali) e un portabiti contenente, come l’armadio di paperino, tre completi esattamente identici a quello (costosissimo) che indossa. Quando sente un trillo provenire da una delle due borse suddette, provvede a vomitarne su un tavolo l’intero contenuto, ovvero: tre cellulari (tutti UMTS: uno personale, uno aziendale, uno sempre rigorosamente spento di cui probabilmente anche lui ignora il numero), il blackberry, l’ipod e il palmare, salvo non riuscire a identificare al volo quale fosse a suonare visto che tutti i dispositivi hanno al massimo tre giorni di anzianità. Porta al polso un rolex submariner tempestato di denti rotti a gomitate, segno ineluttabile della sua scalata al successo. Il suo lavoro consiste per il 90% del tempo nell’apparecchiare il tavolo riunioni: pc ultraportatile del peso di 120 grammi, dotato di collegamento cellulare a internet, videoproiettore portatile e sistema dolby surround miniaturizzato. Il rimanente 10% del suo tempo è occupato dalla proiezione di slide incomprensibili relative a improbabili processi di rinnovamento aziendale. La sua lingua madre è lo slang italo-americo-tecnocratese: il raccoglitore diventa il repository, le mansioni sono job, le competenze gli skill, la direzione il management. Lui, generalmente, viene simpaticamente appellato come dumb.

Il partner: è una figura quasi mitologica tanto è fitto l’alone di mistero che lo circonda. Il consulente che arriva a questi livelli viaggia tipicamente con una Mercedes SL aziendale, e l’unico oggetto tecnologico che porta con sé è un telefonino di ultimissima generazione (anzi, talvolta di quella prossima ventura: capita che il telefono di cui dispone non sia ancora sul mercato e lui lo possegga “in virtu di un particolare rapporto di collaborazione con una famosa società di telecomunicazioni”) che, pur acceso, suona pochissime volte al giorno e unicamente perchè chiamato dalla segretaria. Porta al polso un orologio di marca esoterica e/o di fattura artigianale del peso di una pendola del 1900 e non ha mai bagaglio al seguito. Nemmeno una borsa, dato che per il suo lavoro non necessita di alcun computer ne tantomeno di un palmare. Reca con se solo una pregiatissima agenda di dimensioni leggermente superiori a quelle del portafogli, e la consulta solo per fissare la sua prossima apparizione (generalmente occorrente nella prossima era geologica visti i numerosi impegni) che viene rigorosamente appuntata con una mont-blanc ricavata dal pieno di un corno di rinoceronte estinto. Da del “tu” all’amministratore delegato (che in tua presenza definisce “CEO”) e lo apostrofa con pacche sulla spalla quando ai comuni dipendenti è normalmente consentito solo il saluto utilizzando il “vossia” e genuflettendosi al suo cospetto.
Non ha mai appuntamenti e/o riunioni prima delle 14, dato che è sempre all’estero e “arriva dall’aereoporto”. La sua lamentela più ricorrente è che non esiste più la business class di una volta e sostiene, con assoluta indifferenza, che l’unico modo decente di viaggiare è ormai il jet privato, mezzo su cui si trova a viaggiare sempre più spesso viste le sue frequentazioni altolocate. Ogni sua uscita presso la tua azienda è preludio di eventi catastrofici a livello organizzativo e comporta l’emissione di una fattura da parte della società di consulenza il cui importo supera agevolmente il PIL della Tanzania.
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1 commento:

Anonimo ha detto...

"...ricavato dal pieno..."
Oscure riminescenze di chissà quale felice periodo....

Ciao Spaggio